Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

mercoledì 25 dicembre 2013

Uomini, navi e merci nel Mediterraneo Antico

Uomini, navi e merci nel Mediterraneo Antico
di Sebastiano Tusa


«Cinquanta giorni dopo il solstizio, quando volge al colmo l’estate spossante, questo è per i mortali il tempo per navigare […]. Quando i venti sono regolari e il mare sicuro, allora spingi in mare la nave veloce e affidala pure ai venti. Riponivi tutto il tuo carico e affrettati a tornare a casa prima che puoi. Non aspettare il vino nuovo, le piogge d’autunno […]» (Esiodo, Le opere e i giorni)
È questo uno dei passi più antichi che, con la sua sagace prudenza, ci consente di percepire direttamente, attraverso la ‘voce’ di uno dei protagonisti dell’antichità mediterranea, brandelli di una primitiva civiltà nautica che altrimenti soltanto l’archeologia ci svela con il linguaggio delle ‘cose’.
Rotte neolitiche
Già nella più remota preistoria troviamo la prova che i contatti marittimi hanno contraddistinto da sempre la vita delle società mediterranee.
Tra le prime materie a diventare oggetto di scambio, anche a vasto raggio, vi fu l’ossidiana, particolarmente ricercata per la sua duttilità e efficacia nella manifattura di strumenti. La società neolitica, divenendo parzialmente dipendente da questo singolare ‘vetro vulcanico’, ne apprezza a tal punto le doti che ne ricerca le fonti e, anche se lontane dai luoghi di utilizzazione, ne sfrutta i giacimenti facendo viaggiare l’ossidiana per centinaia di chilometri. principalmente per mare. Si creano così le prime rotte di approvvigionamento che possiamo definire commerciali. Si tratta di vie di percorrenza soprattutto marittima, dato che l’ossidiana, almeno nel Mediterraneo centrale e anche nell’Egeo, è particolarmente presente nelle piccole isole. Ciò dimostra come l’uomo neolitico avesse già trovato una completa dimestichezza con il mare. Del resto l’arditezza marinara dei primi neolitici è provata dalla presenza di una colonia presso la Cala Pisana sull’isola di Lampedusa. Raggiungere quest’isola non doveva essere impresa facile dato che è impossibile adottare il sistema della navigazione a vista da costa a costa. La conoscenza di rotte segnate da astri e, probabilmente, di correnti e altre cognizioni marinare doveva stare alla base di tali capacità di percorrenza per mare.
Che esistesse già, sei o sette millenni prima di Cristo, una reale conoscenza di rotte e, quindi, già un sapere marinaro consolidato, è provato sia dalla colonizzazione tra il VI e IV millennio, oltre che di Lampedusa, anche di Malta, Pantelleria, delle isole Eolie e di molte isole dell’Egeo, ma anche dall’insorgere di comprovati sistemi di scambio tra questi arcipelaghi e le terre d’Europa. Per le nascenti società neolitiche il mare non è, dunque, per nulla un ostacolo, bensì un formidabile veicolo di comunicazione che ne agevola le capacità produttive, ne favorisce i contatti e induce alla conquista di nuove terre da colonizzare.

La ricerca dei metalli
Quanto avviene durante il Neolitico si amplifica nelle epoche successive della preistoria e protostoria mediterranea grazie all’insorgere di altri bisogni collettivi da soddisfare. Tra questi la ricerca dei metalli – dapprima il rame, poi lo stagno e altri (oro, argento, piombo ecc.) – costituisce il più potente catalizzatore per imprese commerciali marinare di grande respiro e impatto nei sistemi commerciali del Mediterraneo. Sarà proprio il commercio dei metalli a dare l’avvio per l’insorgere di veri e propri sistemi statali mercantili, tra i quali quelli attribuibili ai Micenei saranno i più rappresentativi. Il commercio per mare sarà, pertanto, la base di grandi fortune e di mirabili espressioni della civiltà mediterranea.

Il Mediterraneo come tramite di intrecci culturali
La consuetudine all’incontro tra le sponde diverse dello stesso mare aveva già determinato, alla vigilia del II millennio a.C., l’emergere di sostrati culturali comuni che determinano indubbie parentele culturali tra le varie società rivierasche più a contatto. Il mare, quindi, è diventato già un elemento di unione tra popoli e culture diverse. Ciò si nota non soltanto nelle relazioni Est-Ovest, ma anche in quelle Nord-Sud. La cultura eoliana di Capo Graziano, per esempio, insieme alla speculare cultura protoappenninica della penisola, manifesta l’embrione di una koinebasso-tirrenica che, dopo qualche secolo, raggiungerà livelli d’integrazione culturale ed etnica tali da rendere plausibile l’enucleazione di una vera e propria regione culturale basso-tirrenica (costa settentrionale della Sicilia, coste calabro-campane con naturale baricentro nelle Eolie).
Parimenti, grazie agli intensi contatti marittimi commerciali, tra le culture dell’antico e meso-elladico della Grecia continentale e insulare, insieme a quelle del medio e tardo bronzo anatolico occidentale, e le culture siciliana di Castelluccio e -seppur in misura inferiore - quelle protoappenniniche dell’Italia continentale, si stabilirà una vera e propria koine culturale che porterà successivamente (con l’arrivo sulla scena dei Micenei) a evidenti processi di assimilazione e acculturazione.



Reti commerciali diverse
Tuttavia, se si guarda ai singoli ambiti geografici, il fenomeno non è così semplice come appare e le generalizzazioni sono sempre difficili da sostenere. Intorno al XVII secolo a.C. nell’Oriente mediterraneo, infatti, era già consolidata una fitta rete di scambi marittimi che aveva come principali capisaldi i palazzi minoici di Creta e i ricchi centri commerciali ciprioti e della costa siro-palestinese. Le culture rivierasche del Mediterraneo centrale mostrano un alto grado di dinamicità, essendo inserite in reti commerciali autonome o interagenti tra loro. In particolare, si individuano due sistemi commerciali marittimi collegati alle rotte orientali che, provenendo dallo Ionio, si biforcano in prossimità dello Stretto di Messina dando luogo alle rotte meridionali inglobanti la Sicilia meridionale, Malta e Pantelleria, e a quelle settentrionali situate nel basso Tirreno (isole Eolie, Flegree, Calabria e Sicilia settentrionale). Quest’ultimo sistema interagiva con la rete di approvvigionamento del rame che lambiva le coste dell’Italia centro-settentrionale, sia a Vivara, dove era attivo, tra il XVII e il XV secolo a.C., un centro di lavorazione e distribuzione di prodotti metallici, sia alle Eolie. Il sistema commerciale meridionale, invece, approvvigionava di prodotti egeo-levantino-ciprioti i centri costieri siciliani dell’età del bronzo e aveva come caposaldo il centro di Monte Grande, presso Agrigento, dove è attestata l’estrazione e la lavorazione dello zolfo, evidente attrattiva per i mercanti orientali.
La civiltà micenea
Con l’avvento della civiltà micenea (XV-XIII secolo a.C.) i sistemi commerciali si rafforzano e si intensificano gli scambi. I centri costieri siciliani, pugliesi e campani assumono il rilievo di veri e propri scali commerciali che basano il loro sviluppo proprio sui traffici marittimi. Si sviluppano così i primi empori commerciali, tra i quali Thapsos, poco distante da Siracusa, è senz’altro il più complesso ed emblematico, ma altri si dispongono lungo le coste orientali e meridionali della Sicilia, così come lungo quelle dell’Italia meridionale. La forte presenza commerciale micenea non si fa sentire soltanto attraverso la gran quantità di prodotti ‘esotici’ presenti in diversi siti dell’isola, ma si trasferisce anche in un forte influsso culturale che modifica l’architettura tombale facendo acquisire alla tradizionale tomba a grotticella le sembianze delle tholoi micenee, e sovrappone al tradizionale modulo edilizio capannicolo l’edificio regolare a corte centrale di derivazione micenea. L’acculturazione è la logica conseguenza di secoli di intensi contatti che non avevano visto veicolate soltanto mercanzie di vario genere, ma anche un modello di vita e una concezione del mondo che verranno assimilati e riproposti in più casi.
Dopo questa fase di grande fervore dei traffici tra la Sicilia e l’Oriente egeo-miceneo, intorno alla metà del XII secolo a.C., il tracollo del sistema dei rapporti internazionali nell’area levanto-vicino orientale e la crisi della società micenea determinano l’inaridirsi dei traffici tra la Sicilia e il resto del Mediterraneo.

Greci e Fenici
Per i Greci le rotte con il Mediterraneo centrale e occidentale si ristabiliranno quando, soprattutto grazie ai commercianti euboici prima e corinzi dopo, si assisterà a quel grande e complesso fenomeno della colonizzazione d’Occidente, cui farà da speculare contrappunto quella delle coste siro-palestinesi e, soprattutto, anatoliche. A partire dal IX secolo a.C. i vascelli greci riprenderanno a solcare i mari trasportando mercanzie e coloni e, soprattutto, la cultura greca che tanto peso avrà nella genesi della civiltà occidentale. Ma i Greci non furono soli nella gestione del commercio mediterraneo. La supremazia del mare fu sempre contesa con i Fenici con i quali, nei primi secoli del I millennio a.C., ebbero delle vere e proprie partnership commerciali come nel caso della fondazione dell’emporio di Pithekoussa a Ischia.
Ma la storia assegna ai Fenici il primato nella gestione delle rotte commerciali mediterranee grazie alla loro abilità sia cantieristica che di naviganti e commercianti. Già nel 1110 a.C., a giudicare almeno da quanto narrano le fonti scritte, un nucleo di navi fenicie faceva il suo ingresso nella rada di Cadice, situata a circa 4.000 chilometri dalla loro città di origine (Tiro).
Le cause, che resero queste popolazioni rivierasche del Libano le più abili del loro tempo sul mare, sono da ricercarsi sia nell’esiguità del loro territorio, sia nelle continue scorrerie, nelle devastazioni e nelle gravose imposizioni di tributi che venivano inflitte alle città stato dai sovrani mesopotamici. I Fenici erano anche ottimi mercantisempre alla assidua ricerca di nuove vie di sbocco per i loro traffici, che effettuavano sapientemente mediante consolidati sistemi di baratto anche con popolazioni apparentemente ostili. Questa loro virtù derivava anche dalla necessità di trovare occasioni di sviluppo vitale per una economia priva di risorse proprie.

Dai fondaci alle città di mare
I Fenici si spinsero in Sardegna per il rame e per il piombo; l’oro e l’argento li attrassero in Spagna (Tartesso) e non esitarono a doppiare la penisola iberica per raggiungere lo stagno che si trovava in Inghilterra. I naviganti fenici basarono il loro sistema di traffici mediterranei intervallando le loro navigazioni con una serie di fondaci, che fin dalla loro origine ebbero la triplice funzione di riparo per i natanti, di stazione commerciale per l’esportazione dei loro manufatti verso i mercati dell’entroterra e, infine, di centro di raccolta dei prodotti locali, imbarcati sulle navi che così intraprendevano la rotta di ritorno verso la madrepatria. Alcuni di questi fondaci nel tempo divennero vere e proprie città fortemente proiettate sul mare, con un grande ruolo nei commerci mediterranei: Mozia in Sicilia, Cagliari, Sulcis e Tharros in Sardegna, Pantelleria e Malta, e, infine, assurta al rango di capitale di un immenso impero commerciale, Cartagine, eretta in posizione strategica a cavallo tra le due metà del Mediterraneo.

La navigazione
Il periodo di navigazione era compreso tra il 27 marzo e il 14 settembre, ma poteva essere prolungato tra il 10 marzo e il 10 novembre, con una sosta nei mesi invernali. Le navi onerarie venivano varate dalle cale all’inizio della stagione, dopo i necessari lavori di manutenzione, quali il calafataggio e la sostituzione delle manovre deteriorate, e non venivano più tirate in secco se non all’arrivo delle intemperie invernali. In genere la navigazione era di piccolo cabotaggio in costante vista della costa. Ma i Fenici e i Cartaginesi praticavano bene e spesso anche la navigazione d’altura pure di notte servendosi della guida delle stelle (l’Orsa Minore era anche nota come Stella Fenicia). La velocità media della navigazione era di circa due o tre nodi l’ora per un totale di circa cinquanta miglia al giorno.
Dalla talassocrazia cartaginese al dominio di Roma
Con la sua capacità cantieristica, navigatoria e commerciale Cartagine aveva conquistato e tenuto saldamente sotto controllo il bacino occidentale del Mediterraneo per circa cinquecento anni.
Com’è noto la potenza cartaginese sul mare, che a lungo aveva resistito con successo nel contrasto con le marinerie greche, dovette soccombere di fronte a un popolo che, paradossalmente, con il mare non aveva avuto nulla in comune, almeno nelle sue origine: i Romani. È noto che i Romani dovettero rapidamente ‘riciclarsi’ marinai per sconfiggere definitivamente il nemico cartaginese. Ne copiarono le navi, ne studiarono le tecniche di navigazione e ala fine, riuscirono a emergere anche nel conflitto navale decretando, con la vittoria di Lutezio Catulo su Annone nelle acque delle Egadi (241 a.C.), il declino irreversibile di Cartagine.
Da quel momento Roma divenne anche potenza marinara e seppe fruire di questa posizione per creare un sistema di commercio marittimo mediterraneo che durerà per secoli e che costituisce ancora oggi un modello di gestione dei commerci marittimi su vasta scala. Il sistema era complesso e completo. Si basava su una cantieristica eccellente, ma anche su un notevole sistema normativo e gestionale. Per comprenderne rapidamente la natura è necessario un salto cronologico raggiungiamo fino al periodo del dominio imperiale dei primi secoli dell’evo cristiano, quando la summa delle tradizioni e delle cognizioni marinare e commerciali raggiunse il suo carattere più completo ed emblematico.
L’evoluzione del sistema di commercio marittimo romano
Le tradizionali vecchie strutture ellenistiche del sistema commerciale sopravvissero per tutto il periodo romano imperiale. Continuavano a esistere gli emporoi che praticavano un vero e proprio commercio marittimo ambulante, per mezzo di una navigazione di cabotaggio da un porto all’altro. Sopravviveva anche l’attività degli imprenditori: i naukleroi. La navigazione commerciale fu garantita dal fenus nauticum, che era un prestito sulle merci da rimborsare in caso di sinistro. Pur conservando le caratteristiche essenziali del prestito greco – in caso di sinistro la perdita era sostenuta dal creditore – con il tempo le sue modalità mutarono considerevolmente. In effetti l’interesse non era più proporzionale ai pericoli della navigazione o della sua durata, bensì fisso e pari a un terzo della somma prestata. Come per il passato, all’imprenditore veniva concesso un certo lasso di tempo – venti giorni –, una volta giunto nel porto, per vendere il carico, al fine di poter rimborsare il prestito e l’interesse.
Con lo sviluppo del commercio su vasta scala, richiesto dall’esistenza di grandi agglomerati urbani e, soprattutto, dell’enorme mercato romano, fanno la loro comparsa strutture differenziate rispetto alle forme antiche. Da un lato vengono create grandi aziende commerciali spesso specializzate, come quelle dei negotiatiores (negotiatiores frumentarii, negotiatiores vinarii ecc.).
Parallelamente al commercio all’ingrosso si sviluppano le grandi imprese di trasporto marittimo, quelle dei navicolari, il cui nome deriva direttamente da quello di naukleros. Questi navichieri possedevano navi e avevano numerosi dipendenti e rappresentanti nei grandi porti. Trasportavano di tutto ed erano solidamente basati su una disponibilità finanziaria adeguata. Stipulavano contratti di trasporto anche con l’ufficio annonario ricevendo in cambio, oltre al naulum, cioè al prezzo del trasporto, anche un certo numero di vantaggi giuridici. Per esempio, durante il regno di Claudio (41 54 d.C.) venne concessa la cittadinanza romana ai Latini iuniani, vale a dire agli schiavi affrancati irregolarmente che ponevano le loro navi al servizio di Roma.
Con il tempo le strutture dei navichieri progredirono e, in epoca antonina (138 161 d.C.), sorsero le primecompagnie di navichieri, comprendenti sia coloro che erano impegnati direttamente nell’azienda e beneficiavano solo dei vantaggi concessi dallo Stato, sia membri onorari (finanziatori) che investivano il denaro partecipando ai profitti. I navichieri disponevano, pertanto, di un sistema creditizio efficace non ricorrendo al prestito marittimo, prerogativa ormai solo dei piccoli commercianti e dei piccoli proprietari di navi.
È necessario navigare, non vivere
Con la crisi dell’Impero questo efficace sistema di commercio marittimo si sgretola e si parcellizza in vari sistemi non sempre integrati tra loro. Il ruolo della marineria bizantina contribuirà a tenere in vita molta della tradizione mercantile e marinara dell’epoca romana, ma nuovi soggetti autonomi iniziano a reclamare un ruolo nella scacchiera mediterranea decretando non solo la crisi della marineria romana, ma anche la fine di un’epoca. Tra questi iVandali e gli Arabi avranno un ruolo fondamentale.
Ma come ci dice con efficace crudezza Plutarco (Vita di Pompeo, 50,2) «è necessario navigare, non vivere». Cambieranno le genti, le lingue e le religioni, ma nel Mediterraneo la cultura del mare seguirà un suo sviluppo del tutto originale, che metabolizzerà e unirà sempre in un unico grande laboratorio imperituro tradizioni, cognizioni e progressi diversi. È stata la morale e l’istintualità che sottende al passo di Plutarco ad avere, nella lunga storia mediterranea, spinto vaste schiere di genti a solcare i mari in cerca di fortuna o di nuove occasioni di sviluppo economico producendo, come fenomeno indotto di grande portata, anche vasti processi di assimilazione culturale.


Fonte: www.treccani.it

Nell'immagine: La navicella bronzea nuragica denominata Costa Nighedda


Nessun commento:

Posta un commento