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lunedì 2 dicembre 2013

Storia dei popoli. Il matrimonio nell’antica Grecia

Storia dei popoli. Il matrimonio nell’antica Grecia
di Samantha Lombardi

E che cosa poteva sapere, o Socrate, quando l’ho presa con me? Non aveva ancora quindici anni quando è venuta nella mia casa; fino ad allora era vissuta sotto stretta sorveglianza, doveva vedere il meno possibile, ascoltare il meno possibile e chiedere il meno possibile…(dall’Economico di Senofonte (VII, 5).
Ad Atene, le donne, avendo perso il ruolo importante che possedevano nella società micenea ed in parte conservato in età omerica, non disponevano più di alcun diritto e vivevano nella piena condizione di inferiorità giuridica. La condizione subordinata della donna ateniese si rilevava soprattutto nella vita che conducevano le fanciulle e nel modo in cui accedevano al matrimonio. La loro vita si svolgeva all’interno del gineceo; quasi nullo era il contatto con giovani della loro età e a volte dovevano vivere addirittura lontano dagli sguardi degli uomini di famiglia. La loro sola occasione per uscire dal gineceo era costituita da alcune feste religiose alle quali partecipavano; probabilmente alcune imparavano a cantare e danzare per partecipare ai cori religiosi, sempre e comunque rigidamente divise dai ragazzi dell’altro sesso.
Se ad Atene gli sposi potevano essere dei perfetti sconosciuti, a Sparta, giovani e ragazze si conoscevano già, almeno di vista, prima del matrimonio ed erano addirittura al corrente della loro anatomia, inoltre godevano di una libertà, pressoché totale, dove si incoraggiava l’educazione fisica al pari dei coetanei maschi; venivano educate a vivere senza particolari impedimenti o doveri e non dovevano occuparsi né della casa né della crescita dei figli, ma soprattutto, non esisteva alcuna legge che regolamentasse la vita pubblica e privata della donna.
Anche se le ragazze spartane erano agili e muscolose mancava loro, come mancava alle ragazze ateniesi, un’educazione intellettuale, che si limitava, per quest’ultime, alla conoscenza dei lavori domestici, della tessitura, della cucina, e raramente a qualche elemento di musica e lettura.
Il principale motivo che portava al matrimonio un ragazzo ateniese era unicamente di carattere religioso: ci si sposava solo per avere figli maschi, almeno uno, che assicurasse al genitore la continuità del culto che questi aveva dedicato ai suoi antenati e che era indispensabile per la felicità del defunto nell’aldilà. Invece a Sparta il matrimonio era un atto principalmente politico che sacrificava allo stato la famiglia e, stranamente, gli irriducibili celibi spartani erano puniti dalla legge, per cui, ogni cittadino che possedeva un pezzo di terra, per legge e per dovere, era costretto a sposarsi. Al contrario, ad Atene, non esisteva alcuna pressione legale ma quella dell’opinione pubblica, che era molto forte, e che vedeva il celibato maschile con disapprovazione; soltanto chi aveva un fratello sposato con prole aveva una piccola possibilità di essere esonerato dallo sposarsi.
Naturalmente, è molto difficile immaginare un matrimonio contratto fra sconosciuti, ci si chiede, come avrebbero potuto, due giovani, innamorarsi l’uno dell’altro se non si erano mai visti? E’ difficile pensare che tra di loro ci fosse una reale comunione di spirito e di sentimenti, un affetto coniugale, anche perché erano scarsi gli scambi intellettuali e il vero amore tra gli sposi. Le mogli erano considerate unicamente madri di famiglia, tutto ciò però non avvalorava l’ipotesi che l’amore non potesse successivamente nascere tra gli sposi.
La fanciulla che ereditava tutti i beni della famiglia, in mancanza di eredi maschi, era costretta a sposare il parente più prossimo, questo perché c’era nella famiglia d’origine la preoccupazione di dover continuare la stirpe affinchè perpetuasse il culto familiare, ma soprattutto per conservare il patrimonio di famiglia. Eccezionalmente, una giovane ateniese poteva sposarsi anche senza dote, anche se, la stessa dote, sembra servisse a differenziare un matrimonio legale da un concubinato.
Era il tutore della ragazza a scegliere per lei il marito senza che il consenso dell’interessata fosse necessario. Il matrimonio in sé restava comunque un atto privato tra due famiglie. La consegna della sposa da parte del padre o di chi aveva diritto di disporre di essa avveniva dopo un accordo sulla dote in base al quale si passava alla promessa formale a cui dovevano assistere dei testimoni. Il fidanzamento poteva essere deciso anche prima dell’età considerata legale per il matrimonio (15 anni per le ragazze, 18 per i ragazzi); esisteva però la possibilità, per la sposa, di sottrarsi ad una unione indesiderata ricorrendo all’εισαγγελια (nel diritto attico, si trattava di una procedura adottata nel caso di accuse di tradimento, cospirazione, attentato alla democrazia, corruzione in questioni di interesse pubblico, inadempienze nei confronti dello stato).

Sembra che la superstizione spingesse i greci a scegliere, per sposarsi, soprattutto l’inverno e il periodo della luna piena e per questo motivo, i matrimoni, dovevano essere particolarmente numerosi nel mese di αμηλιών (Gamelion), il settimo mese dell’anno ateniese (gennaio- febbraio) dedicato ad Era, dea del matrimonio, il cui nome significava appunto “mese dei matrimoni”.
Prima del matrimonio, la sposa, come segno di abbandono dell’età adolescenziale, doveva compiere alcune azioni rituali come: offrire i propri giocattoli ad Artemide e tagliare i capelli. Ma il rito principale e senza dubbio il più importante era quello del bagno di purificazione, per questo rituale la ragazza utilizzava l’acqua raccolta, unicamente per questo scopo, da alcune donne che, in processione, si recavano alla fonte di Calliroe.
Il giorno delle nozze, nella casa della sposa, veniva offerto un sontuoso banchetto, al quale, la stessa, vi partecipava velata, con i suoi abiti più belli, circondata dalle amiche. Era prassi comune che, in queste occasioni, gli uomini erano separati dalle donne. Alla fine del banchetto venivano consegnati i regali alla sposa, non è sicuro, però, che la ragazza togliesse il velo in questa occasione ma, forse, è più probabile che lo facesse solo al momento dell’arrivo nella casa dello sposo. Verso sera quando apparivano, nel cielo, le prime stelle, la sposa prendeva posto su un carro, tra il marito e un parente stretto e seguita dal corteo nuziale veniva accompagnata nella nuova casa. Nelle rappresentazioni vascolari, solitamente, è il dio Ermes a guidare il corteo notturno, accompagnato da portatori di fiaccole. Sulla soglia di casa, addobbata con ghirlande di foglie d’olivo e d’alloro, gli sposi, accolti dai genitori del marito, ricevevano dolci e frutti che stavano a simboleggiare la fecondità. Era consuetudine offrire un secondo banchetto. Finita la festa, la coppia, veniva accompagnata nella camera nuziale, la porta veniva chiusa e sorvegliata da un amico del marito. Il giorno successivo era dedicato alla consegna di doni da parte dei genitori dello sposo e probabilmente veniva consegnata anche la dote concordata. Da questo momento tutti i beni che la sposa ateniese portava in dote passavano direttamente nelle mani del marito e ad essa non spettava più nulla, nemmeno l’eredità, che veniva interamente inglobata nel patrimonio della sua nuova famiglia.
Nel V secolo, ad Atene come a Sparta, il primo requisito di un matrimonio valido era che gli sposi fossero entrambi in possesso della piena cittadinanza; i figli nati da matrimoni misti erano considerati, per legge, illegittimi ed esclusi dalla cittadinanza.
Spiegare le forme del matrimonio a Sparta è un’impresa tutt’altro che facile a causa della mancanza di una codificazione scritta e la struttura di una società in cui, la casa familiare, era decisamente messa in secondo piano, aumentano le difficoltà sugli studi delle caratteristiche private nel mondo greco. Nel mondo spartano viene, per di più, a mancare un presupposto solitamente inviolabile in altro luogo: l’esclusivismo del marito sull’attività sessuale della moglie, cioè, la possibilità che una donna, già coniugata, potesse generare figli da altri uomini, previo consenso del legittimo coniuge, era contemplata dalla costituzione di Licurgo. La sposa era padrona della sua persona e della sua dote.
Ad Atene le classi media e benestante disponevano di un gineceo dove le donne potevano prendere aria al riparo di sguardi indiscreti; per il costume rigoroso imposto dal gineceo stesso, le donne sposate, non avevano più libertà e sporadicamente varcavano la soglia esterna della loro casa e il matrimonio non metteva assolutamente fine alla loro vita sedentaria. Erano gli uomini che si recavano ad acquistare ciò che era necessario per i fabbisogni quotidiani, mentre, gli ateniesi meno abbienti permettevano alle loro donne di uscire solo per necessità. E’ noto, tuttavia, che alle donne sposate era dedicata una sola festa religiosa greca: le Tesmoforie, dedicata a Demetra Tesmofora (legislatrice), istitutrice dell’agricoltura, del matrimonio e di tutto il vivere civile e alla figlia Persefone, rapita da Ade e resa sua consorte. Ad Atene era celebrata nei giorni 11, 12 e 13 del mese di υανεψιών Pianepsione (circa 26-28 ottobre). Alla festa, che si svolgeva prima della semina, potevano partecipare solo le donne sposate, di condizione libera e cittadine ateniesi; per gli uomini il rituale doveva rimanere segreto.
Il rituale delle Tesmoforie era così suddiviso: durante il primo giorno (kathodos e anodos, cioè discesa e salita) le donne si recavano presso il santuario di Demetra Tesmofora, il Thesmophorion; il secondo giorno (nesteia, ovvero digiuno) le donne praticavano il digiuno per purificarsi e rimanevano all’interno del santuario stesso; il terzo e ultimo giorno (kalligenèia, cioè bella nascita) le donne praticavano offerte rituali di vino, olio, cereali, formaggi e non solo, a Demetra, dopodiché cucinavano la carne degli animali sacrificati, banchettavano, si flagellavano e si scambiavano frasi oscene. Il rito continuava fino a notte inoltrata, quando le carcasse degli animali venivano gettati in grotte a simboleggiare la discesa nell’Ade.
A parte questa festa religiosa, la donna, oltre a non dover assolutamente interessarsi a ciò che accadeva fuori delle mura domestiche, perché, ogni avvenimento o situazione, riguardava solo l’uomo, raramente aveva occasione di parlare col proprio marito che era quasi sempre fuori e che, a quanto pare, non consumava i pasti in casa con la propria moglie. Non gli era concesso nemmeno di accompagnare il marito quando era invitato da un amico, mentre era concesso alle donne di stare insieme agli uomini soltanto durante le feste familiari. Tuttavia era la moglie a regnare nella casa a patto che ciò soddisfacesse il suo signore e padrone, ma la fiducia di cui godeva le poteva essere tolta in qualsiasi momento.
Il divorzio era conosciuto nel mondo greco sin dal tempo dell’antichissima legge di Gortina e nella Grecia dei secoli VI-IV a.C. pare fosse alquanto facile per un uomo e una donna ottenere lo scioglimento del vincolo matrimoniale, anche perché non esisteva un atto legale specifico che lo stabilisse, come d’altra parte non sussisteva alcun diritto giuridico che sancisse il matrimonio stesso. Nel diritto antico erano previste tre ipotesi per lo scioglimento del matrimonio: il ripudio, l’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie e lo scioglimento da parte del padre della sposa. Il ripudio da parte del marito non necessitava di alcuna giustificazione, egli poteva ripudiare la moglie quando voleva, alla sola condizione di restituirle la dote che aveva portato con se al momento del matrimonio. L’adulterio della donna, se giuridicamente provato, rendeva obbligatorio il ripudio. Causa frequente di ripudio era la sterilità. Il terzo caso, abbastanza singolare, si verificava quando il padre della sposa, per motivi di carattere patrimoniale, intendeva sciogliere in qualsiasi momento il vincolo matrimoniale. Ciò si spiega alla luce del fatto che ad Atene una donna “passava” definitivamente alla casa del marito solo quando gli dava un figlio, prima di allora ella apparteneva ancora alla famiglia d’origine ed era quindi soggetta all’autorità paterna.
Scarse sono le notizie per quanto riguarda lo scioglimento del matrimonio a Sparta, è comunque probabile che questa fosse una pratica ancora più semplice e diffusa, visto che le donne doriche godevano di maggior libertà e potere decisionale e potevano sposarsi nuovamente con più facilità e curare i figli provenienti da matrimoni diversi.
La famiglia ateniese rimase solida e stabile per quasi tutto il V secolo, ma la guerra del Peloponneso, durata 30 anni, produsse grandi cambiamenti nei costumi. La terribile peste del 430-429, nel corso della quale morì Pericle, fu diretta conseguenza del conflitto che arrivò a manifestarsi negativamente anche sulla morale pubblica. Molte donne assunsero atteggiamenti più liberi a imitazione delle donne spartane. Tale sconvolgimento portò all’istituzione di una magistratura speciale demandata a sorvegliare il comportamento delle donne e soprattutto il lusso di queste, di cui già Solone un tempo si era occupato. Con l’evoluzione del costume, la donna ateniese del IV secolo, inizia a uscire dall’esistenza confinata e spenta che, prima di lei, avevano condotto sua madre e sua nonna.

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