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martedì 10 dicembre 2013

Archeologia delle architetture: i muretti a secco.

Archeologia delle architetture: i muretti a secco.

Chi esplora la campagna sarda, ammira un vasto e affascinante repertorio di rara entità, rappresentato dalle molteplici testimonianze della civiltà contadina realizzate con la pietra grezza del posto che conferiscono un’impronta distintiva al paesaggio. Mezzo secolo fa, Ferdinando Manno scriveva nel suo “Secoli fra gli ulivi”: “Da generazioni e generazioni, i contadini rastrellano questa immensa quantità di sassi ordinandoli uno a uno in quelle recinzioni campestri che chiudono poderi, giardini e campi in una rete di cortili per alberi. È un’esplosione di geometrie, con pietre utilizzate anche per fare capanne nuragiche per ricovero, nelle notti, a guardia contro ladruncoli e caprai, i nemici della terra, gli oppositori secolari dell’istinto di possesso dei contadini. Ora, in tempo di latte industriale, sono architetture che vanno diroccandosi, resti di vita e di costumi spenti per consumazione”.
A volte la pietra grezza si presenta con forme modellate senza alcun intervento dell’uomo, erosa dal vento e dalla pungente salsedine portata dai venti di scirocco e maestrale. Nella maggior parte dei casi è stata sovrapposta dai contadini per conquistare un fazzoletto di terra. Gli spazi delimitati dai muretti accolgono ortaggi, leguminose, filari di vite, alberi d’ulivo, di fico, di carrubo o di mandorlo, organismi vegetali che resistono alla scarsa umidità del terreno. In altri casi i muretti sono serviti per delimitare le proprietà terriere o i percorsi di campagna, separare appezzamenti della stessa masseria diversamente coltivati, stabilizzare le scarpate o sostenere i terrazzamenti.
Ci sono volute le mani nodose e laboriose dei contadini, simili ad attrezzi agricoli, perché quel palmo di terra diventasse produttivo. L’abitudine di questi uomini di riciclare materiale ritenuto da altri inutile ha portato, nei secoli, all’utilizzo completo di ogni cosa, seguendo lo stesso principio del maiale macellato, e degli altri animali da cortile e da allevamento, dal gallo alla gallina, le cui zampe servivano come richiamo per catturare i polpi; del toro, del quale si recuperavano perfino le corna, apponendole all’ingresso dell’abitazione o della stalla perché ritenute amuleto apotropaico, antidoto universale contro il malocchio; le pecore, delle quali si commerciava il vello, da vive, mentre di quelle macellate, la pelle era particolarmente richiesta dai fabbricanti di tamburelli.
Le pietre ricavate dal dissodamento di un terreno sono state sovrapposte una sull’altra con certosina pazienza e ordine meticoloso, per ottenere muretti a secco che sembrano rincorrersi creando un sorprendente intrico di linee e di nervature.
La calda luce mediterranea partecipa al gioco dell’aria, con alcuni muretti dotati di aperture a vista che, se osservati da particolari posizioni, paiono porte di accesso alla contigua vastità del cielo o, vicino alle coste, alla profondità del mare.
I muretti sembrano fragili, provvisori, ma sono ancora al loro posto senza dare segni di stanchezza o cedimento, continuando la loro umile e necessaria presenza a svolgere una funzione per nulla secondaria: l’aria non trova ostacolo di sorta, ma s’insinua leggera tra le maglie di questa sorta di immaginario merletto lapideo.

Indipendentemente dalle funzioni delle strutture murarie, vi è una stretta relazione con la natura geologica del materiale lapideo con una consistenza differente. È possibile vedere muri le cui pietre possono essere piatte e porose, trapezoidali e dure, farinose, ricche di gusci di conchiglie fossili. I muretti a secco sono stati costruiti anche al fine di ostacolare l'ingresso alle greggi che brucando mettono a soqquadro i campi. Un caratteristico tipo di muretto per recingere l'ovile presenta una sorta di passaggio per le bestie che consente di contarle al rientro dal pascolo. Altri sono realizzati dove spezzoni di roccia affiorante si presentano a terrazzamenti inclinati, permettendo agli ovini di sdraiarsi e rimanere asciutti perché le deiezioni, colando, si depositano fra le fessure del calcare. All’interno si collocano mangiatoie di pietra, abbeveratoi scavati nella roccia e tettoie di frasche, ossia ripari per animali e contadini. Qualche albero di fico o di carrubo allunga la sua ombra, quanto mai gradita soprattutto d'estate. All'interno dei recinti i ripari sono orientati per fruire una migliore esposizione solare, e per essere riparati dai venti dominanti. Sono sempre ben visibili e facilmente raggiungibili in caso di abigeato. È difficile stabilire con esattezza a quale età storica risalgono i muretti, forse i più antichi svolgevano una funzione di protezione dei villaggi, poiché costituiti da muraglie robuste composte da grossi massi sovrapposti a secco. In alcuni casi si è fatto ricorso a lunghe pareti per confinare un possedimento feudale o per circoscrivere un casale, e su queste antiche delimitazioni di frequente si sono attestati i confini di alcuni comuni. Gli antichi contadini inventarono un'economia lavorando con umiltà liberando il terreno dai sassi e utilizzandoli nel contempo.
I muretti a secco segnano la proprietà privata e smaltiscono la zavorra dei campi. I romani introdussero un procedimento tecnico che rivoluzionò il modo di costruire gli edifici rendendoli monumentali e robusti, una sorta di cemento armato, l’opus incertum, solido e impermeabile col quale si poteva costruire in altezza , velocemente e in grande, tutte caratteristiche che andavano incontro nella maniera migliore alle esigenze dei romani. Intorno al 250 a.C. la scoperta della pozzolana nel golfo greco sannitico di Napoli, materia molto simile alla malta cementizia, permise di sostituire nei muri l'antico riempimento d'argilla e di fare a meno di adeguare con precisione i singoli blocchi. Tuttavia, i romani copiarono e perfezionarono un'invenzione sarda: la muratura a sacco, consistente nel mettere in opera una doppia cortina di pietre scelte con cura e, successivamente, colmare l'interno con pietrisco. Vitruvio, nel “De Architectura” definisce ortostati le diverse cortine costruite dai romani, riferendosi al riempimento del sacco con una miscela di malta e piccole pietre. A causa della differente forma e pezzatura delle pietre, l'opera muraria non presenta una trama geometrica predefinita: il paramento a vista è disposto senza una continuità di allineamento né orizzontale, né verticale, né obliqua e grazie alla sua composizione assicura una grande consistenza e stabilità oltre che un isolamento acustico e termico.
L'antica attitudine di limitare una superficie terriera con muretti a secco è giunta fino a noi con le stesse procedure tecniche.



I contadini hanno realizzato i muretti a secco dopo aver bonificato il terreno, e per questa propensione sono stati definiti “braccianti del calcare”. Sono depositari di metodi rigorosamente rispettati durante la messa in opera, trasmessi oralmente dagli avi per intere generazioni. Soltanto chi ha dimestichezza con la pietra riesce a collocarla nella posizione migliore, non si tratta soltanto di sovrapporle ma di conoscere la varietà e la differente struttura geologica, di imprimere in mente le forme e le dimensioni di un concio, in modo da distribuire appropriatamente ogni elemento e raggiungere gli indispensabili principi di gravità e di attrito. Bisogna saper usare la pietra, integrarla e rapportarla agli elementi che già esistono, creare una corretta combinazione delle forze, generata dall'inserimento a incastro negli interstizi anche delle scaglie di consolidamento.
Questi accorgimenti, insieme all'uso dello strumentario, non potevano essere posseduti dal contadino, impegnato quotidianamente nei molteplici lavori agricoli. Egli incontrava le pietre durante l’aratura e le infilava in un angolo del terreno. Successivamente intervenivano artigiani specializzati, ossia abili maestranze, diverse da zona a zona, che lasciavano l'impronta del proprio stile che, pur digiuna di geometria e di fisica, procedeva sul filo di un ragionamento logico.
Per costruire il muro occorre raggiungere lo strato di terreno più compatto sul quale si traccia lo scavo di fondamenta, denominato scarpa, sul quale si pongono due file parallele di grosse pietre, facendo combaciare il profilo con il terreno. Dalla precisione di ciò dipende la solidità del muro. Poi si dispongono le uscite per il deflusso dell'acqua piovana, altrimenti assorbita dal muro. Le pietre sovrapposte devono essere di dimensioni inferiori man mano che il muro cresce verso l'alto. Si allineano seguendo una guida costituita da due cordicelle annodate a pali mobili, posti all'esterno del muro. Lo spazio che si crea tra i due filari, esterno e interno (cassa o sacco), viene colmato con pietrame informe. I vuoti sulle pareti sono otturati con schegge di pietra ottenute dal martellamento degli scarti. I muri presentano una graduale rastremazione sul profilo, così da presentare una base leggermente più spessa del colmo. Tale accorgimento consente di avere un'ottima resa statica e un bilanciamento dei pesi.

Nelle immagini: Le muraglie di Monte Baranta (Olmedo) realizzate quasi 4500 anni fa.

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