domenica 21 ottobre 2012
Nuraghi, una spinta evolutiva
Nuraghi, una spinta evolutiva
di Pierluigi Montalbano
C’è qualcosa che nel corso della storia spinge gli uomini a realizzare grandi opere, costruzioni che creino stupore e meraviglia in chi le osserva, ma anche prestigio per chi le possiede. Palazzi, castelli, basiliche, torri, templi, anfiteatri, cattedrali, mausolei, regge. Nel corso dei millenni, ogni civiltà ha lasciato dietro di sé una serie di capolavori straordinari, alcuni hanno resistito all’azione del tempo, altri sono scomparsi, altri sono stati volutamente distrutti o incendiati. Dietro questi monumenti ci sono delle storie di personaggi, di potere, di conquista, di glorificazione ma a volte anche di tragedie, di amore e di follia. Fra le meraviglie maestose dell’antichità, a parte le piramidi in Egitto, ne sono sopravvissute delle altre, e in migliaia di anni nessuno è riuscito a demolirle o distruggerle completamente, e sono ancora là, a raccontare nella pietra la loro storia, quella degli antichi sovrani che dominarono il territorio. Per costruire strutture di questo tipo, non è sufficiente mettere un masso sopra l’altro. Se la geometria non è precisa, man mano che si sale, la distorsione diventa sempre più visibile e si perde quella perfezione che una tale opera deve avere. I nuragici avevano cognizioni di matematica e geometria solide, ma gli esperti ritengono che si trattasse di una geometria ad uso pratico, come quella dei romani. Il loro obiettivo era quello di applicare le regole della geometria alle tecniche di costruzione, erano meno interessati alle cognizioni astratte che oggi si studiano all’Università. Ci si chiede il modo di operare di questi architetti per ottenere le costruzioni che oggi ancora ammiriamo. Gli archeologi pensano che quei maestri artigiani utilizzassero strumenti semplici come un paletto di legno e una cordicella. Il sistema ingegnoso che idearono per calcolare angoli e dimensioni, era messo in pratica semplicemente fissando un palo nella terra e descrivendo delle circonferenze. Incrociando i cerchi si ottenevano le figure geometriche necessarie. Una riflessione molto interessante riguarda la spinta propulsiva che la costruzione di queste strutture ha fornito alla nascita della civiltà nuragica. Per realizzare le colossali imprese occorreva collegare e coordinare insieme tutta una serie di capacità contemporaneamente: la progettazione architettonica, l’organizzazione del lavoro, il supporto logistico, l’assistenza medica, il flusso dei materiali, l’amministrazione e tutto ciò che è collegato a questi settori. Tutto doveva funzionare in modo fluido perché i materiali e gli uomini dovevano arrivare al momento giusto nel posto giusto. La costruzione dei nuraghe si era trasformata in un modello imprenditoriale di immense proporzioni e complessità che richiedeva grandi capacità di gestione. È quella che gli esperti chiamano “intelligenza di governo”. Con questa impresa i sardi non costruirono soltanto i nuraghe ma, come si dice oggi, svilupparono anche un software che applicato alla gestione della cosa pubblica permise alla civiltà nuragica di diventare una grande confederazione. Tutto ciò non nacque all’improvviso, ma fu frutto di precedenti esperienze locali ed esterne. La costruzione richiedeva il trasporto e la posa di grandi massi, ed era necessario utilizzare delle tecniche per portare a grande altezza i materiali pesanti.
La teoria più accreditata è quella della rampa, con i blocchi che arrivavano in quota trascinati su dei piani inclinati appositamente costruiti. I massi erano posti su delle slitte, e per diminuire l’attrito si utilizzavano dei tronchi di legno, come oggi si fa quando si trascina a riva una barca mettendovi sotto dei legni. Non sappiamo come era fatta questa rampa, e teoricamente poteva essere costituita da un solo piano inclinato, ma all’aumentare dell’altezza dell’edificio si doveva realizzare una rampa lunghissima per mantenere costante l’inclinazione. Forse la rampa girava a spirale intorno alla struttura, e cresceva man mano che il nuraghe si alzava. Il problema è che con questo metodo non si poteva più vedere il nuraghe nel suo insieme, perché la rampa a spirale lo nascondeva. Quindi occorrevano dei calcoli molto precisi per realizzare una costruzione equilibrata. Qualunque fosse la forma della rampa, quando arrivavano in cima, gli operai dovevano mettere in opera i blocchi. Gli spazi superiori dovevano essere molto ridotti, pertanto si dovevano utilizzare delle leve in legno per posizionare con precisione i grandi massi e si creavano situazioni di pericolo per la vita stessa degli operai. Se si ipotizza una società in cui il re doveva proteggere il popolo, si potrebbe spiegare l’utilizzo di ingenti masse di uomini per la realizzazione delle opere. Allo stesso modo si potrebbe supporre che una funzione religiosa induceva la comunità a realizzare le grandi opere sotto le disposizioni dei sacerdoti, gli intermediari delle divinità. Ad ogni modo, la civiltà nuragica è scomparsa, ma le grandi costruzioni sono ancora in piedi, dopo quasi 4000 anni, a raccontarci questa storia straordinaria.
Le foto del Nuraghe Losa sono di Sara Montalbano
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