mercoledì 10 ottobre 2012
I tofet, archeologia e antropologia a confronto.
Rappresentazioni e pratiche del sacro: il tofet (2° e ultima parte)
di Piero Bartoloni
(Ringrazio la studiosa Cinzia Bruscagli per la collaborazione nella stesura di questo articolo).
Di alcuni dei tofet, come quelli di Sousse, di Cagliari e di Nora, sono giunti a noi solo i reperti, di altri sono state curate indagini a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. Infine, di alcuni rimangono lembi superstiti, dunque pienamente indagabili: si tratta dei tofet di Cartagine, di Mozia, di Bithia e di Sant’Antioco. Rimane comunque, seppure esile, la speranza di nuove scoperte, anche se alcune legate solo a indagini di archivio, come per quanto riguarda il presunto tofet di Rabat, a Malta, sulla base di quanto recentemente comunicato da Anthony Bonanno, Professore dell’ University of Malta. E’ da segnalare che, purtroppo, non in tutti i casi le indagini nelle aree sacre in oggetto sono state compiute in modo impeccabile e con il supporto indispensabile delle analisi archeometriche, ma fortunatamente nei tofet superstiti sussistono ampi lembi nei quali potranno essere effettuate le indagini con maggiore successo.
Nella mia qualità di archeologo militante sul terreno nel corso degli anni ho avuto modo di osservare e di partecipare alle indagini di buona parte di queste aree sacre. Mi riferisco soprattutto ai tofet di Mozia, in Sicilia, ove ho collaborato con Antonia Ciasca dal 1965 al 1979, e di Cartagine, in Tunisia, ove tra l’altro ho studiato e pubblicato le stele arcaiche. Inoltre, per quanto riguarda la Sardegna, ho lavorato nell’area sacra di Monte Sirai, collaborando con il collega Sandro Filippo Bondì, e, assieme a Ferruccio Barreca, all’epoca Soprintendente Archeologo della Sardegna meridionale, ho partecipato ai lavori nel tofet di Sulky, attuale Sant’Antioco. Inoltre, ho avuto la fortuna di poter osservare e documentare l’area del tofet di Tharros nel 1965, quando cioè erano appena iniziati i lavori diretti da Gennaro Pesce, il predecessore di Barreca e lo scavatore di Nora. Infine, ho potuto partecipare alla scoperta e lavorare nel santuario di Bithia, situato nell’isolotto di Su Cardolinu. A proposito del santuario di Bithia, desta qualche perplessità la descrizione fatta da Paolo Xella. Infatti l’Autore, per quanto riguarda sia la città che, in particolare, il santuario tofet e la necropoli, invita il lettore ad approfondire le relative notizie con una nota che rimanda alla piccola monografia dichiaratamente divulgativa a cura di Sabatino Moscati, edita per i tipi del Poligrafico dello Stato. Tuttavia, in questo lavoro di Sabatino Moscati, all’insediamento di Bithia vengono dedicate poche righe, che riguardano esclusivamente il tofet. In quest’ultimo contributo invece non vi è traccia delle notizie riguardanti la necropoli, attribuite al lavoro di Moscati e riportate dall’Autore in modo inesatto. In realtà tali informazioni compaiono piuttosto in un lavoro di poco successivo a quello di Sabatino Moscati. Un ulteriore apparente dilemma è costituito dalla ricostruzione del rito del tofet e della sequenza delle azioni. Paolo Xella ha sostenuto che l’azione della deposizione dell’urna contenente le ceneri dell’infante e quella della deposizione della stele fossero contemporanee. In contrasto con questa ipotesi sono i risultati delle indagini archeologiche effettuate nelle diverse aree sacre e la stessa documentazione contraddice palesemente questa ricostruzione. Infatti, tutti hanno affermato che il numero delle urne è decisamente molto superiore a quello delle stele e che al di sotto delle stele non vi è mai una sola urna, bensì due o più.
E’ stata recentemente avanzata in forma dubitativa l’ipotesi che il tofet possa essere considerata una sia pur particolare necropoli infantile, ma se il tofet è certamente un luogo di sepoltura dei resti dei bambini, l’area è indissolubilmente legata al sacro e ai legami con il divino. Tali e tanti sono gli aspetti a questo riguardo, che i santuari tofet non possono essere considerati delle “semplici” necropoli. Ciò anche perché nelle necropoli, apparentemente destinate agli adulti, sono reperibili, ancorché in numero decisamente minoritario, anche le sepolture degli infanti. I dati più recenti ci sono pervenuti dalla necropoli fenicia e punica di Monte Sirai, presso Carbonia, che è quella che attualmente ha fornito i dati più completi. Infatti su 330 sepolture sono state individuate 44 deposizioni di bambini. L’unico feto individuato è stato rinvenuto ancora in situ nel ventre materno in una tomba dei primi anni del V secolo a.C.. Quindi, riassumendo, nella necropoli di Monte
Sirai, tra la fine del VII e la fine del V secolo a.C., su 330 tombe, le tombe con resti di bambini in fossa terragna o in sepoltura a enchytrismòs sono oltre 40, pari al 13%. Come è ovvio si tratta di dati assolutamente parziali, poiché riguardano solo una piccola parte dell’impianto funerario, ma la percentuale si avvicina a quelle delle altre necropoli. Per quanto riguarda il tofet della stessa località, esplorato nel 1963 da Ferruccio Barreca e da Giovanni Garbini e tra il 1979 e il 1983 da Sandro Filippo Bondì e da chi vi parla, sono stati accuratamente raccolti resti umani e animali contenuti nelle urne, ma, se si prescinde da un esame autoptico effettuato al momento della scoperta, non sono state ancora eseguite analisi di antropologia fisica. Pertanto, un’ ulteriore problema è costituito dalla contemporanea presenza, nello stesso arco temporale, di infanti deceduti in tenera età e ospitati sia nelle necropoli “tradizionali”, sia nei campi di urne denominati tofet. I motivi sono per il momento sconosciuti, ma la soluzione del quesito non si prospetta semplice.
Il fenomeno del tofet è stato indagato anche recentemente non solo per quanto riguarda l’antropologia fisica, ma anche per quanto concerne quella culturale da Ignazio Buttitta, professore dell’ Università di Palermo, che, dopo un excursus ricco di argomentazioni, esclude il sacrificio cruento e conclude che: “La pratica fenicia […] esaminata, osservata come elemento di un più vasto sistema culturale, si presenta […] sotto diversa luce che, se non ci consegna a pieno le certezze in cui si riconoscevano i loro esecutori, si approssima più persuasivamente al loro orizzonte religioso e alle sue connesse pratiche rituali”.
Né, infine, sono da sottacere le implicazioni politiche riguardanti il supposto sacrificio dei bambini, implicazioni che intersecano con quelle storiche e ne condizionano il giudizio. Ad esempio, il desiderio di affermare la storicità degli avvenimenti narrati dalla Bibbia, oppure, viceversa, la condanna aprioristica del mondo semitico, che costituì la base della propaganda nazista.
Naturalmente, sono consapevole che, fino a ora, quanto offerto dalle indagini archeologiche e dalle indagini archeometriche dei resti rinvenuti non è di per sé né determinante né risolutivo per il problema, ma nessuno potrà negare che non lo sono neppure i dati forniti dalle fonti epigrafiche né da quelle letterarie, bibliche o classiche che siano, sulle quali grava anche il problema dell’interpretazione dei termini utilizzati. Il problema per il momento rimane apparentemente insoluto e io sono pronto e non avrò difficoltà ad accettare, se me lo si dimostrerà in modo convincente, che i Fenici e i Cartaginesi immolassero alcuni dei loro bambini. Resta il fatto che bisognerà anche spiegare perché tra i resti dei fanciulli, che taluno sostiene siano stati immolati, vi siano anche dei feti.
Voglio concludere con le parole che Andreas M. Steiner, Direttore della Rivista Archeo, ha recentemente dedicato al problema: […] Vent’anni fa, il grande studioso dell’universo fenicio Sabatino Moscati […] aveva dedicato al problema del sacrificio dei fanciulli cartaginesi una ricerca che oggi torna attualissima […]. Perché lo fece? Per amor di verità? Naturale. Quale verità? Quella scientifica, naturale. Ma lo fece anche, crediamo, perché non amava la “menzogna al potere” […]. E’ quasi inutile che aggiunga che io mi associo pienamente e che faccio mie queste parole.
Atti dell’Incontro Internazionale di studi
ROMA, MUSEO NAZIONALE PREISTORICO ETNOGRAFICO “LUIGI PIGORINI”
20-21 MAGGIO 2011
Immagine del tophet: forumgsgonnesa
di Piero Bartoloni
(Ringrazio la studiosa Cinzia Bruscagli per la collaborazione nella stesura di questo articolo).
Di alcuni dei tofet, come quelli di Sousse, di Cagliari e di Nora, sono giunti a noi solo i reperti, di altri sono state curate indagini a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. Infine, di alcuni rimangono lembi superstiti, dunque pienamente indagabili: si tratta dei tofet di Cartagine, di Mozia, di Bithia e di Sant’Antioco. Rimane comunque, seppure esile, la speranza di nuove scoperte, anche se alcune legate solo a indagini di archivio, come per quanto riguarda il presunto tofet di Rabat, a Malta, sulla base di quanto recentemente comunicato da Anthony Bonanno, Professore dell’ University of Malta. E’ da segnalare che, purtroppo, non in tutti i casi le indagini nelle aree sacre in oggetto sono state compiute in modo impeccabile e con il supporto indispensabile delle analisi archeometriche, ma fortunatamente nei tofet superstiti sussistono ampi lembi nei quali potranno essere effettuate le indagini con maggiore successo.
Nella mia qualità di archeologo militante sul terreno nel corso degli anni ho avuto modo di osservare e di partecipare alle indagini di buona parte di queste aree sacre. Mi riferisco soprattutto ai tofet di Mozia, in Sicilia, ove ho collaborato con Antonia Ciasca dal 1965 al 1979, e di Cartagine, in Tunisia, ove tra l’altro ho studiato e pubblicato le stele arcaiche. Inoltre, per quanto riguarda la Sardegna, ho lavorato nell’area sacra di Monte Sirai, collaborando con il collega Sandro Filippo Bondì, e, assieme a Ferruccio Barreca, all’epoca Soprintendente Archeologo della Sardegna meridionale, ho partecipato ai lavori nel tofet di Sulky, attuale Sant’Antioco. Inoltre, ho avuto la fortuna di poter osservare e documentare l’area del tofet di Tharros nel 1965, quando cioè erano appena iniziati i lavori diretti da Gennaro Pesce, il predecessore di Barreca e lo scavatore di Nora. Infine, ho potuto partecipare alla scoperta e lavorare nel santuario di Bithia, situato nell’isolotto di Su Cardolinu. A proposito del santuario di Bithia, desta qualche perplessità la descrizione fatta da Paolo Xella. Infatti l’Autore, per quanto riguarda sia la città che, in particolare, il santuario tofet e la necropoli, invita il lettore ad approfondire le relative notizie con una nota che rimanda alla piccola monografia dichiaratamente divulgativa a cura di Sabatino Moscati, edita per i tipi del Poligrafico dello Stato. Tuttavia, in questo lavoro di Sabatino Moscati, all’insediamento di Bithia vengono dedicate poche righe, che riguardano esclusivamente il tofet. In quest’ultimo contributo invece non vi è traccia delle notizie riguardanti la necropoli, attribuite al lavoro di Moscati e riportate dall’Autore in modo inesatto. In realtà tali informazioni compaiono piuttosto in un lavoro di poco successivo a quello di Sabatino Moscati. Un ulteriore apparente dilemma è costituito dalla ricostruzione del rito del tofet e della sequenza delle azioni. Paolo Xella ha sostenuto che l’azione della deposizione dell’urna contenente le ceneri dell’infante e quella della deposizione della stele fossero contemporanee. In contrasto con questa ipotesi sono i risultati delle indagini archeologiche effettuate nelle diverse aree sacre e la stessa documentazione contraddice palesemente questa ricostruzione. Infatti, tutti hanno affermato che il numero delle urne è decisamente molto superiore a quello delle stele e che al di sotto delle stele non vi è mai una sola urna, bensì due o più.
E’ stata recentemente avanzata in forma dubitativa l’ipotesi che il tofet possa essere considerata una sia pur particolare necropoli infantile, ma se il tofet è certamente un luogo di sepoltura dei resti dei bambini, l’area è indissolubilmente legata al sacro e ai legami con il divino. Tali e tanti sono gli aspetti a questo riguardo, che i santuari tofet non possono essere considerati delle “semplici” necropoli. Ciò anche perché nelle necropoli, apparentemente destinate agli adulti, sono reperibili, ancorché in numero decisamente minoritario, anche le sepolture degli infanti. I dati più recenti ci sono pervenuti dalla necropoli fenicia e punica di Monte Sirai, presso Carbonia, che è quella che attualmente ha fornito i dati più completi. Infatti su 330 sepolture sono state individuate 44 deposizioni di bambini. L’unico feto individuato è stato rinvenuto ancora in situ nel ventre materno in una tomba dei primi anni del V secolo a.C.. Quindi, riassumendo, nella necropoli di Monte
Sirai, tra la fine del VII e la fine del V secolo a.C., su 330 tombe, le tombe con resti di bambini in fossa terragna o in sepoltura a enchytrismòs sono oltre 40, pari al 13%. Come è ovvio si tratta di dati assolutamente parziali, poiché riguardano solo una piccola parte dell’impianto funerario, ma la percentuale si avvicina a quelle delle altre necropoli. Per quanto riguarda il tofet della stessa località, esplorato nel 1963 da Ferruccio Barreca e da Giovanni Garbini e tra il 1979 e il 1983 da Sandro Filippo Bondì e da chi vi parla, sono stati accuratamente raccolti resti umani e animali contenuti nelle urne, ma, se si prescinde da un esame autoptico effettuato al momento della scoperta, non sono state ancora eseguite analisi di antropologia fisica. Pertanto, un’ ulteriore problema è costituito dalla contemporanea presenza, nello stesso arco temporale, di infanti deceduti in tenera età e ospitati sia nelle necropoli “tradizionali”, sia nei campi di urne denominati tofet. I motivi sono per il momento sconosciuti, ma la soluzione del quesito non si prospetta semplice.
Il fenomeno del tofet è stato indagato anche recentemente non solo per quanto riguarda l’antropologia fisica, ma anche per quanto concerne quella culturale da Ignazio Buttitta, professore dell’ Università di Palermo, che, dopo un excursus ricco di argomentazioni, esclude il sacrificio cruento e conclude che: “La pratica fenicia […] esaminata, osservata come elemento di un più vasto sistema culturale, si presenta […] sotto diversa luce che, se non ci consegna a pieno le certezze in cui si riconoscevano i loro esecutori, si approssima più persuasivamente al loro orizzonte religioso e alle sue connesse pratiche rituali”.
Né, infine, sono da sottacere le implicazioni politiche riguardanti il supposto sacrificio dei bambini, implicazioni che intersecano con quelle storiche e ne condizionano il giudizio. Ad esempio, il desiderio di affermare la storicità degli avvenimenti narrati dalla Bibbia, oppure, viceversa, la condanna aprioristica del mondo semitico, che costituì la base della propaganda nazista.
Naturalmente, sono consapevole che, fino a ora, quanto offerto dalle indagini archeologiche e dalle indagini archeometriche dei resti rinvenuti non è di per sé né determinante né risolutivo per il problema, ma nessuno potrà negare che non lo sono neppure i dati forniti dalle fonti epigrafiche né da quelle letterarie, bibliche o classiche che siano, sulle quali grava anche il problema dell’interpretazione dei termini utilizzati. Il problema per il momento rimane apparentemente insoluto e io sono pronto e non avrò difficoltà ad accettare, se me lo si dimostrerà in modo convincente, che i Fenici e i Cartaginesi immolassero alcuni dei loro bambini. Resta il fatto che bisognerà anche spiegare perché tra i resti dei fanciulli, che taluno sostiene siano stati immolati, vi siano anche dei feti.
Voglio concludere con le parole che Andreas M. Steiner, Direttore della Rivista Archeo, ha recentemente dedicato al problema: […] Vent’anni fa, il grande studioso dell’universo fenicio Sabatino Moscati […] aveva dedicato al problema del sacrificio dei fanciulli cartaginesi una ricerca che oggi torna attualissima […]. Perché lo fece? Per amor di verità? Naturale. Quale verità? Quella scientifica, naturale. Ma lo fece anche, crediamo, perché non amava la “menzogna al potere” […]. E’ quasi inutile che aggiunga che io mi associo pienamente e che faccio mie queste parole.
Atti dell’Incontro Internazionale di studi
ROMA, MUSEO NAZIONALE PREISTORICO ETNOGRAFICO “LUIGI PIGORINI”
20-21 MAGGIO 2011
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Dottor Montalbano
RispondiEliminaI Cartaginesi non immolavano fanciulli ?
Troviamo i Navarchi cartaginesi, in diverse situazioni marinare, immolare fanciulli sulla nave.
Troviamo Amilcare, ad Imera, immolare fanciulli.
Per i sacrifici si prendevano quelli perfettamente sani; esenti da qualsiasi difetto. Non si parla sicuramente di animali nei loro sacrifici.
Non credo che i corpicini finissero, poi, nei Tophet; erano tanto distanti.
Buongiorno signor anonimo. Le risposte che offre sono frutto di scritti di antichi autori. La invito a riflettere sulla cittadinanza di quegli autori. Erano romani e greci? Non crede che esistesse una letteratura propagandistica? I vincitori tendono sempre a riportare notizie che screditano gli sconfitti.
RispondiEliminaCi risiamo. Una volta su due che si parla di Fenici si finisce per parlare del poco commendevole rito dell'immolazione di fanciulli. E c'è sempre qualcuno che dice di sì, altri di no, altri che nicchiano.Basterebbe un piccolo ragionamento: se i Greci e i Latini avessero mentito, perché troveremmo proprio ossa di bambini nei tofet? Insomma è evidente che ci dicano la verità. Ma si sa per vendere un prodotto bisogna edulcorare. Forse che i Fenici distrussero le coltivazioni che Aristeo, l'illirico, aveva portato seco? Ma no: è tutta una leggenda, scusate che prove ne abbiamo che ci sia mai stato un illirico, tranne quel che dice quell'inqualificabile fesso di Areddu? E che dire degli schiavi razziati africani tra Numidi e Getuli, e portati a coltivare le piantagioni di grano? Fole, signori tutte fole, si è mai visto un campidanese con viso africano? La cosa bella è che tra i difensori della causa persa, troviamo qui un rubizzo borghesotto romano di Centocelle, che invece che mostrarcisi orgoglioso di quanto hanno fatto col sale a Cartagine i suoi antenati, ci viene a decantare nei suoi saggi, scritti per noi, gli Inculati della Storia, della squisita e delicata bontà di questo popolo levantino. Ci dica, tra le tante spezie e unguenti che importarono, c'era anche l'olio di vaselina?
RispondiEliminaC'è chi dice di si, altri di no, altri che nicchiano.
EliminaE poi c'é Areddu, che non è di Centocelle, ma che ha capito tutto! Ma figuriamoci se centinaia di anni di dibattiti sul tofet non venivano risolti con squisita logica illirica. Già perché si troverebbero ossa di bambini nei tofet se non è vero che immolavano i bambini?
Caspita, ma era tutto così facile? Possibile non arrivarci da soli senza illirica intuizione?
Rovesciamo il ragionamento: si trovano ossa più di bambini (e animali) nei tofet, perché ci stanno? Era davvero così superiore l'incidenza delle morti infantili, rispetto alle altre classi di età? Ricordiamoci poi che se ci basassimo solo su meri dati scientifici, ad Auschwitz risulterebbero bruciati pochi ebrei, perché l'accumulo cancella traccia dei precedenti olocausti, e il ritrovare animali con bimbi o solo animali, induce a credere che anche tra i Fenici tale costumanza venisse a un certo punto addolcita. Diodoro Siculo ricorda il sacrificio richiesto di 200 bambini delle più illustri famiglie di Cartagine. Ma prima costoro avevano sostituito i loro con altri comprati o adottati da famiglie di poveracci. Quando se ne resero conto i sufeti ordinarono che si rifacesse il rito con the original nobles.(quindi 400 bambini sterminati).
RispondiEliminaForse i venditori del culturame levantino farebbero meglio a dirci che in certe epoche storiche sterminare qualcuno "a buon fine" può essere utile e rigenerante, e sarebbero senz'altro credibili. Così pensano anche i mafiosi.
La triste storia di Auschwitz è conosciuta perché i gestori (i criminali) persero la guerra. Poco sappiamo dei campi di concentramento di chi vinse, ma ci furono, Ripensate alle vicende del Vietnam. Il mio pensiero va alla alta percentuale di decessi dovuti al parto. I bambini erano un bene prezioso, perché sacrificarli?
RispondiEliminaPerché i riti primordiali di "purificazione" imponevano questo, e il sacrificio di Ifigenia ci ricorda che anche altrove tali riti sussistettero, lasciando solo scorie in epoca storica. Si sacrificavano i figli dei nobili, perché ritenuti di sangue puro, una sorta di suicidio parentelare, che veniva comunque lenito dal fatto che le mogli continuavano a figliare. Ci sono feti nei tofet? E' evidente che qualcuno, anche allora, fregava il suo stesso Dio, o al contrario chissà qualcuno sconciava la moglie prima del tempo, perché potesse dire di aver partecipato a tempo in modo "costruttivo" al rito rigenerante.
RispondiEliminaSi ma Alberto Areddu conosce l'archeologia dei tofet? Parla parla e parla ma su quali basi? Farebbe il confronto con i lager nazisti se sapesse che le ceneri dei bambini venivano deposte dentro urne? Conosce i dati percentuali del rapporto (diacronico) bambini/animali?
RispondiEliminaAlberto Areddu sarebbe capace di sacrificare un feto? un bambino nato morto? ci spieghi come farebbe a immolare un bambino che è già morto...
Areddu sa dove sono documentati i tofet in Sardegna e altrove? Conosce la cronologia dell'uso di questi santuari? Conosce bibliografia scientifica sull'argomento? E' in grado di studiare DI PRIMA MANO le manifestazioni di cultura materiale (e immateriale) presenti nei tofet?
Domande retoriche, ovviamente, giacché Areddu non conosce nulla di tutto ciò, ma crede di poter risolvere la questione tanto dibattuta, oltretutto mostrando ironia verso quelle persone che hanno direttamente lavorato in questo campo. Non di fronte a un computer.
Egregio anonimo archeologo, a qualcuna di queste domande né io né Lei possiamo rispondere. Il mio intervento è quello di un comune lettore, un po' "stuccato" che la rivalutazione dei fenici debba passare anche per la negazione della sussistenza di riti cruenti, ad uso di un lettore moderno. Lei, lo sento, si basa su dati di fatto contrari. Possiamo immaginarci però che le vie del sacrificio fossero diversificate(e l'esempio dell'escamotage, ripreso da Diodoro, penso che ce lo potrebbe suggerire)sopratutto in una fase di passaggio storico. E se non vogliamo rispondere giustificando il tutto in senso manicheo (olosausto sì-olocausto no), queste altre soluzioni (che anche i feti venissero sacrificati) debbano poter essere contemplate. Beninteso non ho voluto con ciò dire che i feti fossero sempre e unicamente dei surrogati di bambini vivi (= a un dato momento i feti naturali, possono essere stati i soli abitatori dei tophet, come le ciocche tra i greci, al posto della vergine). Chi, come Lei, difende la tesi antinfanticida, deve semplicemente mettere questa a processo con quanto le fonti (avverse e neutre) unanimemente ci dicono. Lei crede davvero a un abbaglio colossale di storici greci e romani? Oppure crede che i Fenici (ipotesi contemplabile) lasciavano credere in giro che nei tophet si ammazzassero bimbi, perché si diffondesse nomea della loro crudeltà, ben astenendosi in realtà da tale rito? Ecco mi spieghi: perché ci dicono che i bambini li ammazzavano? Riesce a trovare una soluzione diversa al livore antisemitico?
RispondiEliminaLe risposte si trovano nella seria bibliografia scientifica sull'argomento. Il testo di Bartoloni ne è un egregio esempio. I dati sono lì. Le risposte degli studiosi pure. Gli argomento pro e contro ugualmente.
RispondiEliminaIl fatto è che si tratta di pubblicazioni spesso di difficile accesso. Ma ciò non toglie che ci siano e che siano reperibili, con fatica ma reperibili. E questo è, per l'appunto, il mestiere difficile di chi fa ricerca seria e scientifica.
Molto semplice.
Risposta evasiva, mi consenta; questa era una discussione a braccio. Il fatto che se ne discuta ancora dell'infanticidio, indica che l'aporia (i dati archeologici no; le fonti storiche sì) non è stata affatto dipanata. Peraltro c'è chi occupandosi di altre cose, finisce per riferirsi alla bibliografia più accessibile senza che questo debba passare per una diminutio. Aggiungo però che si abbia noi tutto il diritto, al postutto, come sardi DOC, di esigere per il nostro processo di identificazione storica, che lo spettacolo ricostruttivo che si propone non sia contaminato da pregiudiziali né in un senso né in quello avverso. Tradotto: rimane che i Fenici furono il primo esempio di colonizzazione e genocidio operato sulla nostra pelle. E ciò basta.
RispondiEliminaIl problema è che all'Università si impara a fare l'esegesi delle fonti storiche. Mentre è molto più facile pescare qua e là senza criterio e prendere tutte le fonti antiche come buone. Sarebbe come voler fare la vera Storia del nostro mondo moderno solo attraverso le pagine di un quotidiano di parte. I bravi storici del futuro saprebbero contestualizzare, quelli pessimi prenderebbero tutto per verità e sbaglierebbero. Con le fonti antiche è lo stesso. Anche questo si trova nella bibliografia scientifica, spesso noiosa e poco affascinante.
RispondiElimina