Archeologia. Trasporti marittimi nel Mediterraneo antico
di Attilio Mastino
Atti del Convegno su “La continuità territoriale
della Sardegna: passeggeri e merci, low cost e turismo", svoltosi a Sassari
il 28 novembre 2014
Cari
amici,
ho
accettato la sfida propostami da Michele Comenale di ribaltare e trasferire il
tema del vostro incontro nel mondo antico, trattando il tema dei trasporti e
dell’insularità della Sardegna, con i suoi svantaggi e la sua specifica
identità, quella di una terra trans marina collocata al di là di un grande
mare.
Erroneamente
Franco Cassano ne Il pensiero
meridiano considera
<<l'espressione latina mare
nostrum, odiosa per il suo senso proprietario>> e sostiene che essa
<<oggi può essere pronunziata solo se si accetta uno slittamento del suo
significato. Il soggetto proprietario di quell'aggettivo non è, non deve
essere, un popolo imperiale che si espande risucchiando l'altro al suo
interno,
ma il <<noi>> mediterraneo. Quell'espressione non sarà ingannevole
solo se sarà detta con convinzione e contemporaneamente in più lingue>>. In
realtà l'espressione
Mare
nostrum non è
originariamente romana, ma fu coniata in ambiente greco già con Platone,
comunque molti secoli prima delle conquiste orientali di Roma,
par’emin thalasse. Per Paolo
Fedeli, questo è un chiaro esempio ancora una volta della mediazione effettuata
dai Latini di fronte all’eredità culturale dei Greci. Del resto sappiamo che la
geografia greca cresce a dismisura nel tempo e nello spazio, con le colonne
d'Ercole innanzi tutto, che si spostano dalla Grande Sirte progressivamente in
direzione dell'Oceano verso occidente e in direzione del Mar Nero verso
oriente. Il punto di raccordo fra la tradizione greca e quella romana è
unanimemente individuato in un passo del III libro delle Storie di Polibio, che
fa giungere il Nostro Mare fino al Tanais, cioè fino al fiume Don che sbocca
nel Mard’Azov, presso la penisola di Taman. Sull’altro versante, il nostro mare
comprendeva ormai anche il mare Sardo verso occidente. Nell’antichità ad
indicare gli estremi sono miticamente Eracle, che pone le sue colonne
sull’Atlantico e Dioniso in direzione del mondo scitico fino all’India.
La
Sardegna, l’isola dalle vene d’argento, fu l’unica vera isola collocata nel
Mediterraneo occidentale, nel Mare
Sardum in direzione delle
colonne d’Ercole, utilizzata come piattaforma per i traffici marittimi
mediterranei tra l’oriente (partendo dalla Siria) fino all’Occidente (a Gades),
una rotta conosciuta da Posidonio e da Plinio che calcolava 2113 miglia da
Myriandum a Karales e 1250 miglia da Karales a Gades oltre le colonne:
E’
noto che in tre occasioni Erodoto ricorda la Sardegna come <<l'isola più
grande del mondo>>: la notizia - ha messo in rilievo il
Rowland - è da considerarsi ovviamente erronea se le dimensioni dell'isola, in
rapporto alle altre isole del Mediterraneo, vanno calcolate in termini di
superficie, dato che la Sardegna, con i suoi 23.812 km. quadrati viene superata
dalla Sicilia, con 25.426 km. quadrati. Ma va rilevato che il calcolo di
Erodoto è stato effettuato non in termini di superficie ma di sviluppo costiero
delle diverse isole del Mediterraneo: il litorale della Sardegna è lungo
circa 1.385 km. ed è dunque nettamente superiore al perimetro costiero
della Sicilia, che ha uno sviluppo di 1.039 km. Per Procopio il perimetro
dell'isola poteva essere percorso solo in 20 giorni da un uomo a piedi, che
marciasse svelto a 200 stadi al giorno. Prima della conquista romana doveva
d'altra parte essere impossibile calcolare l'esatta superficie della Sardegna,
dato che la presenza punica non oltrepassò il fiume Tirso e non riguardò la Barbariamontana.
Con
questo mio intervento, decisamente extra-vagante volevo però dare il senso, il
sapore, il gusto di una realtà storica, fondata su antiche osservazioni
formulate dai marinai greci e fenici intorno alle coste dell’isola, sui
fondali, sui venti, sulle correnti, sulle maree, sui porti, sulle rotte
partendo dal Periplo di Scilace nel VI secolo a.C. : un’isola lontana da
continenti, collocata fuori dal tempo e dallo spazio, eudaimon, felice così come pamforos, produttrice di
straordinari prodotti, arricchita dal mito degli eroi greci arrivati a
conquistarla, gli Iolei, i figli di Eracle e delle cinquanta Tespiadi.
Veramente
questo convegno, al di là del titolo, tratta del trasporto marittimo ma anche
del trasporto aereo: come non pensare ai nomi dati dai marinai greci alla
Sadegna, Ichnussa e Sandaliotis,
con riferimento alla forma cartografica dell’isola, come se il punto di vista
adottato dai geografi fosse già a volo d’uccello, magari sulle ali fatte da
Dedalo, il padre di Icaro, il mitico architetto costruttore di nuraghi,
arrivato dal labirinto di Minosse e da Creta fino alla Sicilia di Kokalos e
chiamato in Sardegna da Iolao ? O come non pensare al mito dell’automa
metallico alato Thalos, costruito dall’artefice inventore per eccellenza,
Vulcano, che proteggeva l’isola dagli invasori volando con le sue ali sopra la
Sardegna, che secondo lo Pseudo Aristotele era stata occupata prima di Aristeo
solo da molti e grandi uccelli, upo
megalon ornéon émprosthen kai pollòn katechoménon. Come non ricordare che un’isola
circumsarda, l’isola di San Pietro, era nell’antichità conosciuta da Plinio e
da Tolomeo come Acciptrum
insula – Hierakon nesos, l’isola degli sparvieri o dei falchi ? Qui ancora
nel XVIII secolo gli abitanti dell’isola usavano prendere i falconi dai nidi
per allevarli e venderli sulle coste dell’Africa settentrionale.
Il
tema dei molti e grandi uccelli che abitano i monti della Sardegna attraversa
la letteratura sarda. Nella Carta
de Logu di Eleonora di
Arborea si afferma che constituimus
et ordinamus,qui alcunu homini non deppiat bogare astore nen falconi dae niu e chi trovava un falco doveva
consegnarlo al giudice. Questo non tanto per protezione dei falchi, ma per
ribadire che questi animali appartenevano di diritto alla classe dirigente. E
Giuseppe Pulina ha affermato che i rapaci rappresentano l’aristocrazia
dell’aria.
Mi
fermerei qui, non senza osservare però che del resto nel vostro convegno
verranno discussi anche molti temi giuridici ed economici che hanno le loro
radici e che risalgono nel mondo antico.
Resterei
prudentemente ancorato al tema dei trasporti marittimi, affrontato recentemente
da me, da Pier Giorgio Spanu e da Raimondo Zucca nel volume Mare
Sardum. Merci, mercati e scambi marittimi della Sardegna antica edito da Carocci: le rotte tra
l’Africa (Cartagine), l’Iberia (Barcino, Carthago Nova, Gades), la Gallia
(Marsiglia), la Corsica, l’Italia, i porti d’imbarco, i marinai, le
associazioni delle genti di mare, i pescatori, le società di armatori, le
compagnie, i domini navium,
i navicularii, con
una straordinaria combinazione di iniziative commerciali, marittime e di
proprietà agraria di tipo latifondistico che emerge a esempio sulla costa di
Cuglieri (il popolo dei Eutichiani collegato ora con l’ancora di L. Fulvius Eutichianus,
analoga a quella rinvenuta presso l’Isola delle femmine in Sicilia).. E poi i
naufragi (come il relitto di Spargi presso La Maddalena oppure quello di
Aglientu), la sicurezza in mare durante il periodo di mare clausum, le
responsabilità, le assicurazioni, i carichi, la capitaneria e i funzionari di
porto, le dogane. Noi non sappiamo se i portoria che si riscuotevano in Sardegna per
conto dell’erario senatorio o del fisco imperiale fossero analoghi ai IV publica Africae; sappiamo
che esistevano esenzioni, come di recente, sulla ripa di Turris Libisonis, è
dimostrato da una tabella immunitatis di una Virgo vestalis maxima nel III secolo d.C.
Infine
i prodotti, i minerali, il granito, la carne suina salata, i cavalli, l’olio,
il vino, le salse di pesce, il grano, il vasellame. Le navi militari e le
navi onerarie, i metodi di costruzione, i cantieri navali (i navalia) dove operavano i
maestri d’ascia, le opere portuali come ancora a Turris Libisonis i moli a
protezione dal vento di Aquilone , che sostanzialmente corrisponde al Circius che dal Golfo di Marsiglia conduceva
verso la Sardegna e la foce del Tevere
I
porti sardi risultano localizzati di preferenza su promontori (Karales,
Tharros, Coracodes), alla foce di un fiume (Bosa, Turris Libisonis), presso
stagni o lagune (Karales, Sulci, Othoca, Coracodes), presso isolotti o scogli
(Bosa, Sulci), infine all'interno di vasti golfi riparati dalle montagne
(Olbia). A Karales già in età repubblicana funzionavano dei cantieri nautici
per la riparazione delle navi, ma anche horrea, magazzini per l'ammasso delle merci in
transito, oltre che sicuramente uffici della capitaneria. Allo sviluppo di
Karales come scalo mediterraneo ha indubbiamente contribuito la favorevole
situazione topografica, la presenza di un porto naturale sufficientemente
protetto e, penso, la conformazione del golfo e degli stagni, che ricorda molto
da vicino quella del golfo di Tunisi, chiuso ad occidente da Cartagine. A
Turris sono stati identificati gli horrea del II-III secolo, riferiti all'emporiumportuale;
essi furono poi distrutti alla metà del V secolo in coincidenza con la
costruzione della nuova cinta muraria, edificata frettolosamente in vista del
secondo attacco dei Vandali contro la Sardegna. La ripa turritana, ricordata
in due distinte iscrizioni della colonia, era affidata a procuratori ed a
potenti liberti imperiali, che si occupavano della riscossione dei diritti
doganali (iportoria). I navicularii Sardi, Turritani e Karalitani in particolare, erano rappresentati ad
Ostia, dove operavano con una qualche continuità, d'intesa con altre
organizzazioni marittime mediterranee. Nel Piazzale delle Corporazioni, accanto
al teatro, si è ritrovato il mosaico che individua la statio, l'ufficio di
rappresentanza o almeno il luogo di ritrovo dei Navic(ularii) Turritani, cioè
degli appaltatori privati originari di Turris Libisonis. A poca distanza si
trovava anche la statio dei Navicul(arii)
et Negotiantes Karalitani. Nel
primo mosaico, in bianco e nero, databile durante il regno di Settimio Severo,
o comunque tra il 190 ed il 200, è raffigurata una nave a vele spiegate, con
albero maestro ed albero di bompresso; la prua è obliqua; la poppa ricurva con
i due timoni poppieri; nel secondo è disegnata una nave del tipo detto ponto,
con rostro, con aplustre a voluta, alta poppa ricurva con cassero e
transenna. La nave ai due lati è inquadrata da moggi cilindrici su tre pieducci
senza anse, con fasciature bianche: un'ulteriore dimostrazione dunque, se ce ne
fosse bisogno, di un'attività collegata prevalentemente con l'annona e col
trasporto del grano. Si tratta con tutta probabilità di società di trasporto
marittimo o di armatori, originari della Sardegna, che avevano forti interessi
commerciali nel porto di Roma. Analoga statiodovevano
avere i navicularii di Olbia.
Qualche
decennio prima della sistemazione e della riorganizzazione degli uffici
dell'annona decisa da Settimio Severo, facilitata dalla costituzione della
flotta frumentaria africana (classis Africana Commodiana) voluta o almeno
ristrutturata appunto da Commodo, il 20 ottobre del 173, i domini navium Afrarum universarum
<item Sardorum> (sic)
avevano dedicato una statua nel vicino teatro di Ostia in onore di M. Iulius M. f. Pal. Faustus,
duoviro nel porto di Roma, nella sua qualità di patronus cor[p(oris)] curatorum
navium marinar[um]. Si
discute sull'esistenza di un vero e proprio collegio di domini navium dell'Africa e della Sardegna: sembra
probabile che si tratti, più che di una corporazione, di una temporanea
associazione sotto una denominazione comune, dei domini navium di varie città dell'Africa e della
Sardegna, tutti in contatto con l'amministrazione imperiale. L'iscrizione mi
sembra che confermi da un lato che il prodotto che si trasportava dalla
Sardegna ad Ostia era frumento (o comunque erano altri cereali), dato che il
patrono del cor[p(us)]
curatorum navium marinar[um] è
espressamente un mercator
frumentarius; non è naturalmente escluso che le navi potessero
trasportare altri prodotti, come ad esempio minerali, granito della
Gallura, cavalli vivi oppure carne suina, quest'ultima esportata anche come
tributo (dopo Aureliano divennero regolari le distribuzioni alla plebe di
Roma), quando non si preferiva in alternativa la pratica dell'adaeratio (facoltativa dopo il 324); in
secondo luogo l'iscrizione sembra confermare che anche il grano africano
arrivava ad Ostia via
Sardinia e quindi che i
legami tra l'Africa e la Sardegna, ampiamente noti per il periodo repubblicano,
si sono intensificati in età imperiale. Emergono infine le caratteristiche di
una ricchezza fondata sulla combinazione del commercio marittimo e della
proprietà agraria, in Sardegna come in Africa. Il ricordo di altri otto
porti africani nei mosaici del Piazzale delle Corporazioni di Ostia,
accanto ad un solo porto egiziano (Alessandria) e ad un porto della Narbonense
(Narbo Martius) sottolinea ancora il ruolo della Sardegna come tramite nelle
relazioni marittime tra l'Africa ed Ostia. Un nuovo frammento dell'edictum
de praetiis promulgato
da Diocleziano e dagli altri tetrarchi nel 301, scoperto ad Afrodisia di Caria
nel 1961, con la copia latina di Aezani di Frigia scoperta nel 1971, consente
ora di accertare che all'inizio del IV secolo erano calmierate le tariffe di
almeno quattro itinerari marittimi principali con partenza dalla Sardegna, uno
dei quali era indirizzato verso Roma; gli altri tre toccavano
rispettivamente Genova, la Gallia e l'Africa. A parte erano calcolate le
tariffe, alquanto più modeste, per il trasporto delle merci per conto del fisco
imperiale, sugli stessi itinerari.
La
rotta frumentaria tra la Sardegna ed Ostia fu particolarmente frequentata a
partire dall'età di Costantino: abbiamo notizia delle disastrose conseguenze,
per la plebe di Roma, dei ripetuti attacchi dei Vandali di Genserico, che
causarono gravi incertezze nella navigazione, già prima dell'occupazione
dell'isola e del sacco di Roma del 455.
Si è
già detto dell'organizzazione del commercio marittimo, con la netta
ripartizione di funzioni e di responsabilità, anche sul piano giuridico, oltre
che di privilegi, tra domini
navium, navicularii e nautae; è noto che una delle
fonti di ricchezza è rappresentata in età imperiale da una combinazione di
iniziative commerciali marittime e di proprietà agraria di tipo latifondistico.
Occorre poi distinguere nettamente due livelli di trasporti: quelli effettuati
per conto del fisco imperiale (con tariffe estremamente ridotte) e quelli
invece effettuati nell'ambito dell'iniziativa privata dei singoli imprenditori,
che spesso rischiavano anche il naufragio, navigando durante la stagione
invernale (mare clausum), pur di incrementare il guadagno.
Sappiamo
che nel 369 gravi ammende erano previste per il gubernator ed il magister navis che trasportassero a bordo della nave
i metallari aurileguli,
fuggitivi dalle miniere imperiali verso la Sardegna, in occasione forse
di una straordinaria quanto sfortunata corsa all'oro.
Conosciamo
alcuni funzionari addetti alla soprintendenza dei porti sardi ed alla
riscossione dei diritti doganali sulle merci in transito (i portoria): la capitaneria era
retta ad esempio da un anonimo appartenente all'ordine equestre, ricordato a
Turris Libisonis in una dedica pubblica, con la qualifica di [proc(curator)] ripae Turr(itanae);
l'iscrizione che lo menziona è stata rinvenuta presso la Dogana di Porto
Torres, nel bacino dell'antico porto romano, sistemato in età severiana, di cui
restano poche tracce. Si tratterebbe di un funzionario addetto al controllo dei
traffici marittimi, alla riscossione dei dazi ed alla custodia delle merci in
transito. La stessa carica è ora attestata anche in un'iscrizione recentemente
pubblicata da G. Sotgiu e proveniente dall'ipogeo di Tanca di Borgona: in
questo caso però non si tratta di un cavaliere ma di un liberto imperiale: T. Aelius Aug(usti) l(ibertus)
Victor, marito di una Flavia
Amoebe, che viene riferito alla seconda metà del II secolo. Viceversa non
si posseggono informazioni sull'attività dei funzionari del porto nelle altre
città della Sardegna ed in particolare a Karales: va infatti escluso che il [- - -] L(uci) f(ilius)
Quir. Rufus, quattuorviro
quinquennale nella capitale sarda, abbia ricoperto la carica di proc(urator) Caes(aris) Hadriani
ad ripam nel porto di
Karales; l'iscrizione ci ha conservato infatti una carriera equestre che in
parte è stata svolta fuori dall'isola. Le ultime scoperte archeologiche hanno
messo in evidenza la vitalità del culto degli dei che proteggevano la
navigazione, come l’Iside di Turris Libisonis rappresentata come una dea che
tiene in mano la fiaccola del faro di Alessandria collegata alla stella Sirio;
oppure le Ninfe di Porto Conte o di Capo Caccia venerate nella grotta
dell’Isola Foradada, l’Ermes di Capo Marrargiu e dell’isola Tavolara, l’Ercole
di Olbia (che si aggiunge a quello di Posada), la statua in marmo che
rappresenta Ercole nella Turris Libisonis dell’età giulio-claudia, un culto
collegato all’Isola d’Ercole, l’Asinara (interpretata come l’alluce del piede
destro di Ichnussa), i tanti luoghi della Sardegna che collegano l’arrivo di
Eracle e dei suoi figli con il culto del Sardus Pater giunto secondo il
mito dal Nord Africa.
Fonte: www.attiliomastino.it
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