Preistoria in Sardegna. Una chiacchierata con l’archeologo
Riccardo Cicilloni
di Mauro Atzei
L'archeologia,
almeno in Sardegna, sta attraversando un periodo di larga popolarità, grazie
soprattutto alla diffusione dei social network che contano decine
di migliaia di appassionati nei gruppi tematici, e grazie anche al
rinnovato entusiasmo che si è creato intorno al fenomeno mediatico,
ma sopratutto scientifico, del rinvenimento delle statue di Monte Prama e di altri
reperti ad esse collegati.
La Sardegna viene definita, sia dagli appassionati, sia dagli addetti
ai lavori, uno sterminato museo a cielo aperto. In questo quadro, la
cultura nuragica, vista l'estrema abbondanza di monumenti e reperti lasciati
sul territorio è la cultura antica più rappresentativa, e per questo
dovrebbe essere molto conosciuta in Europa. Invece, per molti versi, è
ancora sconosciuta fuori dall'isola. Parliamo di quest'epoca fondamentale cominciando
proprio da Cagliari che, per importanza e grandezza, è forse
il luogo nel quale è meno evidente la presenza di tracce di
quell'epoca.
D) Quali sono le possibili emergenze
nuragiche, oggi non più visibili nel territorio comunale cagliaritano?
R.C: “L’area
di Cagliari e del suo hinterland ha restituito tracce di un passato
plurimillenario, con una presenza umana che inizia dal VI millennio a.C. L’uomo
preistorico ha infatti qui trovato un habitat molto favorevole, particolarmente
ricco di risorse quali i terreni fertili e soprattutto il mare e le lagune. Durante
l’età del Bronzo e del Ferro il territorio di Cagliari dovette essere
intensamente frequentato, ma purtroppo la forte urbanizzazione dell’areale
cagliaritano, dall’epoca punica e romana sino ai giorni nostri, ha sicuramente
comportato la perdita dei
monumenti nuragici esistenti, presumibilmente
distrutti anche per ricavarne materiale da costruzione. Il fatto che lungo
il golfo di Cagliari, sia verso Est sia verso Ovest, esistano vari nuraghi e
insediamenti nuragici che “controllavano” la vasta insenatura (si vedano, fra i
tanti, i nuraghi Antigori e Sa Domu ‘e s’Orku di Sarroch, ad Ovest e, ad
Est, il nuraghe Diana in località Is Mortorius, a Quartu S. Elena) e che
nell’entroterra siano ugualmente numerosi gli insediamenti nuragici (ad esempio
il villaggio di S. Gemiliano a Sestu, la tomba di giganti di Is
Concias a Quartucciu, il pozzo sacro di Cuccuru Nuraxi a Settimo San
Pietro), fa ritenere probabile che nuraghi ed altri monumenti nuragici fossero
presenti anche nel territorio di Cagliari. Esistono inoltre vari indizi che
fanno credere ciò: innanzitutto la segnalazione da parte dell’archeologo
Antonio Taramelli, nel secolo scorso, di un possibile nuraghe e monumento
nuragico, oggi non più rintracciabile, presso Monte Urpinu. Si hanno poi
notizie su vari ritrovamenti di manufatti nuragici da tutta l’area comunale (ad
esempio nel colle S. Michele, nella zona di Via Brenta, a Tuvixeddu,
nella Cripta di S. Restituta, presso il colle di Bonaria, nel Capo
S. Elia), che attestano, seppur sporadicamente, la frequentazione del
territorio in età nuragica. Resta da chiarire, infine, l’effettiva
interpretazione di una struttura muraria di recente segnalata dal collega Nicola
Dessì all’interno del Parco di Monte Claro, struttura forse pertinente ad
un pozzo sacro nuragico: solo una scavo scientifico potrà risolvere ogni
dubbio.”
D) A detta di molti, intorno al 1200 - 1150 a.C.
(nel passaggio tra il Bronzo Recente e il Bronzo Finale) sembra sia successo
qualcosa in Sardegna, per esempio (alla luce delle nuove acquisizioni) sappiamo
che ci fu un boom demografico. Cosa accadde?
R.C: “Il problema
è ancora dibattuto e per molti versi rimane ancora misterioso. Difatti,
nel Bronzo Finale assistiamo al crollo ed all’abbandono di molti nuraghi,
che non vengono peraltro più costruiti, e contemporaneamente cessa l’uso
di seppellire in tombe di giganti. Dopo questa crisi nasce una nuova
civiltà nuragica, diversa dalla precedente ma ancora ad essa
collegata. Cambia la società (che diventa di tipo “aristocratico”), si
costruiscono e si adoperano nuove forme monumentali (quali il pozzo sacro, il
tempietto quadrangolare, la capanna delle riunioni), si utilizzano nuovi
manufatti, come i famosi “bronzetti” e la ceramica geometrica. Le
cause sono ancora oscure, ma si può pensare a una concomitanza di fattori
ambientali, economici e sociali che portò al crollo della civiltà dei nuraghi. Solo
nuovi scavi scientifici e nuove ricerche potranno chiarire il mistero”.
D) L'abbandono dei nuraghe sembra sia avvenuto però in
maniera non traumatica, ma in modo progressivo fino agli inizi dell'età del
Ferro. Perché si smise allora di costruire il nuraghe e abbiamo elementi che
possano indurci a pensare che furono invece abbandonati in seguito ad
aggressioni provenienti dall'esterno?
R.C: “Non
abbiamo alcun elemento che ci induca a pensare ad un arrivo bellicoso di
popolazioni esterne. I nuraghi, infatti, iniziano a essere abbandonati a
partire dalla fine del Bronzo Recente, in cronologia calibrata attorno al 1150
a.C., quando i Fenici non erano ancora presenti stabilmente nella nostra
isola. Riteniamo che ciò che viene a crollare sia il “sistema nuraghe”,
cioè quell’insieme di consuetudini e quelle esigenze economiche e sociali che
portarono alla costruzione quasi ossessiva di migliaia di nuraghi che
controllavano il territorio in maniera totalizzante.”
D) A proposito di Fenici, cosa pensi del
fenomeno chiamato "precolonizzazione"?
R.C: “Il
termine, che si tende oggi ad abbandonare, usualmente denota una fase in
cui le popolazione fenicie iniziarono a frequentare la Sardegna in maniera
sporadica o, al massimo, con la costituzione di piccoli empori, comunque
sempre per motivi economici, per importare prodotti e scambiarli con produzioni
locali. In questo momento i rapporti tra i Fenici e le popolazioni
indigene dovevano essere piuttosto limitati,essenzialmente, come si è detto, con
il solo scopo di scambiarsi prodotti con reciproco vantaggio.”
D) Ritieni che il popolo nuragico fosse un popolo
belligerante o sostanzialmente pacifico?
R.C: “In
realtà né l’una né l’altra cosa. Ho scritto di recente che, soprattutto per la fasi del Bronzo Medio/Recente, non
esistano prove archeologiche concrete di guerre “intercantonali” o contro
popoli invasori venuti dall’esterno. A ciò si aggiunge la relativa carenza
di armi vere e proprie rinvenute nei contesti nuragici (anche se ciò
potrebbe spiegarsi con il fenomeno della “rifusione” e del riutilizzo del
metallo); è vero però che sono state invece rinvenute numerose spade
“votive”, non funzionali ma interpretabili come oggetti legati al culto. Sembra
quindi venire meno, almeno in parte, quel preponderante carattere bellicoso e
guerresco che è stato spesso attribuito dalla letteratura al popolo nuragico. Chiaramente
con questo non si vuol affermare che le genti nuragiche, fossero, al contrario,
del tutto miti e pacifiche: d’altronde, seppur poche, le armi esistevano,
addirittura fatte oggetto di culto, come pure sussistevano le esigenze di
controllo dei vari territori e delle loro risorse; probabilmente, però, i
conflitti e gli scontri, pure presenti, non erano così frequenti ed importanti
nella vita di tali popolazioni, mentre le armi dovevano assumere principalmente
il ruolo di indicatore di prestigio all’interno di una società sempre più
complessa.”
D) Cosa si dice, nell'ambito della comunità
scientifica, delle proposte di Giovanni Ugas relative
all'identificazione dei nuragici con gli Shardana di Medinet Habu e della
paleoscrittura nuragica del periodo del ferro?
R.C: “Posso
dire che nella comunità scientifica le tesi di Giovanni Ugas sono
considerate molto interessanti ma ancora da valutare con prudenza e con la
giusta dose di sano scetticismo. Si attendono ulteriori riscontri per
poter prendere una posizione univoca su tali teorie.”
D) Relativamente ai nuovi lavori di studio a
Monte Prama, sospetti che le ormai famose statue in arenaria siano state
distrutte maggiormente da un aratro o da un popolo allogeno?
R.C: “Anche
in questo caso, ritengo che si debbano aspettare i risultati scientifici dei
nuovi scavi. Allo stato attuale della ricerca, entrambe le ipotesi
sembrano plausibili, anche se chi ha scavato nel sito, ad esempio Carlo
Tronchetti, pensa a una distruzione volontaria delle statue, forse per un
episodio di guerra “interna”, od anche ad opera dei Fenici. La presenza di
materiale punico potrebbe anche far pensare a una distruzione ad opera di
queste popolazioni. Non esistono ancora, quindi, dati univoci”.
D) Hai una tua idea personale sulle possibili
influenze tecniche avute dai fautori di quelle statue primigenie per
l'Occidente?
R.C: “La
questione è legata alle considerazioni cronologiche sulle statue. Difatti, le
ultime datazioni pubblicate, fanno risalire la cronologia dei pozzetti funerari
(cui le statue sembrano collegate), tra il X ed il IX secolo a.C., periodo in
cui gli influssi culturali orientali (e fenici) dovevano essere ancora
piuttosto limitati. Alcuni colleghi tendono a dare gran peso ai confronti
con l’esterno, ad esempio con il mondo levantino o dell’area tirrenica, ma
vorrei sottolineare come le popolazioni indigene avevano sicuramente un enorme
bagaglio di conoscenze tecniche, riguardanti la lavorazione “artistica” della
pietra, conoscenze acquisite a partire dal Neolitico (si veda l’escavazione e
la decorazione delle domus de janas e i manufatti litici come le Dee madri od i
menhir e le statue-menhir), per cui, forse, non è necessario pensare per forza
ad un forte influsso esterno o, addirittura, ad artigiani venuti da lontano, anche
considerata l’affinità tecnico-stilistica con i coevi 'bronzetti' sardi.”
D) È plausibile sostenere che i pozzi sacri
appartengano alla seconda fase nuragica e non alla prima (non insieme alla
edificazione dei nuraghi, alle tombe di giganti, etc.)? E se così fosse, ti
chiederei cosa ne pensi a proposito e perché.
R.C: “I dati
di scavo fanno ritenere che i nuraghi (e le tombe dei giganti) siano più
antichi rispetto ai pozzi sacri: i primi vengono costruiti ed utilizzati
nel Bronzo Medio e recente, mentre i pozzi sacri sono attribuibili al
Bronzo Finale/I età del Ferro. Semplicemente, come si è detto, la trasformazione
della società nuragica dalle fasi del Bronzo Finale portò a mutamenti di
carattere sociale che si riflettono anche sulla costruzione dei monumenti: prima
era il nuraghe il “centro” di carattere politico, economico e sociale delle
genti nuragiche, in seguito, con l’abbandono delle torri nuragiche, il polo
attrattivo diventò il villaggio ed il luogo di culto, luoghi in cui la nuova 'aristocrazia' al
potere poteva ben guidare la comunità ed affermare il proprio prestigio.”
D) Come appassionato, ti ho conosciuto, in primo
luogo, per il tuoi lavori di studio e scavo del Nuraghe Cuccurada di Mogoro.
Relativamente a quanto hai appreso anche da questo lavoro di ricerca, ritieni
ancora valido il vecchio assioma Nuraghe- fortezza o ritieni possibile l'equazione
Nuraghe = luogo sacro/luogo di culto?
R.C: “Anche
in questo caso, non è vera né un’affermazione né l’altra. Oggi la visione del nuraghe esclusivamente come
struttura militare non è più accettata tout court, neppure nella
sua accezione di elemento di un complesso sistema di fortificazione,mentre oggi
si propende a vedere in esso un monumento polifunzionale, con lo scopo
principale di controllo del territorio, inteso come risorse economiche e
viabilità. D’altra parte, nessun nuraghe scavato scientificamente ha
restituito tracce di materiali archeologici legati a un utilizzo come luogo di
culto nell’età del Bronzo Medio e Recente, anche se non si può escludere che in
qualche vano si praticassero riti legati ad un culto “domestico”, similmente a
quanto avveniva nei palazzi micenei. Alcuni nuraghi furono però riutilizzati,
almeno in parte, come luoghi di culto nelle fasi avanzate del Primo Ferro, ad
esempio a Su Mulinu di Villanovafranca e, probabilmente, anche a Cuccurada”.
D) Chiudiamo con una domanda un po' più leggera: a
proposito delle professioni di domani, il mestiere dell'archeologo è uno tra
quelli che, oggi come nel passato, colpisce maggiormente l'immaginario dei
ragazzi, degli studenti. Vale ancora la pena di intraprendere tale corso di
studi?
R.C: “Per chi
è interessato all’argomento, ne vale certamente la pena. Ricordiamo che
l’archeologia, infatti, non è solo una professione, ma anche una passione,
come prova il diffuso interesse in tutta la popolazione. Per diventare
archeologo è necessario intraprendere un corso di studio lungo ed anche
difficile, che prevede la laurea triennale, la laurea magistrale, la
specializzazione od il dottorato di ricerca, percorso che però è ricco di
risultati e soddisfazioni. Il punto dolente è costituito dalla difficoltà
ad accedere ad un percorso lavorativo, difficoltà acuita dalla attuale
crisi economica che, purtroppo, vede spesso il “taglio” delle risorse
per le attività riguardanti i beni culturali. In ogni caso, noto che chi
ha dedizione e ci crede fortemente, riesce quasi sempre a trasformare la
propria passione in un lavoro. La Sardegna, inoltre, ha tante a tali ricchezze
archeologiche da studiare a valorizzare che, sicuramente, avrebbe tutte le
potenzialità per dare lavoro a tantissime persone nel campo dell’archeologia. E
spero vivamente che ciò avvenga al più presto”.
Fonte: http://www.comunecagliarinews.it
Nella mia terra manca uno come Heinrich Schliemann o come Giovanni Antonio Sanna,per me il Sig.Riccardo Cicilloni e'un dipendente comunale.
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