domenica 14 settembre 2014
Luna e Sole, a Sassari il valore simbolico di un portale.
Luna e Sole, a Sassari il
valore simbolico di un portale.
di Alessandro Ponzeletti
I due simboli derivano dalla
rappresentazione artistica della Crocefissione di Cristo. Con il nome “Luna e
Sole” i sassaresi conoscono il vasto quartiere che si estende a nord-est, la
porzione collinare bassa di quello che poi diviene Monte Bianchinu. Il
quartiere ha una via con lo stesso nome che va a terminare, nella parte alta,
presso l’antico portale di campagna che diede il nome a questa zona. Il portale
è posto a sinistra arrivando, presso un vero e proprio “ritaglio” di quello che
era un tempo l’area, formata da uliveti chiusi da muri a secco: oggi ancora si
mantiene l’antica “T” formata dal bivio delle strade vicinali e si percorre
questo tratto per arrivare alle numerose ville poste a Monte Bianchinu nella
regione Barca.
La struttura del portale,
eretto tra fine Seicento e primo Settecento, è quella visibile in vari
esemplari coevi superstiti nelle campagne intorno Sassari: una porzione
rettangolare di muratura, a pietrame misto o a cantone, sormontata da un
cornicione scolpito. Al centro il varco ad arcata c’è l’apparato decorativo che
consisteva nella presenza ai lati del varco centrale in alto di un sole e una
mezza luna ad altorilievo, oggi purtroppo erosi dal tempo. Da qui il nome del
portale e della campagna intorno. Ma la Luna e il Sole cosa significano?
Derivano dalla rappresentazione artistica della Crocefissione di Cristo e
dovrebbero simboleggiare la partecipazione del Cosmo al momento più alto e
intenso del Nuovo Testamento, il sacrificio del Dio divenuto uomo per redimere
l’umanità, ma anche stare per “fine” e “inizio” insieme, o ancora il transito
dalla tenebra del Paganesimo alla luce del Cristianesimo. Si tratta quindi
di una simbologia molto antica che a Sassari rappresentata spesso, soprattutto
nei secoli XVII e XVIII, dato che troviamo luna e sole sia nelle Crocefissioni
dipinte presenti nelle chiese del centro storico sia, nella facciata del Duomo,
scolpiti ai lati dello stemma dell’Arcidiocesi sopra l’arcata centrale.
La storia dimenticata del sacrificio di Minnìa, ferita
a morte dall’uomo che le faceva la corte.
di Alessandro Ponzeletti
La città di Sassari ha intitolato alla dottoressa Monica Moretti la bella
piazza giardino realizzata in cima a viale Dante. Monica fu vittima, il 22
giugno del 2002, di uno stalker divenuto assassino e ciò purtroppo nella
società contemporanea italiana è argomento se non quotidiano almeno settimanale
delle cronache.
Con le righe
seguenti, voglio ricordare un’altra giovanissima concittadina vissuta nella
Sassari di metà Ottocento. La
mattina del 30 agosto del 1854, ricorda Enrico Costa, il giovane ufficiale don
Michele Delitala si presentò alla casa Quesada. Delitala aspirava alla mano di
Giovanna Maria (Minnìa, abbreviato in sardo) Quesada, nobile e assai bella
ragazza, di 19 anni. Lui ne aveva 29.
L’aspirazione
del giovane militare fu però fermata dalla famiglia Quesada: la madre rifiutò
per due volte la richiesta di matrimonio. Furioso, Delitala quella mattina
d'agosto, armato di spada, di due pistole e di un pugnale, bussò e dietro la
porta si trovò davanti la madre di Maria Anna, Donna Giuseppina: le chiese per
la terza volta la mano della figlia e al terzo rifiuto fece fuoco contro la
donna ma Minnìa, arrivata subito all’ingresso e compresa l’intenzione, fece
scudo alla mamma prendendosi la pallottola in corpo. Malgrado ciò, Delitala con
la spada ferì la madre e una domestica accorsa e subito dopo con l’altra
pistola sparò contro il padre di Minnìa, Don Antonio, e uno zio accorsi, senza
per fortuna ferire nessuno gravemente, infine provò senza riuscirvi a
pugnalarsi. Minnìa, ferita
mortalmente, morì il 5 settembre dopo sei giorni d’agonia, perdonando Michele.
L’assassino fu
processato e condannato a morte malgrado la famiglia ingaggiò l’abilissimo
Stanislao Mancini come difensore: scampato all’epidemia di colera del 1855, nel
maggio 1857 dal carcere del Castello (riservato ai nobili) fu condotto alla
forca di San Paolo (a Calamasciu) a “dar calci al vento”.
Fonte: lanuovasardegna.it
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