L'origine degli Assi: una suggestiva ipotesi sull’origine dei semi delle carte da gioco numerali
di Andrea Vitali
William Henry Wilkinson in The Chinese origin of playing cards (1)
ritenne che le carte cinesi, apparse poco dopo l’invenzione della stampa
intorno al X secolo, fossero in realtà vero e proprio denaro, utilizzate sia
come strumento di gioco sia quale posta scommessa. Negli anni ‘30 del ventesimo
secolo Stewart Culin, direttore del Museo di Brooklin, pubblicò uno studio in
cui evidenziava come che le carte fossero presenti in Cina in epoca antecedente
al 1100 d.C., sostenendo che quelle europee derivavano graficamente dalla carta
moneta in uso al tempo della dinastia Tang (608-908 d.C), sulla quale era
consuetudine imprimere le effigi degli imperatori e di altri personaggi di
rango. Le carte riportavano tre semi: Jian o Qian (monete), Tiao (stringhe di monete dove
per stringa si deve
intendere il foro che serviva per appendere le monete e impilarle su una
corda), e Wan (diecimila).
Oltre a queste carte ve ne erano altre tre singole: Qian Wan (Migliaia di
Diecimila), Hong Hua (Fiore
Rosso) e Bai Hua (Fiore
Bianco). Ciascun seme presentava carte numerali, dal 3 al 9.
Il primo riferimento
conosciuto riguardante le carte indiane, dette Ganjifa - termine derivante dal Persiano ganjifeh(گنجفه) - che significa carta da
gioco, risale ad una biografia di Babur (inizio XVI secolo), il fondatore
della dinastia Mughal. Di formato tondo, vi
sono raffigurati semi composti da dodici soggetti su sfondi colorati, con
puntini dall'1 al 10 e due carte di corte, un ministro o consigliere e un re.
Rimane incerto se queste carte abbiamo influenzato quelle mammelucche egiziane
o viceversa. Sta di fatto che il primo esemplare conosciuto di carte
mammeluche, il cosiddetto mazzo Mulûk wa-Nuwwâb, ora al Topkapi Sarayi Museum
di Istambul, risalente al XV secolo, ma identico ad un frammento di carte
risalente al XII-XIII secolo, è composto da 52 carte divise in quattro semi: Jawkân (bastoni da polo),Darâhim (denari), Suyûf (spade) e Tûmân (coppe). Ogni seme
contiene dieci carte, numerate da 1 a 10 e tre figure (o carte di corte) chiamate malik (re), nā'ib malik (viceré o deputato
del re) e thānī nā'ib (secondo
o sotto-deputato).
Nel sec. XIV le carte da
gioco, chiamate dagli Spagnoli naibbe (termine
di incerta etimologia) ebbero larga diffusione in Europa.
Si può supporre che
la loro comparsa sia avvenuta prima della metà di quel secolo, dato che i primi
documenti che ne trattano datano alla sua seconda metà. Allo stato attuale
l’ipotesi più accreditata fa quindi derivare le nostre carte con i suoi
relativi semi, al mondo dei mammelucchi egiziani dal quale sarebbero giunte in
Occidente tramite scambi commerciali.
La disamina che ci apprestiamo
a compiere su una possibile origine latina dei semi delle carte, si basa sulla
seguente informazione comunicataci da Fulvio Fava, studioso dell’argomento:
«Nella monetazione romana del 2-300 a.C. erano presenti alcune tessere monetali
chiamate asse, nello specifico “aes signatum”, di forma rettangolare; queste
monete contengono chiaramente le figure dell'asso di bastoni, dell'asso di
spade e dell'asso di denari, nonché un vaso che potrebbe aver generato
l'asso di coppe. Ora partendo dal fatto che la parola Asso risulta derivare
direttamente dal termine latino indicante le monete (addirittura in certe
regioni si usa dire "scopa d'asse") occorre domandarsi se in realtà i
semi delle nostre carte non derivino dal mondo latino, anziché da quello arabo.
È vero che i riscontri storici basati su ritrovamenti di antichi mazzi e la
mancanza di documentazioni sull'effettiva precedente diffusione in Italia ci
porterebbero altrove, ma è altrettanto vero che, di fatto, è in Italia che si è
avuta la prima vera "esplosione" per quanto riguarda la
produzione e la varietà di stili. Se osserviamo le più antiche carte
piacentine e napoletane (ma anche le attuali) ci accorgiamo che somigliano molto
di più alle monete che non alle carte saracene (questo vale sia per gli Assi
del tutto simili agli aes
signatum che per i semi coincidenti ai disegni dei successivi aes grave); questo mi porta a pensare
che altro non siano che una forma di tributo alla storia italiana. Ignoro in
che periodo ciò sia accaduto, ma il fatto che i "nostri" semi siano
identici a quelli che di fatto sono i prototipi della monetazione romana e di
conseguenza le prime monete d'Italia, non può e non deve essere considerato una
casuale coincidenza» (2).
Venendo ora alla nostra
disamina, il Vocabolario
Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani (1907)
così scrive riguardo l’etimo del termine “asso” o “asse”: “Moneta di rame dal
peso di dodici once, ossia di una libbra, che i Romani dissero AS (i Greci ÈIS,
dial. doric. ES, dial. tarent. AS) che propriamente significa uno. Essa trae dalla radice
indo-europea AK vedere, che
è pure nel sscr. AKSA,
ÀKSI occhio, onde il
senso primitive di occhio (ossia
il puntino) deldado e poi
il numero uno. Presso i
Romani stette a rappresentare l’unità monetaria: onde la voce stessa diede
l’idea dell’intiero e si usò per indicare una Università o Totalità di beni.
Egli è per ciò che i legali dicono ancora Asse ereditarioper denotare tutta l’eredità…(altri compara AS e
AES rame e metaf. Moneta che confronta con sscr. AYAS metallo)”.
Secondo il Pianigiani il
termine "asso" deriverebbe quindi da "asse" traendo
direttamente origine dall'analogia occhio-puntino e dall'uno del dado, per poi
essersi adattato anche all'uno delle carte da gioco. Esiste
tuttavia un grosso ostacolo a questa lettura in quanto risulta ormai
assodato che aes non deriva da AS ma bensì da AEs, termine con cui venivano
indicate le varie leghe di rame (dal sanscrito krsnam ayas = metallo nero, con
il quale si indicavano non metalli grezzi ma prodotti di fusione,
principalmente il bronzo). Questo toglie ogni valore al collegamento
artificioso tra il dado e la moneta romana imponendoci di cercare altre soluzioni:
la prima e più evidente ci viene offerta appunto dalle considerazioni di Fulvio
Fava "gli assi si chiamano così perchè sono direttamente ispirati alle
pre-monete chiamate asse".
Veniamo ora ad indagare quel
tipo di moneta chiamata AES, utilizzata dai Romani fin dal governo di Numa
Pompilio così come riportato da Plinio (3). Infatti Numa aggiunse alle officine
che lavoravano l’oro e l’argento a scopo monetario, anche la lavorazione del
rame. Le monete coniate erano da principio di forma quadrata, chiamate later (4) per l’analogia con i
mattoni e nello specifico Aes
rude in quanto non presentavano alcuna impressione o rilievo. Se le
monete d’oro e d’argento con il tempo assunsero forme anche diverse dalla
quadrilatera, quelle di rame mantennero la forma primigenia. Plinio scrive che
fu Servio Tullio a volere inserire simboli in rilievo in quella tipologia di
Aes che venne chiamata per questo Aes
signatum: “Servius rex primus signavit aes rudi ante usos romanus
Timaeus tradit”. Il termine di Aes
grave venne attribuito alle monete di rame sui primordi del quarto
secolo, quando queste assunsero forma tendenzialmente circolare a doppio
rilievo, con marcati i valori numerici del loro valore legale. Nelle immagini a
corredo dell’articolo abbiamo riportato esempi di Aes Grave contrassegnati da
questi valori (punti in rilievo), fra i quali diverse figure con vasi/coppe e
bastoni.
Ritornando all’Aes signatum, le prime tipologie dei
rilievi sono rappresentate da tronchi bracciati, cioè da ramoscelli di foglie
acute in punta; successivamente comparvero delfini e tridenti assieme a clave e
a frasche. In epoca tarda troviamo segni e simboli tratti dalla natura animale
(ad esempio buoi, polli, scrofe, elefanti), accanto all’aquila romana e a
strumenti d’uso popolari e militari, come vasi e spade. Tutte le simbologie
adottate trovano riferimenti nella storia di Roma: ad esempio il bue ricorda il
perimetro della città tracciato da Romolo, gli elefanti sono connessi alla
guerra contro Pirro così come i suini che, come racconta Eliano nel De Natura Animalium (1,38),
vennero usati per spaventare gli elefanti: i maiali una volta coperti di pece
venivano dati alle fiamme e i grugniti che ne seguivano spaventavano i
pachidermi. Nell’opera Le monete
dell’Italia Antica di Raffaele
Garrucci troviamo numerosi informazioni che giustificano la presenza dei
diversi animali e degli oggetti posti sui diversi tipi di monete dell’Aes signatum e Aes Grave.Riguardo i polli egli
scrive: “A felice impresa
sembrano alludere i polli augurali in atto di beccare avidamente la polenta e
di fare con le briciole di esse cadute sul terreno il tripudium solistimum” (5).
La credenza degli uomini del
sec. XIV che le carte da gioco provenissero dal mondo arabo trova conferma
in diversi documenti del tempo. A titolo di esempio ricordiamo la Cronaca di Viterbo scritta da
Giovanni di Juzzo di Covelluzzo che riporta la seguente informazione: “Anno
1379 fu recato in Viterbo il gioco delle carte che venne de Saracinia e
chiamasi tra loro Naib”, mentre nell’inventario dei beni dei duca e duchessa di
Orleans (Luigi di Valoise e Valentina Visconti) si elenca “un mazzo di carte
saracene e un mazzo della Lombardia” (1408). Ovviamente questa provenienza ha
una probabilità assai alta. Scrive in proposito il filosofo analitico Carlo
Penco: “A favore del fatto che le carte islamiche derivino dalle europee sono
solo le date della presenza effettiva delle carte europee (1370) e del
riferimento successivo alle carte islamiche (1379). Se si volesse seguire
questa strada occorrerebbe ipotizzare di fatto su improbabili ipotesi: 1 - le
carte europee avrebbero dovuto diffondersi prima in Persia per passare poi nei
paesi arabi in un brevissimo lasso di tempo per ritornare in Europa dopo pochi
anni. 2 - Le carte europee avrebbero dovuto essere usate in Europa molto tempo
prima del 1370 per potersi diffondere nei Paesi arabi attraverso la Persia. Non
solo entrambe le due ipotesi sono altamente improbabili, ma non vi è
alcuna minima traccia storica che le giustifichi” (6).
Forse allora è possibile
ipotizzare che l’Aes, che
godette di ampia diffusione in età imperiale (7) al tempo delle guerre con la
Persia, abbia assunto una tale popolarità nel mondo mediorientale da suggerire,
diversi secoli dopo, i simboli da inserire nelle carte da gioco, dove i punti
di valore vennero sostituiti con la raffigurazione completa degli elementi di
ciascun seme. Partendo dal fatto che la parola Asso deriva dal nostro latino, l’insieme di queste
valutazioni ci porta a considerare l’ipotesi avanzata da Fulvio Fava altamente
probabile. Se ciò corrispondesse al vero, il seme di denaro non raffigurerebbe
monete ma la figura del Sole che negli Aes si trova costantemente abbinata a
quello della Luna.
Certamente, al di là della
similitudine di alcuni simboli presenti negli Aes con quelli delle carte da gioco, è
sorprendente osservare come in molte carte antiche siano state
raffigurate figure di animali quali ritroviamo negli Aes, come l'elefante che,
dapprima nella collezione Guadagni di Firenze (cosa che potrebbe
far presumere un suo ritrovamento in territorio toscano), passò in seguito
ad arricchire la vasta collezione del British Museum. Ed è proprio in
molti mazzi di Minchiate Fiorentine che si trova raffigurato l'elefante,
come risulta da una carta sotto riportata.
Note
1 -
In “The American Anthropologist”, Vol. VIII, January 1895, pagg. 61-78.
2 - Padre
Daniel fu uno dei
primi sostenitori della derivazione degli Assi dalla monetazione romana.
Egli riportò la sua tesi nell'articolo Origine
du jeu de piquet, trouvé dans l’histoire de France, in “Journal de Trevoux”, maggio 1720. Citato da
Cesare Cantù, Storia Universale,
Volume X, Epoca XI, Torino, 1842, pag. 221-222. P. Daniel sostenne inoltre
che il gioco dei tarocchi (Ludus Triumphorum) apparve
prima di quello del Picchetto, da lui collocato intorno al 1430. Una tesi
che ci trova in perfetta sintonia.
3 - N. H.
1, XXXIII
4 - Varrone, De Vita Populi Romani, pr. Nonio, 2, 481;
12,9. Plinio, H. N. XXXIII, 3,17.
5 - Roma,
1885, pag. 6.
6 - Carlo Penco, I Tarocchi di Dummett, Bozza 1.1.2011, pag.
3-4.
7 - Per i valori
minori, si aveva l'asse in rame (10,90 g), i suoi multipli in oricalco, un
metallo simile all'ottone, detti dupondio (2 assi) e sesterzio (4 assi); per i
sottomultipli si aveva il quadrante in rame (1/4 di asse).
Fonte: http://www.letarot.it
Copyright Andrea Vitali
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