venerdì 26 settembre 2014
Il Diluvio Universale nella Bibbia deriva da leggende sumeriche più antiche? Pare proprio di sì.
Il Diluvio Universale nella Bibbia deriva da leggende sumeriche più antiche? Pare proprio di sì.
di Pierluigi Montalbano
George Smith, un profano
nel campo dell’archeologia, incisore di
banconote, nato il 26 marzo 1840 a
Chelsea presso Londra, era un autodidatta che si dedicava allo studio
delle prime pubblicazioni di assiriologia.
A 26 anni scrisse un paio di lavori
su caratteri cuneiformi di ancor dubbia interpretazione, che attirarono
l’attenzione del mondo specializzato. Due
anni piú tardi era assistente della sezione egizio-assira del British
Museum di Londra. E quando morì a 36 anni, nel 1876, aveva già
pubblicato una dozzina di opere e il suo nome era legato a notevoli scoperte. Questo ex incisore
di banconote era curvo nel 1872 sulle tavole che Hormuzd Rassam aveva mandato
al Museo, e cercava di decifrarle.
Allora nessuno sapeva che era esistita una letteratura assiro-babilonese degna di essere citata accanto alle
grandi opere delle letterature posteriori. Appena cominciata la lettura, fu
attirato dal contenuto stesso del racconto, dal fatto e non dalla forma in cui
era esposto. Smith aveva seguito il forte Gilgamesh nelle sue grandi gesta, aveva letto dell’uomo dei boschi Enkidu
che era stato attirato nella città da
una meretrice sacra per vincere
Gilgamesh il superbo. Ma la violenta lotta degli eroi restò indecisa.
Gilgamesh ed Enkidu si strinsero in amicizia
e compirono imprese valorose, uccisero Chumbaba, il terribile signore dei
boschi dei cedri, e sfidarono gli stessi dèi quando questi offesero Ishtar,
che aveva offerto a Gilgamesh il suo amore divino.
Smith decifrò che Enkidu era morto di un’orribile malattia e che Gilgamesh l’aveva pianto,
e, per non restar vittima dello stesso destino, si era messo in cammino alla
ricerca dell’immortalità. Andò a visitare Ut-napiscti, il progenitore di
tutti gli uomini, sfuggito con la sua famiglia al grande castigo che gli dèi avevano inflitto a tutto il genere
umano, e divenuto immortale. E Ut-napiscti, l’antico progenitore, raccontò a
Gilgamesh la storia della sua prodigiosa salvazione.
Smith trovò sempre maggiori lacune nel testo delle tavole di Rassam e dovette concludere
di avere davanti a sé una parte
dell’iscrizione, e che proprio la parte che era per lui essenziale, la
conclusione della grande epopea, il racconto di Ut-napiscti, era frammentaria.
Ma quello che era
riuscito a leggere dell’epos di Gilgamesh non gli dava tregua e sollevò
l’interesse dell’Inghilterra, cosí ligia alla parola della Bibbia. Un quotidiano di grande diffusione venne in aiuto di
George Smith. Il giornale londinese
«Daily Telegraph» annunciò che
metteva 1000 ghinee a disposizione di chi volesse recarsi a Kujundshik
per rintracciare il resto dell’iscrizione di Gilgamesh.
George
Smith, l’assistente del British Museum, accettò
l’offerta. Si esigeva da lui che facesse un viaggio di migliaia di
chilometri da Londra fino alla Mesopotamia, e che, giunto sul posto, cercasse
in un enorme cumulo di macerie, che rispetto alla sua mole era stato appena intaccato dal lavoro compiuto fino allora,
quelle e proprio quelle tavolette di argilla. Smith trovò la parte mancante dell’epopea di Gilgamesh e portò
in Inghilterra 384 frammenti di tavole d’argilla, e fra di esse i pezzi
mancanti della storia di Ut-napiscti, di cui tanto lo aveva colpito la prima
parte. Era la storia del Diluvio universale,
e non si trattava di una di quelle
catastrofi acquatiche che ricorrono nella mitologia primitiva di quasi tutti i popoli, ma proprio del Diluvio
universale, di cui, molto piú tardi, riferisce la Bibbia. Poiché Ut-napiscti non era altri che Noè. Ecco il testo in questione (il dio Ea, amico degli
uomini, aveva manifestato in sogno al
suo protetto Ut-napiscti il proposito
degli dei di punire gli uomini, e Ut-napiscti fabbricò una barca):
Presi con me tutto quanto avevo,
l’intero frutto della mia vita e lo
portai nella barca; la famiglia e tutti i parenti, gli animali dei campi, le bestie del pascolo e le
genti da lavoro, imbarcai
tutti. Salii nella barca e chiusi la porta.Quando il nuovo giorno sorse luminoso, una
nuvola nera si raggomitolò lontano sull’orizzonte... il chiarore del giorno si trasformò d’un tratto
nella notte, il fratello non vede piú il fratello, il popolo del cielo
non si può piú riconoscere. Gli dèi erano pieni di spavento davanti al diluvio,
essi
fuggirono e si rifugiarono fino sulla montagna celeste di Anu, gli dèi si rannicchiarono, come
cani, contro la parete e stettero fermi. Durante
sei giorni e sei notti si gonfiarono la tempesta e il diluvio,
Uragano regnò sul paese. Quando il settimo
giorno spuntò, si placò la tempesta, si spianò la marea che aveva
infuriato come un esercito in guerra; le onde si fecero tranquille, cessò il
vento tempestoso, e i flutti smisero di salire. Guardai verso l’acqua, il suo
mugghiare si era ammutolito, tutti gli uomini
erano divenuti fango! La mota
arrivava all’altezza dei tetti! Guardai
verso la terra, verso l’orizzonte del mare, lontano, molto lontano,
emergeva un’isola. L’imbarcazione arrivò al
monte Nissir, presso il monte Nissir si fermò e rimase come ancorata.
Quando spuntò il settimo giorno, liberai una colomba e la mandai lontano, e la
mia colomba volò e poi tornò indietro. Poiché non aveva trovato un posto dove
posarsi, tornò indietro. Presi una rondine e la lasciai volare, e la mia
rondine volò via e ritornò,
poiché non aveva trovato un posto
dove posarsi, tornò indietro. Presi un corvo e lo lasciai volare, e il corvo volò via e vide che lo specchio
dell’acqua si abbassava; esso si nutrí, volò intorno, gracchiò e non
tornò piú indietro.
Era
ancora possibile dubitare che fosse stata trovata la versione piú antica della leggenda biblica del Diluvio? E non
colpiscono soltanto l’analogia generale della vicenda;
ma ci sono singoli particolari che ritornano nella Bibbia, come la
colomba e il corvo, gli animali che Noè lasciò volare dall’arca. Il testo cuneiforme dell’epopea di Gilgamesh venne
a porre all’epoca di George Smith una questione rivoluzionaria: la verità della
Bibbia non era dunque la piú antica? Ancora una volta la conoscenza
archeologica aveva fatto un enorme passo in avanti nel passato. Nuovi problemi
si presentavano:
La
storia di Ut-napiscti era solo la conferma recata alla leggenda biblica da una leggenda ancora piú
antica?
Ma non era stato fino a poco tempo prima ritenuto leggenda anche tutto ciò che la Bibbia racconta di
questa straordinaria terra tra i due fiumi?
E non era apparso
che tutte queste leggende contenevano un nucleo di verità?
Non doveva quindi anche la storia del grande diluvio essere considerata qualcosa di piú di una semplice
leggenda?
A quali remotissimi
tempi risaliva la storia della Mesopotamia?
Quello che finora
era stato creduto un muro impenetrabile, dietro cui non c’era che l’oscurità
delle epoche senza storia, sarebbe presto
apparso un semplice velario calato davanti ad uno spettacolo ancor piú
remoto.
Pochi anni dopo la
scoperta di George Smith, verso il 1880, fu
ancora un francese, e un agente consolare per giunta, di nome De Sarzec,
che a Tello, in Babilonia, scoprí nella sabbia una figura di uno stile di cui
finora non si era trovato nessun esempio in
Mesopotamia; questa scultura era
certamente affine a quelle che erano state rinvenute in precedenza, ma
rivelava un’arte piú arcaica e monumentale, appartenente all’infanzia della civiltà umana e di gran lunga piú antica di quella
egiziana, ritenuta finora senza contestazione la piú antica.
La scoperta di questi antichissimi strati di civiltà, e di questo antichissimo popolo, è il frutto di un’ipotesi
estremamente audace degli studiosi, confermata dal ritrovamento fortuito di
Sarzec.
Ma questo capitolo troverà la sua conclusione solo alla metà
del secolo scorso, quando tre spedizioni partirono nel 1949 per rintracciare,
in base alle informazioni di un contadino turco, i resti dell’arca di Noè sul
Monte Ararat, un’impresa che a fine
Ottocento sarebbe stata considerata l’assurda fantasia di cervelli
malati.
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