giovedì 1 giugno 2017
Archeologia. I primi sardi che praticarono agricoltura, allevamento e lavorazione della ceramica: le genti delle domus de janas e della Dea Madre. La Cultura Bonu Ighinu. Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Archeologia. I primi sardi che praticarono agricoltura, allevamento e lavorazione della ceramica: le genti delle domus de janas e della Dea Madre. La Cultura Bonu Ighinu.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Negli studi
di preistoria con il termine cultura si raggruppa quell'insieme di manufatti,
oggetti d'uso e strutture, che caratterizzano una determinata regione in una
precisa fase cronologica, ad esempio il neolitico o le età dei metalli. La
denominazione deriva generalmente dal luogo nel quale la fase è stata scoperta
per la prima volta. Alle fasi cronologiche del Neolitico medio, intorno al 4500
a.C., vanno ricondotte le tracce archeologiche relative alle pratiche di
agricoltura, allevamento e lavorazione della ceramica in Sardegna. Le forme ceramiche vedono vasi carenati e
ciotole, con anse zoomorfe o antropomorfe, caratterizzate dalle superfici
lucide, di color nero-bruno, decorate a incisione o a impressione. L'industria su pietra levigata annovera: asce e
accette levigate, che hanno forma trapezoidale nella grotta di Monte Majore, macine e macinelli ellissoidali, levigatoi, pestelli in
porfido, quarzo e granito. Fra gli oggetti più curiosi abbiamo dei
grandi
anelli in pietra di forma non sempre regolare. Levigati grossolanamente,
presentano un foro realizzato, verosimilmente, con bulino o con un
trapano cavo, con il quale si realizzava un unico foro, oppure diversi
fori disposti in forma circolare per poi ottenere un ampio foro. La funzione di
questi manufatti, presenti anche fuori dall’isola, è ancora dibattuta.
Per quanto
riguarda l'ambito funerario, si nota la proliferazione di tombe a grotticella
conosciute con il nome di domus de janas, contenenti il defunto e il suo
corredo funerario, a volte caratterizzato dalla presenza di una statuetta della
dea madre tenuta nella mano. Queste raffinate sculture mostrano abbondanza di
forme, legata all’ideologia religiosa che vede il ciclo di morte e rinascita al
centro del pensiero dell’epoca.
Le più antiche
genti di cui abbiamo testimonianze corpose in Sardegna sono quelle di Bonu
Ighinu, dal nome di una chiesa campestre nei pressi di Pozzomaggiore, nel
sassarese. In una grotta della zona, Sa Ucca e su Tintirriolu (la bocca del
pipistrello) furono scoperti oggetti risalenti alla metà del V millennio a.C.
L'imboccatura del cunicolo era chiusa con un masso trovato ancora in posizione.
Cinque stele parallelepipede, con incavi semicircolari e riquadri rettangolari,
simboleggiano in forma astratta la divinità. Le genti di Bonu Ighinu erano
presenti in Sardegna presso grotte, ripari sotto roccia e villaggi all'aperto
con capanne realizzate in legno e frasche. La ceramica si distingue per la
finezza e l'eleganza delle superfici bruno-lucide, decorate con motivi impressi
con un tratteggio minuto e con piccoli punti, oppure graffiti dopo la cottura.
Sono tipiche le piccole anse verticali a nastro, arricchite da bottoni e
appendici, talvolta con rappresentazioni del volto umano stilizzato. Tutta la
produzione ceramica sfoggia padronanza nell'approvvigionamento della materia
prima, e vasi realizzati con forme e tecniche più raffinati rispetto
a quelle del neolitico antico. I ritrovamenti hanno restituito produzioni in
pietra scheggiata di strumenti come punte, lame, perforatori, raschiatoi, in
ossidiana e in selce. Inoltre, è abbondante la lavorazione di strumenti e ornamenti
in osso come punteruoli, aghi, spazzole e lesine. Nella grotta rifugio di
Oliena sono stati trovati bracciali e collane realizzate con valve di piccole conchiglie
e dischetti cilindrici di clorite e aragonite. A volte le grotte avevano
destinazione sepolcrale, in pozzi nei quali l'ossario conteneva materiale
funerario proveniente da sepolture primarie. Si tratta, quindi, di deposizioni
secondarie, con le ossa dei defunti sistemate in un luogo diverso da quello
della prima collocazione. Nel territorio di Cabras, in località Cuccuru
s'arriu, è stato scoperto un cimitero con 19 tombe, delle quali 13 scavate
sotto terra con una sola camera e un pozzetto d'accesso, quattro del tipo a
fossa e due inserite tra il terreno vegetale e un bancone roccioso. Si tratta
di tombe singole, nelle quali il defunto è sempre accompagnato da una statuina
di dea madre e una serie di vasi lisci, con pochi motivi decorativi.
Si nota la presenza di ocra rossa con evidente valore simbolico collegato al
sangue, e quindi con l'idea della rigenerazione del defunto. Queste sepolture
sono la più antica testimonianza di sepolcri scavati intenzionalmente nella
roccia. Nei villaggi all'aperto le capanne erano realizzate in legno e frasche,
con tracce di depositi di forma ellittica pieni di cenere, carbone, frammenti
di ceramica e ossa di animali. Le genti della cultura di Bonu Ighinu
praticavano la cerealicoltura, l'allevamento del bestiame, la caccia e la
raccolta dei molluschi. Si nota l'aumento in percentuale dell'ossidiana
rispetto alla selce. La componente maschile era alta 162 cm, quella femminile
150. Una popolazione dinamica, abituata a un'alimentazione varia con cibi
cucinati e ricchi di grassi, come testimoniato dall'assenza di malattie
distrofico-rachitiche e la presenza di un apparato masticatorio buono. Nella
fase Bonu Ighinu, le dee madri sono definite di tipo volumetrico per le forme
arrotondate. Si tratta di statuine in pietra con forme opulente, una delle
quali rappresenta la madre con bambino. Sempre al neolitico medio è attribuita
una raffigurazione fallica in pietra trovata a Terralba. È la prima
attestazione della rappresentazione del simbolo maschile nel repertorio figurativo
neolitico della Sardegna, nonché la prima testimonianza del dualismo fecondità
femminile-potenza maschile che vedremo svilupparsi nella successiva cultura di
Ozieri.
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