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mercoledì 28 giugno 2017

Archeologia. Le navi in bronzo della Sardegna Nuragica: incantevoli oggetti votivi che testimoniano la conoscenza delle tecniche marinaresche e suggeriscono la volontà di rappresentare la capacità dei sardi di allestire flotte e navigare per il Mare Mediterraneo. Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Archeologia. Le navi in bronzo della Sardegna Nuragica: incantevoli oggetti votivi che testimoniano la conoscenza delle tecniche marinaresche e suggeriscono la volontà di rappresentare la capacità dei sardi di allestire flotte e navigare per il Mare Mediterraneo.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Gli scavi archeologici in santuari e templi di epoca nuragica hanno portato alla luce oltre 150 piccole imbarcazioni in bronzo di forma e dimensioni varie, tutte dotate di una testa animale a prua. Sono testimoni di come le genti nuragiche avessero coscienza del mare e delle tecniche di navigazione. Questi incantevoli oggetti votivi, di eccezionale pregio artistico e tecnologico, furono realizzate nell’isola dall’inizio dell’età del Ferro, intorno al 900 a.C., fino al VI secolo a.C., quando la Sardegna fu interessata dai vani tentativi cartaginesi di sottomettere le genti sarde. Riproducono i modelli delle navi che percorrevano le rotte interne fluviali, le navigazioni sotto costa e le problematiche traversate d’alto mare. La tipologia costruttiva degli scafi è quella delle navi di legno cucito, con la realizzazione della struttura esterna cui si aggiungevano poi le strutture interne e gli accessori attraverso la giunzione con perni e la legatura delle travi con fibre vegetali. Questo assemblaggio garantiva una certa facilità di lavorazione e la possibilità di
riparare gli scafi sostituendo solo i legni danneggiati. Fra i reperti sardi si distinguono 4 tipologie di scafo: cuoriforme, ellittica, carenata e trapezoidale. La prima, di dimensioni modeste, è adatta a galleggiare nelle lagune e nei fiumi, e consente il trasporto di piccole quantità di merci. Quella ellittica e quella carenata ricopiano le grandi barche d’altura, quelle per il trasporto a grande raggio di notevoli quantità di prodotti. La trapezoidale ricalca le barche dei pescatori, con lunghezza di 6/8 metri al massimo. In Sardegna non sono presenti alberi d’alto fusto, tuttavia il pino e la quercia offrono buone possibilità di utilizzo. Per impermeabilizzare lo scafo si usavano resine bituminose, uno dei materiali scambiati in tutto il Mediterraneo. La struttura veniva rinforzata nelle parti più sollecitate dalle onde. C’erano traverse, ponti e altri sistemi che irrigidivano la struttura che, infine, era avvolta da corde che stringevano il fasciame di legno. Questo sistema di montaggio fu utilizzato fino all’epoca moderna, comprese le navi spagnole che conquistarono l’America.  
Ritornando alle nostre barchette in bronzo miniaturizzate, la tecnologia di fusione si avvaleva del metodo a cera persa per la struttura, mentre alcune piccole aggiunte si eseguivano con la tecnica della brasatura, ossia la giunzione dei pezzi metallici effettuata tramite una lega d’apporto che diventa liquida a una temperatura inferiore a quella di fusione dei due metalli da unire. La lega, una volta fusa, penetra per capillarità nell’interstizio tra le pareti dei due metalli, dove poi solidifica dando origine a un pezzo unico. Queste incantevoli opere artistiche realizzate in bronzo sono quindi delle piccole riproduzioni di barche utilizzate dai sardi 3000 anni fa. Struttura, attrezzature e forma testimoniano, senza dubbio alcuno, che i sardi conoscevano a fondo le tecniche navali e marinaresche, come si deduce dalle proporzioni degli scafi. L'occhio attento degli specialisti cattura i dettagli tecnici come le battagliole laterali, i gavoni di prua, i rinforzi nel ponte, gli scalmi per i remi e perfino la rappresentazione delle corde per legare, circondandolo, il fasciame che riveste lo scafo. Essendo oggetti legati al mondo religioso, sono, al pari degli altri bronzetti, intrise di simboli che riportano all'ideologia sarda: protomi animali con le corna, torri, uccelli, animali di ogni genere e specie, esaltano la bellezza e il mistero di questi oggetti di pregio. Escludendo le poche barchette trovate in ambito etrusco in tombe o quelle in santuari, ad esempio quella con doppio giogo di buoi sul ponte trovata a Crotone, la totalità delle navicelle sono state portate alla luce nei pozzi sacri, i templi di epoca nuragica. I simboli riportano alla venerazione di divinità legate all'acqua e alla fertilità, e i volatili posizionati ora sull'albero, ora sul bordo del ponte, testimoniano la richiesta di protezione per un viaggio da affrontare, forse quello verso l'aldilà. Gli uccelli sono gli animali dedicati a Venere, divinità dell'amore, della fertilità e, soprattutto, protettrice dei marinai. Il doppio simbolo di Venere (disco solare sormontato dalla luna crescente) indica le due massime divinità del cielo, legate al fuoco e all'acqua, i due elementi opposti che nel nostro caso sono saldati in un tutt'uno. Il cerchio, inoltre, ricorda la natura inclusiva del nostro universo, nel quale non viene escluso nulla ma tutto è connesso, ogni cosa è benvenuta e tutto in continua espansione, tutto è contenuto dal ventre gravido dell'esistenza, un ventre materno e divino pieno di amore. Venere era vista dai Sumeri come la stella del mattino (anticamente rappresentava Lucifero o colui che porta la luce) ma diventava anche la stella della sera poiché seguiva il ciclo del Sole essendo la prima stella che compariva all'orizzonte la mattina e la prima che si vedeva la sera apparire a Ovest prima che il sole tramontasse. È interessante notare che il simbolo di Venere è anche un simbolo alchemico elementare che rappresenta il rame, e la Sardegna era conosciuta per le sue miniere. La colombella è simbolo di purezza, di raffigurazione di tenerezza e d'amore. E' al contempo un messaggero celeste e un simbolo dell'anima del defunto. Così, secondo la credenza dei sardi antichi, l'anima del defunto si trasformava in una colomba. Pertanto, era un animale sacrificale. La colomba antica degli ebrei agì come il messaggero del cielo e il simbolo della salvezza. La sua apparizione con un ramo d'ulivo nel becco sopra l'Arca di Noè testimoniò che l'acqua venuta giù sulla superficie della terra era un segno di insorgenza di pace e di rinnovamento della vita. Tutta la simbologia racchiusa nelle navicelle merita un'attenta analisi iconografica, ossia uno studio del significato delle immagini e la classificazione dei temi e dei soggetti rappresentati. Il contenuto della rappresentazione può essere di immediata evidenza, oppure complesso e oscuro per cui, per essere compreso, richiede un’analisi approfondita che identifichi il codice comunicativo dell'artista. E' da considerare anche l'aspetto iconologico, ossia un approfondito studio dell’opera d’arte, che prendendo le mosse dal suo significato iconografico ne esamini il valore in rapporto con lo stile e le intenzioni dell’autore e con la cultura della sua epoca, spiegando infine l’oggetto artistico come manifestazione dell’atteggiamento di fondo di un popolo, di un periodo, di un gruppo sociale.


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