domenica 6 dicembre 2015
Archeologia. Eccezionale recupero di reperti archeologici clandestini provenienti dalla Puglia. E’ il più grande “tesoro” furtivo mai ritrovato
Archeologia. Eccezionale
recupero di reperti archeologici clandestini provenienti dalla Puglia. E’ il
più grande “tesoro” furtivo mai ritrovato
E’ il più grande ritrovamento di reperti archeologici della storia
quello compiuto in Svizzera dai carabinieri del Comando Tutela del
Patrimonio Culturale che sono riusciti ad assicurare il rientro in Italia di oltre cinquemila reperti trafugati
dai tombaroli in Puglia e altre regioni del centro-sud e destinati al mercato
clandestino internazionale. Il recupero è stato presentato nei giorni scorsi
nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Roma, alle Terme di Diocleziano,
in occasione della quale il ministro dei beni Culturali Dario Franceschini ha spiegato
che “si
tratta del ritrovamento più grande di sempre, di un valore compreso tra i 40-50
milioni di euro”. Dopo una prima esposizione alle Terme di
Diocleziano – ha puntualizzato il ministro – l’intenzione è quella di
riportare le opere nei loro luoghi di provenienza, ossia regioni del centro-sud
come Puglia, Sardegna, Basilicata e Lazio.
L’operazione dei militari,
definita con nome in codice “Teseo”,
è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, ed è
durata ben 14 anni. I 5.361
reperti risalgono a un’epoca compresa tra l’VIII secolo a.C. e il III secolo
d.C. ed erano pronti per essere venduti prima di lasciare la
Svizzera. Com’è noto la Svizzera è un luogo privilegiato per lo smistamento
internazionale di materiale archeologico e di opere d’arte provenienti
dall’Italia. E’ una perversa filiera che esiste da sempre e che è riuscita a
convogliare in musei esteri e collezioni private un numero incommensurabile di
opere trafugate nel nostro Paese.
Ad
essere maggiormente colpito dal fenomeno è soprattutto il territorio del Sud
Italia che, in quanto culla della
civiltà magno-greca, è un vero e proprio giacimento di reperti archeologici; a
ciò si aggiunga lo scarso controllo del territorio da parte delle istituzioni,
soprattutto in un ambito come quello archeologico vittima di crescente incuria
oltre che di tagli ai fondi destinati a studi e ricerche. In altri termini,
mentre noi lasciamo il campo libero a tombaroli e ricettatori, perdendo interi
pezzi della nostra Storia, i musei esteri rimpinguano le loro collezioni – e le
loro casse – grazie ai reperti provenienti dal nostro territorio. E a poco
valgono le sporadiche restituzioni, spesso frutto di lunghe ed estenuanti
trattative diplomatiche, se poi non si fa nulla per bloccare un’emorragia
continua che sta letteralmente “desertificando” le testimonianze storiche di
intere aree, come ad esempio quella del foggiano o quella calabrese.
Gli innumerevoli reperti
sequestrati dai Carabinieri – ha spiegato la sovrintendente ai beni
archeologici di Roma, Mariarosaria
Barbera – sono per
gran parte di eccezionale qualità e comprendono un vasto campionario di oggetti fra
cui anfore, crateri, piccoli bronzi, statue, addirittura affreschi di ville
vesuviane, armature in bronzo. Provengono per lo più da aree di culto o
funerarie il rapporto con le quali – fondamentale per contestualizzare
storicamente e scientificamente gli oggetti – è ormai andato irrimediabilmente
perduto.
L’operazione di recupero ha
preso le mosse da una rogatoria internazionale richiesta dalla Procura della
Repubblica di Roma all’autorità giudiziaria di Basilea, a latere dell’inchiesta
che ha portato al recupero del celebre vaso di Assteas finito al Getty Museum di Malibù. In particolare, i
Carabinieri presero di mira la figura di un trafficante italiano che faceva da
intermediario fra tombaroli e acquirenti, un ambiguo personaggio che con una
rapida scalata sociale era passato dal ruolo di facchino d’albergo a titolare
di una galleria d’arte in Svizzera con un volumi d’affari milionario. Già noto
alle forze dell’ordine, nel 2001 era stato fermato all’aeroporto Linate di
Milano, mentre la moglie era stata arrestata dalle autorità elvetiche. E’ stato
questo il punto di partenza di un’indagine che ha richiesto tempi lunghissimi
dato che nel traffico sono poi risultati coinvolti diversi altri soggetti. I reperti sono stati ritrovati nascosti in 5
magazzini di Basilea, di proprietà del citato trafficante e di sua
moglie ed erano in attesa di essere venduti a collezionisti privati tedeschi,
inglesi, statunitensi, giapponesi e australiani; fra i clienti risultano però
anche grandi musei stranieri pronti a fare salti mortali burocratici pur di far
apparire legale l’acquisto.
Ad un attenta verifica è
emerso che la maggior parte del
materiale sequestrato proviene dalla provincia di Foggia, nella quale è
compresa la ricchissima area archeologica della Daunia. Come ha spiegato alla
stampa il professor Giuliano Volpe,
ex rettore dell’Università di Foggia e presidente del Consiglio Superiore per i
Beni culturali e paesaggistici, degli oltre cinquemila reperti sequestrati,almeno 4mila provengono dalla Puglia ed
il 70-80% di essi dalla provincia di Foggia, mentre solo una piccola parte
proviene dall’area messapica (Brindisi). Dopo il sequestro e la confisca, si
apre ora una fase di studio delle
opere volta a ricostruire con precisione la loro collocazione territoriale.
Fonte: www.famedisud.it
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