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giovedì 31 dicembre 2015

Storia del Capodanno, la celebrazione del passaggio dal vecchio al nuovo

Storia del Capodanno, la celebrazione del passaggio dal vecchio al nuovo
di Cecilia Gatto Trocchi

Tutte le società umane, quando il ciclo stagionale si ripete, celebrano i riti per l'inizio di un nuovo anno: si assiste così a una nuova origine del mondo, a una sorta di rinascita della natura e degli uomini. Già nel 191 a.C. il capodanno fu fissato dai Romani il 1° gennaio. La mezzanotte è il momento culminante dei festeggiamenti per l'ultimo dell'anno e l'inizio del nuovo
Nell'antica Roma il Capodanno, che in origine si celebrava a marzo, fu fissato il 1° gennaio nel 191 a.C. dal pontefice massimo ‒ la più alta autorità religiosa di Roma antica ‒ con la lex Acilia de intercalatione che si richiamava alla tradizione instaurata dal secondo re di Roma, Numa Pompilio. Gennaio era dedicato a Giano, il dio bifronte che guarda indietro, ossia alla fine dell'anno trascorso, e avanti, ossia all'inizio del nuovo anno.
Il dio che si celebrava in chiusura dell'anno era però Saturno: durante la festività dei Saturnalia di dicembre i padroni cucinavano per gli schiavi e servivano loro suntuosi banchetti. Era il periodo dei contrari, con i servi nel ruolo dei
padroni, le donne in quello degli uomini, i bambini al posto degli adulti. Semel in anno licet insanire "una volta l'anno è lecito impazzire": erano le eccezioni che confermavano le regole, perché ogni cosa nei giorni seguenti potesse andare avanti come prima. Feste sfrenate, danze e scoppi di petardi caratterizzano i festeggiamenti. Il baccano con campane e campanacci, le fiaccolate, il lancio della roba vecchia dalle finestre servono per scacciare i demoni e la mala sorte. Quindi, anche i cosiddetti 'botti' di fine d'anno sono volti ad allontanare dalla vita familiare spiriti maligni che non sopportano i rumori secchi: per questo si sparano i mortaretti, che sostituiscono il frastuono di strumenti rimbombanti, suonati un tempo per lo stesso scopo. Si compie così l'espulsione rituale delle ombre, dei vampiri, dei morti pericolosi che fino alla grande festa potevano invadere la società dei viventi. In tutte le culture si ritiene che i rumori fragorosi e scoppiettanti possano allontanare i demoni. Nel capodanno cinese botti, mortaretti e fuochi d'artificio sono l'elemento fondamentale. Le danze sono presenti in tutte le società umane come riti che danno inizio a una nuova stagione, riportano la fertilità della terra e la fecondità degli umani. La stessa euforia dionisiaca dello spumante ci riporta alle feste propiziatrici della rigenerazione ciclica della natura, legata all'abbondanza di cibo divorato, ai vestiti speciali, agli incontri amorosi. La danza infine richiama il ballo 'saltato' eseguito dai sacerdoti Salii nell'antica Roma: più alti erano i salti a suon di musica, più alto e robusto sarebbe cresciuto il grano nella bella stagione. Oggi a capodanno si mangiano le lenticchie perché si dice che favoriscano simbolicamente la ricchezza: ogni lenticchia sarà una moneta d'oro! Una tradizione contadina vuole che si indossi qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo e qualcosa di rosso: l'indumento vecchio simboleggia l'anno che se ne va, il nuovo l'inizio, il rosso la fecondità e la fertilità. Nell'antica Roma, il primo giorno del mese (in latino calendae, da cui il nostro calendario) di gennaio il pontefice offriva a Giano farro con sale e una focaccia fatta con cacio grattugiato, farina, uova e olio per propiziare l'influenza benefica del dio sulla natura e sui futuri raccolti. Quel giorno non era vacanza, anzi gli atti lavorativi avevano un valore rituale, secondo le prescrizioni di Giano che dice, come riporta Ovidio: "Consacrai al lavoro l'anno che appena comincia perché non sia l'intero ciclo ozioso". I Romani invitavano gli amici a pranzo per scambiarsi un candido vaso di miele con datteri e fichi secchi: "Perché l'anno che inizia sia dolce", dice ancora il poeta. I fichi, detti strenae ‒ da cui il nostro strenna ‒ erano accompagnati da foglie d'alloro, come augurio di fortuna e di felicità. Le foglie e i ramoscelli erano raccolti nel bosco sacro della dea Strenia e ornavano anche le porte degli edifici più importanti, come il tempio di Vesta, le Curie, le case dei flamini maggiori (sacerdoti). Nell'Italia meridionale è rimasta questa usanza: per capodanno si regalano fichi secchi avvolti in foglie d'alloro. Il dono affonda le sue radici nelle più elementari regole sociali, è la modalità culturale per allacciare e mantenere relazioni costanti. Nel grande gioco sociale non venivano dimenticati i defunti, che dall'aldilà portavano regali ai bambini: ancora oggi in Sicilia sono i morti che portano i doni.

Fonte: Treccani.it


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