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sabato 5 dicembre 2015

Archeologia. Giovanni Lilliu e i dolmen

Archeologia. Giovanni Lilliu e i dolmen

Sull’Enciclopedia Treccani, il nostro massimo archeologo Giovanni Lilliu dimostra ancora una volta di avere una preparazione fuori dal comune in campo archeologico. In merito ai dolmen scrisse nel 1960:
Dolmen è una parola del basso brettone (anche dolmin), significante tavola (dol) - pietra (men, min), introdotta nella letteratura scientifica dal Legrand d'Aussy (1797), poi divulgata, insieme con le dottrine celtomani, essendosi riferito il termine, come altri, alla civiltà gallica. Il significato corrente di d., cioè di costruzione dall'aspetto di tavola (mensa), non caratterizza architettonicamente il monumento, riguardando soltanto un particolare della sua struttura, ossia il tetto. Invece, la forma essenziale architettonica del d. si fonda sul principio del trilite, cioè del lastrone orizzontale di copertura sostenuto da due grosse pietre messe per dritto, che dà una costruzione in cui gli elementi strutturali componenti (di copertura e di sostegno) si incontrano ad angoli retti e lo spazio interno è cubico. In questa forma architettonica essenziale rientrano sia il
d. più semplice - dato da quattro ortostati, due per fianco e uno per capo e per piede, sormontati da un pietrone orizzontale che ricopre tutta l'ampiezza del vuoto - sia quelli derivati dall'allungamento e dalla complicazione della primitiva camera. È probabile che codesta camera fosse quadrangolare in origine, non solo perché riusciva più facile impostare una copertura orizzontale su uno spazio rettilineo più che su uno spazio curvilineo ma anche, e soprattutto, perché meglio si adattava al gusto di chi costruiva lo spazio delimitato da angoli retti il tracciare una pianta delimitata pur essa da angoli retti. Sezione quadrangolare del d. e pianta quadrangolare, che è la proiezione in piano della sezione stessa, rispondevano, coerentemente, al gusto architettonico rettilineo fondato sul principio del trilite. Successivamente, ma in luoghi e tempi diversi, saran venute le forme icnografiche circolari e poligonali, che sono prevalenti in certe regioni ed esistono anche in epoca antica (Portogallo). La genesi della camera dolmenica a sezione ortogonale può essere stata "naturale", suggerita da triliti naturali che, ancor oggi, capita di confondere con d. in territorî a rocce diaclasiche. Poiché il d. (e le sue dipendenze) si trova, generalmente, in aree dove sono diffuse anche le grotticelle artificiali - che sono delle costruzioni per morti, nascoste - appare sempre più ammissibile l'ipotesi di chi ha sostenuto, specialmente fondandosi sui primitivi d. portoghesi, che il d. fu costruito per essere "a giorno", con l'intenzione di mantenerne appariscente e suggestiva tutta la monumentalità. Su d'un simile concetto poggia, del resto, la conformazione dei d. siro-palestinesi, innalzati su terrazze circolari che li mettono in chiara evidenza (῾Aglūm; Rās Imnīf). Più tardi, nei d. allungati, fattasi più complessa e dunque meno stabile l'originaria camera, esigenze statiche della fabbrica e protettive dei defunti determinarono il nascondimento del manufatto con un tumulo di terra o di pietre, circolare od ovale (d. franco-britannici) o rettangolare (Hunnenbetten tedeschi con corridoio laterale), che, in certe regioni (Bretagna e Irlanda), assume delle proporzioni colossali (tumulo di Mont Saint-Michel, nel Morbihan: m 115 × 58; tumulo di New Grange presso Drogheda, in Irlanda: m 115 × 115). Esistono, però, anche d., di modeste dimensioni e di forma elementare, coperti dal tumulo, il quale è sorretto, nella parte esterna, da blocchi poliedrici messi ad anello, talora anche doppio (d. siro-palestinesi, nordafricani, italiani peninsulari, ecc.). Un tumulo può contenere due, tre e più d., o derivati del d. (Roknia-Algeria; Kafr Abīl-Palestina; Fontenay-le-Marmion-Francia; Grundoldendorf-Germania). In definitiva il tumulo è un elemento soltanto accessorio del d., protettivo e indicativo d'una monumentalità diventata "sotterranea".
Originatosi in zone diverse, il d. subisce sviluppi specifici in aree diverse, talvolta imparentate (d. bretoni-britannici; siro-palestinesi-nordafricani). Il tema dello sviluppo è dato, in ogni caso, dall'allungamento della camera originaria e dalla sua partizione. La costruzione dolmenica in cm la camera, più larga, è preceduta da uno stretto corridoio, si chiama tomba a corridoio: la camera è rotonda (Mérida, Prado del Lácara, in Estremadura-Spagna), o quadrangolare (Antequera, Cueva de Viera, in Andalusia-Spagna). Il d. a continuato profilo di vuoto si chiama galleria coperta: il piano è rettangolare (Presles, La Justice, Seine et Oise-Francia), o trapezoidale (Nora, in Algarve-Spagna). Il d. con galleria terminata da una cella con pseudovòlta (a filari: ristretti ad anelli verso l'alto del tetto sostenuto, talvolta, da pilastro mediano) si denomina tomba a cupola: in essa di dolmenico si conserva solo il corridoio a sezione ortogonale di massima con pietre a coltello (Malaga, Antequera, Cueva del Romeral) e, a volte, anche lo zoccolo ad ortostati della cella circolare (New Grange-Irlanda), mentre il resto delle strutture accusa una contaminatio, sia che il differente senso della struttura a filari dipenda da sollecitazioni della tecnica asianica in mattoni crudi (Patroni), sia che la sua applicazione nasca, luogo per luogo, dal motivo economico di chiudere il vuoto con piccoli massi anziché con il dispendio di giganteschi lastroni secondo il modo di costruire arcaico.
Segnatamente codeste forme di d., più complesse ed evolute, che indicano almeno scambi tecnici, se non etnici, fra gruppi e gruppi monumentali, si arricchiscono e si nobilitano anche con segni dell'arte grafica e pittorica, riproducenti motivi geometrici puramente lineari retti e curvilinei, a mo' di drappi che velano l'alcova del morto (Goehlitzsch, Morseburg-Germania; Gavr'inis, Morbihan-Francia; New Grange, Meath-Irlanda), o armi e strumenti della vita comune (Soto, Trigueros-Huelva; La Table des Marchands, Locmariaquer-Morbihan) o figure d'animali, umane (Orca dos Juncaes-Portogallo; Corao Abamia-Asturie) e simboliche, specie di natura astrale (d. scandinavi e inglesi). In alcune regioni (Svezia, Germania centro-occidentale, Inghilterra, Dip. Seine-et-Oise della Francia, Terra d'Otranto in Italia, Siria e Palestina, Tracia, Caucaso e India) sulle lastre frontali o laterali i d. mostrano dei fori tondi od ovali, del diametro da 20 a 60 cm chiamati dai Tedeschi Seelenloch (buco delle anime) - cioè buco per l'uscita delle anime dal sepolcro - e ritenuti quale prova dell'unità originaria del d., ma che il Patroni, ora, giudica destinati alla rimozione più agevole delle lastre di chiusura ad ogni nuovo seppellimento: espediente di genesi autonoma nell'uno e nell'altro caso. Analogamente, coppelle e cunette, scavate sulle lastre di copertura dei d. (si trovano anche sul pavimento el-Maslubiyeh; el-Oweqiyeh-Palestina) e credute segni d'un rituale funerario a base d'offerte e indice di un'unità dolmenica, possono aver servito a raccogliere le acque sul tetto e a farle defluire al margine dei lastroni per evitare che penetrassero, ristagnando, nell'interno. Peraltro, esse provano, ancor di più, che parte dei d. doveva essere all'aperto, come gli altri argomenti sopra addotti permettono di sostenere.
Ormai definitivamente sepolta l'idea nazionalista degli altari druidici, si concorda sulla destinazione di tutti i d. a sepolture d'inumati (i casi di cremazione sembrano secondarî, d'epoca protostorica e storica). I d. più semplici, specie quando si mostrano raccolti in vere e proprie necropoli come in Palestina (300-400 presso Dalma) o in Algeria (3000 a Roknia), contenevano scheletri singoli, tutt'al più deposizioni duplici (come i cosiddetti d. della Palestina: Hām; Rās Imnīf). Le tombe a corridoio e a cupola potevano aver raccolte le spoglie di capi (nella camera) e delle loro famiglie (nel corridoio). Le gallerie dolmeniche, senza partizioni ambientali, sono da ritenersi degli ossuarî collettivi, sia per la quantità degli scheletri (40-50 nel d. di Port-Blanc, Morbihan) sia per il disordine dei medesimi, deposti, più d'una volta, a successive stratificazioni distinte da piani di lastre. Nessun orientamento rituale esiste nei d., come si è supposto a torto: ben spesso sono le condizioni del terreno che suggeriscono la giacitura e l'esposizione dell'ingresso (valle del Giordano); tuttavia son preferiti i versi N-S ed O-E (d. siro-palestinesi).
La distribuzione geografica dei d. segna due fatti importanti: la predominanza presso regioni marittime (atlantiche, mediterranee, oceaniche indiane pacifiche); l'aggruppamento pluriareale. Tre aree più vaste possono distinguersi, grosso modo: a) atlantica; b) mediterranea centrale; c) mediterranea orientale. La prima (Occidente iberico, Francia nord-occidentale, territorî anglo-irlando-scandinavi) è caratterizzata dalla presenza di tutti i tipi dolmenici - genetici e derivati - con le contaminazioni delle false cupole, i grandiosi tumuli, gli addobbi decorativi. La seconda - il cui centro d'origine si è riconosciuto nella cultura neolitica sahariana - comprende i d. nordafricani dal Sudan al Marocco, i siro-palestinesi, i maltesi, i pugliesi, i laziali, i sardo-corsi, gli spagnoli orientali e, forse, anche quelli del S della Francia: le costruzioni appartengono a culture marinare, agricole e seminomadi; si presentano a ciclo abortivo nei territorî supposti d'origine, sviluppati in allées nelle zone d'espansione con meticciati architettonici con la tecnica a filari (tombe di giganti della Sardegna, navetas di Minorca, nelle quali è assente tuttavia, curiosamente, l'ibridismo della falsa cupola); sono distinti dal prevalere del gusto delle strutture a giorno (solari) e dall'assenza, o quasi, d'ornamentazioni e simboli. La terza area comprende la marina bulgara e russo-meridionale (Crimea); influenza il Caucaso e, forse, l'India (coste del Malabar). Isolato, finora, il fenomeno dolmenico della Corea, a meno che non si voglia collegare con i d. nordamericani.
La varietà geografica e tipologica, lo sviluppo icnografico e tecnico (da massi rozzi a lastre polite) dei d., indicano che essi non sono tutti d'una stessa epoca e che la loro costruzione, come il loro uso, durò molto a lungo. Il criterio della precedenza cronologica delle forme semplici sulle complesse è del tutto illusorio. Le recenti conclusioni cronologiche del Reygasse sui più elementari d. nordafricani appaiono sconsolanti, al riguardo: "i documenti archeologici raccolti nei diversi dolmens non sono mai anteriori al III sec. a. C., gli elementi più tardi appartengono al III sec. della nostra èra". Del resto, in nessuno dei d. dell'area mediterranea centrale (la più lenta nello sviluppo e che non ha mai raggiunto la complicanza dell'atlantica) si sono trovati oggetti caratteristicamente eneolitici, per non dire neolitici: invece, documenti delle età del Bronzo e del Ferro. I d. dell'area atlantica, per converso, attestano una progressione di momenti cronologici di cui taluni assai ben determinabili: il cosiddetto bicchiere campaniforme e la decorazione vascolare da esso derivata, l'oro, le pietre dure preziose (giada, giadeite, callaite), l'ambra significano commerci marittimi che soltanto la stabilizzazione di tribù neolitiche, avvenuta in tempi eneolitici nelle diverse regioni, trae con sé. L'adozione della tecnica ad aggetto, l'assimilazione e la contaminazione del gusto lineare ad angoli con quello curvilineo, l'ergersi di tumuli e l'affossarsi dell'architettura già a giorno, sono indici che il processo dolmenico durava, fiorente, anche nell'Età del Bronzo. Il III ed il II millennio a. C. dovettero essere caratterizzati, dalla costa andalusa al Mare del Nord, da una vivacità di scambi ideali e materiali non comune:. i d. ne sono parlanti testimoni.
Monumenti così grandiosi per la mole dei tumuli e per le dimensioni delle lastre (un lastrone del d. di Bagneux presso Saumur - Maine-et-Loire - misura m 7,50 × 7 di larghezza), con lunghe camere sotterranee avvolte di penombra e di mistero e riecheggianti passi e voci nei penetrali violati, con arcani segni scolpiti sui blocchi dei corridoi e all'esterno, non hanno mancato di suggestionare, già dall'antichità, la fantasia del popolo che ne ha tratto leggende e vi ha costruito superstizioni.
Case di fate o ricettacoli di streghe e del diavolo sarebbero i d.; o anche tombe, non di comuni mortali, ma di giganti o di eroi; oppure carnai di nemici uccisi. In qualche parte (O della Francia) si nutre ancora una specie di venerazione magica per i d., come per gli altri monumenti megalitici: residuo di antichi culti delle pietre, vietati in concilî ecclesiastici e da imperatori dal V all'VIII sec. d. C. Alcuni d. furono scelti per luoghi di culto romani (Mont Saint-Michel, Normandia) o adattati a cappelle cristiane (Plouaret, Côtes-du-Nord).
Nel sec. XVIII i celtomani della scuola di Cambry e di La Tour d'Auvergne fantasticarono di sacrifici cruenti sulle pietre dolmeniche trasformatesi, romanticamente, in are per sacerdoti gallici. Era invenzione erudita ed interpretazione astratta del monumento il cui carattere funebre aveva invece intuito ed espresso, anche se non in termini esatti, la favola popolare.


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