D: Parlaci di queste fantomatiche “rotte dei tonni”.
venerdì 11 dicembre 2015
Intervista a Pierluigi Montalbano su navigazione antica, nuragici e shardana, di Mauro Atzei
Intervista a Pierluigi Montalbano su navigazione
antica, nuragici e shardana.
Scrittore, studioso di
Archeologia e
direttore, da quattro anni, del “Quotidiano on-line di storia e archeologia”, questa sera, 11 Dicembre, alle 19, presenterai il tuo lavoro sui nuraghi in Via Fratelli Bandiera 100 a Cagliari/Pirri, e domani, sarai relatore alle 10 nella sala Search del comune di Cagliari, angolo Via Roma/Largo Carlo Felice, in un convegno sullo sviluppo del turismo a Cagliari. Negli ultimi mesi
l'associazione culturale cagliaritana Honebu, di cui sei fondatore, ha ospitato
e patrocinato una serie di pregevoli iniziative culturali sulla storia antica
della Sardegna. Vorrei, con te, approfondire alcuni aspetti degli argomenti che
più hanno suscitato interesse negli ultimi anni.
D: Nell'immaginario popolare
si pensa che gli antichi sardi non navigassero invece, come hai ampiamente
dimostrato, addirittura frequentavano con le loro imbarcazioni le acque del
Mare Mediterraneo, già dal neolitico. Quali dati archeologici disponiamo a
proposito?
“La ricerca archeologica,
soprattutto negli ultimi anni, ha sviluppato una serie di strumenti con i quali
si è riusciti ad analizzare l’ossidiana sarda e a ricostruire la via seguita
per diffondere questo pregiato materiale. Gli studi su aree e tecniche di
estrazione dell’ossidiana nel Neolitico, forniscono una quantità impressionante
di informazioni: quali erano le rotte di spostamento delle popolazioni
neolitiche, con che velocità si diffondevano tecniche e materiali, quali reti
di scambio esistevano, quali professioni specializzate, ad esempio gli intagliatori,
in che epoca si sono
costituiti solidi circuiti commerciali, da quando possiamo
parlare di consapevoli scambi culturali... insomma, si apre un mondo.
Nell’immediato dopoguerra,
Buchner e Radmilli, analizzarono le possibilità di lavorazione offerte dalle
varie ossidiane del Mediterraneo occidentale e arrivarono all’esatta
definizione dei giacimenti: Pantelleria, Lipari, Palmarola e presso Monte Arci
in Sardegna.
Qualche anno dopo, Puxeddu
compì un’indagine dettagliata della zona del Monte Arci e identificò 4
giacimenti, 11 centri di raccolta, 74 officine e 157 stazioni preistoriche,
stabilendo che il più importante centro irradiatore dell’ossidiana fu il Monte
Arci.
Da qui, il prezioso vetro
vulcanico si diffuse in tutta l’isola, varcò il mare e giunse nel continente
italiano.
Lilliu, nel 1957, scoprì che
l’isola di Santo Stefano nell’arcipelago della Maddalena, costituiva l’anello
di congiunzione tra la Sardegna e la Corsica, infatti, nei pressi della Cala di
Villamarina, in un riparo sotto roccia furono rinvenuti 200 oggetti litici, e
quelli di ossidiana costituiscono il 71% del totale, mentre gli altri sono di
quarzo, granito e porfido. Gli antichi frequentatori di Santo Stefano erano
dunque i corrieri del prezioso minerale dalla Sardegna alla Corsica, attraverso
le Bocche di Bonifacio, usando piroghe di legno identiche a quelle tuttora in
uso presso le popolazioni indigene di Fajoute, nel Senegal, o imbarcazioni
leggere di canne, simili ai fassoni con i quali i pescatori lavorano ancora
oggi negli stagni di Cabras, lungo la costa occidentale sarda, a pochi
chilometri in linea d’aria da Monte Arci.
Molta ossidiana sarda è stata
trovata in Provenza, in Liguria, Toscana, qualche traccia nella valle del Po,
ma ciò che sorprende è la presenza del pregiato materiale sardo in Bosnia,
Dalmazia centrale, Croazia, Trieste, Udine, Faenza, come se la distanza non
costituisse un problema per chi la commerciava. Un fenomeno importante nella
diffusione dell’ossidiana fu lo sviluppo della navigazione. Naturalmente
dobbiamo tener conto del diverso livello medio degli oceani alla fine
dell’ultima glaciazione, fino a 150 metri più basso del livello attuale. Ciò
comportò l’emersione di terre adesso sommerse. Le distanze delle isole dalla
terraferma erano brevi, pertanto abbiamo uno stretto legame con il primo
popolamento delle isole mediterranee. E’ noto che l’acqua è sempre stata un
asse di circolazione privilegiato. Il desiderio o la necessità di spostarsi
sulla superficie dell’acqua devono essere sempre stati al centro dei pensieri
degli uomini, se non altro per pescare o cacciare gli animali acquatici.
Muoversi rapidamente e a lungo nell’acqua deve aver costituito uno stimolo
irrefrenabile nel cercare mezzi alternativi al nuoto, molto più lento e
faticoso.
Le prime imbarcazioni furono
tronchi d’albero scavati, ceste realizzate con rami e pelli e dotate di otri
gonfi d’aria, antenati dei nostri gommoni, ma tali mezzi erano lenti, poco
governabili e poco stabili. Si passò quindi alla zattera di tronchi legati tra
di loro, più stabile e adatta a trasportare dei navigatori. Il concatenamento
di più elementi in legno per mezzo di corde e di incastri, e l’escavazione di
un tronco con l’ascia sono le due tecniche più antiche nell’arte delle
costruzioni navali. Le più antiche imbarcazioni conservate sono delle piroghe
monossili scavate in tronchi d’albero. I primi battelli egizi, mesopotamici e
africani furono realizzati con fasci di papiro. Recentemente nel villaggio
neolitico della Marmotta, nel Lago di Bracciano, non lontano da Roma, è stata
trovata una piroga in ottimo stato lunga oltre 10 m ricavata da un unico tronco
di quercia-rovere del diametro di 1,30 m risalente a 8000 anni fa.
Certamente in quell’epoca le
popolazioni rivierasche erano già in grado di organizzare esplorazioni
marittime verso le isole visibili dalla terraferma utilizzando mezzi e tecniche
affidabili, e sfruttando le correnti marine di superficie e forse anche con
l’ausilio di vele e di remi. Poi fu l’epoca delle navi cucite: si realizzava il
fasciame e poi si legavano le travi con fibre vegetali. Infine si giunse alla
tecnica di tenoni e mortase, ossia inserendo dei giunti nello spessore delle
travi cosi da realizzare degli incastri.
D: I sardi dell'età del bronzo
navigavano solo a vista?
"Nel II Millennio a.C.,
la navigazione d’altura, non a vista di costa, era praticata su larga scala in
tutto il bacino del Mediterraneo. Già i minoici di Creta, e poi i micenei,
avevano sviluppato tecniche navali e di orientamento, diurno e notturno, con le
quali riuscirono a soggiogare gli altri popoli costieri imponendo una
talassocrazia, ossia la gestione dei traffici commerciali attraverso il potere
marittimo esercitato con potenti flotte.
Si arricchirono e
contribuirono a diffondere idee, tecnologie e merci, fino a quando i due grandi
imperi del passato, egizi e ittiti, decisero di scendere in guerra per
procurarsi con la forza ciò di cui avevano bisogno, soprattutto metalli. La
navigazione sotto costa, pur se più comoda per la possibilità di approvvigionamento
idrico, era praticata malvolentieri perché era soggetta a dazi doganali.
Ogni città costiera imponeva
tasse a chi transitava a vista. Inoltre c’erano flotte di pirati che
imperversavano nel Mediterraneo, e ciò costituiva un perenne pericolo per i
naviganti. La Sardegna, con i suoi giacimenti di rame e argento, era una delle
mete preferite dei commercianti e certamente, con i suoi 8000 nuraghi posti a
controllo capillare del territorio, non poteva essere estranea ai traffici
marittimi.
Circa 1000 nuraghi costieri
costituivano un potente deterrente per eventuali nemici, pertanto è verosimile
che nei villaggi costieri fosse sempre presente un approdo in grado di
soddisfare la domanda dei naviganti, con conseguente acquisizione delle
tecniche marinaresche. I sardi poterono sempre contare sul confronto con chi
possedeva tecnologie all’avanguardia poiché i porti sono l’interfaccia
privilegiata di popoli distanti che si incontrano."
D: Parlaci di queste fantomatiche “rotte dei tonni”.
D: Parlaci di queste fantomatiche “rotte dei tonni”.
"Le imbarcazioni non
lasciano tracce sul mare, e per capire quali rotte praticavano i marinai preistorici
ho studiato il percorso che i tonni, i pregiati pesci del Mediterraneo, seguono
dallo Stretto di Gibilterra fino alle coste del Vicino Oriente e ritorno.
E’ un ciclo antiorario che percorre le coste nord africane fino all’Egitto per
poi risalire lungo i territori cananei, girare sopra Cipro, l’altra isola del
rame oltre la Sardegna, e giungere nelle isole dell’Egeo. Da lì possono
risalire verso il Mar Nero attraverso lo stretto dei Dardanelli, con correnti
favorevoli solo per pochi giorni ogni mese, oppure procedere verso lo Stretto
di Messina, famoso proprio per le sue tonnare.
A quel punto procedono verso
nord, lungo le coste campane, laziali e toscane, per giungere in Liguria e poi
nel Golfo del Leone. Due correnti favorevoli li portano giù in Sardegna e
infine, se passano indenni le nostre tonnare, fuoriescono dal Mediterraneo
procedendo lungo la costa andalusa."
D: Perchè un rapporto così
stretto tra Nuragici e Micenei, solo perché erano genti dello stesso tempo?
"Erano due potenze
straordinarie che non entrarono in conflitto. Le ricche miniere sarde, e la
possibilità di ospitare amichevolmente i Re micenei e i loro inviati,
favorirono pacifici rapporti con vantaggi reciproci, come è testimoniato, ad
esempio, nel Nuraghe Arrubiu di Orroli, un edificio alto 27 metri, con tre
torri sovrapposte, che mostra chiari segni di un rito di fondazione condiviso
fra le due etnie."
D: Dei Micenei ad un certo
punto si è persa traccia, è successo lo stesso con i Nuragici come sostengono
alcuni?
“I micenei furono travolti
dalle note vicende dei Popoli del Mare verso la fine del XIII a.C. con la
distruzione delle città e il rovesciamento dell’organizzazione politica,
militare, economica e sociale degli imperi allora più in vista, egizi compresi.
In Sardegna, invece, la
civiltà nuragica continua senza apparenti cesure la sua vita quotidiana. Solo
due secoli più tardi si notano alcune novità: cambia il rituale funerario e non
si costruiscono più Tombe di Giganti, preferendo le tombe singole a pozzetto,
come quelle di Monte Prama; non si costruiscono più nuraghi, inizia la fase
della grande statuaria in pietra e delle piccole sculture in bronzo che
mostrano uno spaccato realistico dell’organizzazione sarda, e avviene una
modifica sostanziale nel piano urbanistico dei villaggi: si demoliscono una
serie di capanne per far posto a una piazza pubblica nella quale svolgere il
mercato.
I nuragici, dunque, mantengono
saldo il controllo del territorio consentendo l’integrazione pacifica dei
mercanti stranieri che, nel giro di qualche generazione, diventano sardi a
tutti gli effetti.”
D: Una delle navi più antiche
del Mar Mediterraneo, rinvenuta in ottimo stato di conservazione è una barca
egizia. Nella tua conferenza hai sostenuto però che gli antichi egizi non
navigavano per mare.
"In effetti la nave di
Cheope, del 2550 a.C., pur essendo simbolica, ossia voluta dal faraone per il
suo viaggio nell’aldilà, era a tutti gli effetti una imbarcazione con regolari
requisiti di navigabilità lungo i fiumi. Presenta il fondo piatto e non ha le
caratteristiche delle navi in grado di affrontare in dorso d’onda una
navigazione d’altura.
Pur essendo lunga 40 metri si
sarebbe frantumata alla prima mareggiata. Gli egizi avevano necessità di barche
capienti, in grado di affrontare il Nilo per trasportare materiali, bestiame e
uomini. Più tardi, realizzarono anche barche adatte alle traversate marittime,
diverse da quella di Cheope, ad esempio quelle della flotta della Regina
Hatshepsut che, intorno al 1500 a.C., giunse fino alle coste etiopi per
acquistare avorio, animali esotici e incenso.
Gli egizi non navigavano nel
Mediterraneo perché si accordarono con i minoici per ottenere, acquistandolo,
tutto il necessario di cui avevano bisogno. Tuttavia, a partire proprio dal
1500 a.C., una serie di faraoni guerrieri decise di cambiare questo stato di
cose armando pesantemente l’esercito e prendendo con la forza tutti i materiali
occorrenti. Inoltre, imposero alti tributi alle città che volevano mantenere
l’indipendenza."
D: Quali erano i rapporti tra
gli Egiziani e i Nuragici nell'età del bronzo?
"Penso che i nuragici
avessero al loro interno una serie di guerrieri che, in certe occasioni, furono
chiamati a combattere come mercenari nel Vicino Oriente.
Se, come penso, gli Sherden
sono questo braccio armato, devo dire che i rapporti furono di reciproco
rispetto e di collaborazione. Vediamo gli Sherden combattere al fianco del
faraone Ramesse II, in qualità di guardia personale e di fanteria pesante.
Inoltre, ciò sarebbe una
conferma indiretta del motivo per il quale Ramesse III, un secolo più tardi,
riuscì a fermare nel Delta del Nilo l’avanzata dei Popoli del Mare, con
un’epica battaglia navale che con enfasi fece scolpire nei suoi templi.
Tuttavia, sappiamo bene come
funzionavano i proclami propagandistici dei sovrani dell’epoca. In realtà fu una
disfatta, ma Ramesse III, in virtù del rispetto e degli accordi fra gli Sherden
ormai integrati da generazioni nelle fila egizie e gli Sherden combattenti dei
Popoli del Mare, che nei bassorilievi e negli scritti mai compaiono nemici fra
loro, riuscì a mantenere parte dei suoi possedimenti concedendo tutte le
provincie settentrionali dell’ormai ex impero egizio."
D: Perchè le teorie del Prof.
Ugas sugli Sherden, che lui identifica con il popolo nuragico, non riscuotono
successo tra i maggiori accademici sardi?
"Non saprei, forse ha
approfondito delle questioni che sfuggono ai ricercatori sardi. C’è da dire che
è un profondo conoscitore della civiltà nuragica e ha avuto modo di effettuare
degli scavi nel Vicino Oriente nei quali ha individuato ceramica nuragica.
Inoltre, tracce evidenti delle capacità architettoniche dei nuragici sono
presenti in Bulgaria, Turchia, Micene, Tirinto."
D: Che idea ti sei fatto circa
le ultime polemiche scaturite dall'utilizzo di una ruspa per effettuare i nuovi
scavi nel sito di Monte 'e Prama, a Cabras?
"E’ una brutta storia, e
sono certo che lascerà strascichi in futuro perché si è perso il senso di ciò
che viene insegnato all’Università: il metodo scientifico.
Che fretta c’era di tirar
fuori i reperti? L’archeologia contemporanea offre tanti strumenti per lavorare
bene in questo campo, e la ruspa non fa parte di questi. Le giustificazioni dei
responsabili non sono convincenti, e stravolgono il concetto di tutela.
C’è, poi, una contraddizione
evidente: se asportavano lo strato inerte lasciato a chiusura del vecchio
scavo, come è possibile che ci fosse una testa? L’ha dimenticata lì il
precedente direttore dello scavo?"
D: Tu sei un infaticabile
esploratore della Sardegna. Che cosa nascondono ancora il sottosuolo e il
territorio sardo che i profani non possono neppure immaginare?
"Ci sono tante emergenze
archeologiche ancora inesplorate. Proprio in questo periodo, coadiuvato dagli
amici del luogo, sto lavorando alla ricognizione di un sito in Ogliastra, Gairo
Taquisara, a quasi 1000 metri d’altezza, nel quale è stata individuata una
città nuragica fortificata dotata di fonte, nuraghe polilobato, decine di
capanne abitative, un quartiere artigianale, una necropoli con tombe di giganti
e altre strutture, e a qualche centinaio di metri, in vetta, ci sono tracce
evidenti di un santuario dedicato alle divinità dei cieli, con ripostigli e
presenza di ceramiche votive. Sarebbe meglio lasciarla così, misteriosa e
affascinante, una Machu Pichu sarda di 3500 anni fa, ma la ricerca non può
essere privata di questi materiali. Nei prossimi mesi sapremo qualcosa di
più."
Nell'immagine: una capanna-ripostiglio in vetta, a Gairo Taquisara.
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