mercoledì 23 novembre 2011
Le rotonde nuragiche - Pierluigi Montalbano
Le rotonde nuragiche, governo e religiosità si incontrano
di Pierluigi Montalbano
Intervento in occasione del convegno su Santa Vittoria di Serri del 29 Ottobre 2011
In assenza di scrittura, ciò che si conosce oggi sulla cultura nuragica si deve agli studi effettuati sui monumenti (nuraghi, villaggi, santuari, tombe) e sui ritrovamenti dei manufatti venuti alla luce durante gli scavi. Molti oggetti realizzati con materiali organici come legno, sughero, paglia, lana e cuoio sono andati perduti per via della loro deperibilità, ma anche una quantità indeterminabile di oggetti realizzati in metallo e vetro non sono arrivati fino a noi perché sono stati riutilizzati dopo un semplice processo di fusione.
Fra gli edifici, i più semplici sono le capanne, il cui utilizzo sprofonda nel Neolitico. La tipica capanna nuragica ha pianta circolare o ellittica e struttura portante in pietra costituita da una muratura di base di circa due metri sormontata da una copertura in materiali deperibili (legno, canne, paglia), o in pietra. La forma originaria era simile a strutture ancora oggi esistenti nella loro integrità: si tratta delle pinnettas, rifugio temporaneo e deposito degli attrezzi di pastori e agricoltori.
Nella prima metà del II Millennio a.C. si assiste a un cambiamento del paesaggio archeologico sardo. I primi nuraghi a corridoio, inquadrabili cronologicamente a partire dall’inizio del XVII a.C., sono caratterizzati da una planimetria irregolare, da una massa muraria decisamente prevalente rispetto agli angusti spazi interni, e da camere con un profilo ellittico. A partire dal XIV a.C. l’architettura sarda acquisisce un’idea costruttiva che mira ad aumentare gli spazi fruibili delle strutture: compaiono nuraghi con torre tronco-conica. All'interno ospitano una o più camere sovrapposte, coperte da una volta realizzata con la tecnica ad aggetto.
Il Bruncu Madugui è un nuraghe a corridoio di notevole mole, con planimetria irregolare. Come si nota nell’immagine, la sua altezza è di circa 4,50 m. L'ingresso immette direttamente in una scala (a) sulla quale si affaccia, a destra, una piccola nicchia (b). Proseguendo, la scala introduce in un andito che dà accesso a due camere di pianta circolare, una a sinistra e una sul fondo.
Abbiamo anche nuraghi a tancato, nei quali alla torre principale viene aggiunta un'altra torre ed entrambe condividono un cortile, spesso fornito di un pozzo. In momenti successivi vengono aggiunte altre torri collegando il tutto con dei muraglioni. Si giunge alla metà del XIV a.C. quando le architetture nuragiche sono interessate ad un fenomeno di perfetta circolarità delle camere e tholos ogivali che misurano fino a 8/9 metri di altezza. Anche le grandi pietre utilizzate mostrano la ricerca della regolarità geometrica arrivando, in alcuni casi, ad essere lavorate in simmetria e isodomia. Alcuni nuraghi a corridoio sono trasformati in complessi palaziali a più torri sovrapposte raccordate da bastioni, ma nel passaggio dal Bronzo al Ferro, ossia intorno al 1000 a.C., nasce un nuovo tipo architettonico abitativo a isolati che tende verso forme di aggregazione protourbana.
Il baricentro della comunità nuragica si sposta dal nuraghe al villaggio, e le case si dispongono spesso a ridosso o sopra i resti delle cinte antemurali dei nuraghi crollati. Gli isolati sono formati da più ambienti, da 6 a 8, disposti a corona intorno alla corte centrale. I vani, caratterizzati da tetti lignei, sono costruiti con pietre di media e piccola pezzatura. In molti villaggi sono frequenti i pozzi idrici, e si notano canalette per il deflusso dell’acqua e condotte idriche che raccolgono e convogliano le acque sorgive. In alcuni casi, come a Santa Vittoria, Barumini e Dorgali, compaiono viottoli lastricati.
I segni che testimoniano uno status di villaggio che tende verso la polis sono vari: Templi o santuari, resti di nuraghi, capanne e grandi sale comuni per gli incontri dei rappresentanti politici e religiosi della comunità. Queste grandi sale certificano una maggiore articolazione delle attività. Questi piccoli villaggi mostrano una struttura con planimetria complessa che parte da una aggregazione di più capanne circolari, raccordate da muri retti o curvilinei, intorno ad uno spazio centrale, e arriva ad una sorta di gruppi di domus chiuse in se stesse, formate da tanti piccoli vani che si affacciano sul cortile centrale.
Non è chiaro se questa divisione degli spazi coincida con una ripartizione degli ambienti all'interno di un’unica famiglia per classi di età o sulla base del sesso, o con funzione diversa: zona notte, cucina, dispensa, magazzino, laboratorio...
Esistono poi capanne nuragiche che per il loro aspetto denotano funzioni differenti da quelle private: si tratta di grandi capanne circolari con particolari arredi, tali da farne ipotizzare un uso comunitario, politico o religioso. Sono convenzionalmente denominate curie o capanne delle riunioni. In questi luoghi venivano prese le decisioni sulla giustizia, sull’amministrazione degli affari, e sulla politica comunitaria. Analizziamo alcune di queste grandi capanne.
A Barumini, una delle rotonde più significative del villaggio nuragico (risalenti al passaggio dal bronzo al ferro) è la capanna 80. Si tratta di un vasto edificio circolare che presenta lungo il perimetro interno un sedile, e nelle pareti 5 nicchie. All’interno della capanna sono stati trovati vari elementi riconducibili all’area sacra e rituale.
All’inizio del Ferro Su Nuraxi andò quasi interamente distrutto e sulle rovine, intorno al 700 a.C., venne costruito un nuovo agglomerato, che sviluppò finezze tecniche e forme di arredo urbano proprie di una società che andava rinnovandosi e progredendo. È il momento della fusione dei nuragici con quei commercianti levantini che già da qualche secolo stimolavano con nuovi stili il modo di vivere delle comunità costiere.
L’ambiente più significativo è una piccola “rotonda” dotata di un basso sedile e un bacile centrale che serviva per contenere dell’acqua. A mio parere la struttura era utilizzata come capanna sudatoria o per la pratica di riti lustrali legati al culto delle acque.
A Santa Cristina, tra i resti del villaggio nuragico, il monumento principale è il pozzo sacro in basalto, dedicato al culto delle acque, l'esempio più mirabile dell’architettura religiosa preistorica nell'isola. All'esterno ha un recinto ellittico in pietra di 500 mq (26x20). La scala di 25 gradini è a sezione trapezoidale. La cella ha una pianta circolare del diametro di 2,5 metri e un altezza di sette metri. Il pavimento è stato ottenuto spianando la roccia viva e al centro si trova la vasca circolare.
L'acqua che filtra dalle pareti raggiunge ancora oggi il primo gradino della scala. Accanto al pozzo sacro, ossia nella zona più importante del villaggio, troviamo la grande capanna delle riunioni, dotata di sedili in pietra per accogliere i partecipanti alle riunioni. La sala ha un diametro di 10 metri e un elevato residuo di 1,70 m. L’interno presenta un pavimento in ciottoli e un sedile che corre lungo tutta la circonferenza. Non si ha notizia dei ritrovamenti, ma le grandi dimensioni e la presenza del sedile a parete portano a compararla con le altre Capanne delle riunioni presenti a Barumini, Palmavera-Alghero, Santa Vittoria di Serri, Santa Anastasia-Sardara dove sono stati rinvenuti materiali di pregio e elementi di culto.
Ad Alghero, nel nuraghe Palmavera, la Capanna delle Riunioni, è costruita a Sud-Ovest del bastione e inclusa successivamente nel tracciato dell’antemurale. È l’ambiente più vasto dell’intero complesso.
Il diametro esterno misura 11,50 m, mentre quello interno risulta di quasi 9 m. Durante gli interventi del 1962, questa capanna risultava completamente ostruita dal crollo che fu asportato per una profondità variabile da 1 metro, lungo le pareti, a mezzo metro nell’area centrale. Gli scavi del 1976 hanno restituito significativi elementi culturali che confermano la destinazione pubblica: un bancone-sedile che segue il profilo circolare della capanna; una vasca delimitata da lastre ortostatiche; un piccolo nuraghe e un trono in arenaria. L’ingresso a gradini, volto a Sud-Est, introduce all’interno della capanna il cui pavimento risulta ribassato (m 0,60) rispetto al piano di calpestio esterno. La porta è delimitata da due lastroni ortostatici disposti obliquamente con la funzione di proteggere, sia a sinistra che a destra, il bancone-sedile.
Attualmente si contano 36 sedili in arenaria che corrono lungo la parete del vano, ad eccezione del tratto occupato dalla “vasca” e dal seggio. Una lacuna è visibile subito dopo l’ingresso. Si può calcolare che i sedili rimossi siano 7, per cui il numero complessivo diventa di 43. Vicino alla nicchia è presente una vasca costituita da lastroni ortostatici. II trono era fra i sedili a parete e la vasca alla quale era unito da una piccola lastra. Il piccolo nuraghe fu scoperto nel livello inferiore dello strato di crollo, a contatto con il pavimento, in prossimità del focolare.
Negli scavi del 1976 fu portata alla luce, al centro della capanna, una base circolare che per lo spessore della cenere venne interpretata come un focolare. L’anno successivo si rinvennero sotto uno spesso strato di cenere, fittili, resti di pasto e un troncone di pilastrino corrispondente con quello di base del piccolo nuraghe rinvenuto l’anno precedente che viene così ad avere una altezza complessiva di circa 1 m. Altri di questi piccoli nuraghi sono testimoniati in vari siti dell’isola.
Lo scavo ha accertato che quando venne costruita la Capanna delle Riunioni si dovettero demolire strutture abitative preesistenti. Si normalizzò il terreno con piccole pietre e si realizzò il piano pavimentale della “Curia” con un sottile strato di malta bianca ottenuta con il disfacimento della pietra calcarea. Appena al di sotto di questo battuto pavimentale, è stata messa in luce parte di una capanna più antica, forse coeva al mastio, demolita proprio in occasione della costruzione della Capanna delle Riunioni. Lo studio dei resti faunistici rinvenuti, condotto da Fedele, ha rivelato varie categorie di animali: pecore e capre adulte e neonate, maiali adulti, porcellini e bovini adulti. Il “focolare” ha restituito anche i resti di un piccolo erbivoro, una zanna di cinghiale e patelle. Per le specie selvatiche abbiamo cervo, daino, muflone, lepre (o coniglio), ghiro sardo e uccelli. I selvatici di raccolta e pesca comprendono pesci e una grande varietà di molluschi marini: patelle, pinna nobilis, gasteropodi a grande conchiglia (murici) e piccoli gasteropodi di spiaggia. È presente anche un frammento di corallo. Analisi di idratazione dell’ossidiana effettuate dall’Università della Pennsylvania su un nucleo di ossidiana rinvenuto fra un sedile e la parete, ha fornito la datazione 900 a.C. Una cronologia coerente con i dati emersi nel corso dell’indagine. Infatti, al IX a.C. indirizzano i materiali fittili con decorazione geometrica. Inoltre, lo stretto legame formale fra il seggio di Palmavera e un modellino di sgabello bronzeo, di fattura nuragica, proveniente dalla tomba villanoviana di Cavalupo (il cui corredo conteneva anche due bronzi sardi) è riferito alla seconda metà del IX a.C., e costituisce una prova importante per datare l’impianto dell’edificio.La vicenda storica di questa capanna si conclude alla fine dell’VIlI a.C. a causa di un violento incendio che la distrusse e di cui restano vistose tracce di ceneri.
Per esaminare nel dettaglio l’aspetto di una capanna nuragica semplice possiamo avvalerci dell'esempio fornitoci dal vano F del villaggio di S'Urbale a Teti (NU) distrutto da un incendio nel IX a.C.
La sala ha pianta circolare con un diametro esterno di oltre 7m e uno spessore di quasi un metro. La struttura poggia sul piano di roccia granitica che per la sua disomogeneità i nuragici tentarono di livellare. L’ingresso, rivolto verso sud / sud-est, come quasi tutti i nuraghi, è al riparo dai venti freddi del nord e offre la migliore esposizione al sole. È orientato proprio come oggi gli esperti orientano i pannelli fotovoltaici per una maggiore resa.
Ad attrezzare lo spazio interno troviamo una grande lastra di granito vicina all’ingresso usata come piano d’appoggio e un piccolo ripostiglio ricavato sempre con lastre di granito infisse verticalmente nel battuto pavimentale; questi piani d’appoggio servivano come basi per la preparazione degli alimenti mentre i ripostigli sul piano del pavimento contenevano gli attrezzi da lavoro o le materie prime da destinare alle produzioni artigianali. Nello specifico il ripostiglio ha restituito strumenti per la filatura e la tessitura (fusaiole, rocchetti e pesi da telaio), alcuni affilatoi, una pintadera, una piccola accetta in pietra, attrezzi per la macinazione dei cereali e una riserva d’argilla grezza destinata alla produzione di recipienti ceramici. Come la maggior parte delle capanne nuragiche il vano F di S’Urbale aveva un focolare al centro dell'ambiente. Al fine di isolare meglio l’interno della sala gli interstizi tra le pietre del muro vennero riempiti dai nuragici con pezzi di sughero coprendo poi il tutto con un vero e proprio intonaco d'argilla. Sempre in argilla era realizzato il piano pavimentale ed il rivestimento interno della copertura lignea di pali e frasche; quest’ultimo, in seguito alla distruzione della capanna a causa di un incendio, venne recuperato in pezzi a contatto col pavimento. Nell’argilla indurita per effetto del fuoco sono ben evidenti le impronte degli elementi lignei costituenti la copertura della capanna.
Seppure non hanno lasciato una traccia materiale dobbiamo immaginare anche all’interno della capanna F di S’Urbale, come del resto in tutti i villaggi nuragici, tutta una serie di oggetti realizzati in materiali deperibili: tappeti di lana, stuoie di giunco o d'asfodelo, sgabelli di legno o ferula o sughero, cassapanche e ripiani di legno.
Gli scavi degli ultimi 10 anni a Florinas hanno consentito di precisare l’uso cultuale delle grandi Rotonde, edificate o rifasciate con blocchi perfettamente squadrati e sagomati per adattarsi al profilo. Oltre all’opera muraria di tipo isodomo e alla planimetria circolare, questi edifici presentano un’altra peculiarità data dall’assenza di spazi sotterranei (per esempio la canna di un pozzo) e del collegamento ad una sorgente: tuttavia, il rinvenimento in alcuni di essi di canalette, lascia ipotizzare che vi praticassero comunque riti lustrali o libagioni. Generalmente questi edifici non sono collegati ad altri corpi di fabbrica ad eccezione di un atrio, non sempre attestato. Buona parte delle “Rotonde” sono ubicate nella Sardegna nord occidentale: due sono state messe in luce in ambedue i villaggi-santuario di Florinas (Punta Unossi e Giorrè), una nell’area sacra di Serra Niedda-Sorso e in quella di Nughedu San Nicolò. Altri tre sono stati identificati nel nuorese: Sa Carcaredda-Villagrande Strisaili, Gremanu-Fonni, Corona Arrubia-Genoni. A queste si aggiunge la Rotonda di Su Monte di Sorradile, un complesso nuragico di valenza cultuale, nel quale scavi recenti hanno dimostrato che l’edificio principale non si inquadra fra i templi a pozzo bensì in quello delle “Rotonde”. Si ritiene che i villaggi-santuario costituissero un punto di riferimento per una vasta area territoriale, aspetto che appare confermato in quanto sulla base dell’indagine di superficie non si riscontrano tracce di edifici di valenza cultuale per un ampio raggio, benché la densità di altre tipologie di monumenti nuragici (nuraghi e tombe di giganti) sia notevole.
A Santa Vittoria Serri, l’estremo edificio orientale del Santuario, la Curia, fu uno dei primi ad essere rimesso in luce nella campagna di scavi del 1909. Nello scavo si evidenziarono grossi massi basaltici non lavorati e lastre calcaree, in parte recuperate dai romani per le proprie sepolture. Si mise in luce un edificio, a pianta circolare di 11 m di diametro interno (14 m diametro esterno), costruito a filari di blocchi in basalto con zeppe di piccole pietre. Il vasto ambiente presenta un unico ingresso, rivolto a S/SE. È dotato di una soglia, costituita da blocchi basaltici giustapposti. Sul pavimento, in ciottoli basaltici, era steso un battuto compatto di argilla nera. Lungo tutto il perimetro interno del vano corre un sedile in blocchi di calcare (ad eccezione dell’estremità sinistra dello zoccolo che presenta blocchi in basalto) capace di una cinquantina di posti. In corrispondenza di questa zoccolatura a 3 m dal pavimento sono infisse obliquamente verso l’alto, nella parete interna del muro, una serie di lastre bianche di calcare che, originariamente, insieme alle altre riutilizzate per le tombe romane o cadute, formavano una sorta di baldacchino per gli individui seduti nei seggi di pietra. Vi è da osservare la presenza di 5 nicchie da porre in rapporto con la conservazione di oggetti legati a pratiche rituali.
Nella nicchia maggiore, vicina all’ingresso, è inserita una vaschetta in calcare, rinvenuta colma di terriccio nero ricco di sostanze carboniose, che suggerì l’idea di una fossa destinata ad accogliere le ceneri dei sacrifici. Davanti a questa vaschetta si rinvenne uno dei piccoli nuraghi in calcare che gli archeologi hanno scavato nelle altre capanne delle riunioni sparse nell’isola. L’ultimo elemento liturgico della Curia è una vasca in trachite, posta a sinistra della porta d’ingresso, nello spazio lasciato libero dal sedile. Intorno all’altare e al piccolo nuraghe, per circa 2 metri e uno spessore di 40 cm si stendeva il banco di ceneri con i resti di sacrifici animali (bovini, capre e cinghiali) e del vasellame in frantumi sia di produzione locale (tegami, ollette a collo rovescio e ziri con robuste grappe in piombo di restauro) sia di importazione, interpretabili come corredo vascolare per cerimonie religiose. Nella sala gli archeologi hanno scavato anche vari manufatti in bronzo: figurine di animali (toro, vacca, cinghiale e capro accovacciato, corrispondenti con gli animali realmente sacrificati). C’erano anche navicelle ridotte in frammenti, prue a forma di protome taurina, alberi (nuraghi stilizzati) con anello sormontato da colombella, un modellino di cesta in vimini con due anse. Completano il quadro dei bronzi una serie di oggetti d’uso: spilloni, un pugnaletto, una lima, numerosi vasi in lamina di bronzo e un torciere cipriota della fine dell’VIII a.C. simile agli esemplari di quello rinvenuto nel villaggio nuragico di S’Uraki a San Vero Milis, di quello proveniente dal ripostiglio di Tadasuni, dalla necropoli fenicia di Bithia, da Othoca, da Caere in Etruria, da varie località dell’Iberia, della Grecia, di Cipro e del Vicino Oriente. Lo scavo dimostrò che l’edificio subì una violenta distruzione intorno al 300 a.C.
Lilliu, correttamente, scrisse che nella Curia di Santa Vittoria di Serri la presenza del sedile anulare e degli arredi liturgici testimoniano una capanna delle Assemblee federali, lontana dal rumore del complesso architettonico destinato alle feste, edificato nella pace del bosco. Nel Parlamento di Serri convenivano i signori delle comunità nuragiche dei territori circostanti la giara di S. Vittoria. Si discutevano alleanze, si giuravano i patti e gli accordi venivano suggellati da una sacra cerimonia che comprendeva sacrifici di animali e libagioni, ossia offerte di liquidi. Le statuine zoomorfe in bronzo costituiscono un perfetto elemento di prestigio integrato nelle assemblee, che potevano svolgersi anche di notte come sembrerebbe dedursi dal torciere e dalle navicelle bronzee che, in particolari rituali, possono essere utilizzate come prestigiosi elementi liturgici da porsi in relazione a norme che richiedevano una ‘fiamma ardente, simbolo di luce e di splendore divino.
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Buonasera, non ho trovato le fonti delle immagini, sarei interessato ad alcune di queste. Grazie.
RispondiEliminaLa fonte secondaria è il "Convegno di studi su Santa Vittoria di Serri" del 29/10/2011.
RispondiEliminaLa maggior parte sono scatti personali o materiale disponibile in rete ma se fosse interessato ad una immagine in particolare mandi una mail a pierlu.mont@libero.it e le darò tutte le informazioni in merito per trovare la fonte primaria.
Altre provengono da articoli già presenti in questo quotidiano on line, in particolare quelli sulle statue di Monte Prama ad opera di Carlo Tronchetti (29.10.2010)e quello di Maria Pina Derudas sul complesso archeologico di Punta Unossi (27.10.2010)