venerdì 4 novembre 2011
Il I Ferro in Sardegna - 2° parte di 3 (Giovanni Ugas)
Fasi e facies archeologiche
La cronologia, la terminologia e la scansione in fasi del I Ferro sardo hanno come paradigmi i quadri archeologici della Grecia e della penisola italiana e in particolar modo dell’area etrusco-laziale (Ugas 1998a, p. 259, s). In linea di massima l’esordio della prima età del Ferro nell’isola coincide con il tradizionale inizio del Villanoviano che cade intorno al 900-850 a.C., salvo correttivi dendrocronologici che la riporterebbero indietro a circa il 1020 a.C. (Bartoloni G. 2004, p. 110), mentre il suo ciclo si fa chiudere con l’occupazione cartaginese delle piane della Sardegna, intorno al 510 a.C. suggellata dal primo accordo tra Roma e Cartagine (Polibio, Storie II, 22,1), data prossima a quella del 480 che in Grecia chiude la fase arcaica e inizia quella classica. Le ricerche dell’ultimo venticinquennio in Sardegna e in Etruria consentono di formulare una proposta di ripartizione in due fasi del Geometrico sardo, in sintonia col Villanoviano e col Geometrico antico e medio della Grecia. Per le scansioni dei momenti successivi del I Ferro sardo si è tenuto conto soprattutto dei lavori di Ugas 1986 e 1998, di Lilliu 1988 e 1997 e di Contu 1997. Le fasi archeologiche del I Ferro sardo sono le seguenti: Geometrico, 900/850-725 a.C. ripartito in due sottofasi, Geometrico I e II; Orientalizzante, 725-600 a.C., suddiviso in antico e medio-evoluto; Arcaico, 600-510 a. C. (Tab. I). Qui appresso è presentato un quadro, forzatamente
schematico, degli elementi più significativi che connotano le diverse facies archeologiche del I ferro sardo, privilegiando i dati relativi ai manufatti provenienti da contesti accertati.
Il periodo Geometrico (900/850-730 a.C.)
1 Geometrico I
Il contesto di riferimento è quello di Genna Maria di Villanovaforru, vano 17 (Badas 1987, p. 140, tav. II). A ragione di ciò sembra opportuno definire questa fase come Genna Maria I. Contribuiscono a comporre il quadro dell’aspetto di Genna Maria I anche i contesti di Sant’Anastasia, capanna1, US 4 (Ugas e Usai 1987, tav. II, 1-3), capanna 5 US 4b (Ugas e Usai 1987, tav. II); Monte Zara capanna 46, US 4c (Ugas 2001); sepolcreto a pozzetti di Antas in Fluminimaggiore (Ugas e Lucia 1987). Nella ceramica di questa facies, la decorazione si limita a motivi simbolici in rilievo (barretta betilica, crescente lunare, disco, forcella, pugnale a elsa gammata), su ciotole carenate a spalla rigida, a isolate fasce orizzontali impresse a stecca sulla spalla delle brocchette askoidi, e a grossi punti impressi sulle anse a bastoncello schiacciato inferiormente dei vasi potori. Le forme fittili tipiche e/o dominanti sono: brocche con bocca a taglio obliquo e corpo che tende al globulare; scodelline a calotta sferica; anfore ad alto collo con ansa a gomito rovescio; scodelloni lenticolari biansati, ciotole decoro di simboli in rilevo, attingitoi a scodella a calotta; coppe da cottura a fondo convesso; caldaie con anse a nastro, sulla spalla svasata; tegame biansato a spalla convessa; olle con labbro ingrossato; doli a labbro ingrossato triangolare con grandi prese a x; fiasche piano convesse a due anelli; lucerne monolicni cuoriformi a spalla semplice o a piattello Altri manufatti emblematici: i bronzi figurati della fase II Lilliu (1997), es. da Antas (Ugas e Lucia 1987, tav. V), e le lucerne in bronzo monolicni cuoriformi con protome zoomorfa, come quelle di Abbasanta, Baunei (?) (Lilliu 1966, nn. 270, 191; Gras 1980, p. 536, s), Su Benatzu di Santadi (Lo Schiavo e Usai 1995, fig.17).
2 Geometrico II
Il contesto guida di questa sottofase è quello di Genna Maria, vani 11, 12 (Badas 1987, tav. II A, IV), definito Genna Maria II per distinguerlo dal precedente. Tra gli altri contesti rivelatori di questa facies vanno tenuti in considerazione, in primo luogo, quelli di Barumini, capanna 135 fase D (Lilliu 1955, p. 457; 1982, fig. 153 a sin.) e del sepolcreto a pozzetti, cippi-nuraghi e statue di Mont’e Prama di Cabras (Lilliu 1978, 1997; Tronchetti 1986; Bedini et alii in stampa). Nella ceramica, la decorazione geometrica invade tutta la superficie delle brocche e delle anforette piriformi a falso beccuccio, con fasce anche verticali disegnate a impressioni superficiali della stecca o a incisioni (motivi a chévrons o linee spezzate), o stampigliate (cerchielli semplici e concentrici). I motivi simbolici a rilievo tendono a concentrasi sulle brocche (segno della forcella o a y). Forme tipiche e/o dominanti: anfore piriformi con falso beccuccio, ornate anche con figure umane, in esemplari di Genna Maria, vano 12 (Badas 1987, tav. IV), S. Anastasia (Taramelli 1918, fig. 99-100, tav. VII, 64), Is Paras di Isili (Saba 2000, tav. 11, 13.10) e con disegni di nuraghi, in esemplari da S. Anastasia (Taramelli 1918, tav. VII, 64; Ugas 1980, tav. 12, 1-2) e Genna Maria (Atzeni et alii 1988, tav. 15). Sono attestate: brocche a collo largo e bocca a profilo obliquo ondulato; brocche askoidi a collo stretto a corpo ancora tendenzialmente biconico o globulare appiattito alla base; anfore ad alto collo con anse a gomito; fiasche piano convesse a quattro anelli; scodelline emisferiche; doli a labbro a spigolo con prese forate in alto sulla spalla; lucerne cuoriformi a spalla carenata, talora con presa semplice o a protome zoomorfa schematica (Genna Maria vano 11: Badas 1987, tav. II) e poi lucerne a contorno piriforme con protome zoomorfa (Su Mulinu: Ugas 1992); pintaderas a disco (Genna Maria vano 10: Badas 1987, tav. 5). Altri oggetti tipici del Geometrico II sono le figurine in bronzo caratterizzate da occhi cerchiati pertinenti allo stile Abini, fase II Lilliu (1997). Rilevano questa fase anche le lucerne enee con protomi zoomorfe e castello di prua a forma di torre nuragica e, verso la fine della fase, con presa a quattro bracci e anello di sospensione.
3 Insediamenti ed edilizia abitativa
Le vistose trasformazioni, che si osservano nei nuraghi agli inizi del I Ferro, a seguito delle distruzioni, indicano che oramai il baricentro delle comunità è il villaggio; non esistono più, come nell’età del Bronzo, nuclei abitativi dipendenti dalla residenza del capo tribù e dei capi minori dei cantoni, ubicati in prossimità e direttamente al servizio del nuraghe, oppure distanti e vincolati al territorio agricolo e pastorale (Ugas 2006). Ora, nel Geometrico le case si dispongono spesso a ridosso e sopra i resti delle cinte antemurali delle regge abbattute. Queste case, si presentano non più monocellulari, come in genere nel Bronzo recente e finale, ma a
isolati formati da più ambienti, in genere da 6-8, disposti a corona attorno a una corte centrale, come quelle documentate a Genna Maria-Villanovaforru (Badas 1987, tavv. I-VII), su Nuraxi-Barumini (Lilliu 1955, 1988; Lilliu e Zucca 1982, fase c), S. Imbenia di Alghero (Bafico 1986; Bafico et alii 1995, 1997), Santa Vittoria di Serri (Taramelli 1931, tav. I; fig.66; Zucca 1988, fig.69).
Le abitazioni
Gli isolati abitativi, in genere a sviluppo circolare o ellittico, sono articolate in vani destinati alla preparazione del cibo e ai pasti, al pernottamento, a laboratori. Talora le dimore più ragguardevoli includono anche un piccolo ambiente circolare provvisto di bacile e vasca e forno adiacente destinato ai lavacri con acqua fredda e calda, sostanzialmente ad uso termale. I vani, a sviluppo prevalentemente rettilineo e tetti lignei a spiovente, sono costruiti con muri totalmente di pietre di media e piccola pezzatura tendenzialmente lastriformi, oppure (nel Campidano) con un basamento di pietre nastriformi o fluviali e una sovrastruttura in mattoni di fango parallelepipedi (ladiris). Si trovano esempi dei primi a Su Nuraxi-Barumini (Lilliu 1955, 1982; Lilliu e Zucca 1984), Genna Maria (Badas 1987, tavv. IVII) e Sedda Sos Carros di Oliena (Fadda 1993a). Case di ladiris sono documentate a Sant’Anastasia (Ugas e Usai 1987, tav. VII a) e Monte Zara di Monastir (Ugas 2001, tav. XIX). Altri isolati annettono ambienti circolari, talora più antichi, con copertura lignea conica impostata su uno zoccolo murario: Serra Orrios di Dorgali (Ferrarese Ceruti 1980, tav. XXXIV; Moravetti 1998, figg. 25, 32, 35); Serucci di Gonnesa (Santoni e Bacco 1987, 1989); Santa Vittoria di Serri (Taramelli 1914, 1931; Zucca 1988). In alcuni casi si notano anche isolati con grandi ambienti circolari al centro, come a M. Zara, dove il recinto 2L42 contiene la capanna del torchio 46 (Ugas 2001; Ugas scavi inediti 2008). Molti segni evidenziano che sin dal IX secolo i villaggi sardi tendono all’urbanizzazione ma non è chiaro sino a che punto sia maturato questo processo. Le case sono provviste di laboratori, magazzini e servite dalle prime infrastrutture. Tra il IX e il sec. VII sono attestati forni per la ceramica con colonnina centrale a San Sperate (Ugas 1993, tav. XI a), forni per il pane “a palla” con bocca sovrastata da arco talora monolitico nel vano 30 e nella casa a corte 11 di Su Nuraxi di Barumini (Lilliu 1955; Lilliu e Zucca 1984, fig. 66), resti di tante fornaci per fonderia, ad es. Sant’Anastasia (Ugas e Usai 1987, tavv. XII-XIV), Santa Vittoria di Serri
(Taramelli 1931, figg. 25-26), Abini-Teti (Taramelli 1931) e in tanti altri villaggi. Un torchio per la vinificazione proviene dalla citata casa con recinto di Monte Zara in Monastir (Ugas 2001). Frequenti sono i pozzi idrici nei villaggi, come a San Sperate (Ugas 1993) e a Su Nuraxi di Barumini (Lilliu 1955; Lilliu e Zucca 1984), dove pure si notano canalette per il deflusso dell’acqua, mentre condotte idriche captavano le acque sorgive a Sant’Anastasia (Ugas e Usai 1987 p. 168, tav. I, 1, tav. II, b) e a Gremanu (Fadda 1990, 1993). Si osservano i primi segni di viabilità nei viottoli dei citati villaggi di su Nuraxi di Barumini, Serra Orrios di Dorgali e S. Vittoria di Serri. Nell’abitato proto urbano di San Sperate è stata individuata una larga strada lastricata pertinente già al secolo VII (Ugas 1993, p. 46, tav. XI, a) ma si tratta di un caso eccezionale. Comunque, i carri a circolare a giudicare dalle ruote in bronzo offerte alla divinità, dai carrelli-porta gioia, dal modellino bronzeo di carro leggero di cocchio per cavalli da Serri (Tanda 1986; Lilliu 1993) e dai due carri scolpiti sul bordo della navicella in bronzo da Crotone (Spadea 1993, pp. 1-34; Lilliu 2000, pp.181-216), forse carichi di una botte lignea da vino. A giudicare dall’immagine di Crotone, i carri sardi trainati da buoi erano a ruote piene come il plaustrum romano e i veicoli utilizzati nell’isola per il trasporto pesante sino secolo scorso. Allora cominciavano a viaggiare e ad esibirsi anche i cavalieri, come si evince dalla statuina bronzea di eroe–arciere in piedi sul cavallo da Saliu-Sant’Antioco (Lilliu 1966, n. 190), immagine della “balentia” aristocratica. Ma i segni che connotano con grande evidenza questo nuovo status del villaggio che tende verso la polis, sono la sala del consiglio, il tempio o il santuario, sedi rispettivamente dei rappresentanti politici e religiosi della comunità, la palestra funzionale alla crescita dei giovani dell’élite.
Sale del consiglio dei villaggi e dei distretti tribali
Una delle novità più importanti nei villaggi del Geometrico è la presenza pressoché costante di grandi rotonde con bancone-sedile a giro, spesso provviste di due nicchie e di stipetti a muro. In questi edifici circolari vanno riconosciuti i citati dikasteria degli Iolei/Iliesi menzionati da Diodoro. Nei dikasteria, non soltanto venivano prese le decisioni sulla giustizia, ma anche e soprattutto venivano amministrati gli affari pubblici; erano sostanzialmente sedi politiche prima ancora che giudiziarie. I dikastai nuragici, non erano semplici giudici di un tribunale, ma svolgevano un ruolo politico assimilabile a quello dei sufetes, i giudici delle città fenicie, e a quello, a un livello più alto, dei giudici delle tribù israelitiche. La copertura delle curie era conica e realizzata con travi lignee impostata su un robusto zoccolo murario in pietre, a giudicare dal modello bronzeo di S.Anastasia (infra) e come già era stato supposto sulla base dei resti degli edifici di Santa Vittoria- Serri, Su Nuraxi di Barumini (Capanna 80: Lilliu 1955; Lilliu e Zucca 1984, fig. 64), Palmavera (Moravetti 1977); S. Anastasia, cap. 5 (Ugas e Usai 1987) (Fig. 3), Santa Cristina di Paulilatino (Lilliu 1982), M. Sant’Antonio di Siligo (Lo Schiavo 1992), M. Siseri di Alghero e Noddule di Nuoro (Fenu 2008). Eccezionalmente apparivano intonacate le pareti della sala del Consiglio di Su Mulinu di Villanovafranca (capanna 7cda: scavi inediti) che doveva essere coperta da un grande tholos.
Palestre
In alcuni villaggi, quali Funtana Sansa di Bonorva, Forraxi Nioi di Nuragus, Fonte Niedda di Perfugas (Contu 1997, p. 299), Romanzesu di Bitti (Fadda 1993b; 2002, tav I a) e Sedda Sos Carros di Oliena (Fadda 1993a), si riscontrano grandi edifici circolari o ellittici gradonati, piccoli anfiteatri o odeia, quasi sempre in rapporto con l’acqua (fonti, pozzi e rotonde con bacile). In questi edifici vedrei bene i gymnasia fatti costruire per gli Iliesi da Iolao secondo il passo citato di Diodoro (Ugas in stampa), piuttosto che recinti per i giudizi ordalici (Lilliu 1982, p.192). Le immagini bronzistiche dei lottatori e dei pugili (Lilliu 1966) ben si inseriscono nel clima che, nella prima metà del secolo VII, vede nascere le Olimpiadi. Più probabile invece che i musici, e con essi i danzatori, e i cantori, anch’essi immortalati dalla bronzistica, si esibissero negli spazi in prossimità dei templi.
I bagni
Come già accennato, negli isolati abitativi a corte centrale, spicca per il pregio architettonico un vano rotondo, provvisto di sedile a giro, vasca, grande bacile litico e, adiacente, forno per il riscaldamento dell’acqua. Questo vano, che doveva essere coperto a tholos, talora risulta ora rivestito internamente di mattoncini in pietra (Su Nuraxi di Barumini: Lilliu e Zucca 1984, vano 65), ora, più spesso, di conci isodomi come a Sant’Imbenia di Alghero (Bafico 1986), Bangius di Furtei (Ugas 1986), Gutturu Caddi/Riu Saliu di Guasila (Ugas e Usai 1984 p. 92, fig. 4; Nieddu 2008, pp. 379- 390, figg.1-4, tav.1), e a Sedda Sos Carros di Oliena (Fadda 1993a) dove l’acqua perveniva attraverso doccioni theriomorfi collegati a un canale di adduzione che, passando sotto la vicina palestra, proveniva dal sovrastante pendio del rilievo.
Templi
In questo periodo fanno la loro comparsa i santuari. In alcuni villaggi, di grande rilevanza politica e religiosa e da considerare capoluoghi distrettuali, i preesistenti templi del Bronzo recente e finale sono inseriti in grandi aree santuariali che comprendono nuovi edifici sacri e altre costruzioni sussidiarie,
come si osserva nei siti di S. Vittoria di Serri (Taramelli 1914, 1931), S. Anastasia di Sardara (Id. 1918; Ugas e Usai 1987; Ugas 2009); Matzanni di Vallermosa (Nieddu 2007), Su Romanzesu di Bitti (Fadda e Posi 2006), Sa Carcaredda di Villagrande (Fadda 1992, pp. 173-175; 1997, pp. 255-258; 2000, pp.79-85, fig.112) e Gremanu Fonni (Fadda 1993b). I templi dell’acqua già noti nel Bronzo recente e finale continuano ad essere usati, e forse ancora costruiti nella primissima fase del primo Ferro, in particolare quelli a conci isodomi con atrio a doppio timpano dei citati santuari di S. Vittoria e di S Anastasia, tempio a pozzo II (Ugas 2009). In queste costruzioni si osservano ristrutturazioni del tetto con archi monolitici e cornici a dentelli (Su Tempiesu-Orune: Fadda 1988; Fadda e Lo Schiavo 1992). Cornici a penne e con conci a decoro geometrico dovevano coronare rispettivamente l’architrave e le fiancate dell’ingresso alla scala del pozzo II di S. Anastasia (Ugas 2009), oltre che della rotonda con atrio di Su Monte di Sorradile (Santoni e Bacco 2008). La fase del Geometrico è la stagione dei templi in antis e soprattutto in doppio antis, che segnalano un rapporto privilegiato con l’ambito greco. Sono straordinari esempi di questa architettura gli edifici, provvisti di uno o più ambienti quadrangolari disposti in asse longitudinale, di Serra Orrios di Dorgali (Moravetti 1998), Sa Carcaredda di Villagrande (Fadda 1992), Domu de Orgia di
Esterzili (Fadda 2001), Gremanu di Fonni (Fadda 1993b), Romanzesu- Poddi Arvu di Bitti (Fadda e Posi 2006). Le scoperte archeologiche di questi ultimi decenni hanno rivelato l’esistenza di altre categorie di edifici connessi con la pratica cultuale. Occorre richiamare in primo luogo i templi a vano circolare rotondi, con o senza portico, di Gremanu, S. Antonio di Siligo (Lo Schiavo 1992) e, già visto, Su
Monte. In essi talora si conserva un grande altare a foggia di nuraghe, collocato al centro. I riti ivi praticati non sono ancora ben evidenti a causa degli sconvolgimenti antichi e moderni dei depositi di frequentazione. Diversamente sorprendenti i riti sacri osservati nel nuraghe, trasformato in tempio, di Su Mulinu di Villanovafranca. Anche qui domina un altare a forma di nuraghe, emblema di una divinità maschile identificata da Pausania in Norax (Ugas 2006, pp. 24-29). Come si evince dal crescente scolpito sulla torre, questo nume faceva coppia con una divinità lunare, immagine della dea Madre nel suo aspetto virginale, una sorta di Diana/Artemide sarda. Vi si celebrava al solstizio d’estate una festa con le lumachine di San Giovanni e l’accensione di centinaia di lucerne in terracotta. Oltre all’offerta di porzioni di vittime animali vi era praticato anche un sacrificio cruento nel grande altare turrito coronato di spade, forse culminanti con bronzi figurati a comporre un racconto sacro (Ugas e Paderi 1990; Ugas 1992). Altri nuraghi documentano la loro trasformazione in sacelli agli inizi del I ferro: Nurdole di Orani (Fadda 1990; Fadda e Madau 1991); S’Aneri-Lasplassas (Usai E. 1987); Cuccuru Nuraxi-Settimo S. Pietro (Atzeni 1987; Bernardini e Tore 1987). Templi in grotta, invece, sono attestati nei siti di Su Benatzu-Santadi (Lo Schiavo e Usai 1995), Caombus di Morgongiori, su Fochile e Domu’e s’Orcu di Urzulei (Lilliu 1988, pp. 158, 227,429); da quest’ultimo anfratto proviene il mirabile gruppo
scultoreo in bronzo di Dea col figlio che muore (Lilliu 1966; Ugas 1985, fig. 10).
5.4. Le aree sepolcrali Allo stato attuale della ricerca sono pochissime le aree sepolcrali di questo periodo investigate, ma di straordinaria rilevanza. Le sepolture non sono più collettive, ma individuali: una vera rivoluzione per la Sardegna, una delle patrie dei sepolcri collettivi. Già all’avvio del primo Ferro le tombe sono caratterizzate da pozzetti in cui gli inumati sono deposti seduti, forse nella posizione del banchetto. Finora i pozzetti sono documentati esclusivamente nel settore centro meridionale, quello iliese, dell’isola: M. Prama (Lilliu 1978, 1997; Tronchetti 1986); Antas (Ugas e Lucia 1987) e Is Aruttas di Cabras (Santoni
1977, p. 354, s). Ad Antas i sepolcri erano segnalati da piccoli cippi litici, mentre a Monte Prama spiccano per la monumentalità i cippi – nuraghe e le grandi statue sistemate in origine sopra le lastre che chiudevano i pozzetti. Nel sito di Is Aruttas rendevano visibili le tombe dei crescenti in arenaria collocati, è da credere, sulla cima di un tumuletto. In questo periodo sono note anche altre tipologie di tombe individuali: a fossa a Senorbì (Taramelli 1931b, pp. 78-82); in tafoni in Gallura (Ferrarese Ceruti 1968). Infine vanno richiamate le sepolture che mantengono in alcune “tombe di giganti” l’antico rito dell’inumazione collettiva (Lilliu 1997, p. 319, s).
La produzione scultorea
Il primo Ferro conosce l’esplosione della bronzistica figurata come evidenziano gli studi di Giovanni Lilliu (1966, 1997). Oltre seicento esemplari ne enumera E. Contu (1997, p.735). Alla seconda metà del IX secolo vanno ascritte le figurine dello stile II barbaricino mediterraneizante del Lilliu, in particolare la statuina di eroe o divinità nuda itifallica (Sardo?) da Antas. Ai decenni intorno alla metà del secolo VII risalgono le figurine in stile Abini o Lilliu II connotate da occhi cerchiati, come quelle del sacerdote-pugile di Dorgali e del sacerdote da Vulci (Lilliu 1997, passim). Alla fase II del Geometrico appartengono anche i colossi in calcare di Monte Prama di Cabras (Lilliu 1977, 1997; Tronchetti 1986). La cronologia è sostenuta, oltre che dall’utilizzo dei pozzetti, simili a quelli di Antas, dai
confronti stilistici con i bronzi dello stile Abini, dai già citati disegni con figure antropomorfe e nuraghi delle anfore piriformi, dalle ceramiche ivi rinvenute, ancora inedite (cenno in Santoni e Bacco 2008, p. 607; la notizia relativa ai fittili degli scavi Tronchetti di M. Prama è accompagnata da una proposta di rialzo cronologico ingiustificata, stando alla prima valutazione dei materiali degli scavi Bedini di prossima pubblicazione: Bedini et alii, in prossima stampa), e infine da uno scarabeo ellittico di tipo Hyksos della Tomba T 25 Tronchetti, simile ad un esemplare rinvenuto in una tomba di Tiro ascritta al 760-740 a.C. (Stiglitz 2007b, p. 94). I kolossoi di Monte Prama sono richiamati sul piano stilistico e formale da un gruppo di statue in calcare della necropoli di Monte Saraceno e di Siponto nelle Puglie (Ferri 1965; Nava 1988, fig. 197; 2004). L’analogia con M. Saraceno è impressionante poiché anche qui le grandi statue erano collocate sopra le tombe a pozzetto a inumazione, con individui seduti, una delle quali restituisce uno
scarabeo verosimilmente della stessa età di quello della citata T.25 di M. Prama (Bedini et alii, in prossima stampa). Nell’ambito dell’artigianato scultoreo spiccano i modelli di nuraghe, ora nella funzione di altari negli edifici sacri e nelle sale del consiglio, ora di altari-cippi funerari nei sepolcreti (M. Prama), ora
offerti nei templi, in formato miniaturizzato, come le statuine e le faretrine. Sia i grandi esemplari, in pietra tenera, propongono la torre singola, il bastione quadrilobato (in maggior numero di esempi), il trilobato e infine la cinta esterna con otto torri, invece i piccoli, realizzati in bronzo, argilla e ancora pietra anche dura, mostrano esclusivamente i monotorri e i quadrilobati (Ugas 1980; Moravetti 1980; Tronchetti 1986; Lilliu 1997). Il modellino in bronzo di Ittireddu evidenzia su un lato un tempietto rettangolare con tetto a doppio spiovente, forse un sacello dell’acqua analogo a quello di su Tempiesu di Orune. Sull’altro lato, mancante, forse vi era riprodotto un modello di dikasterion analogo a quello di S. Anastasia (infra). Di grande interesse, l’altare litico a foggia di nuraghe trilobato da Cannevadosu di Cabras (Ugas 1980, tav. 1-3) mostra una figurina in rilievo, verosimilmente di antenato–sacerdote, così come il modello quadrilobato da Paulilongu di San Sperate (Santoni e Bacco 2008, tav.15); qui, eccezionalmente, è reso lo spaccato ogivale della camera del nuraghe ed è proposto un “non finito” o meglio il nuraghe abbattuto e ristrutturato, come l’altare nuraghiforme di Serri con finestre a riquadri nei piani alti (Taramelli 1918 tav.1; Ugas 1980, tav. 11), e alcuni modelli da M. Prama. Una sola, minuta, riproduzione in bronzo documenta il dikasterion, la sala dei giudici: è un edificio rotondo con tetto conico (Fig. 4) che ricorda i modelli di urne a capanna circolare delle necropoli villanoviane. Proviene dall’area santuariale di S. Anastasia e mostra al culmine un eroe che liba con una coppa emisferica (Ugas 2009, fig. 21); forse è un’altra immagine dell’Aristeo sardo, o meglio, del figlio grecizzato in Kharmos, assimilabile a Dioniso (Ugas 2001, p. 90). Una notevole perizia occorreva anche per scolpire altri manufatti in pietra. In alcuni casi si può parlare ancora di arte, come per la grande testa taurina di Serri (Lilliu 1988, fig.93 a), e le testine d’ariete dei doccioni di Sedda Sos Carros (Fadda 1993a), mentre meglio si addice al lavoro di artigiani, il torchio per vino a torricella con vasca da Monte Zara di Monastir (Ugas 2001) e le vasca a coppa degli edifici termali già citati.
Gli elementi della metallurgia
Il numero ragguardevole di matrici di fusione (Becker 1984, pp. 163-208), di lingotti in rame e piombo e di oggetti in metallo rinvenuti nell’isola indicano un’intensa attività di metallurgia (Lilliu 1988; Contu 1997; Lo Schiavo 1986, 1990, 2002). Purtroppo non sono molti i reperti in giacitura primaria poiché per lo più risultano tesaurizzati in ripostigli. Definire quali siano gli oggetti pertinenti
al Ferro I, non è sempre agevole, ma la circostanza straordinaria di poter contare su tanti oggetti sardi in contesti chiusi come quelli delle tombe villanoviane è un sigillo archeologico da cui non si può prescindere. I materiali ordinari, come le brocchette fittili, portate dai Sardi e trasferiti insieme ad altri manufatti anche di natura simbolica nei contesti villanoviani del IX-VII secolo (Camporeale 1969;
Tore 1981b; Bartoloni G. e Delpino 1976; Gras 1985; Bartoloni G. 2002, 2009; Delpino 2002; Cygielman e Pagnini 2002; Maggiani 2002; Lo Schiavo 2002), sono oramai talmente numerosi che non è in alcun modo giustificabile un processo sistematico di decontestualizzazione dei bronzi sardi, e dunque un’attribuzione al Bronzo finale in quanto oggetti della “nonna” (Lo Schiavo 2002). È certo probabile che in alcuni ripostigli siano finiti anche oggetti degli antichi signori e difensori dei nuraghi
dell’età del Bronzo, ma è impensabile che nel IX-VII secolo, in un deserto culturale, i Sardi non sapessero o volessero più realizzare spade, pugnali, statuine, navicelle, e con esse le mirabilia architettoniche
vantate dai Greci.
Ripostigli
Occorre premettere che, allo stato attuale delle ricerche, nessuno dei contenitori fittili di panelle e di pezzi di lingotti ox hide utilizzati nei ripostigli può essere riconducibile, al Bronzo Recente, diversamente da quanto sostenuto dagli ottimi archeologi Franco Campus e Valentina Leonelli (1999); i più antichi appartengono a forme di passaggio dal Bronzo finale al I Ferro, e in genere sono connessi con depositi di fondazione di edifici immediatamente dopo la caduta dei nuraghi allo scorcio del Bronzo finale (capanna 1 di S. Anastasia), o con nascondigli di riserve di metallo realizzati proprio nel momento della grave crisi legata alla devastazione dei nuraghi (potrebbe essere il caso anche del tesoretto di Funtana Coberta. A giudicare dalla loro collocazione stratigrafica, diversi ripostigli vanno inquadrati all’inizio e alla fine del periodo Geometrico. All’alba del I Ferro vanno ascritti i depositi di fondazione sulla soglia della capanna o all’interno di ambienti riconsacrati, anche nuraghi, formati da panelle integre o frammentarie e di pezzi di lingotti ox hide contenuti in scodelloni e in olle come quelli della Capanna 1 di Santu Antine (Contu 1997, p. 703), delle già menzionate capanna 1 di Sant’Anastasia e dell’ambiente α di Funtana Coperta, dei nuraghi Flumenelongu di Alghero, Albucciu di Arzachena e Nuraghe Funtana di Ittiri (Contu 1997, pp. 701-709; Lo Schiavo 1999). A ripostigli con materiali di spoglio sono pertinenti i gruppi di statuine in bronzo di M. Arcosu di Uta (Lilliu 1966), strappati a templi dell’età geometrica agli inizi dell’Orientalizzante, e allo stesso periodo debbono risalire i depositi di rottami metallici di fonditori come quello documentato a Monte Idda di Decimoputzu (Taramelli 1915, coll. 89-97), con statuine o pezzi di statuine e non più pezzi di lingotti ox hide. Alla fine del periodo geometrico si colloca per la situazione stratigrafica e contestuale, il ripostiglio con i grandi bacini in bronzo e i lingotti di piombo e il dolio ricolmo di rottami di armi e attrezzi in bronzo, occultati all’interno di un pozzetto nella sala del consiglio di S. Anastasia (Ugas e Usai 1987, tavv. V; IX-X); è il momento in cui vengono abbandonate quasi tutte, se non tutte, le sale del consiglio. I materiali contenuti nei ripostigli sono prevalentemente in rame e bronzo. Altri ripostigli però (Abini e S. Anastasia) hanno restituito un consistente numero di lingotti in piombo. Altri analoghi manufatti plumbei provengono da un relitto del mare di Arbus (Ugas e Usai 1987) e da M.Olladiri di Monastir (Ugas 1985). Questo dato è pienamente plausibile con la notevole ricchezza di galena dell’isola. Insignificanti risultano invece nel periodo geometrico e anche più tardi i manufatti in ferro, oro e argento (Contu 1997, pp. 728, 729). Il ferro non veniva tesaurizzato a causa della difficile conservazione, ma sorprende che sia così poco attestato anche nei contesti della vita quotidiana.
Attrezzi e armi
Con le riserve comunitarie (metalli e altro) i santuari diventano le banche dei villaggi e accumulano consistenti ricchezze, per computare le quali si ricorre ai pesi da bilancia in pietra all’uso dei segni numerali (Ugas 1985; Ugas e Usai 1987, Contu 1997, pp. 702, 704). I pesi da bilancia si presentano in forme diverse: discoidale, a botticella, parallelepipeda, a campana a base rettangolare con appiccagnolo: risultano in pietra a S. Brai di Furtei, S. Anastasia, Monte Zara, M. Olladiri e nuraghe Asusa di Isili (scavo inedito Saba-Ugas); in bronzo da Forraxi Nioi e Abini; in piombo da Asusa (inedito). I segni numerali, ora geometrici (punti, trattini, barrette) ora letterari, appaiono oltre che nei lingotti in rame ox hide (contrassegni più antichi di origine sillabica egea), nelle panelle in rame di Forraxi Nioi, nei lingotti in piombo (Monte Olladiri, S. Anastasia), e incisi o impressi su recipienti fittili (M. Olladiri, M. Zara, S. Antine di Torralba) e su elementi architettonici (Cuccuru Nuraxi, inediti). Sono soprattutto i ripostigli che restituiscono gli attrezzi della vita quotidiana e delle armi. Qualche rapida considerazione sulle categorie e tipologie strumentali e sulle tante armi documentate in questo periodo. Spiccano le lunghe spade costolate che coronavano gli altari nei templi, ma talora anche provviste d’elsa e usate, come quelle formidabili di Villasor. Una delle 40 spade di questo sito mostra l’elsa cornuta come la spada costolata rinvenuta nella tomba monosoma, a cista litica rettangolare, di Senorbì (Taramelli 1931, pp. 78-82 ns), e come la spada sospesa sulle spalle dell’arciere bronzeo di S. Vittoria di Serri, in stile Abini (Lilliu 1966 p. 72,s, n. 21) che indossa lo stesso gonnellino a coda triangolare dei sacerdoti pugili di Monte Prama. Non mancano le spade di varia foggia, spesso simili a quelle impugnate dai guerrieri di bronzo, e sul finire del periodo le spade ad antenne, come quella di Ploaghe (Lilliu1966, 1988; Contu 1997). Tra i pugnali, fin dall’inizio del periodo appaiono i
tipi con manico ad elsa gammata (da Oliena: Contu 1997, fig. 128, 1; da Su Benatzu di Santadi: Lo Schiavo, Usai 1995, p. 164, fig. 13, 8-9), spesso fissati alla bandoliera di vari personaggi della bronzistica (Lilliu 1966). A questo periodo appartengono molti pugnali a base triangolare e ogivale. Per la cronologia sono significativi gli esempi di S. Anastasia di Sardara (Ugas e Usai 1987) e di Su Monte di Sorradile (Santoni e Bacco 2008). Le faretrine in miniatura ripropongono queste stesse tipologie dei pugnali utilizzati nella vita quotidiana, soprattutto nell’ambito dei sacrifici cruenti rituali. Tra gli attrezzi sono diffusi in particolare le asce a margini rialzati e le asce bipenni e piatte, scalpelli con immanicatura a cannone, e altri strumenti che documentano grande perizia nella lavorazione del legno (Lo Schiavo 1981). Si richiamano in particolare quelli datati al Geometrico dei già citati ripostigli di S. Anastasia e di Su Monte. Questo è anche
il momento in cui si diffondono nell’isola i grandi calderoni (Ugas e Usai 1987; Lo Schiavo 1987), prima con attacchi a spirale (S. Anastasia di Sardara e di su Bentigheddu di Oliena) e poi, verso la fine del periodo, con attacchi a fiore di loto. Come i tripodi, i thymiateria e altri manufatti in bronzo legati ai cerimoniali nei templi, questi calderoni derivano da esperienze metallurgiche cipro-fenicie. Nei templi si trovano con grande frequenza i bottoni conici e le navicelle in terracotta e in bronzo, offerte alle divinità. Spesso questi oggetti varcano le sponde del Tirreno, controbilanciando l’arrivo dei monili in ambra (Lo Schiavo 1981b; Fadda 2002) e di molti tipi di fibule non locali (Lo Schiavo 1978, 2002; Contu 1997; Macnamara 2002). Più incerti i vettori per le perle in cristallo di rocca e pasta vitrea, forse giunte tramite Fenici e Greci. Difficile determinare la provenienza dei pochi oggetti in oro che potrebbero essere stati mediati dai Fenici e dai Greci, ma anche attinti direttamente alle fonti, come gli altri precedenti prodotti, dagli stessi Sardi. Per questo genere di materiali di pregio si richiamano in particolare i contesti funerari di Antas (Ugas e Lucia 1987) e quelli sacri di Sedda Sos Carros (Lo Schiavo 1981; 1981a), Su Benatzu (Lo Schiavo e Usai 1995) e Su Mulinu (Ugas 1992).
Brevi considerazioni
Attraverso gli scavi di Sulci (in ultimo Bernardini 2007b) e di altri siti costieri isolani come S. Imbenia, cominciano a definirsi le prime relazioni tra i Sardi e i Fenici, mentre d’altro canto emergono sempre meglio gli intrecci tra l’isola e le altre terre mediterranee attraverso le analisi di F. Lo Schiavo (2003, pp. 152-161; Lo Schiavo et alii 2008), i lavori di G. Tore (1981), M. Gras (1985), G. Lilliu (1988. pp. 423-429), E. Contu (1997, pp. 699- 730); G. Bartoloni (2004, pp.184-191) e infine i contributi in Etruria e Sardegna. Da questo quadro dei rapporti con l’Etruria risalta sempre più il contributo offerto dai Sardi (Iliesi, Balari e Corsi) allo sviluppo della I fase Villanoviana a partire dalla diaspora dei capi tribali nuragici. Iniziano a definirsi meglio i contatti con l’Italia meridionale, in particolare la Campania (D’Agostino 1974, Lo Schiavo 1994; Bartoloni 2004), anticipati alle soglie del I Ferro dalle scorrerie nelle Lipari. Tra il IX e il secolo VII, emerge altresì l’ intraprendenza marinara dei Sardi anche sulle lunghe percorrenze, talora nel ruolo di apripista per i Fenici. Infatti le loro merci non solo percorrono i mari verso Sud in direzione di Cartagine e verso Creta ad est ma raggiungono anche l’estremo ovest in direzione di Cadice (Ruiz Mata e Cordoba Alonso 2005, pp. 297-300) e di Huelva (Gonzales De Canales Cerisola et alii 2004, tavv. XXI, LX), sostenendo così il mito di Norax (Ugas 2006, pp. 24-29).
Nell'immagine un busto di Monte Prama
Domani la 3° e ultima parte
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