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giovedì 3 novembre 2011

Il I Ferro in Sardegna - 1° parte di 3 (Giovanni Ugas)


Il primo Ferro in Sardegna
di Giovanni Ugas
da Atti I.I.P.P.

Nell’ultimo trentennio si è assistito a scoperte straordinarie che hanno portato preziosa linfa alla conoscenza del I Ferro in Sardegna, ma la comprensione e la restituzione dei processi culturali di questo periodo risentono non poco della profonda carenza di dati sui siti funerari, dell’assenza di un mirato programma di ricerca e, infine, del fatto che le pubblicazioni degli scavi spesso risultano limitate a notizie preliminari e a informazioni decontestualizzate. A ragione di ciò, occorrono ancora tanti passi per definire l’esatta composizione del quadro d’insieme e delle singole facies archeologiche. A ciò vanno aggiunte le incertezze sull’adozione delle cronologie calibrate scaturite dalle analisi dendrocronologiche rilevate in insediamenti palafitticoli svizzeri (Sperber 1987); da queste consegue un
consistente rialzamento cronologico delle tappe del Bronzo finale e del I Ferro accolto con favore da diversi studiosi italiani (Guidi e Whitehouse 1996) e tuttavia non si può non condividere le perplessità manifestate da L. Morris (1996, p. 59, s) e da G. Bartoloni (2009, p. 28, s) per quanto attiene in specie le fasi più recenti del I Ferro, già ancorate ai dati della letteratura antica.
1.1. I Ferro: nuragico finale o post nuragico? o sardo?
Talora gli studiosi sardi si chiedono se il primo Ferro rientri o non all’interno della civiltà nuragica, dando risposte diverse. La questione non investe solo aspetti terminologici ma anche, e soprattutto, contenutistici. Alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, G. Lilliu (1988, pp. 417-481) attribuisce decisamente il I Ferro alla civiltà nuragica, considerata la IV fase e definita anche «La stagione delle aristocrazie». Più tardi, l’archeologo adotta anche il termine post nuragico, intendendo che il ciclo dell’architettura dei nuraghi si chiude col Bronzo finale. Lo stesso appellativo post nuragico era impiegato da F. Lo Schiavo ma avendo in mente una diversa composizione della cultura materiale del I Ferro e del Bronzo
finale. Se infatti diversi studiosi (Lilliu 1988, 1997; Contu 1997, pp. 699-730; Ugas 1998, pp. 260; Bernardini 2007b, pp. 11-30) assegnano al I Ferro una parte consistente della bronzistica figurata indigena, la ceramica a decoro geometrico e i modelli di nuraghe, diversamente altri (Lo Schiavo 2000, pp.117-132; 2002, pp. 70, 52, 59; Santoni 2008 pp. 543-656; Manunza 2008, pp. 250, s) li attribuiscono al Bronzo finale, ritenendo che gran parte degli elementi contenuti nella fase
IV Lilliu debba essere correlata con la funzione primaria dei nuraghi e dunque inclusa nella fase II. Si tratta invero di differenze non trascurabili scaturite principalmente, ma non solo, dalle diverse letture e interpretazioni dei dati stratigrafici degli scavi. Riguardo alla questione terminologica, dal momento
che l’aggettivo nuragico deriva dal vocabolo nuraghe è implicito che la civiltà nuragica termina nel momento in cui i nuraghi non hanno significato per le popolazioni sarde e dunque nel momento in cui non vengono più costruiti e, soprattutto, perdono la funzione primaria di residenze di capi. Nonostante le differenze di idee già rimarcate, gli studiosi sono sostanzialmente d’accordo sulla data in cui i nuraghi non furono più costruiti: intorno al 900-850 a.C. secondo la cronologia tradizionale e pertanto il I Ferro sardo può essere considerato post nuragico, ma occorre tener presente che questo termine è inadatto per definire una facies o un periodo dal momento che post nuragico è qualsiasi evento successivo ai nuraghi, anche dell’età contemporanea. Inoltre, ed è la cosa fondamentale, molti nuraghi non furono abbandonati nel I Ferro ma ristrutturati e utilizzati come templi ed è palese che essi mantennero un ruolo fondamentale tra le comunità del IX-VII secolo, come ben evidenzia anche la riproduzione dei tanti modelli di nuraghe in pietra, bronzo e argilla. Anzi, proprio sotto il segno emblematico del nuraghe le aristocrazie vivono tutta la fase geometrica del I Ferro e dunque l’espressione “nuragico finale” ben si addice almeno a questo segmento temporale, benché connesso con un nuovo modo di sentire il mondo dei nuraghi da parte dei Sardi del tempo. Invero, per tutto il periodo che corre tra il IX e il secolo VI, nell’isola non si conoscono esempi di fortificazioni indigene diverse dai nuraghi ed è possibile,
anzi, che diversi nuraghi siano stati ristrutturati e rivitalizzati come fortezze nel VI secolo, per far fronte al generale cartaginese Malco (Meloni 1947, pp. 107-116), o già prima negli ultimi decenni del secolo VII, quando le lotte intestine portarono a incendi e distruzioni di vari edifici, in particolare le sale del consiglio (S. Anastasia di Sardara: Ugas e Usai 1987). Una fortissima resistività del nuraghe emerge anche in tempi successivi. In età romana numerosi nuraghi erano ancora luoghi sacri (Lilliu 1990) e nel sacello-fortezza di su Mulinu di Villanovafranca l’altare a forma di nuraghe accompagnò i culti sino al II secolo d.C. (Ugas 1992). Ancora più in là, in età vandalica e bizantina, il nuraghe (San Teodoro di Siurgus, Su Mulinu) diventa un luogo cimiteriale come gli altri edifici sacri cristiani (Ugas e Serra 1990, pp. 107-131; Ugas 1986, p. 77). Ciò considerato, si può ben impiegare l’appellativo nuragico anche per indicare il I Ferro e le sue
facies archeologiche. Non di meno può essere usato l’aggettivo “sardo”, a condizione che lo si considerigenericamente riferito alla Sardegna e non come un limes cronologico della “sardità”.
2. I richiami delle fonti letterarie antiche
Le notizie della letteratura antica offrono un sostegno non trascurabile per comprendere la situazione politica e sociale della prima Età del Ferro in Sardegna.
Il passaggio del potere dalle dinastie tribali (tespiadi) agli aristoi
Si deve a Diodoro Siculo (V,15) una straordinaria informazione sul tracollo delle dinastie tribali nuragiche, dopo circa sette secoli, e sul contestuale passaggio del potere dai capi tribù insediati nei nuraghi alle aristocrazie del I Ferro: «… I Tespiadi iolei signori dell’isola per molte generazioni, furono alla fine cacciati, si rifugiarono in Italia e si stabilirono nella zona di Cuma; la gente (iolea) rimasta si imbarbarì, ma scegliendo come capi gli aristoi, difese la sua libertà sino ai nostri giorni». In precedenza era stato lo stesso Diodoro (IV, 29-30), oltre che lo Pseudo Aristotele (par. 100), a interpretare come una deduzione di colonie dei principi tespiadi guidati da Iolao il sistema di governo dei capi tribali nuragici, sostenuto dalle residenze fortificate, fondato sui lignaggi parentali e sulla successione matrilineare rivelata dal sacrificio rituale dei vecchi re (Ugas 2006, pp. 32-34). Questi Iolei, che per Diodoro e altri storici greci erano Eraclidi provenienti da Tespi in Beozia, mentre i Romani li chiamavano Ilienses facendoli discendere da Ilio patria del loro antenato Enea (Didu 2002, pp. 94-136), sono stati identificati in una popolazione protosarda nuragica, gli Iliesi, di antica matrice mediterranea insediata in tutto il centro-sud dell’Isola sino alla linea del Monti Ferru – Marghine difesa dai Balari di matrice iberica (Ugas 2006, p. 31). Il nome degli Ilienses, che appare in forma contratta nell’iscrizione romana di Nurac Sessar di Bortigali (Paulis 1993) doveva essere messo in rapporto con quello di un eroe progenitore divinizzato, forse *Il, che i Greci identificarono in Iolaos e che i Fenici assimilarono alla massima divinità cananea El/Il.
2.2. Le grandi opere degli aristoi
Diodoro non si limita a enunciare il trapasso dal governo dei capi tribali a quello delle comunità patrizie, ma offre anche essenziali notizie sulla nuova società aristocratica. Infatti, lo storico greco-siculo (ancora in V,15) così si esprime: «… (Iolao) fece palestre (gymnàsia) per i giovani, templi in onore degli dei e tutte le altre cose che rendono felice la vita degli uomini». Non diverso e anzi più specifico
è il passo IV, 30 nel quale lo stesso Diodoro afferma che «… allora Iolao, costituita la colonia, mandò a chiamare dalla Sicilia Dedalo e fece costruire molte e grandi opere rimaste sino ai nostri giorni chiamate dal loro architetto “Daidaleia”. Edificò inoltre grandi e meravigliose palestre (gymnàsia megàla te
kai polytelè) e istituì i dikastèria e tutte le altre cose che conducono alla prosperità». Ora, se una parte delle mirabilia architettoniche fatte costruire per gli Iliesi si addicono al Bronzo medio e recente, essendo assegnabili per lo più a questo periodo i tholoi (nuraghi) e certi daidàleia, come le tombe di giganti, i templi dell’acqua e i primi edifici sacri “a megaron”, diversamente, la menzione di palestre (gymnasia) e di sedi dei giudici (dikastèria), ben inquadrabili nell’atmosfera delle società aristocratiche, segnala che l’architettura degli Iolaioi di cui parla Diodoro è riferibile almeno in parte al I Ferro. Allora, infatti, si riscontrano effettivamente edifici destinati alle riunioni presiedute da
giudici (le rotonde delle riunioni), templi, palestre per i giovani e «tutte le altre cose che conducono alla prosperità» e che meglio si addicono alla nuova temperie delle aristocrazie. La floridezza dell’economia e il benessere delle comunità sarde prima che iniziasse l’occupazione cartaginese, al tempo dei gymnasia e dei dikastèria, emerge dai tanti passi della letteratura classica sulla
eudaimonia della Sardegna (Perra 1993, 1997) e in particolare dai richiami all’eroe civilizzatore Aristeo, che dalla Beozia, attraverso la greca Cirene nordafricana, recava in abbondanza all’isola i prodotti della terra, della caccia, dell’allevamento e dell’agricoltura (Ugas 1985, pp. 210, s; 2001). L’alter ego sardo di Aristeo è riconoscibile in diversi bronzi protosardi (Nicosia 1981 p. 425-427; Ugas 1985; Bernardini 2005, nota 3) e in particolare in un gruppo proveniente dal grande tempio in antis di Domu de Orgia di Esterzili (Fadda 2001, pp. 62-67), che propone l’ieròs logos del sacrificio di un Atteone sardo trasformato in cervo e ucciso dai cani a fianco di una, inedita regale immagine di Aristeo con la lancia.
2.3. La fine degli aristoi
Che il I Ferro si concluda con l’occupazione cartaginese di una parte della Sardegna intorno al 510, a seguito dell’attacco di Asdrubale e Amilcare, lo dicono non solo le notizie circostanziate di Giustino (Historiae philippicae, XVII-XIX), Paolo Orosio (Hist. adversus paganos libri septem, IV,6,6- 7), Diodoro (Bibliotheca historica, V.15,4) e Polibio (Storie II,22,1), ma anche due passi, uno di Diodoro
Siculo (Bibliotheca II,55) e l’altro di Servio (V) che raccontano in veste mitica lo stesso evento, amarissimo, per i Sardi. L’informazione di Servio, sempre molto ben informato sulle cose dell’isola, merita di essere richiamata perché per la prima volta è sostenuta l’esistenza di una flotta da guerra sarda: «(Forcus) fu un tempo il re della Corsica e della Sardegna che, essendo stato sconfitto e sbaragliato
dal re Atlante in battaglia navale con gran parte del suo esercito, i suoi compagni immaginarono fosse trasformato in divinità del mare». Dietro il nome di Atlante non può celarsi che Cartagine, mascherata anche nella città della grandissima e potente terra di Atlantide proposta miticamente nel Timeo e nel Critia da Platone (Pallottino 1963, Ugas 1996). La notizia di Servio sottintende che i Sardi e i
Corsi (della Sardegna e/o dell’Isola gemella), oltre ad avere il culto per una divinità marina, disponevano di una flotta da guerra ritenuta in grado di opporsi a quella cartaginese. Lo scontro sul mare tra i Sardi di Forcus e Cartagine atlantidea deve essere avvenuto già prima della battaglia di Alalia del 540 (Colonna 2000, Gras 2000; Morel, 2000), poiché allora Cartagine aveva già il dominio del mare che
a Est circonda l’isola, e prima che, intorno del 535- 530 a.C., il generale Malco sferrasse il suo infelice attacco di terra alla Sardegna (Lilliu 1992, pp. 17-25) poiché allora, per condurre le sue truppe di terra contro gli Iliesi, Cartagine doveva avere il controllo almeno delle coste meridionali della Sardegna in
prossimità di Caralis, la porta sulle piane iolee del Campidano.
3. Il passaggio dal Bronzo finale all’inizio del Geometrico
Uno dei puntelli per il Bronzo finale sardo è, come si sa, la facies eoliana dell’Ausonio II (Bernabò Brea e Cavalier 1980). I materiali fittili sardi documentati nel Castello di Lipari (Contu 1980, Ferrarese Ceruti 1987) rientrano nell’ambito della facies di Barumini-S’Urbale del Bronzo finale II (Ugas 1998a, p. 259) caratterizzata dai manufatti della cap. 135 di Su Nuraxi di Barumini (Lilliu
1982, fig. 110), della capanna F di S’Urbale di Teti (Fadda 1985) e della capanna 6 di Bruncu Madili di Gesturi (Lilliu 1982, figg. 116-119). Occorre rimarcare che i materiali sardi del Castello di Lipari sono stati trovati nei depositi finali di frequentazione delle capanne α II e α IV e soprattutto nello strato d’incendio devastante che ha provocato l’abbandono del sito (Bernabò Brea e Cavalier 1980, p. 41). Ora, poiché quest’incendio è attribuito all’850 a.C. sulla base dei riscontri della letteratura antica (Bernabò Brea e Cavalier 1979, p.74, s), è palese che i reperti sardi appartengono alla fine dell’Ausonio II, presumibilmente già alla prima metà del IX, e non è da escludere che nella distruzione dell’Acropoli siano stati coinvolti gli stessi Sardi, poiché la data tende a coincidere con i tempi della diaspora dei capi tribali nuragici di cui si è parlato, benché su questo punto non esista alcun riscontro nelle fonti letterarie antiche; queste riferiscono soltanto delle paure che i discendenti dei Liparoti superstiti nutrivano per i pirati tirreni quando, verso il 580 a.C., vi approdarono gruppi di Cnidii e di Rodii. Ciò considerato, vi sono i presupposti per fissare alla data dell’850 a.C., proposta dal Bernabò Brea per l’incendio del Castello di Lipari, la linea di confine tra il Bronzo finale e l’inizio del I Ferro sardo connotata dalla diaspora dei “re tespiadi e dall’avvento delle aristocrazie. Tuttavia, è preferibile ancora proporre l’inizio del I Ferro in doppia cifra, 900- 850 a.C., tenuto conto dei possibili correttivi della cronologia calibrata, i quali però si scontrano con il dato letterario su indicato, e delle sincronie con le facies extrainsulari affini al Geometrico sardo.
È già stato ampiamente osservato che le forme e l’ornato a trecce impresse a stecca o a punti profondi delle brocche a bocca sbiecata e delle anfore a collo con anse a gomito rovescio sarde di Lipari trovano riscontro in analoghi manufatti del villaggio di s’Urbale-Teti (Fadda 1985, figg.11, 12) e di vari siti dell’Oristanese (Sebis 1998, tavv. XVII, XXV; Ugas 1995, tav. II). Una parte dei reperti sardi del Castello di Lipari, quali le brocchette a collo largo con beccuccio sull’ansa e le anfore con anse a gomito, le une e le altre ornate a cerchielli semplici stampigliati (a cannuccia) rientrano pienamente nel Geometrico sardo e possono ben appartenere ai tempi dell’incendio della metà del IX secolo. Infatti, è evidente l’analogia con le anse a beccuccio delle brocche dei vani 10 e 12 di Genna Maria (Badas 1987, tavv. IV-V di p. 143, s), e di Sant’Anastasia (Ugas e Usai 1987, tav. VII, d), e con le anse a gomito delle anfore ancora di Genna Maria (vani 12, 17, in Badas 1987, tavv. II,4). In ogni caso, i manufatti sardi delle Lipari segnano o un unico momento di transizione Bronzo Finale/I Ferro o due segmenti strettamente contigui. Se si tratta di un unico momento significa che le ceramiche tipo s’Urbale possono scendere alla metà del IX, se invece si è di fronte a due momenti differenziati sia pur contigui, allora la distruzione di Lipari dell’850 a.C. avviene quando era già iniziato il Geometrico sardo e in tal caso l’aspetto “protogeometrico” (termine più adatto del generico pregeometrico) di Barumini-s’Urbale, potrebbe occupare il sec. X, come già stato supposto (Ugas 1998 a). Comunque sia, i dati delle Lipari confermano il ruolo di limes della facies Baruminis’Urbale tra il Bronzo finale e il I Ferro. La capanna F di s’Urbale di Teti non ha restituito bronzi figurati ma è presumibile (non esiste alcun riscontro stratigrafico) che alla facies di Barumini-s’Urbale possano essere attribuiti tanto le brocche tipo S. M. Paulis e i tripodini in bronzo con l’ornato a trecce di tradizione cipriota (Macnamara et alii 1984; Lo Schiavo et alii 1985) quanto i bronzi figurati di produzione e imitazione fenicia dello stile I Lilliu (Liliu 1997), connessi con i primi influssi e i primi movimenti coloniali fenicio-ciprioti.
Infatti, occorre tener conto del fatto che i bronzetti dello stile II vanno ascritti alla seconda metà del secolo IX, come si evince dal contesto della figurina di Antas (Ugas e Lucia 1987) oltre che della chiara pertinenza dello stile II Lilliu (Abini: Lilliu 1997) al Geometrico apicale della facies di Genna Maria (Ugas 1998). Ciò è in sintonia con la sequenza degli eventi mediterranei in occidente che, prima vedono l’arrivo dei navigli fenici nella prima metà del sec IX e solo dopo, a partire dal 2° quarto dell’VII, cominciano le fondazioni coloniali euboico-cicladiche che fecero pervenire anche nell’isola i prodotti del loro artigianato e che contribuirono fortemente alla raccolta delle informazioni sulla Sardegna, tramandate successivamente dall’antica letteratura greca. All’ambito greco continentale e insulare, in ogni caso si ispirano le ceramiche e i bronzi sardi del Geometrico maturo, che anche nell’isola potremo chiamare Geometrico II (circa 770-730), allineandolo con il Villanoviano II e, più puntualmente, con il Geometrico Tardo IA della Grecia. Ceramiche di stile s’Urbale sono state reperite di recente in uno strato del cortile nel Nuraghe Asusa- Isili formato dal terriccio, proveniente dalla pulitura del pozzo del mastio (Saba e Ugas, ricerche inedite), utilizzato per impostare il piano di calpestio del I Ferro, alfine di consentire il riuso della fortezza dopo la distruzione. Anche lo strato di frequentazione del silo della torre Sud del quadrilobato di Su Nuraxi a Barumini prima dell’abbandono dell’edificio (Lilliu e Zucca 1984 p. 41) era pertinente alla fase delle ceramiche di S’Urbale. Pertanto, da un lato, i manufatti sardi di Lipari sono pertinenti all’ultimo periodo d’uso primario dei nuraghi, così come era stato postulato per il complesso dei materiali della facies di Barumini-S’Urbale (Ugas 1998, p. 259), dall’altro, la data di distruzione dell’acropoli di Lipari, intorno all’850 a.C., è la stessa o molto prossima a quella della caduta dei capi tribali nuragici. Vien da pensare, dunque, che anche la brocchetta bronzea da Scala Santa di Vetulonia, che richiama il tipo di S. Maria di Paulis (Baggiani 2002, pp. 413-417, fig.1, tav. II,b), segni lo stesso limite cronologico indicato a Lipari dalla ceramica tipo s’Urbale e fissi l’inizio della diaspora dei Sardi in Etruria e del Villanoviano I nella I metà del sec. IX. Frequentemente gli scavi condotti nel villaggio di Su Monte a Sorradile sono utilizzati come puntelli per inquadrare la bronzistica protosarda e i modelli di nuraghe al Bronzo finale se non anche al Bronzo recente (Santoni e Bacco 2008, pp. 581- 622), in sintonia con le tesi di F. Lo Schiavo (2000, pp. 117-134). Simile è anche l’idea sulla cronologia dei bronzi figurati proposta da M. R. Manunza a seguito degli scavi condotti nell’area del tempio a pozzo di Funtana Coberta di Ballao. Data l’eco della questione è indispensabile riconsiderare questi due lavori. Per quanto attiene lo scavo di Su Monte va detto subito che la ragione della datazione alta deriva da un’errata lettura stratigrafica dello scavo della capanna A. Nello strato 40, caratterizzato da pietrame disarticolato (crollo o rimestamento), questa capanna ha restituito un gruppo di bronzi strumentali e una navicella con protome d’ariete, non rottamati e dunque in uso quando l’edificio fu abbandonato. Nella sottostante US 41, ancora con numeroso pietrame, insieme a frammenti di vasellame del Bronzo finale vi era una brocchetta askoide a collo stretto ancora intera (A903) e altre ceramiche del Geometrico finale tra cui pezzi di anfore piriformi (A546 e A604) e di un grande cratere con anse a gomito (A706). Dunque la US 41 va ascritta al Geometrico II (facies di Genna Maria II) e anche i
bronzi della soprastante Us 40 appartengono allo stesso periodo, se non agli inizi dell’Orientalizzante antico, come suggerisce il frammento di brocchetta ornata a falsa cordicella (A7) rinvenuto nella sottostante US 43 (alla base dell’altare turrito!) e che faceva coppia con un pezzo d’anfora piriforme con falso colatoio (A1034) pertinente alla facies di Genna Maria II. Ovviamente anche l’altare turrito
appartiene al I Ferro, come quelli delle sale del consiglio di S. Anastasia di Sardara (Ugas e Usai 1987 p.172, s, tav. V, 50, tav. VII,b), di Palmavera (Moravetti 1977, 1980) e del vano e di Su Mulinu (Ugas e Paderi 1990; Ugas 1992). La US 43, con la quale viene correlato l’altare (ricomposto e reinserito sul posto), risulta palesemente rimestata poiché contiene un deposito del Bronzo recente caratterizzato da tegami ornati a pettine intaccato da manufatti in stile s’Urbale del BF, presenti soprattutto nella US 42, su cui insistono i soprastanti livelli del I Ferro, rimestati a loro volta nella parte centrale della capanna da moderni cercatori di tesori. In ogni caso, l’impianto dell’altare-nuraghe nella zona mediana della capanna A, che taglia gli strati di frequentazione pertinenti al BF e al BR, appartiene al Geometrico in piena coerenza con i reperti del I Ferro rinvenuti nelle US 41 e 40 e nei sottostanti strati 42-43 rimestati. D’altronde, la pertinenza alla fine del Geometrico e agli inizi dell’orientalizzante dei bronzi di Su Monte è ben in sintonia con i manufatti enei del c.d. ripostiglio di Tadasuni, ora attribuiti alla stessa località di su Monte (Santoni 2008, fig. 2 di p. 636) e rimossi in precedenza forse proprio dalla capanna A; si segnalano una maniglia con attacchi a spirali di calderone tipo Bentingheddu (Lo Schiavo 1981, p. 318, fig. 364; 1986 p. 242, fig. 16,10) e un pezzo di thymiaterion a corolla, fenicio, riconducibile al più presto al sec. VII (Tore 1986). Non a caso dalla capanna A di su Monte proviene anche una coppa di tradizione fenicia (scheda n.70 in Santoni e Bacco 2001, pp. 31-33, 92) ascrivibile al VII-VII secolo (Bernardini 2007b, nota 13). Per quanto attiene lo scavo condotto da M. Rosaria Manunza (2008) in un settore non distante dal tempio a pozzo nuragico di Funtana Coperta di Ballao, va premesso che attorno all’edificio sacro sono stati evidenziati i resti di un villaggio che ha iniziato il suo corso nel BR o nel BM finale e che i materiali più recenti risalgono al II secolo d.C. Nel corso dell’indagine, ben illustrata, sono stati trovati tra l’altro, in diverse US, tre pezzi bronzei pertinenti a figurine umane e un’olla fittile a labbro ingrossato (n.182, US 116 del vano α) colma di pezzi di lingotti ox hide in rame, di pezzi di spade a costolatura mediana e di altri manufatti in bronzo
rottamati (Ibid., p. 232). Occorre dire che l’interpretazione del processo stratigrafico dello scavo del vano α è condizionata da una supervalutazione degli elementi in giacitura secondaria del BR-BF della US tagliata dal ripostiglio con l’olla, da cui è scaturita un’attribuzione della stessa olla n.182 al Bronzo recente anziché agli inizi del I Ferro. Quest’olla va fissata agli inizi del I Ferro per la sua forma globoide rastremata verso la base, il labbro chiodiforme, le anse ad anello a quasi circolare tipiche anche di scodelle biansate come quelle del ripostiglio pure con pezzi di ox hide della capanna 1 di Sant’Anastasia (Ugas e Usai 1987) e del vano 12 di Genna Maria (Badas 1987, tav. IV) e ancora per il sottile velo dell’engobbio che lascia trasparire la pasta argillosa a inclusi silicei e soprattutto micacei tipici dei fittili dello scorcio del BF e degli inizi del I Ferro. I pezzi di bronzi figurati rinvenuti nello scavo, provenendo da strati soprastanti, risalgono tutti a tempi coevi o più recenti del ripostiglio con i lingotti e non già, come supposto, al Bronzo finale.

Nell'immagine: un bronzetto raffigurante uno spadaccino nuragico. (Lilliu 1966 - Sculture della Sardegna Nuragica)

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