domenica 20 novembre 2011
Il mondo dei nuragici - Giovanni Ugas
Aspetti della società sarda tra il XVI e il X a.C.
di Giovanni Ugas
E' cosa ben nota quanto sia straordinario il numero delle residenze fortificate dei capi protosardi, chiamate nuraghi, che controllavano e amministravano i territori cantonali e tribali tra il Bronzo medio e il Bronzo finale; nelle sole carte topografiche risultano oltre 5 mila, ma raggiungevano con molta verosimiglianza una cifra non inferiore a 7/8 mila a giudicare dai censimenti archeologici più recenti. Questi dati evidenziano l’esistenza di un sistematico controllo, amministrativo e difensivo dell’intero territorio sardo, sia pure diversificato in rapporto alla morfologia dei suoli, alla disponibilità economica e alle strategie generali. Per il loro aspetto formale e la pertinenza cronologica, i nuraghi sono distinti in arcaici o protonuraghi (datazione non calibrata: circa 1600-1330 a.C.) ed evoluti o classici (circa 1330-900 a.C.).
I protonuraghi, definiti talora anche nuraghi a corridoio, raggiungono già la cifra ragguardevole di circa 1200/1500 unità. Caratterizzati da corridoi e/o da camere ovali od oblunghe coperti da volte tronco-ogivali (e poi ogivali gradonate), i protonuraghi sono diffusi in tutto il territorio dell’isola e si distinguono tra loro per la diversa articolazione, come più tardi i nuraghi evoluti. Ora risultano semplici (con un solo vano per livello), ora sono formati da un bastione a più ambienti, talvolta difeso da una cinta turrita esterna (Biriola-Dualchi; Su Mulinu - Villanovafranca). I bastioni dei protonuraghi si mostrano come “palazzi” megalitici a più piani (due o forse tre nella fortezza di Su Mulinu), dal contorno concavo-convesso, e raggiungono già altezze considerevoli (non inferiori ai m 15), anticipando, nel loro aspetto, i più recenti bastioni turriti evoluti, come Su Nuraxi-Barumini, Arrubiu-Orroli e Santu Antine-Torralba, nei quali il mastio centrale può superare m 25.
Il numero decisamente inferiore dei protonuraghi con bastione circondato o non da cinta antemurale rispetto a quelli semplici indicano che, già nel XVI-XIV, la società protosarda aveva una sua articolazione interna ed era retta da capi di maggiore e minore rango.
Per la difesa ordinaria delle residenze fortificate erano necessari gruppi di guardie nelle garitte degli ingressi, sugli spalti e per la difesa personale dei capi. Già nei protonuraghi dotati di cinta esterna (provvista in genere di almeno sette torri), come Su Mulinu e Biriola-Dualchi, era indispensabile una guarnigione di un centinaio di soldati, che all’occasione doveva essere rinforzata con l’appoggio della popolazione dimorante nei villaggi. I proiettili litici per fionda, le cuspidi di freccia in ossidiana, soprattutto le possenti spade e i pugnali in rame arsenicato di Sant’Iroxi, ci assicurano che fin dal 1600 i protosardi erano frombolieri, spadaccini e arcieri. Almeno a partire dalla fine del XIV a.C. si faceva uso anche di lance corte, come evidenziano le armature in bronzo piccole e affusolate trovate negli scavi.
In sostanza già al tempo dei protonuraghi esisteva un’articolata piramide sociale con al vertice i capi o “re”, di maggiore e minore potere, stabiliti in residenze fortificate, piccoli palazzi, dove venivano conservate e amministrate le risorse vitali del territorio. La forza lavoro risiedeva in villaggi privi di mura, in stato di palese subalternità rispetto a chi dimorava nei castelli. La struttura micro-palatina non era sostanzialmente diversa dal sistema politico che ruotava attorno agli alti bastioni turriti del Bronzo recente (fine XIV - metà XII a.C.), quando però dovette aumentare il potere dei re e quello dei guerrieri, oramai parte di una casta cristallizzata nell’ambito di residenze regie che perduravano per diverse centinaia d’anni, che garantivano il mantenimento del sistema politico e sociale e con ciò la loro ragione sociale.
Questa situazione conoscitiva relativa ai protonuraghi è importante perché fa emergere un dato inconfutabile: al tempo in cui gli Shardana nel XIV a.C. militavano nei contingenti egiziani stanziati a Biblo e Ugarit, in Sardegna vi erano guerrieri esperti sia nelle mansioni proprie delle guardie personali dei capi (dovevano usare pugnali e spade e forse avevano pratica di lotta), sia nelle diverse armi e tecniche di combattimento: frombolieri e arcieri per la guerra a lunga gittata, lancieri per la distanza media e corta, spadaccini (immancabilmente difesi dallo scudo) negli scontri a viso aperto, “corpo a corpo”.
La struttura politica interna non muta nei secoli successivi (XIII-XII a.C.) e ciò porta a un numero delle residenze di capi sempre più consistente, fino a diventare esorbitante. Come detto, intorno al XIII, i nuraghi assommano a circa 7500, cifra ragguardevole in rapporto alla superficie (Kmq 24.000, media 1 nuraghe ogni kmq 3), mentre i villaggi sono stimati intorno a 2500-3000, cioè circa 1 ogni 10 kmq). Allora la popolazione dovette raggiungere i 400.000-600.000 abitanti. Nel loro insieme, le residenze dei capi maggiori (re tribali e cantonali) e dei capi minori (principi dei sub-cantoni), risultano circa 3000-3.500 (più di un terzo dell’intero numero dei nuraghi). Durante il Bronzo recente, le tribù della popolazione iliese della Sardegna centro meridionale dovevano essere circa 40, a giudicare dal numero degli eraclidi re Tespiadi, nipoti dell’eponimo Iolao (Ilas in dialetto dorico) adombrato nella letteratura greca.
Il considerevole numero e l’ubicazione dei nuraghi nel territorio, anche nelle piane alluvionali dove mancano i grandi massi per costruirli, implicano l’esistenza di un sistema di popolamento controllato e centralizzato. I tre più importanti popoli dell’isola, gli Iliesi (o Iolei) nel centro sud, i Balari nel Nord-Ovest e i Corsi nel Nord-est, erano organizzati per tribù che dovevano godere di ampia se non di totale autonomia. Da alcuni passi della letteratura greca si può dedurre che i re delle dinastie iolee, cioè i capi delle tribù iliesi erano 40 o poco più. Un numero così rilevante di distretti tribali, confermato anche dalle popolazioni locali attestate in età romana, come i Siculesi, i Galilesi nel Sud e i Nurritani e i Lugudonesi a Nord, testimonia una notevole articolazione nel tessuto antropico sardo che doveva produrre una certa instabilità e forse conflittualità nei loro rapporti
A giudicare dal computo dei nuraghi con cinta turrita esterna, i capi delle tribù e dei cantoni insediati erano in numero limitato, mentre erano assai numerosi, circa duemila, forse in proporzione al numero dei villaggi, i capi minori che controllavano i bastioni polilobati, privi di difesa murari esterna dei sub-cantoni. Col tempo l’estrema parcellizzazione del territorio disponibile dovette portare a un collasso del sistema politico ed economico, costringendo all’emigrazione una parte della popolazione, soprattutto quella giovane, e creando così le premesse per movimenti migratori alla ricerca di nuove terre, come accadde per i popoli italici e non diversamente, io credo, per gli Shardana e gli altri Popoli del Mare.
Gli edifici monumentali turriti dell’architettura nuragica del XIII e XII a.C., ancora oggi caratterizzanti il paesaggio sardo, destavano la meraviglia degli scrittori greci che li ritenevano opera di Dedalo. Le residenze di capi (i nuraghi), i sepolcri (tombe di giganti), i templi dell’acqua e i templi in antis, insomma tutti gli edifici pubblici, presentano un aspetto megalitico di bell’effetto generato sia dalla disposizione dei conci quasi sempre a filari, sia soprattutto dall’impiego sistematico di slanciate volte di sezione ogivale nelle camere circolari, nei corridoi, negli anditi, e talora nelle nicchie, una vera e propria arte gotica “ante litteram” (Lilliu). Si tratta di un’architettura ciclopica, apparentemente arcaica, ma pienamente geometrica, razionale e al passo con i tempi, se non precorritrice, soprattutto nell’impiego della volta in edifici soprassuolo, che se non inventata fu di certo perfezionata dai Sardi.
Occorre ricordare che in Oriente e in Grecia, solo assai più tardi, nel Ferro I avanzato, le volte in muratura furono adottate nelle camere circolari di edifici non funerari soprassuolo. Queste soluzioni costruttive, abbinate alla linea retta delle cortine o al profilo concavo-convesso dei bastioni (frutto dell’impiego del compasso e della fune e di rapporti armonici legati all’uso dell’unità metrica lineare di cm. 5,5), e più tardi alla bicromia e tricromia dei conci isodomi, al coronamento delle mensole dei terrazzi, offrivano ad un tempo un senso di geometria razionale, possanza e armonia, frutto di secolari esperienze nell’edilizia.
Non è esagerato affermare che, se gli architetti egizi furono i maestri insuperabili della copertura piana su pilastri e colonne, gli architetti sardi furono i maestri dei tholoi. E’ vero che in alcuni edifici dell’Argolide le volte micenee appaiono più grandiose di quelle dei nuraghi, come il tholos del “Tesoro di Atreo”, ma occorre rimarcare che tali volte sono il risultato di un rivestimento parietale ipogeico, non sono mai disposte su più piani e, non dovendo sopportare grandi carichi, non presentano particolari difficoltà per la statica complessiva degli edifici. In effetti, i Greci continentali e i cretesi, così come gli architetti anatolici e del Vicino e Medio Orientale, non usano le camere circolari con la volta negli edifici aerei, ma piuttosto impiegano colonne per realizzare le coperture degli ambienti più spaziosi (megara) dei loro palazzi.
Gli abitati nuragici sono sempre privi di mura di protezione, salvo forse alcuni casi da riportare al Bronzo Medio, come Frenegarzu di Bortigali e Monte Sara di Macomer) o piccoli nuclei insediativi arroccati su speroni di roccia. E’ un caso isolato il grande recinto, ancora da indagare, provvisto di torri che circonda il villaggio ubicato attorno nuraghe Losa di Abbasanta. Le abitazioni ordinarie sono formate da capanne singole, di pianta ovale o oblunga nel protonuragico (Bronzo Medio), sistematicamente circolare nel Bronzo recente, in sintonia coi nuraghi evoluti. L’edilizia nuragica non attesta colonne o pilastri, nonostante le loro frequenti documentazioni nei preesistenti sepolcri ipogeici prenuragici, se non nell’atrio delle abitazioni della piana del Campidano meridionale costruite con zoccoli di pietre piccole e muri di mattoni di fango. Si tratta di edifici complessi a vani quadrangolari, preceduti da pilastri con capitelli a gola (Monte Zara – Monastir) ascrivibili alla fine del Bronzo recente II e agli inizi del Bronzo Finale (XII a.C.). Il Campidano è il retroterra del golfo di Cagliari, la regione più adatta all’agricoltura e la più aperta agli influssi esterni. Nell’insediamento di Monte Zara in Monastir sono state messe in luce alcune case con pilastri e capitelli a gola di fine XIII-XII a.C. A questo periodo si fanno risalire anche le prime aggregazioni, delle capanne circolari, come a Serra Orrios di Dorgali, con raccordi murari aggiunti spesso a capanne preesistenti.
Con l’avvento di regimi politici di tipo aristocratico, nel Ferro I sardo, a partire dal 900 a.C., le abitazioni pluricellulari a corte centrale dei villaggi protosardi si presentano generalmente a vani quadrangolari e comprendono, talora, un piccolo ambiente termale rotondo, in origine coperto a tholos (Su Nuraxi di Barumini, Sedda Sos Carros di Oliena). A questi edifici rotondi, con un sedile a giro e al centro un grande bacile, sono state attribuite diverse destinazioni d’uso ma la presenza del forno per riscaldare l’acqua e di vasche, canali e doccioni non lasciano dubbi sulla loro funzione termale.
Nelle immagini: Fronte Mola, Monte Baranta e capanna Asusa.
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Inutile sottolineare che condivido, anche se non pienamente, questa elaborazione sociale e architettonica, tranne l'inquadramento delle strutture turrite come fortezze con i presidi di guardia in quanto non concepisco che necessariamente tutti i nuraghi avessero una destinazione d'uso mirata al controllo del territorio. In virtù delle figure bronzee giunte sino a noi che mostrano un ampio e capillare spaccato sociale civile e militare, come si fa a individuare i frombolieri visto che la bronzistica non nè riproduce manco uno?
RispondiEliminaIl pezzo inquadrato come LILLIU 8 tiene una fune tra le mani (gesto inconsueto per l'uso de "sa frunda" tenuta da una sola mano), attorcigliata (altra inconsuetudine, visto che la fune non deve avere nodi di alcun genere), che non ha alloggiamento per il frombolo. Vista la capacità dei fabbri è inverosimile che qualcuno di questi abbia dimenticato un particolare fondamentale. La statuetta parrebbe più verosimile se osservata completata da una fisca del pellegrino.
Caro Marcello,condivido la tua idea di escludere la possibilità di vedere un fromboliere in quel bronzetto. Aggiungo che qualche studioso lo interpreta come "boia", ossia un personaggio incaricato di stringere la corda intorno al collo del malcapitato. Sono d'sccordo con te nel riferirlo ad un culto legato alle ceramiche a fiaschetta, come quelle ritrovate (con le stesse decorazioni) a Sant'Anastasia di Sardara.
RispondiEliminaGentili Signori, sono del tutto d'accordo con voi sull'uso esclusivamente cultuale della fune ritorta mostrata dal cosiddetto "fromboliere di Uta". Non solo, tale oggetto riprodotto in miniatura, è stato rinvenuto tempo addietro insieme ad altri bronzi nuragici. Riguardo la destinazione d'uso dei nuraghi come fortezze, credo che sarebbe ora di dimostrare con prove chiare e incontrovertibili come essi abbiano svolto tale ruolo all'interno dell'architettura nuragica, non basandosi solamente sulla possanza di tali costruzioni, ma bensì adduccendo motivazioni che spieghino senza ombra di dubbio perchè questi venissero utilizzati in tal senso.
RispondiEliminaPersonalmente ritengo improbabile una futura dimostrazione certa dell'equazione nuraghe=fortezza, così come è fin troppo facile dimostrare che la funzione primaria degli edifici non sia legata esclusivamente all'ambito cultuale. I nuragici costruttori di nuraghi (li distinguo da quelli che miniaturizzarono a partire dal X a.C. i loro idoli) hanno sempre dimostrato la propensione alle attività concrete, con ceramiche non adatte all'esportazione, specializzazioni lavorative artigianali e una particolare attenzione al controllo del territorio. Queste caratteristiche dimostrano inequivocabilmente che ridurre ad una sola funzione primaria questi edifici significa non tener conto della loro immensa intelligenza pratica.
RispondiEliminaSig. Montalbano, le dichiaro subito la mia posizione a favore dell'uso quasi esclusivo dei nuraghi come luogo di culto. Le motivazioni per cui i nuraghi non possano essere delle fortezze sono state ben esemplificate da vari studiosi, uno su tutti il prof. Pittau, sebbene non sia un archeologo, per cui mi sembra superfluo elencarle di nuovo. Se dunque dovessimo dare per scontato il non utilizzo "bellico" di queste strutture quale doveva essere la loro funzione? non credo si possa parlare di un uso abitativo, sia per la scarsa salubrità dei luoghi, sia perchè sarebbe stato più semplice edificare strutture meno impegnative dal punto di vista del dispendio di energie e dei materiali. Mi domando inoltre come non venga sottolineata con la dovuta attenzione la ripetitività architettonica del nuraghe, sebbene all'interno delle variabili che ben conosciamo, tipica dei luoghi di culto. Anche ai giorni nostri, così come durante il periodo classico le chiese ed i templi, seppur all'interno di alcune variabili strutturali, grandezza, numero delle navate, numero degli altari, etc., rispondono a dei canoni costruttivi ben precisi che li contraddistinguono da tutte le altre strutture edilizie contemporanee.
RispondiEliminaI nuraghi sembrano caratterizzati da questa stessa ripetitività nella scelta delle soluzioni architettoniche, corridoi d'ingresso con nicchia, per favore non chiamiamola più garitta!, scale elicoidali, tholos con più nicchie, mezzanino e via discorrendo.
Perchè mai essi non dovettero discostarsi da questi canoni, soprattutto se si doveva trattare di fortilizi? perchè non sorprendere l'avversario con nuove soluzioni? Dice il Prof. Ugas nell'articolo postato in questo blog:i villaggi nuragici stimati (non censiti e questo è un aspetto molto rilevante) sono 2500-3000, dunque il popolo nuragico non viveva necessariamente a contatto con la struttura nuraghe, come ben dimostrato dagli studi della Dottoressa Fadda nei territori di Dorgali e Oliena, e aggiunge ancora Ugas un dato ben noto agli specialisti in materia: nessun villaggio nuragico mostra strutture difensive! Altro che società belligerante aggiungo io. Delineato questo rapido quadro sulle strutture lasciateci in eredità dai nuragici, quale era il ruolo giocato al suo interno dalla struttura nuraghe? Controllo del territorio? Ma controllo da quali pericoli se proprio i villaggi ci testimoniano la totale assenza di esigenze difensive?
Siamo tutti coscenti dunque che la soluzione del rebus sia molto complicata, ma i segnali fornitici dai materiali che sono stati restituiti dai sempre più numerosi e scientificamente attendibili scavi archeologici, ci parlano di una società nuragica profondamente legata alla sfera sacrale e religiosa.
Saluti
Gentile anonimo, condivido tutte le premesse e i dati che porta a supporto della sua idea di nuraghe=luogo di culto, ma non sposo le conclusioni che tralasciano alcuni dettagli importanti. In primo luogo non abbiamo ritrovamenti archeologici ante X a.C. che testimoniano l'utilizzo di corredi templari all'interno dei nuraghi. Come rileva Ugas, i circa 3000 villaggi non presentano strutture difensive (escludiamo i grandi muri a secco perché di altra epoca), ma ciò non significa escludere le esigenze difensive. In quel periodo (XVIII a.C.) neanche i palazzi dei minoici erano fortificati, ma la loro società non privilegiava il culto rispetto alle altre attività. Ridurre la funzione al solo scopo religioso lascia aperto il fianco a troppi dubbi. Il controllo del territorio è provato dall'archeologia, pensi alla Giara di Siddi e capirà cosa intendo. Il legame della società nuragica con la sfera sacrale era pari a quello con l'agricoltura, l'allevamento, l'artigianato, la metallurgia e il culto dei morti. All'interno dei primi nuraghi troviamo lunghi corridoi, forse legati (come ho scritto nel mio ultimo libro) ad un rito di passaggio e comunque non adatti alla funzione difensiva. Ma la camera al piano superiore, e la scala per raggiungerla, dimostrano la volontà di fruire di queste strutture.
RispondiEliminaLa ripetitività del sistema costruttivo deriva esclusivamente da un motivo: è l'unica possibilità per non farli crollare miseramente. L'evoluzione della tecnica costruttiva deriva dall'esperienza, non possiamo forzare la mano affermando il contrario.
I materiali restituiti numerosi, e gli scavi archeologici attendibili, ci gridano forte una società profondamente legata all'agricoltura.
Giara di Siddi: 14 nuraghi per "difendere" oltre 18 km, tanto è lungo il perimetro della Giara? Ma poi gli scavi archeologici hanno per caso dimostrato la contemporaneità della costruzione e della vita di questi 14 nuraghi?
RispondiEliminaAll'interno della piana quanti villaggi nuragici sono stati rinvenuti, perchè altrimenti non capiremo chi e che cosa dovevano sorvegliare e proteggere questi nuraghi.
Un'ultima cosa: se supponiamo che queste costruzioni dovevano servire ad isolare un gruppo circoscritto di popolazione che faceva riferimento a questo comprensorio, ne consegue che l'economia di queste persone si doveva sviluppare tutta all'interno di questa giara, il cui territorio non mi sembra certamente confacente ad una prospera e rigogliosa agricoltura, tutto al più si prestava all'allevamento del bestiame al pascolo.
Ma ripeto ancora questi nuraghi da chi o da cosa dovevano difendere gl abitanti della giara?
Saluti e complimenti per il blog.
Ottime osservazioni, tuttavia non parlerei di isolamento di una comunità e neanche di edificazione per la difesa di qualcosa che si trovava sopra la Giara.
RispondiEliminaGli accessi sono tutti sorvegliati, ma possiamo solo ipotizzarne i motivi: terra che garantisce il pascolo agli allevatori, luogo nel quale si praticava il culto dei morti (c'è una imponente Tomba di Giganti che pare testimoniare il possesso di quella Giara da generazioni), luogo da proteggere perché deposito di beni preziosi (metalli, armi, animali da riproduzione, guerrieri...), luogo nel quale si svolgevano riti o cerimonie rilevanti per quelle comunità, altri motivi che mi sfuggono. Quando si afferma che tutta l'economia si svolge all'interno si tralascia di considerare l'indotto o la possibilità che quello fosse un luogo per la distribuzione delle risorse. Gli scavi cosa propongono?
Esatto, la situazione è purtroppo così come la definisce Lei. Possiamo solo fare delle ipotesi, quelle espresse ma me nel messaggio precedente erano solo dei tentativi di ragionamento. La mancanza di importanti insediamenti civili all'interno della giara è a mio giudizio un segnale importante, che fa il paio, invece, con la presenza giustamente sottolineata di una imponente TdG, con la conseguente proposta di vedere in tutto quel pianoro un luogo dedicato al culto dei morti (ambito comunque connesso strettamente alla sfera religiosa).
RispondiEliminaPurtroppo la sua ultima domanda non fa altro che accrescere il rammarico per una situazione che vede la ricerca archeologica nell'isola come la cenerentola di turno, lì nella giara di Siddi, come in tanti comprensori isolani. Questi, invece, meriterebbero ben altra attenzione delle istituzioni regionali, per le implicazioni scientifiche ed economiche che potrebbero scaturirne se i siti archeologici fossero debitamente valorizzati.
Cordiali saluti.