Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

mercoledì 23 dicembre 2020

Archeologia della Sardegna. Quali aristocrazie nella Sardegna dell’Età del Ferro? Articolo di Carlo Tronchetti

 Archeologia della Sardegna. 

Quali aristocrazie nella Sardegna dell’Età del Ferro?

Articolo di Carlo Tronchetti


 Giovanni Lilliu, nella sua ricostruzione della civiltà nuragica pone, nell’età del Ferro, la “stagione del­le aristocrazie” (Lilliu 1986). Questo concetto e questa definizione sono entrati nell’uso comune e sono stati utilizzati da parte di un gran numero di studiosi del mondo nuragico, senza mai mettere in discussione l’enunciato di partenza; pare opportu­no, adesso, rivedere la situazione oggettiva dell’iso­la in questo periodo, così come ricostruibile dalla documentazione archeologica esistente, basata sul supporto di ricerche metodologicamente più me­ditate e su analisi approfondite delle manifestazioni aristocratiche in ambito mediterraneo, grazie a sco­perte di notevole peso. Il fenomeno delle aristocrazie mediterranee è stato abbondantemente ed approfonditamente studiato (da ultimo Riva e Vella 2006), sia in generale che soprattutto nelle sue manifestazioni particolari e lo­cali. È fuor di luogo in questa sede ripercorrere le vicende delle concezioni aristocratiche dalla Grecia al lontano Occidente, che vedono

una componente fondamentale nel contatto con il Vicino Oriente, trasmissore di ideologie e di oggetti di pregio, tra­mite i quali, unitamente a rituali di concezione lo­cale, queste ideologie si manifestavano.

Sintetizzando e quindi anche banalizzando, possia­mo enucleare alcuni elementi abbastanza costanti, quali le sepolture principesche, talvolta con il ritua­le omerico della deposizione dei resti incinerati in un’urna bronzea coperta da un telo di lino, attestata ad esempio a Lefkandi e Casale Marittimo, e so­prattutto il consumo rituale del vino con lo specifi­co servito per prepararlo e consumarlo, diffuso sino al mondo celtico. La sepoltura principesca di un individuo, cui si potevano accostare altre sepolture di membri della stessa famiglia, era qualificata dalla deposizione di oggetti di grande pregio, sia esotici che locali, accuratamente selezionati in uno o più nessi ideologici, che esprimevano i valori dello sta­tus di aristocratico.

Nel mondo etrusco-italico i “beni di lusso”, di prestigio, si qualificano in massima parte, ma ov­viamente non solo, come oggetti importati, sia dal Vicino Oriente che dal mondo ellenico. I keimelia di origine e derivazione orientale, sia essa ellenica o vicino-orientale, assieme a specifici prodotti lo­cali, vengono raccolti e tesaurizzati in analogia con i costumi descritti nell’epica omerica (Naso 2000). Questi fenomeni, con l’emergere del ceto aristocra­tico, pur avendo ovviamente radici più antiche, si manifestano pienamente nel Mediterraneo occi­dentale nel corso dell’VIII sec. a.C.

Mauro Menichetti, anni addietro, in un bel volume sulle aristocrazie tirreniche, ha descritto lo strato so­ciale definito “aristocratico in virtù del possesso di un surplus economico, di perizia e capacità guerrie­re largamente esaltate, di una cultura coerentemen­te strutturata e funzionale al proprio ruolo sociale”. Io mi sentirei di ampliare e meglio specificare que­sta denominazione, definendo l’aristocrazia anche come “detentrice di valori condivisi dalla comunità, che ostenta in un contesto ideologico di esaltazione e riproduzione della stirpe”.

Andiamo ad esaminare più da vicino la situazione della Sardegna. È da premettere che parlare di “si­tuazione della Sardegna” in generale non ha molto senso, a causa dell’articolata conformazione geogra­fica e geologica dell’isola. Diverse, e in maniera no­tevole, sono le potenzialità di zone come l’Orista­nese, con facili approdi, dotato di vaste aree colti­vabili, zone adatte alla pastorizia ed all’allevamento, stagni con ampie possibilità di caccia e pesca, con entroterra sufficientemente ricco di risorse minera­rie, terminale di vie di penetrazione verso l’interno più profondo dell’isola, rispetto a queste zone più interne, aspre e montuose, adatte praticamente solo alla pastorizia ed alla estrazione di minerali, ove presenti. Le poche indagini territoriali compiute con metodologie aggiornate, ed edite specificando la metodologia, i fini attesi ed i risultati ottenuti, ci mostrano come situazioni zonali differenziate offrano una risposta diversa alla ricerca. Purtroppo queste indagini sono assai limitate, ma comunque fondamentali per comprendere alcuni aspetti, fra cui il primo è proprio la mancanza di univocità. I pochi scavi in contesti dello stesso periodo non si distaccano da questa visione, offrendo situazio­ni parzialmente distinte tra le zone, ad esempio, dell’Oristanese e del Sulcis, riguardo al rapporto tra le genti esterne all’isola e le comunità indigene.

Le scoperte straordinarie, adesso non più isolate, di Sant’Imbenia, e quelle di Huelva, importanti soprattutto per la quantità di materiale restituito, affiancate ai ritrovamenti africani, siciliani, crete­si, quantitativamente minori ma qualitativamente altrettanto significativi, ci portano a prospettare concretamente e verosimilmente un rapporto so­stanzialmente paritario tra Fenici (usando questo termine nella sua accezione omerica) e comunità tardo-nuragiche. In realtà non è disagevole rico­noscere un significativo sbilanciamento a favore di quest’ultime nella gestione del territorio e delle sue risorse nei confronti degli “altri”, ma l’analisi di questo, adesso, ci porterebbe su un terreno troppo ampio e basterà accennare alla sua concreta esisten­za, che non è senza valore per quanto dirò. La vei­colazione di vino prodotto in Sardegna, contenuto in anfore prodotte in Sardegna su modelli orienta­li, mediante navi fenicie con probabile equipaggio misto, ci riporta ad una sorta di joint-venture, per usare un termine moderno assolutamente inappli­cabile a situazioni antiche, ma che rende immedia­tamente l’idea di questa unione di forze produttive e “commerciali” per uno scopo comune.

È indubbio che i contatti tra i Fenici ed i Sardi nell’VIII sec. a.C. si fanno sempre più forti ed in­trecciati, ed i rapporti privilegiati intessuti da al­cune comunità indigene con gli stranieri possono aver portato, se non proprio alla nascita di marcati processi di differenziazione tra comunità e all’inter­no della comunità stessa, quantomeno all’accelera­zione ed accentuazione di fenomeni del genere, già in lenta attuazione. Sull’altro lato, l’atteggiamento dei Fenici rispetto al territorio, le sue risorse e chi le gestiva, si differenzia in ragione del diverso at­teggiamento di queste comunità, come le ricerche succitate mostrano con chiarezza.

Andando a cercare i segni della nascita delle ari­stocrazie, così come sono noti da altre regioni mediterranee, li troviamo con estrema difficoltà. Il rituale di sepoltura nell’età del Bronzo è con­trassegnato dalla tumulazione collettiva nelle co­munitarie Tombe dei Giganti. Nell’età del Ferro appaiono per la prima volta sepolture singole, con deposizione dei defunti inumati in pozzetti. Si tratta di un cambiamento che non è fuori di luogo definire epocale: dalla tomba collettiva alla tomba individuale. Si incrementano, dallo scorcio del IX secolo in poi, gli oggetti esterni, molti dei quali si qualificano come beni di prestigio, provenienti sia dal Vicino Oriente, che dalla penisola italiana. È interessante e molto significativo andare ad esami­nare i luoghi di ritrovamento di questi materiali esotici e pregni di significato. A parte alcune fibule, la quasi totalità proviene da santuari o comunque luoghi di culto.

 


Fig. 1 - 1. diffusione delle anfore tipo S. Imbenia e delle brocchette askoidi; 2. importazioni bronzee di IX-VIII sec. a.C.: statuette orientali, torcieri di tipo cipriota, calderoni; 3. Nuraghe Serucci (Gonnesa): capanna con corte centrale.


I torcieri bronzei di tipo cipriota con fusto a corolle rovesciate si rinvengono pres­so il nuraghe S’Uraki di S. Vero Milis, dove scavi recenti hanno messo in luce una zona cultuale sor­ta alla fine del Bronzo-inizio Ferro, nel santuario Su Monte di Sorradile, spostato pochi chilometri a NE di S’Uraki, lungo una via di penetrazione verso l’interno dell’isola, e nel grande santuario di S.Vittoria di Serri. I tre calderoni bronzei rinve­nuti impilati a Sardara provengono dalla capanna delle adunanze nel santuario di Sant’Anastasia, legato ad un tempio a pozzo. Dalla grande e pur­troppo poco conosciuta zona sacra di Nurdole nel territorio di Orani giungono almeno due brocche fenicie in lamina di bronzo. Dal nuraghe Su Igante di Uri proviene una coppa bronzea, vero e proprio pastiche che assembla pezzi di oggetti diversi, an­che “importati”, in un insieme di gusto “barbaro”. Fibule si trovano in maggiore quantità, anch’esse, come detto, in gran numero presso santuari, dove possiamo ipotizzarle connesse all’offerta di manti esotici, forse donati da donne straniere andate in sposa a capi di comunità sarde.

Quello che è importante e significativo è che questi beni di pregio sono tutti concentrati in spazi comu­nitari santuariali. Nessuno, sinora, è stato trovato in una struttura che potremmo definire “privata” a connotare un singolo individuo.

Non è assolutamente fuor di luogo rilevare anche come i beni di pregio importati non hanno una sfe­ra ideologica precisa di riferimento. Un elemento largamente diffuso ed attestato come distintivo del­le aristocrazie è, come detto, il consumo del vino, ma il suo consumo in forma sociale non sembra avere attinto alla connotazione rituale che lo con­traddistingue altrove. Per intenderci, un “servito per bere” esotico non è mai stato ritrovato in con­testi indigeni. Gli strumenti topici, il contenitore per miscelare la bevanda e le coppe per assumere il liquido, abitualmente in bronzo o in metalli prezio­si, che si ritrovano altrove, in Sardegna sono total­mente assenti. Per quanto ne sappiamo, quindi, il consumo rituale del vino non è attestato. Oppure, se lo è, è nascosto sotto forme esclusivamente locali che non recepiscono assolutamente ideologie ester­ne, e lo mascherano ai nostri occhi.

Se andiamo ad esaminare le tombe vediamo che, anche se singole, si configurano praticamente pa­ritarie, indistinte l’una dall’altra, senza che dei se­mata possano individuarle e differenziarle. Non abbiamo esempi di tombe principesche in cui la persona sociale dell’individuo defunto risalti, osten­tando i propri valori, emergendo e distinguendosi dalle altre.

Anche il caso, sinora unico, di Monte Prama (Tronchetti e Van Dommelen 2005), che pure sem­bra maggiormente accostarsi alle manifestazioni dell’ideologia ostentativa aristocratica note altrove, è, in realtà, molto particolare. La statuaria e gli altri elementi (modelli di nuraghe, betili) contraddistin­guono gruppi di tombe, identiche tra loro, in cui sono sepolti uomini, donne ed individui giovanili in età post puberale, senza alcun raggruppamento o criterio distintivo. Non spicca una tomba sulle altre; quello che risalta e viene esaltata è la famiglia, per usare un termine volutamente generico, il grup­po, la struttura parentelare, non il singolo.

Questo contrasta radicalmente con la situazione de­scritta in una sintesi recente di Peroni (2004), non riferita alla Sardegna, in cui lo studioso mette in evidenza come già nell’età del Bronzo non si indivi­duino necropoli in cui si aggregano, mescolandosi, individui dei due sessi e di gruppi di età diversi: nel tessuto funerario l’unità di base è un gruppo di individui portatori di uno stesso ruolo. La differen­za con la situazione sarda appare immediatamente notevole.

Se adesso porgiamo attenzione ai contesti abitati­vi si può notare agevolmente l’assenza di abitazio­ni che si distinguono dalle altre in modo eviden­te. Nei villaggi sinora indagati si affermano, dallo scorcio dell’età del Bronzo Finale, aggregati cellu­lari di capanne, le cosiddette capanne con corte centrale, di cui si rinvengono, all’interno del me­desimo insediamento, diverse unità. Difficilmente potremmo considerarle abitazioni privilegiate di un aristocratico; l’ipotesi che mi sembra maggiormen­te ragionevole è che siano nuclei destinati ad una famiglia allargata, o simile aggregato. Sempre nei villaggi spiccano le note “capanne delle adunanze”, strutture di maggiori dimensioni delle altre, con­traddistinte da un bancone lungo le pareti e, abi­tualmente, dalla presenza di un modello di nuraghe posto su un basamento centrale o in una nicchia. Secondo i dati di scavo editi l’affermazione di que­ste capanne si ha durante l’età del Ferro, e lo scavo di quella nel villaggio del Nuraghe Palmavera of­fre lo spunto a interessanti considerazioni. Alberto Moravetti, infatti, individua lo spazio per almeno 43 individui seduti. Appare verosimile ritenere che tali individui fossero i capo-famiglia del villaggio, o di una più ampia comunità, raccolti in riunioni di valore “politico”, sotto l’egida del nuraghe, vero e proprio segno della memoria, immanente nel ter­ritorio, divenuto, al tempo stesso, luogo di culto, oggetto di culto e altare dove il culto stesso veniva prestato. Altre strutture di rilievo in ambito abita­tivo non esistono, o non se ne sono sinora trovate. Fenomeni, anche se cronologicamente posteriori, come la regia di Murlo o il Cancho Roano iberico, in Sardegna sono, allo stato attuale, impensabili.

 


Fig. 2 - Brocchette askoidi: 1. da Cadice; 2. da Vetulonia; 3. da Su Monte (Sorradile); 4. dal nuraghe Ruju (Buddusò); 5. Monte Prama (Cabras), planimetria della necropoli; 6. Monte Prama (Cabras), statua di “pugilatore”; 7. Monte Prama (Cabras), statua di arciere; 8. Padria, bronzetto di guerriero.

 

Se, quindi, sintetizzando, individuiamo lo stile di vita aristocratico di modello eroico che pone l’ac­cento ostentativo sul banchetto con il consumo rituale del vino, sulla guerra e sulla ‘bella morte’ omerica e osserviamo come questi valori vengano palesati attraverso particolari strutture tombali con obliterazione di una determinata selezione di og­getti pregiati ed esotici, vediamo chiaramente come in Sardegna non si possa attualmente riscontrare niente di tutto ciò.

Sembra, da quanto detto sopra, di poter ipotizzare che la società sarda dell’Età del Ferro trovi i suoi valori nella comunità, e nel gruppo familiare, più che nel singolo individuo.

Quello che mi pare chiaro ed evidente è che questa società sarda dell’età del Ferro, almeno nelle sue fasi di IX e VIII sec. a.C., si caratterizza come molto selettiva nei confronti dell’esterno, recependo ed adottando con estrema oculatezza modelli e stili di vita. È proprio al termine di questo periodo, cioè allo scorcio dell’VIII secolo, con l’inizio di quello che si definisce Orientalizzante antico, che si pone la manifestazione più eclatante riferibile a model­li aristocratici, e cioè la statuaria connessa con la necropoli di Monte Prama. Indubbiamente l’ide­ologia della statua funeraria ed onoraria in pietra di grandi dimensioni è giunta dal Vicino Oriente, analogamente a quanto accade nella penisola italia­na, rivestendosi di un aspetto formale aderente alle iconografie locali, ma le analogie con la statuaria che connota le sepolture dei principes etruschi ed italici si arrestano a questo punto. Difatti le statue non connotano la tomba di un individuo, il princeps, ca­postipite della dinastia di cui diviene antenato, ma sono poste come semata di necropoli in cui, come detto, sono sepolti indistintamente uomini, donne ed adolescenti. Non viene esaltata una individua­lità precisa e determinata, ma quella che possiamo chiamare la famiglia, il clan, la stirpe, che viene col­legata ai propri mitici antenati dai betili, prelevati da una più antica tomba di giganti. Non è questa la sede per approfondire il discorso su Monte Prama, e quindi mi limiterò a ribadire il fatto che questa “aristocrazia” tardo-nuragica dello scorcio dell’VIII secolo e dei primi decenni del successivo, tende a connotare non un singolo ma una stirpe.

Senza dubbio il territorio del Sinis è assai favorevole al contatto ed alla reciproca integrazione di genti di­verse e un fenomeno come quello di Monte Prama ci indica con sufficiente chiarezza, per dirla con parole banali, chi era che comandava. Almeno sino ai primi decenni del VII secolo il territorio ed i contatti con l’esterno erano in mano ed erano gestiti dalle comu­nità nuragiche dell’età del Ferro, che erano potenti, ricche, vive e vitali. Non solo gestivano il territorio e le sue risorse, e selezionavano con cura i materiali esotici di pregio che acquisivano, ma li producevano. Questi beni, le celebri navicelle bronzee, trovano la loro destinazione in tombe, talora prestigiose prin­cipesche, dall’Etruria Settentrionale alla Campania, e nei grandi santuari emporici (Gravisca, Capo Colonna) in un arco di tempo, come tutti i dati a nostra disposizione confermano, che va dal tardo Geometrico all’Orientalizzante finale.

In queste potenti comunità esistevano famiglie che si distinguevano dalle altre, per comprendere i cui valori è necessario abbandonare i parametri noti in altre aree mediterranee, pur tenendoli presente per riscontrare diversità ed eventuali affinità, e ricercare i modi di espressione dei propri specifici valori.

Riferimenti bibliografici

Lilliu G. 1986, Società ed economia nei centri nuragici, in AA.VV., Società e cultura in Sardegna nei periodi orientalizzante e arcaico, Cagliari, pp. 77-87.

Naso A. 2000, Aspetti del tema “Gesellschaft un Selbstdarstellung”, in Akten des Kolloquium Der Orient und Etrurien, Pisa-Roma, pp. 227-232.

Peroni R. 2004, Culti, comunità tribali e gentilizie, caste guerriere e figure di eroi e principi nel secondo millennio in Italia tra Europa centrale ed Egeo, in Marzatico F., Gleirscher P., a cura di, Guerrieri principi ed eroi fra il Danubio e il Po dalla Preistoria all’alto Medioevo, Trento, pp. 161-173.

Riva C., Vella N., eds, 2006, Debating Orientalization: Multidisciplinary Approaches to Change in the Ancient Mediterranean, London.

Tronchetti C., Van Dommelen P. 2005, Entangled Objects and Hybrid Practices. Colonial Contacts and Elite Connections at Monte Prama, Sardinia, JMA 18, pp. 183-208


Fonte:

ISTITUTO ITALIANO DI PREISTORIA E PROTOSTORIA, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI, CENTRO INTERDIPARTIMENTALE PER LA PREISTORIA E PROTOSTORIA DEL MEDITERRANEO (C.I.P.P.M.)

ATTI DELLA XLIV RIUNIONE SCIENTIFICA, LA PREISTORIA E LA PROTOSTORIA DELLA SARDEGNA

Cagliari, Barumini, Sassari 23-28 novembre 2009

1 commento: