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mercoledì 9 dicembre 2020

Archeologia della Sardegna. Nuraghe Pidighi e villaggio, nel comune di Solarussa.

 Archeologia della Sardegna. Nuraghe Pidighi e villaggio, nel comune di Solarussa.

L’archeologo A.Usai ha condotto 11 campagne di scavo tra il 1998 e il 2008 mettendo in luce una serie di capanne adiacenti il nuraghe e una muraglia continua che delimita l’insediamento. Tutte le immagini contenute in questo articolo sono dell'archeologo A.Usai che ha diretto gli scavi. Il lavoro è iniziato nella fonte nuragica Mitza Pidighi, posizionata a pochi metri dal nuraghe. L’insediamento misura circa 150 metri da Nord a Sud e 120 metri da Ovest a Est. Una serie di robusti muri va a formare ambienti di varie dimensioni (tra i 10 e i 30 mq) che, pur conservando un passaggio di comunicazione, separano gli spazi funzionali e alcuni piccoli cortili. L’adozione di muri rettilinei o leggermente arcuati risponde all’esigenza di sfruttare al meglio lo spazio divenuto prezioso, evitando la formazione di scomodi ambienti a clessidra che inevitabilmente si creano negli interstizi tra due edifici rotondi. Solo uno degli

edifici conserva la tradizionale pianta circolare. La muraglia chiude tutti i preesistenti passaggi di comunicazione con l’esterno.

In un momento successivo vengono costruite due torrette sporgenti dagli angoli nord-orientale e settentrionale dell’insediamento (TAV. IV: 2; fase 8). La torretta nord-orientale è composta da due piccoli vani distinti rinvenuti pressoché vuoti, per cui si può pensare che fossero adibiti al deposito di materiali deperibili. Invece la torretta settentrionale (TAV. V: 1 ) è costituita da un edificio circolare in cui è stato rinvenuta una buona quantità di materiale ceramico che attesta un’organizzazione domestica. Nella porzione finora indagata dell’insediamento non sono stati rinvenuti pozzi e cisterne, pertanto l’approvvigionamento idrico dipendeva interamente dalla vicina fonte “Mitza Pidighi”, distante circa 20 metri dal margine orientale dell’abitato.

Le capanne rotonde monocellulari

Tutti gli edifici hanno gli ingressi strombati e sono prive di nicchie e stipetti. Dei quattro ambienti indagati, tre possiedono un pavimento acciottolato, mentre uno ha un semplice battuto di terra. La copertura era conica con pali di legno e frasche. In alcuni ambienti sono state messe in evidenza delle piattaforme di lastre leggermente rialzate rispetto al piano di calpestio, verosimilmente utilizzate per attività domestiche e in una c’era un grosso frammento di macina, un macinello a barchetta e un pestello.

La casa complessa 

A Ovest del tratto esterno del muro radiale si distingue un isolato complesso di circa 200 mq, composto da andito d’ingresso, cortiletto centrale, diversi vani domestici, un piccolo vano rotondo con sedili e un cortiletto. 

Questo isolato si formò dalla fusione dei tradizionali edifici circolari circostanti, forse per un cambio di destinazione d’uso, e somiglia agli ambienti presenti a Bruncu ‘e s’Omu di Villaverde,

Su Nuraxi di Barumini, Santa Vittoria di Serri, S’Arcu ‘e is Forros di Villagrande, Sa Sedda ‘e sos Carros di Oliena, Romanzesu di Bitti, Seruci di Gonnesa, Iloi di Sedilo, Serra ‘e Orrios di Dorgali, Palmavera di Alghero e La Prigiona di Arzachena. Un ulteriore stadio evolutivo, tanto strutturale quanto funzionale, è rappresentato dal complesso di Sant’Imbenia di Alghero, specializzato negli scambi e caratterizzato da un cortile molto ampio circondato da ambienti minori con diversi ripostigli carichi di rame e bronzo, un vero e proprio mercato. Quasi tutti i vani hanno pavimenti in pietra, acciottolati o lastricati.

Un ambiente particolare è circolare, del diametro di circa 2 metri, cui si accede da Sud-ovest attraverso un altro vano. Nel passaggio c’era una vasca rettangolare monolitica in arenaria fine e tenera con due bacini separati da un setto forato alla base, connessa col cortiletto lastricato e col forno che dista circa un metro. Il vano ha un sedile semicircolare addossato alle pareti nell’arco opposto all’ingresso e alla vasca, composto da conci squadrati di andesite; originariamente doveva esservi anche un bacile rotondo, poggiato sul pavimento acciottolato. È possibile che questo piccolo ambiente avesse una copertura a falsa cupola in pietra e riproduce lo schema canonico delle piccole “rotonde” con sedile, bacile e vasca.

Altri cortili

I cortili sono stati esplorati in minima parte per ragioni operative, essendo riservati al transito dell’escavatore impiegato per l’asportazione dei materiali di risulta. 

Non si può escludere che questi ambienti siano stati suddivisi da strutture deperibili, come palizzate o staccionate in legno, o anche da elementi mobili temporanei come paraventi o tendaggi, tuttavia il fatto che non siano stati invasi da altre strutture murarie permanenti suggerisce che essi fossero riservati ad attività che non potevano essere svolte in ambienti chiusi di piccole dimensioni, o incompatibili con le attività a cui quelli erano destinati. 

Un grosso frammento di macina è stato rinvenuto fuori posto all’estremità orientale del cortile. Vari stipiti composti da blocchi di pietra alla base e da tronchi di legno o forse mattoni d’argilla nell’elevato, dovevano servire a restringere i passaggi, a incardinare le porte e a sostenere le coperture, che per le parti restanti si appoggiavano alle murature adiacenti.

La muraglia perimetrale

Oltre alle strutture descritte, altri resti della muraglia e delle torrette perimetrali sono ben evidenti anche sugli altri lati dell’insediamento, benché non posti in luce dallo scavo. Alle estremità del lato occidentale il muro perimetrale non sembra addossato a strutture abitative preesistenti, ma costituito da cortine rettilinee raccordate con vere e proprie torrette marginali rotonde, di cui almeno due provviste di ingressi esterni. 

La datazione della muraglia perimetrale tra il Bronzo Finale e il Primo Ferro è confermata dai reperti ceramici recuperati tra il pietrame di riempimento, del tutto identici a quelli dell’ultima facies dell’abitato e della fonte.

I materiali: la ceramica

I materiali archeologici sembrano appartenere a un’unica facies molto compatta dal punto di vista formale e tecnologico, quindi presumibilmente di non lunga durata. I contesti materiali finora recuperati sono caratterizzati da associazioni di tipi ceramici e metallici che pongono l’ultima fase occupativa agli inizi della Prima Età del Ferro, in sincronia con l’ultimo periodo di utilizzo della vicina fonte. In entrambi i casi, gli strati superiori di occupazione sono coperti dagli accumuli di crollo. Le fasi precedenti, che senza dubbio ebbero luogo almeno nella parte centrale dell’insediamento, come testimoniano gli strati inferiori adiacenti alla fonte, sono al momento documentate solo da frammenti residui, tra cui si riconoscono solo i pochissimi decorati a pettine. 



La generale uniformità dei materiali emerge in primo luogo dall’esame delle ceramiche, con riferimento alle tecniche di lavorazione dell’argilla, alle forme vascolari e alle decorazioni. Come nella fonte, anche nell’insediamento predomina largamente il tipo ceramico caratterizzato da impasto uniforme con digrassante sabbioso, di colore grigio chiaro, talvolta grigio scuro o beige-nocciola; rispetto alla fonte risaltano quantitativamente i recipienti d’impasto rossastro. Le superfici sono ingubbiate e lisciate, sovente abrase, degli stessi colori. Le pareti sottilissime e le striature sulle superfici interne dei vasi chiusi  evidenziano l’uso del tornio lento, mentre la colorazione chiara e uniforme indica una cottura in forni ad alta temperatura con aerazione costante. Sono presenti ciotole carenate, scodelline emisferiche o a calotta, uno scodellone troncoconico con orlo ispessito e sbiecato all’esterno, coppe di cottura, ollette con colletto appena accennato o a orlo ispessito, un boccale con ansa a gomito rovescio, una brocca decorata con cerchielli concentrici alla base dell’ansa, un’accetta in bronzo a margini rialzati, un bottone conico in bronzo con appendice superiore discoidale, due piccole olle a botticella con prese forate verticalmente, un vaso portabrace con piattello concavo sull’ansa e una “fiasca del pellegrino” che trova confronto in rari manufatti nuragici d’impasto e nei “pendagli a pendolo” in bronzo presenti anche a Populonia e Vetulonia.

I reperti metallici

I reperti metallici sono, come di solito, molto più rari e isolati rispetto alle ceramiche. La maggior parte di essi sono piccoli frammenti informi di piombo, di rame o bronzo e anche di ferro. Gli oggetti riconoscibili più comuni, spesso anche raggruppati, sono le grappe di restauro in piombo. Il bottone in bronzo è di forma conica con appendice superiore discoidale e con ponticello ricurvo interno per il fissaggio al supporto (alt. cm 1 ,8, diam. 2,2). 

L’ascia in bronzo a margini rialzati dal vano P, è lunga cm 13,7 e un’altra ascia dello stesso tipo, lunga cm 12,2, è stata rinvenuta nel cortile W. Il reperto più appariscente è una punta di lancia in bronzo integra e lunga cm 30, ha una forma a foglia lunga e stretta con immanicatura a cannone cilindrico. Infine, due piccoli frammenti dal vano G, forse pertinenti a una fibula ad arco semplice, e due frammenti di spilloni dal cortiletto V e dal vano AC.

I reperti litici

Quasi tutti gli spazi dell’insediamento del nuraghe Pidighi hanno restituito quantità variabili di schegge lavorate, la maggior parte in ossidiana, mentre la selce è più scarsa. Si notano pestelli, coti e brunitoi  ricavati da diversi tipi di pietra, nonché piccoli mortai o altri recipienti, per lo più ricavati da una varietà di basalto spugnoso e leggero. Di medie dimensioni sono le “teste di mazza” ellissoidali forate, i macinelli a barchetta e un mortaio, tutti in basalto. Di grandi dimensioni sono i frammenti di macine fisse e alcune conche o vaschette, tutti in basalto. Infine, il manufatto lapideo di maggiori dimensioni è la vasca rettangolare monolitica a due bacini rinvenuta in posto nel varco tra il vano Z e il cortiletto. Al momento dello scavo la vasca si presentava completamente frantumata, pertanto è stata subito protetta e attualmente non è visibile. È ricavata da un unico blocco di arenaria siltosa fine e tenera di colore grigio biancastro, probabilmente proveniente dagli affioramenti delle unità sedimentarie marine mioceniche dell'area tra Siamanna e Siapiccia, distanti una decina di chilometri verso Sud-Est sull'opposto versante del Tirso.

Mattoni d’argilla

In diversi ambienti dell’insediamento del nuraghe Pidighi sono stati rinvenuti frammenti d’argilla cotta con una, due, tre o quattro facce più o meno lisce e ortogonali. Sono riferibili a veri e propri mattoni d’argilla di forma parallelepipeda. Sono collegati con l’alzato di strutture fondate su zoccoli lapidei relativamente sottili, costituiti da pietre di dimensioni ridotte o da blocchi disposti su un’unica fila, che in effetti si prestano perfettamente alla sopraelevazione con elementi modulari parallelepipedi, solidi e stabili come i mattoni crudi o cotti. L’utilizzo dei mattoni d’argilla potrebbe essere stato favorito dalla difficoltà di introdurre e movimentare blocchi di pietra in una situazione di forte suddivisione degli spazi interni, soprattutto dopo la costruzione della grande muraglia perimetrale quasi priva di accessi dall’esterno. Pertanto l’utilizzo dei mattoni d’argilla sarebbe il risultato di una scelta culturale atta a risolvere un problema contingente, certo non una necessità dettata dalla mancanza di pietra da costruzione, che in effetti non manca assolutamente.  In diversi ambienti dell’insediamento sono presenti anche frammenti di materiali lapidei non locali, quindi intenzionalmente trasportati per specifiche funzioni. Si tratta di frammenti, per lo più informi o non riconoscibili, di arenaria, scisto e tufo trachitico, nonché di ciottoli di quarzo interi o spaccati. Degno di nota è un vago globulare di vetro, originariamente azzurro.

La frequentazione storica

Negli strati di crollo delle strutture nuragiche sono stati rinvenuti singoli manufatti che forniscono indicazioni sui tempi e le modalità delle frequentazioni avvenute dopo l’abbandono dell’insediamento nuragico. Assente qualsiasi elemento di origine fenicia, il reperto storico più antico è una grande anfora da trasporto di tradizione punica, rinvenuta nello strato di crollo all’angolo di un cortile. Appartiene ad un tipo prodotto in Sardegna tra la fine dell’età punica e l’inizio della fase romana repubblicana, III-II secolo a.C.

In epoca romana, l’abitato del nuraghe Pidighi fu frequentato in modo sporadico. Oltre a frammenti ceramici non ancora studiati, all’età romana si ascrive una fibula in bronzo rinvenuta isolata in uno stretto interstizio tra il muro del vano e le pietre dello strato di crollo e sembrava un oggetto perso da un visitatore dell’insediamento dopo il suo abbandono. La fibula, lunga cm 7, si caratterizza per la molla ad avvolgimento bilaterale, l’arco asimmetrico a sezione triangolare e la staffa rettangolare con sporgenza terminale che la riconducono al gruppo Nauheim II.2, diffuso nell’Italia nord-orientale nella seconda metà del I sec.a.C.

                                                       La  fonte  nuragica  Mitza  Pidighi

Agli inizi del Medio Evo (V-VII sec. d. C.) risalgono tre sepolture individuali ricavate negli strati di abbandono dell’abitato. Le tre tombe sono del tipo a fossa e orientate nel senso Est- Ovest, e una di esse presenta il rivestimento in lastre di pietra. Erano sconvolte e hanno restituito solo piccoli frammenti d’ossa e pochissimi cocci. Lo scheletro della tomba 3 era discretamente conservato e in posizione distesa, con la testa a Ovest e i piedi a Est, e il suo corredo era composto da una fibbia da cintura in bronzo e da un pendaglio-affilatoio in pietra.

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