Archeologia della Sardegna.
Quali aristocrazie nella Sardegna dell’Età del Ferro?
Articolo di Carlo Tronchetti
Giovanni Lilliu, nella sua ricostruzione della civiltà nuragica pone, nell’età del Ferro, la “stagione delle aristocrazie” (Lilliu 1986). Questo concetto e questa definizione sono entrati nell’uso comune e sono stati utilizzati da parte di un gran numero di studiosi del mondo nuragico, senza mai mettere in discussione l’enunciato di partenza; pare opportuno, adesso, rivedere la situazione oggettiva dell’isola in questo periodo, così come ricostruibile dalla documentazione archeologica esistente, basata sul supporto di ricerche metodologicamente più meditate e su analisi approfondite delle manifestazioni aristocratiche in ambito mediterraneo, grazie a scoperte di notevole peso. Il fenomeno delle aristocrazie mediterranee è stato abbondantemente ed approfonditamente studiato (da ultimo Riva e Vella 2006), sia in generale che soprattutto nelle sue manifestazioni particolari e locali. È fuor di luogo in questa sede ripercorrere le vicende delle concezioni aristocratiche dalla Grecia al lontano Occidente, che vedono
una componente fondamentale nel contatto con il Vicino Oriente, trasmissore di ideologie e di oggetti di pregio, tramite i quali, unitamente a rituali di concezione locale, queste ideologie si manifestavano.
Sintetizzando
e quindi anche banalizzando, possiamo enucleare alcuni elementi abbastanza
costanti, quali le sepolture principesche, talvolta con il rituale omerico
della deposizione dei resti incinerati in un’urna bronzea coperta da un telo di
lino, attestata ad esempio a Lefkandi e Casale Marittimo, e soprattutto il
consumo rituale del vino con lo specifico servito per prepararlo e consumarlo,
diffuso sino al mondo celtico. La sepoltura principesca di un individuo, cui si
potevano accostare altre sepolture di membri della stessa famiglia, era
qualificata dalla deposizione di oggetti di grande pregio, sia esotici che
locali, accuratamente selezionati in uno o più nessi ideologici, che
esprimevano i valori dello status di aristocratico.
Nel mondo
etrusco-italico i “beni di lusso”, di prestigio, si qualificano in massima
parte, ma ovviamente non solo, come oggetti importati, sia dal Vicino Oriente
che dal mondo ellenico. I keimelia di origine e derivazione orientale, sia essa
ellenica o vicino-orientale, assieme a specifici prodotti locali, vengono
raccolti e tesaurizzati in analogia con i costumi descritti nell’epica omerica
(Naso 2000). Questi fenomeni, con l’emergere del ceto aristocratico, pur
avendo ovviamente radici più antiche, si manifestano pienamente nel
Mediterraneo occidentale nel corso dell’VIII sec. a.C.
Mauro
Menichetti, anni addietro, in un bel volume sulle aristocrazie tirreniche, ha
descritto lo strato sociale definito “aristocratico in virtù del possesso di
un surplus economico, di perizia e capacità guerriere largamente esaltate, di
una cultura coerentemente strutturata e funzionale al proprio ruolo sociale”.
Io mi sentirei di ampliare e meglio specificare questa denominazione,
definendo l’aristocrazia anche come “detentrice di valori condivisi dalla
comunità, che ostenta in un contesto ideologico di esaltazione e riproduzione
della stirpe”.
Andiamo ad
esaminare più da vicino la situazione della Sardegna. È da premettere che
parlare di “situazione della Sardegna” in generale non ha molto senso, a causa
dell’articolata conformazione geografica e geologica dell’isola. Diverse, e in
maniera notevole, sono le potenzialità di zone come l’Oristanese, con facili
approdi, dotato di vaste aree coltivabili, zone adatte alla pastorizia ed
all’allevamento, stagni con ampie possibilità di caccia e pesca, con entroterra
sufficientemente ricco di risorse minerarie, terminale di vie di penetrazione
verso l’interno più profondo dell’isola, rispetto a queste zone più interne,
aspre e montuose, adatte praticamente solo alla pastorizia ed alla estrazione
di minerali, ove presenti. Le poche indagini territoriali compiute con
metodologie aggiornate, ed edite specificando la metodologia, i fini attesi ed
i risultati ottenuti, ci mostrano come situazioni zonali differenziate offrano
una risposta diversa alla ricerca. Purtroppo queste indagini sono assai
limitate, ma comunque fondamentali per comprendere alcuni aspetti, fra cui il
primo è proprio la mancanza di univocità. I pochi scavi in contesti dello
stesso periodo non si distaccano da questa visione, offrendo situazioni
parzialmente distinte tra le zone, ad esempio, dell’Oristanese e del Sulcis,
riguardo al rapporto tra le genti esterne all’isola e le comunità indigene.
Le scoperte
straordinarie, adesso non più isolate, di Sant’Imbenia, e quelle di Huelva,
importanti soprattutto per la quantità di materiale restituito, affiancate ai
ritrovamenti africani, siciliani, cretesi, quantitativamente minori ma
qualitativamente altrettanto significativi, ci portano a prospettare
concretamente e verosimilmente un rapporto sostanzialmente paritario tra
Fenici (usando questo termine nella sua accezione omerica) e comunità tardo-nuragiche.
In realtà non è disagevole riconoscere un significativo sbilanciamento a
favore di quest’ultime nella gestione del territorio e delle sue risorse nei
confronti degli “altri”, ma l’analisi di questo, adesso, ci porterebbe su un
terreno troppo ampio e basterà accennare alla sua concreta esistenza, che non
è senza valore per quanto dirò. La veicolazione di vino prodotto in Sardegna,
contenuto in anfore prodotte in Sardegna su modelli orientali, mediante navi
fenicie con probabile equipaggio misto, ci riporta ad una sorta di
joint-venture, per usare un termine moderno assolutamente inapplicabile a
situazioni antiche, ma che rende immediatamente l’idea di questa unione di
forze produttive e “commerciali” per uno scopo comune.
È indubbio
che i contatti tra i Fenici ed i Sardi nell’VIII sec. a.C. si fanno sempre più
forti ed intrecciati, ed i rapporti privilegiati intessuti da alcune comunità
indigene con gli stranieri possono aver portato, se non proprio alla nascita di
marcati processi di differenziazione tra comunità e all’interno della comunità
stessa, quantomeno all’accelerazione ed accentuazione di fenomeni del genere,
già in lenta attuazione. Sull’altro lato, l’atteggiamento dei Fenici rispetto
al territorio, le sue risorse e chi le gestiva, si differenzia in ragione del
diverso atteggiamento di queste comunità, come le ricerche succitate mostrano
con chiarezza.
Andando a
cercare i segni della nascita delle aristocrazie, così come sono noti da altre
regioni mediterranee, li troviamo con estrema difficoltà. Il rituale di
sepoltura nell’età del Bronzo è contrassegnato dalla tumulazione collettiva
nelle comunitarie Tombe dei Giganti. Nell’età del Ferro appaiono per la prima
volta sepolture singole, con deposizione dei defunti inumati in pozzetti. Si
tratta di un cambiamento che non è fuori di luogo definire epocale: dalla tomba
collettiva alla tomba individuale. Si incrementano, dallo scorcio del IX secolo
in poi, gli oggetti esterni, molti dei quali si qualificano come beni di prestigio,
provenienti sia dal Vicino Oriente, che dalla penisola italiana. È interessante
e molto significativo andare ad esaminare i luoghi di ritrovamento di questi
materiali esotici e pregni di significato. A parte alcune fibule,
Fig. 1 - 1. diffusione
delle anfore tipo S. Imbenia e delle brocchette askoidi; 2. importazioni
bronzee di IX-VIII sec. a.C.: statuette orientali, torcieri di tipo cipriota,
calderoni; 3. Nuraghe Serucci (Gonnesa): capanna con corte centrale.
I torcieri bronzei di
tipo cipriota con fusto a corolle rovesciate si rinvengono presso il nuraghe
S’Uraki di S. Vero Milis, dove scavi recenti hanno messo in luce una zona
cultuale sorta alla fine del Bronzo-inizio Ferro, nel santuario Su Monte di
Sorradile, spostato pochi chilometri a NE di S’Uraki, lungo una via di
penetrazione verso l’interno dell’isola, e nel grande santuario di S.Vittoria
di Serri. I tre calderoni bronzei rinvenuti impilati a Sardara provengono
dalla capanna delle adunanze nel santuario di Sant’Anastasia, legato ad un
tempio a pozzo. Dalla grande e purtroppo poco conosciuta zona sacra di Nurdole
nel territorio di Orani giungono almeno due brocche fenicie in lamina di
bronzo. Dal nuraghe Su Igante di Uri proviene una coppa bronzea, vero e proprio
pastiche che assembla pezzi di oggetti diversi, anche “importati”, in un
insieme di gusto “barbaro”. Fibule si trovano in maggiore quantità, anch’esse,
come detto, in gran numero presso santuari, dove possiamo ipotizzarle connesse
all’offerta di manti esotici, forse donati da donne straniere andate in sposa a
capi di comunità sarde.
Quello che è
importante e significativo è che questi beni di pregio sono tutti concentrati
in spazi comunitari santuariali. Nessuno, sinora, è stato trovato in una
struttura che potremmo definire “privata” a connotare un singolo individuo.
Non è
assolutamente fuor di luogo rilevare anche come i beni di pregio importati non
hanno una sfera ideologica precisa di riferimento. Un elemento largamente
diffuso ed attestato come distintivo delle aristocrazie è, come detto, il
consumo del vino, ma il suo consumo in forma sociale non sembra avere attinto
alla connotazione rituale che lo contraddistingue altrove. Per intenderci, un
“servito per bere” esotico non è mai stato ritrovato in contesti indigeni. Gli
strumenti topici, il contenitore per miscelare la bevanda e le coppe per
assumere il liquido, abitualmente in bronzo o in metalli preziosi, che si
ritrovano altrove, in Sardegna sono totalmente assenti. Per quanto ne
sappiamo, quindi, il consumo rituale del vino non è attestato. Oppure, se lo è,
è nascosto sotto forme esclusivamente locali che non recepiscono assolutamente
ideologie esterne, e lo mascherano ai nostri occhi.
Se andiamo ad
esaminare le tombe vediamo che, anche se singole, si configurano praticamente
paritarie, indistinte l’una dall’altra, senza che dei semata possano
individuarle e differenziarle. Non abbiamo esempi di tombe principesche in cui
la persona sociale dell’individuo defunto risalti, ostentando i propri valori,
emergendo e distinguendosi dalle altre.
Anche il
caso, sinora unico, di Monte Prama (Tronchetti e Van Dommelen 2005), che pure
sembra maggiormente accostarsi alle manifestazioni dell’ideologia ostentativa
aristocratica note altrove, è, in realtà, molto particolare. La statuaria e gli
altri elementi (modelli di nuraghe, betili) contraddistinguono gruppi di
tombe, identiche tra loro, in cui sono sepolti uomini, donne ed individui
giovanili in età post puberale, senza alcun raggruppamento o criterio
distintivo. Non spicca una tomba sulle altre; quello che risalta e viene
esaltata è la famiglia, per usare un termine volutamente generico, il gruppo,
la struttura parentelare, non il singolo.
Questo
contrasta radicalmente con la situazione descritta in una sintesi recente di
Peroni (2004), non riferita alla Sardegna, in cui lo studioso mette in evidenza
come già nell’età del Bronzo non si individuino necropoli in cui si aggregano,
mescolandosi, individui dei due sessi e di gruppi di età diversi: nel tessuto
funerario l’unità di base è un gruppo di individui portatori di uno stesso
ruolo. La differenza con la situazione sarda appare immediatamente notevole.
Se adesso
porgiamo attenzione ai contesti abitativi si può notare agevolmente l’assenza
di abitazioni che si distinguono dalle altre in modo evidente. Nei villaggi
sinora indagati si affermano, dallo scorcio dell’età del Bronzo Finale,
aggregati cellulari di capanne, le cosiddette capanne con corte centrale, di
cui si rinvengono, all’interno del medesimo insediamento, diverse unità.
Difficilmente potremmo considerarle abitazioni privilegiate di un
aristocratico; l’ipotesi che mi sembra maggiormente ragionevole è che siano
nuclei destinati ad una famiglia allargata, o simile aggregato. Sempre nei
villaggi spiccano le note “capanne delle adunanze”, strutture di maggiori
dimensioni delle altre, contraddistinte da un bancone lungo le pareti e, abitualmente,
dalla presenza di un modello di nuraghe posto su un basamento centrale o in una
nicchia. Secondo i dati di scavo editi l’affermazione di queste capanne si ha
durante l’età del Ferro, e lo scavo di quella nel villaggio del Nuraghe
Palmavera offre lo spunto a interessanti considerazioni. Alberto Moravetti,
infatti, individua lo spazio per almeno 43 individui seduti. Appare verosimile
ritenere che tali individui fossero i capo-famiglia del villaggio, o di una più
ampia comunità, raccolti in riunioni di valore “politico”, sotto l’egida del
nuraghe, vero e
Fig. 2 - Brocchette
askoidi: 1. da Cadice; 2. da Vetulonia; 3. da Su Monte (Sorradile); 4. dal
nuraghe Ruju (Buddusò); 5. Monte Prama (Cabras), planimetria della necropoli;
6. Monte Prama (Cabras), statua di “pugilatore”; 7. Monte Prama (Cabras),
statua di arciere; 8. Padria, bronzetto di guerriero.
Se, quindi, sintetizzando, individuiamo lo stile di vita aristocratico di modello eroico che pone l’accento ostentativo sul banchetto con il consumo rituale del vino, sulla guerra e sulla ‘bella morte’ omerica e osserviamo come questi valori vengano palesati attraverso particolari strutture tombali con obliterazione di una determinata selezione di oggetti pregiati ed esotici, vediamo chiaramente come in Sardegna non si possa attualmente riscontrare niente di tutto ciò.
Sembra, da
quanto detto sopra, di poter ipotizzare che la società sarda dell’Età del Ferro
trovi i suoi valori nella comunità, e nel gruppo familiare, più che nel singolo
individuo.
Quello che
mi pare chiaro ed evidente è che questa società sarda dell’età del Ferro,
almeno nelle sue fasi di IX e VIII sec. a.C., si caratterizza come molto
selettiva nei confronti dell’esterno, recependo ed adottando con estrema
oculatezza modelli e stili di vita. È proprio al termine di questo periodo,
cioè allo scorcio dell’VIII secolo, con l’inizio di quello che si definisce
Orientalizzante antico, che si pone la manifestazione più eclatante riferibile
a modelli aristocratici, e cioè la statuaria connessa con la necropoli di
Monte Prama. Indubbiamente l’ideologia della statua funeraria ed onoraria in
pietra di grandi dimensioni è giunta dal Vicino Oriente, analogamente a quanto
accade nella penisola italiana, rivestendosi di un aspetto formale aderente
alle iconografie locali, ma le analogie con la statuaria che connota le
sepolture dei principes etruschi ed italici si arrestano a questo punto.
Difatti le statue non connotano la tomba di un individuo, il princeps, capostipite
della dinastia di cui diviene antenato, ma sono poste come semata di necropoli
in cui, come detto, sono sepolti indistintamente uomini, donne ed adolescenti.
Non viene esaltata una individualità precisa e determinata, ma quella che
possiamo chiamare la famiglia, il clan, la stirpe, che viene collegata ai
propri mitici antenati dai betili, prelevati da una più antica tomba di
giganti. Non è questa la sede per approfondire il discorso su Monte Prama, e
quindi mi limiterò a ribadire il fatto che questa “aristocrazia” tardo-nuragica
dello scorcio dell’VIII secolo e dei primi decenni del successivo, tende a
connotare non un singolo ma una stirpe.
Senza dubbio
il territorio del Sinis è assai favorevole al contatto ed alla reciproca
integrazione di genti diverse e un fenomeno come quello di Monte Prama ci
indica con sufficiente chiarezza, per dirla con parole banali, chi era che
comandava. Almeno sino ai primi decenni del VII secolo il territorio ed i
contatti con l’esterno erano in mano ed erano gestiti dalle comunità nuragiche
dell’età del Ferro, che erano potenti, ricche, vive e vitali. Non solo
gestivano il territorio e le sue risorse, e selezionavano con cura i materiali
esotici di pregio che acquisivano, ma li producevano. Questi beni, le celebri
navicelle bronzee, trovano la loro destinazione in tombe, talora prestigiose
principesche, dall’Etruria Settentrionale alla Campania, e nei grandi santuari
emporici (Gravisca, Capo Colonna) in un arco di tempo, come tutti i dati a
nostra disposizione confermano, che va dal tardo Geometrico all’Orientalizzante
finale.
In queste
potenti comunità esistevano famiglie che si distinguevano dalle altre, per
comprendere i cui valori è necessario abbandonare i parametri noti in altre
aree mediterranee, pur tenendoli presente per riscontrare diversità ed
eventuali affinità, e ricercare i modi di espressione dei propri specifici
valori.
Riferimenti bibliografici
Lilliu G. 1986, Società ed economia nei centri nuragici, in AA.VV., Società e cultura in Sardegna nei periodi orientalizzante e arcaico, Cagliari, pp. 77-87.
Naso A. 2000, Aspetti del tema “Gesellschaft un Selbstdarstellung”, in Akten des Kolloquium Der Orient und Etrurien, Pisa-Roma, pp. 227-232.
Peroni R. 2004, Culti, comunità tribali e gentilizie, caste guerriere e figure di eroi e principi nel secondo millennio in Italia tra Europa centrale ed Egeo, in Marzatico F., Gleirscher P., a cura di, Guerrieri principi ed eroi fra il Danubio e il Po dalla Preistoria all’alto Medioevo, Trento, pp. 161-173.
Riva C., Vella N., eds, 2006, Debating Orientalization: Multidisciplinary Approaches to Change in the Ancient Mediterranean, London.
Tronchetti C., Van Dommelen P. 2005, Entangled Objects and Hybrid Practices. Colonial Contacts and Elite Connections at Monte Prama, Sardinia, JMA 18, pp. 183-208
Fonte:
ISTITUTO ITALIANO DI PREISTORIA E PROTOSTORIA, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI, CENTRO INTERDIPARTIMENTALE PER LA PREISTORIA E PROTOSTORIA DEL MEDITERRANEO (C.I.P.P.M.)
ATTI DELLA XLIV RIUNIONE SCIENTIFICA, LA PREISTORIA E LA PROTOSTORIA DELLA SARDEGNA
Cagliari, Barumini, Sassari 23-28 novembre 2009
Un salutone a Carlo trochetti e ai suoi fenici
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