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martedì 8 dicembre 2020

Archeologia della Sardegna: Parco archeologico di Pabillonis

Archeologia della Sardegna: Parco archeologico di Pabillonis


Tra il Riu Malu e il Riu Bellu, in un territorio argilloso che ne ha caratterizzato la storia e l’economia, sorge Pabillonis, anticamente noto come Bidda de is pingiadas (paese delle pentole). Il paese conta quasi tremila abitanti ed è legato a tradizioni agricole e artigiane, in particolare per la lavorazione della terracotta e della terracruda. La sapienza dei “maestri” ceramisti e la disponibilità delle materie prime nei suoi terreni paludosi garantiscono la qualità dei prodotti lavorati. Troviamo citato Pabillonis nei documenti che sancirono la pace tra Aragona e il Giudicato d’Arborea nel 1388, come Paviglionis e Panigionis, dal latino pavilio, in sardo pabillone, ossia accampamento militare a difesa dei confini del Giudicato cui il villaggio apparteneva. Nel territorio del Comune di Pabillonis sono presenti importanti testimonianze archeologiche. Nella parte settentrionale del territorio comunale, quella più vicina alla città e al porto dell’antica Neapolis, strategica città portuale a sud del Golfo di Oristano, troviamo il

grande complesso nuragico di San Lussorio, proprio dove il Flumini Mannu raggiungeva la massima portata d'acqua, raccolta dai suoi affluenti di sinistra (provenienti dai monti di Guspini, Arbus e Gonnosfanadiga) e di destra (dai colli di Sardara, Collinas e Mogoro). Nella prima metà dell'Ottocento Vittorio Angius parla di un grande nuraghe (oggi quasi scomparso) presso l'antica chiesetta campestre di S. Lussorio, circondato da un'altra costruzione e da due piccoli nuraghi, visibili ancora oggi, in uno dei quali si scoprì un'urna di oltre due metri con dentro le ossa. Nel 1918 Antonio Taramelli annoverava il nuraghe Santo Lussorio tra i principali monumenti preistorici ubicati nel “bacino del Rivus Sacer”. Nel 1998 Giovanni Ugas lo definisce nuraghe complesso con un villaggio datato tra il Bronzo recente e la prima Età del Ferro, mentre nel 1987 Raimondo Zucca segnala il ritrovamento di anfore commerciali puniche e ceramica attica a vernice nera, oltre alla presenza di un insediamento di età romana ed alto-medievale. Nel 2016 il Segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Sardegna ha dichiarato l’area archeologica del Nuraghe Santu Sciori bene di interesse archeologico. 


Nella relazione, compilata dall'Ispettore Massimo Casagrande, si legge che “allo stato attuale il monumento si presenta come un nuraghe polilobato costruito in pietre vulcaniche di grande pezzatura, di cui si distinguono almeno tre torri quasi interamente interrate e parzialmente celate dal possente crollo. Un'altra struttura antica, forse un'ulteriore torre nuragica, è stata costruita a circa 60 metri ad Ovest. Alla sua sommità sono presenti i ruderi dell'originaria chiesa campestre di San Lussorio, il cui perimetro è ancora ben distinguibile per un'altezza massima di circa 2 m. Per un raggio di circa un chilometro attorno al nuraghe esisteva un sistema di protezione testimoniato dalla presenza di altri nuraghi minori costruiti in punti strategici, soprattutto in corrispondenza dei guadi fluviali. Il primo nuraghe provenendo da nord ci è noto grazie alle prime mappe catastali della Sardegna, realizzate tra il 1842 e il 1843 dal Real Corpo di Stato Maggiore, che rilevano ai confini tra Pabillonis, Guspini, Arcidano e Mogoro di un punto trigonometrico poggiato su un nuraghe denominato Nuraxi Fogoneddu o Foguedu, posto a nord ovest dal punto dove il “Flumini Malu” e il “Flumini Bellu”, unendosi, prendono il nome di “Flumini Mata” (chiamato ufficialmente in altre carte Flumini Mannu), in corrispondenza di un guado denominato “Bau Fogoneddu”. Un nuraghe denominato Acqua Sassa rappresentato più o meno in questo punto da Francesco Lampis, collaboratore del Taramelli, dovrebbe corrispondere al nuraghe Fogoneddu. Questo toponimo rappresentato nelle mappe di inizio Ottocento, scompare dalla cartografia successiva e non appare mai in bibliografia. Potrebbe corrispondere al piccolo rilievo contraddistinto dalla quota di 25 metri s.l.m., al confine tra Guspini e Pabillonis, visibile sulla carta IGM in scala 1:25.000 del 1931. 

Per ingrandire l'immagine del percorso cliccare sopra.


Vicino a questa, presso i ruderi dell'abitazione campestre denominata Casa Rossi, oggi sono presenti numerosi blocchi di basalto lavorati con tecnica nuragica. Nella stessa elaborazione grafica del Lampis sono rappresentati, presso il Flumini Mannu, altri due nuraghi: sulla sponda sinistra, a circa un chilometro a sud ovest del Fogoneddu, uno (Nuraghe Part’Jossu) presso Casa Matta, tra le località di Ponti Becciu e Partiossu, e l’altro (Nuraghe S.Caterina) sulla sponda destra. Nel “Foglio d'Unione del Comune di Arcidano” del 1843, oltre al Nuraxi Fogoneddu, sulla sponda opposta è aggiunta a matita l'indicazione di un “Ponte Vecchio o S. Caterina”. Il nome attuale di Ponte della Baronessa è successivo a questo, in quanto il Barone Rossi, proprietario di quella zona, ricevette il titolo nobiliare soltanto nel 1847, quattro anni dopo i rilievi del De Candia. Nelle mappe dell'IGM, dalla fine dell'Ottocento, non apparirà più il toponimo di “Ponte S. Caterina”, ma tutta l'area limitrofa verrà denominata Ponte Vecchio. La prima menzione di questo ponte risale al 1987, quando l'Ispettore onorario Tarcisio Agus (poi sindaco di Guspini e consigliere regionale) scrive alla Soprintendenza una lettera per chiedere un intervento di consolidamento del “Ponte romano pericolante in agro di Pabillonis”. L'area oggi è occupata da colture intensive, e l'unico elemento architettonico del ponte antico è una arcata posta ad una certa distanza dall'attuale alveo fluviale. Il ponte è stato recentemente oggetto di opere di consolidamento dall'amministrazione comunale, rendendo sicura la sua fruibilità da parte dei visitatori. A 150 metri a nord est sopravvivono i resti del Nuraghe e della chiesa medievale di S. Caterina. L'antica chiesa campestre fu costruita riutilizzando i resti dell'omonimo nuraghe, e la sua esistenza è ricordata negli Annales Sardiniae da Salvador Vidal, monaco francescano nato nel 1575 a Maracalagonis, che cita la presenza a Pabillonis di questo edificio sacro, assieme a quelli ubicati nel centro del paese dedicati a Santa Maria e San Giovanni. 


A circa tre chilometri a sud del nuraghe San Lussorio, per un raggio di circa due chilometri, incontriamo una seconda concentrazione di insediamenti nuragici, almeno sei, disposti a raggiera lungo la complessa rete fluviale che caratterizza l'area del centro abitato di Pabillonis. Proseguendo da San Lussorio verso sud est lungo il corso del fiume, che ora cambia il suo nome in Flumini Malu, troviamo un altro guado significativo denominato Bau sa Taula. Qui viene segnalato un insediamento punico, romano e alto-medievale da Raimondo Zucca per il ritrovamento di frammenti ceramici di varie epoche, dalle anfore puniche alla ceramica invetriata medievale. La presenza di grandi blocchi squadrati di basalto segnala in questa zona la presenza di un edificio nuragico, denominato dal nome della località Nuraghe Sa Fronta, distrutto durante lavori agricoli effettuati in tempi recenti. L'analisi delle foto aeree degli anni cinquanta sembra suggerire la presenza di un nuraghe trilobato non distante dalla riva destra del Rio Malu. Nella piana tra il nuraghe Sa Fronta e la linea ferroviaria c’è l'unica sepoltura preistorica conosciuta nel comune di Pabillonis, nella località nota come S'ena 'e su Zimini. Nel 1986 Giovanni Ugas fra i blocchi di basalto presenti notava un “masso trapezoidale sbiecato alla sommità, ben lavorato a martellina che può essere interpretato come menhir collocato in vicinanza di una tomba megalitica indiziata da numerose ossa umane”.

 

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