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martedì 17 marzo 2015

Archeologia. La Cagliari Fenicio Punica

La Cagliari Fenicio Punica
di Alfonso Stigliz


Intervista a cura di Mauro Atzei.
Conferenze organizzate al Search- sottopiano del Municipio di Largo Carlo Felice, da Italia Nostra, Cagliari in età fenicio-punica raccontata da Alfonso Stiglitz, oggi direttore del Museo Civico di San Vero Milis.

“E' una città con ben ottomila anni di storia” racconta lo studioso, che si riallaccia così, in questa interessantissima disamina, al robusto filo narrativo di rinvenimenti di epoca prenuragica e nuragica.
“Parlare di Cagliari è sempre interessante - spiega Stiglitz - perché è una città ricchissima di storia e ogni periodo dei suoi ottomila anni ha una sua ricchezza e complessità; ovviamente il periodo fenicio-punico dura quasi ottocento anni e per descrivere tutto ciò che abbiamo scoperto di tutti quegli anni ci vorrebbero molte altre conferenze.”
La Cagliari descritta da Stiglitz è una ricchissima città mercantile, prodiga di risorse naturali, agricole e minerarie, grazie alle vicine miniere del Sulcis, nella quale i mercanti fenici provenienti da Tiro, nel Mar Mediterraneo orientale trovano un ambiente accogliente e favorevole ai loro traffici.
“I Fenici non approdavano in città o in territori sottosviluppati, ma cercavano di inserirsi in città e in società complesse ed evolute.”
Pur non conoscendo il mito di fondazione della città di Cagliari, sappiamo che i Fenici arrivarono guidati dal mito di Melqart, il Signore di Tiro, e di Astarte, la signora, la dea
dei buoni venti, protettrice dei naviganti. La laguna di Santa Gilla, dove sorgeva il porto, per quanto riguarda Melqart, e il Capo Sant'Elia, relativamente ad Astarte, sono i due luoghi sacri nei quali sorgevano i templi dedicati a questi dei.
“Il toponimo lo conosciamo - ci dice Stiglitz- e proviene dalla radice 'Kar' che è un toponimo molto antico precedente all'arrivo dei Fenici. Il significato di kar, dicono i linguisti, potrebbe essere roccia, che unito al suffisso collettivo 'al' o 'aly' potrebbe significare cumulo o insieme di rocce, io ho pensato che la traduzione di questo potrebbe essere promontorio oppure 
filari di colline, che segnano il paesaggio e che vede chi naviga, come ci descriveva Claudiano.”
“L'approdo principale della Cagliari fenicio-punica era nella laguna di Santa Gillae l'abitato nella zona del quartiere di Santa Avendrace. Non dimentichiamo che nella prima età del ferro ci sono almeno quattro luoghi che hanno restituito materiali nuragici- sostiene ancora Stiligz- Capo Sant'Elia, l'area di Bonaria, l'isolotto di Sa Illetta e l'area di Via Brenta; tuttavia in nessuno dei siti sono state trovare delle strutture, si spera che negli scavi della Sella Del Diavolo si possa trovare qualcosa.
“C'è uno spazio rituale- prosegue lo studioso- che in ambito fenicio assegna ai luoghi lo stato di città, ed è il topeth,cioè l'area scarificale dedicata alla divinità Baal Hammon e ad altre divinità importanti del panteon fenicio. Purtroppo venne scavato negli anni '40 e si trovava nell'area dove oggi insiste l'assessorato alla P.I. della Regione e le case della polizia ferroviaria. Il tophet definisce inoltre i limiti della città , che sono segnati dal tophet stesso e dalla necropoli.”
Le altre aree sacre accertate sono quelle dedicate alle divinità (che troviamo anche nei nomi degli abitanti) di Eshmun, Melqart, Ashtar oltre a Ball Hamon e Tanit. Poi l'altro indicatore che assegna il rango di città ad un area abitata è la necropoli; e la necropoli di Tuvixeddu che stava nel colle che chiudeva la città a monte è enorme: oltre 60 ettari. Abbiamo anche tracce di necropoli a Bonaria, Monte Urpinu e Monte Claro. E' probabile che Monte Urpinu e Monte Claro avessero una funzione agricola, di giardini peri-urbani, e per questo avessero le loro necropoli.
“Gli archeologi sono degli storici interessati alla società umane, alle persone; la statua di Bes, o le statue di Monti Prama, senza le persone che le hanno scolpite, sono soltanto dei pezzi di pietra– ha proseguito lo studioso - partendo dai dati materiali ci interessa capire la loro vita, sapere chi erano i cagliaritani, e poco ci interessa se erano, nuragici, fenici, punici o romani. Era una società segmentata, ai cui vertici si ergevano i sufeti, che erano dei magistrati che governano (forse all'inizio in vece divina). Noi conosciamo tanti sufeti, nei templi e nelle monete, sono magistrati punici con nomi punici, conosciamo le loro gerarchie sacerdotali e perfino gli imprenditori e gli architetti, gruppi sociali di un certo livello.”
L'ascoltatore vorrebbe chiedersi chi siano davvero questi Fenici, che si insediano pacificamente in una cittàricca e prosperosa, territorio di una società già molto evoluta, senza fare danni, senza cambiare nome al suo già antichissimo toponimo e per convivere pacificamente con i cagliaritani diventando, col tempo, cagliaritani loro stessi; addirittura coniando moneta propria, per mano dei suoi sufeti, edificando laboratori, ristrutturando porti e costruendo una grande necropoli come quella di Tuvixeddu, che “oggi è la necropoli di età fenicio-punica più grande del mondo” - come tiene a rimarcare Stiglitz- “anche perché, a differenza di tutte le altre, Cartagine compresa, si è conservata e non è stata distrutta da un'eccessiva antropizzazione.”
Una Cagliari, probabilmente, incredibilmente libera e dinamica dove il nuragico e il fenicio si fondono vicendevolmente.
Fino a quando, forse perché ritenuta troppo slegata dal controllo cartaginese, la potente città nord-africana comincia a ingerire nelle cose sarde, probabilmente a pretendere più tasse o forse più terra e i cagliaritani a mostrare segni di insofferenza.
“Ce lo fa pensare il ritrovamento di certi rasoi di derivazione egiziana trovati nelle tombe fenicie - dice lo studioso- questo ha fatto pensare che si trattasse di persone venute da Cartagine. Sappiamo che nel pieno del potere di Cartagine dovevano esserci dei funzionari molto temuti che crearono delle tensioni con i fenici di Cagliari. Tant'è che Cagliari sarà alleata di Roma al momento della guerra con Cartagine (e non solo Cagliari).”
“Infatti- conclude Stiglitz- all'arrivo dei Romani nel 238 a.C. Cagliari diventa romana senza colpo ferire, senza sradicamento di persone e cariche e dove addirittura la comunità punica non perde il suo potere, tanto da continuare a battere moneta. Perfino i cosiddetti sardi pelliti dell'interno dell'isola non parteciperanno alla battaglia di Cornus e non aiutarono i cartaginesi. In definitiva Cagliari si può definire come una città che si rigenera tante volte, una città con radici nuragiche, da una parte, e radici fenicie che vengono dall'area israeliana, palestinese e siriana, dall'altra; una città che quindi dovrebbe sentirsi solidale e vicina a quelle popolazioni oggi in grande crisi. In Sardegna siamo arrivati tutti da fuori ma ancora si continua ad arrivare dal mare o dall'interno dell'isola, ed è un continuo modificarsi, ridiscutere la propria identità, con un ancoraggio che non significa immobilismo, non significa autarchia o morte in se stessi, ma significa grande apertura. In sostanza tutto ciò fa di Cagliari una città sarda”.

Fonte:  http://www.comunecagliarinews.it


1 commento:

  1. e quindi addio Cicerone quando disse che nessuna città della Sardegna fu mai amica di Roma. Cagliari e le città sarde erano tutte per Roma, evvai! Finalmente si riscrive la storia, sempre da succubi però!!! Non sia mai che i sardi valessero qualcosa e avessero un minimo di amor proprio!!! Sono d'accordo che in Sardegna siamo arrivati tutti da fuori , ma non ieri e neanche avantieri e anche quelli dell'interno qualcosa valevano. Non mi sembra che un discrorso di apertura e neanche di immobilismo , semplicemente di negazionismo.

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