interrotti, ma si ritiene comunque che la mappa generale delle rotte commerciali risenta della pressione dei mercanti levantini che portarono con sé nuove esigenze e obiettivi commerciali. L'età del ferro, oggetto di questa tesi, sarebbe solamente dunque un momento di veloce deterioramento della capacità delle popolazioni sarde di inserirsi attivamente nel tessuto delle relazioni tra popoli Mediterranei: in quest'ottica, i contesti etruschi "chiusi", di età orientalizzante, sarebbero una forma di revival dettato dalla riproposizione in ambito funerario di oggetti ormai vecchi di secoli, mentre in Sardegna si assisterebbe a forme di tesaurizzazione, che dal bronzo finale si estenderebbero appunto all'età del ferro. Ancora, in linea generale, il quadro dei rapporti con le altre popolazioni del Mediterraneo, vedrebbe un'evoluzione dei protagonisti in senso diacronico e, banalizzando, una successione simile:
venerdì 20 marzo 2015
Archeologia. I rapporti fra la Sardegna e Cipro nell'età del Bronzo: i lingotti ox-hide
Archeologia. I rapporti fra la Sardegna e Cipro nell'età del Bronzo: i lingotti ox-hide
di Davide Schirru
(tratto dalla tesi di laurea dello stesso autore)
Molti autori riconoscono il ruolo di Cipro nello sviluppo
delle tecniche metallurgiche in Sardegna, ma i contrasti nascono nel momento in
cui si tratta di datare queste influenze, interpretabili come fenomeni di
"acculturazione", visto che l'idea di una civiltà nuragica
passivamente recettiva degli stimoli provenienti dall'oriente può dirsi
definitivamente tramontata, sulla base dei ritrovamenti di manufatti nuragici
nel Mediterraneo centrale avvenuti negli ultimi trent'anni. I materiali di
origine cipriota presenti in Sardegna sono per lo più manufatti metallici,
mentre i reperti ceramici si riducono a due soli frammenti, provenienti dal
Nuraghe Antigori di Sarroch: un frammento di ansa wishbone handle della classe
ceramica Base-ring II ware (Tardo Cipriota II) e un frammento di un pithos, del
tipo utilizzato per il trasporto di olio. La selettività con la quale i
materiali ciprioti vengono recepiti in Sardegna dovrà far riflettere sulla
natura degli scambi: allo stato attuale della documentazione archeologica, la
situazione siciliana appare invece molto diversa, dal momento che sono stati
rinvenute in associazione, a Thapsos e a Cannatello, ceramiche micenee e
cipriote con frammenti di lingotti oxhide. Questi lingotti furono, come si sostiene
sulla scorta delle analisi archeometallurgiche (Kassianidou 2005), prodotti a
Cipro a partire dal XV secolo fino all'XI a.C., e un'ulteriore conferma in
questo senso verrebbe dai due relitti di navi rinvenuti nei pressi delle coste
meridionali della Turchia, quelli di Uluburun e di Capo Gelydonia. Come è
evidente, già questo primo dato anticipa di svariati secoli il boom delle
manifestazioni metallurgiche nell'isola, ed è una prima giustificazione per una
cronologia alta di contesti quali i ripostigli. In linea generale, in questa
prospettiva di cronologia alta, si ritiene che l'influsso cipriota cambi di
segno all'alba dell'XI secolo, quando in Sardegna fanno la loro comparsa
oggetti come gli spiedi compositi e le spade del tipo Monte Sa Idda, che
denunciano uno stretto legame con l'area iberica. I rapporti col mondo cipriota
non si sarebbero però
interrotti, ma si ritiene comunque che la mappa generale delle rotte commerciali risenta della pressione dei mercanti levantini che portarono con sé nuove esigenze e obiettivi commerciali. L'età del ferro, oggetto di questa tesi, sarebbe solamente dunque un momento di veloce deterioramento della capacità delle popolazioni sarde di inserirsi attivamente nel tessuto delle relazioni tra popoli Mediterranei: in quest'ottica, i contesti etruschi "chiusi", di età orientalizzante, sarebbero una forma di revival dettato dalla riproposizione in ambito funerario di oggetti ormai vecchi di secoli, mentre in Sardegna si assisterebbe a forme di tesaurizzazione, che dal bronzo finale si estenderebbero appunto all'età del ferro. Ancora, in linea generale, il quadro dei rapporti con le altre popolazioni del Mediterraneo, vedrebbe un'evoluzione dei protagonisti in senso diacronico e, banalizzando, una successione simile:
interrotti, ma si ritiene comunque che la mappa generale delle rotte commerciali risenta della pressione dei mercanti levantini che portarono con sé nuove esigenze e obiettivi commerciali. L'età del ferro, oggetto di questa tesi, sarebbe solamente dunque un momento di veloce deterioramento della capacità delle popolazioni sarde di inserirsi attivamente nel tessuto delle relazioni tra popoli Mediterranei: in quest'ottica, i contesti etruschi "chiusi", di età orientalizzante, sarebbero una forma di revival dettato dalla riproposizione in ambito funerario di oggetti ormai vecchi di secoli, mentre in Sardegna si assisterebbe a forme di tesaurizzazione, che dal bronzo finale si estenderebbero appunto all'età del ferro. Ancora, in linea generale, il quadro dei rapporti con le altre popolazioni del Mediterraneo, vedrebbe un'evoluzione dei protagonisti in senso diacronico e, banalizzando, una successione simile:
1.
ciprioti/cretesi/micenei
2.
popolazioni iberiche
3.
primi prospectors levantini (filistei)
4.
fenici.
Si cercherà ora di precisare quali sono gli elementi che
hanno permesso di datare la diffusione dei lingotti oxhide (che inevitabilmente
presuppongono una componente cipriota nel loro commercio). I limiti cronologici
sopracitati, che vanno dal XV all'XI secolo, sono stati individuati non tanto
in base a ritrovamenti avvenuti nell'isola di Cipro, ma sulla base di
associazioni documentate in contesti cretesi e sardi (Kassianidou 2005).
D'altra parte, si può ipotizzare che già gli esemplari cretesi (i più antichi)
fossero prodotti a Cipro, come la recente scoperta di una vasta officina
metallurgica del Tardo Cipriota I farebbe ipotizzare (Knapp et alii 1999); lo
stesso, sostiene la Kassianidou, si può affermare per gli esemplari sardi, dato
che sono state individuati resti di officine metallurgiche che hanno proseguito
la loro attività fin nel periodo geometrico, dunque ben oltre il limite dell'XI
secolo (naturalmente qui si accetta, in via provvisoria, la cronologia alta per
la Sardegna). L'Autrice passa in rassegna tutti gli elementi che farebbero
propendere per identificare Cipro come luogo di produzione degli oxhide ingots:
l'assenza di matrici di fusione non sembrerebbe uno scoglio insormontabile, dal
momento che prove sperimentali hanno suggerito come potessero essere state
usate anche matrici di sabbia (l'unica matrice conosciuta, in pietra, è quella
proveniente da Rab Ibn Hani in Siria); a Cipro sono presenti i più abbondanti
giacimenti di rame del Mediterraneo, e tutti i più inequivocabili indizi di
raffinate attività metallurgiche per tutto l'arco cronologico entro il quale
questi lingotti sono attestati. La prova ritenuta decisiva è però quella delle
analisi archeometallurgiche, nella fattispecie le analisi degli isotopi del
piombo: i lingotti oxhide rinvenuti in tutto il Mediterraneo, con l'unica
eccezione di alcuni degli esemplari più antichi, quelli provenienti da Haghia Triada
a Creta, presentano uno spettro isotopico compatibile con quello del rame
proveniente da Cipro. Gli autori di un vasto programma di ricerche sulla
circolazione di risorse metallurgiche nel Mediterraneo nell'età del Bronzo
Finale (Kassianidou 2005) hanno addirittura avanzato l'ipotesi che tutti i
lingotti datati ad un momento successivo il 1250 a.C., fossero realizzati con
minerale estratto dalla miniera di Apliki e da quelle adiacenti, alle pendici
dei monti Troodos. Questa proposta ha però incontrato tenaci resistenze da
parte di molti archeologi, che difficilmente accetterebbero l'idea di una così
ristretta localizzazione delle attività estrattive atte a ricavare il minerale
per la produzione di questi manufatti. Queste osservazioni sull'origine dei
lingotti vanno però associate alla problematica degli oggetti in bronzo
prodotti in Sardegna, in modo tale da poter affrontare il tema della loro
datazione. Se i lingotti furono con tutta probabilità realizzati con rame
cipriota, lo stesso non lo si può affermare con la stessa sicurezza per i
manufatti bronzei sardi: le analisi degli isotopi del piombo (Stos-Gale et alii
1997) non confermano assolutamente una provenienza cipriota, e lo stesso si può
affermare per alcuni manufatti rinvenuti nell'Egeo. Si è, da una parte, pensato
di motivare questa grave contraddizione tra i dati archeologici di Cipro e le
analisi archeometallurgiche con una presunta inadeguatezza delle analisi
stesse. La Kassianidou replica, in maniera convincente, che le analisi
isotopiche dei manufatti in bronzo per essere valide devono soddisfare una
condizione di base: i manufatti devono avere un tenore di piombo molto basso,
ovvero che in altri termini non vi sia stata un'evidente aggiunta di piombo per
facilitare la fusione. Le analisi 23 isotopiche si basano infatti sul rapporto
dei vari isotopi del piombo, che normalmente è presente in tracce nel rame: se
si verificasse un'aggiunta di piombo, che per quanto riguarda la Sardegna
sarebbe stata fatta con tutta probabilità utilizzando metallo locale, la
composizione isotopica rifletterebbe la provenienza del metallo aggiunto
piuttosto che quella delle tracce di piombo del rame utilizzato. È dunque
importante associare ai dati sulla composizione isotopica quelli sulla
composizione chimica, i quali possono dare importanti ragguagli sui
procedimenti di realizzazione del manufatto, e questo permetterebbe
probabilmente di rintracciare l'origine di questa anomalia nei dati a
disposizione. La questione successiva posta dalla Kassianidou si rivela
altrettanto interessante: se è vero che i lingotti furono prodotti con rame
cipriota, per quale ragione non furono invece utilizzate le abbondanti risorse
presenti sull'isola?
Giustamente, per dare uno sfondo più concreto a questa
domanda, è necessario porsi il problema di chi, all'interno della società
nuragica, fosse parte attiva in questi processi di scambio. Le attuali
testimonianze archeologiche non sembrano permettere di individuare per l'età
del bronzo un'accentuata gerarchizzazione, la quale è spesso posta alla base di
un modello di scambio che ha come protagonisti le aristocrazie dei diversi
popoli coinvolti. L'inquadramento della bronzistica sarda, e in particolar modo
di quella figurata, nel corso dell'età del ferro, epoca per la quale le fonti
segnalano un'emergere delle aristocrazie in Sardegna (e così sembra avvenire in
gran parte del Mediterraneo, in particolar modo durante il periodo
orientalizzante), renderebbe più verosimile questo modello di scambio. I
contesti delle tombe etrusche di età orientalizzante acquisirebbero in
quest'ottica un valore culturale ben più profondo che non quello di un semplice
revival. Non potendo ricorrere dunque a questo modello, si è ipotizzato perciò
che questo metallo possa essere giunto nel Mediterraneo Occidentale per via
delle nuove esigenze commerciali dei ciprioti: all'indomani della caduta dei
regni micenei le rotte che univano Cipro alla Grecia continentale (fondamentale
per il rifornimento dell'isola di argento, proveniente dalle miniere del
Laurion in Attica) e al mondo levantino (dal quale proveniva l'indispensabile
stagno) subirono una brusca interruzione, privando così i ciprioti di una serie
di beni di alto valore. Si dovettero dunque spingere su nuove rotte per potersi
approvvigionare di questi metalli, e le destinazione prescelte non poterono che
essere la Sardegna e ancor più la penisola iberica, con i suoi ricchissimi
giacimenti di argento. A questo proposito va però notata la quasi totale
assenza di materiali ciprioti nella penisola iberica. Secondo questa
ricostruzione, rimane da spiegare perchè i ciprioti, alla ricerche di metalli
preziosi, dovettero portare con sé i lingotti di rame in un'isola che di questi
metallo era ricchissima. Diverse possono essere le spiegazioni: si può pensare
ad un esaurimento dei filoni più superficiali e più facilmente accessibili
dell'isola, ma soprattutto, tenendo conto della grande quantità di lavoro
necessaria per l'estrazione del rame, non viene difficile pensare che dei
lingotti di rame di ottima qualità come quello cipriota fossero stati molto
appetibili per le genti dell'isola. I lingotti avrebbero avuto dunque non tanto
il valore di dono scambiato tra gentes aristocratiche, ma un valore di tipo
premonetale (e i segni riportati su molti lingotti potrebbero essere
un'ulteriore indicazione in questo senso), che garantisse ai ciprioti
l'approvvigionamento di materie prime della Sardegna. Questa spiegazione è
peraltro molto più adeguata alla società nuragica così come questa si struttura
nell'età del Bronzo Finale. Ma i lingotti oxhide non erano l'unica forma nella
quale il rame era commerciato, tutt'altro. Sono attestati in particolar modo
lingotti di forma piano-convessa, associati agli oxhide anche nei due relitti
delle coste della Turchia, ma anche lingotti "a barra", "a
frittata" e di altra foggia. Rimangono da chiarire i rapporti, anche di
tipo cronologico, che intercorrono tra queste diverse tipologie: la loro
associazione in svariati ripostigli non è infatti assolutamente sufficiente per
poterne ipotizzare una sostanziale contemporaneità. Per cercare di connettere
il problema dell'approvvigionamento dei metalli a quello cronologico della
realizzazione dei manufatti, è utile fare un breve accenno anche al problema
dell'approvvigionamento di stagno: questa problematica appare comune a tutta
l'area Mediterranea, dal momento che è generalmente povera di giacimenti dai
quali è possibile estrarre questo metallo. Le aree di provenienza non possono
dunque che essere le province dell'Erzgebirge, la Penisola Iberica, la Bretagna
e la Cornovaglia. I giacimenti della Sardegna più interessanti per lo
sfruttamento di stagno, nei siti di Perdu Cara sul Monte Linas e di Canali
Serci a Villacidro non presentano alcuna traccia di sfruttamento in antichità,
e, se questo primo dato non prova un'assenza di attività estrattive nel corso
dell'età del bronzo, a smentire un suo sfruttamento in antichità sono
fondamentali le analisi di alcuni resti di rame metallico provenienti da siti isolani
(Valera R.G, Valera P.G., Mazzella A., 2005). Nell'articolo citato, che
contribuisce a tracciare un utile quadro delle presenze di stagno (come metallo
o come minerale) in contesti archeologici sardi, si fa presente che le analisi
archeometallurgiche escludono categoricamente un utilizzo del rame isolano. In
breve, è del tutto probabile che lo stagno, così come il rame, venisse
importato in Sardegna e qui fatto oggetto di lavorazione artigianale. Cercando
ora di affrontare la problematica dal punto di vista della tipologia degli
oggetti che con questi minerali vennero prodotti, ci si dovrà basare su una
serie di confronti fondati sull'evoluzione tecnica mostrata dagli oggetti
stessi e anche su una serie di paralleli con i materiali ciprioti dai quali si
suppone siano stati ispirati. Le argomentazioni degli studiosi che sostengono
una cronologia alta dei materiali ciprioti ritrovati in Sardegna e delle loro
imitazioni (definibili come tali secondo la Lo Schiavo solamente in un momento
iniziale della produzione di oggetti in bronzo) sarde vertono intorno a tre
punti fondamentali: le analisi archeometallurgiche qui sintetizzate, che ci
dicono che il rame di lingotti e panelle proviene da Cipro; di fatto, la
correlazione tra lingotti e panelle e oggetti quali asce, spade, bronzi
figurati etc. non è provata, nel senso che nessuna analisi ha dato la certezza,
o quantomeno ha suggerito, che per produrre questi oggetti venisse utilizzato
rame cipriota. Si tratta di un elemento di debolezza dell'argomentazione da
tenere nella dovuta considerazione: è parso infatti di individuare un implicito
nesso lingotti ciprioti (con relativa cronologia) - esportazione in Sardegna -
utilizzo del rame di questi lingotti, associato alla tecniche metallurgiche
cipriote, per la produzione dei manufatti bronzei nuragici. L'associazione di
manufatti e frammenti di lingotto in vari ripostigli come già detto non dà una
sicura indicazione cronologica. Il secondo punto, che sembra profondamente
legato al primo, è quello dell'esportazione di alcune delle più raffinate
tecniche dell'epoca, ben presto padroneggiate con maestria e originalità da
parte delle popolazioni nuragiche. Si pensa soprattutto alle tecniche di
realizzazione dei manufatti, piuttosto che alle tecniche estrattive: queste erano
comunque padroneggiate in maniera eccellente dai ciprioti già nel corso del XVI
secolo a.C. (Giardino C., Lo Schiavo F. 2007), e non è da escludere che questo
know-how possa essere passato in qualche modo nelle mani delle genti nuragiche,
ed è anche difficile immaginare delle raffinate tecniche di fusione che
presuppongano una completa ignoranza dei procedimenti di estrazione. Si è
proposto anche una sequenza evolutiva delle innovazioni tecniche introdotte per
mano cipriota in Sardegna (Giardino C., Lo Schiavo F. 2007, pp. 10-11): a una
prima fase del bronzo finale risalirebbero esempi di bronzetti come quelli di
Galtellì, Paulilatino, Flumenelongu, che sono vere e proprie importazioni che
denunciano chiaramente l'origine cipro-levantina; ad un secondo momento
dell'evolversi di questo influsso sarebbe da ascriversi il ripostiglio di Santa
Maria di Paulis, che comprende tra i suoi materiali vari oggetti realizzati con
la tecnica della cera persa e un tripode lavorato "a giorno"
(Giardino 1995): non va dimenticata anche la presenza in questo ripostiglio
della famosa brocchetta askoide bronzea oggi conservata al British Museum.
L'associazione dei manufatti ceramici di tipologia analoga a questa brocchetta,
rinvenuti in particolar modo a Vetulonia, con materiali di età villanoviana e
ancor più di età orientalizzante pone un grave problema di interpretazione dei
contesti in questione, vale a dire i ripostigli sardi e le sepolture etrusche.
Si è già accennato alle interpretazioni date degli oggetti sardi rinvenuti in
queste ultime da parte dei sostenitori della cronologia alta. Una forte
testimonianza archeologica che rinforza l'idea di una trasmissione di tecniche
e conoscenze viene proprio dagli "attrezzi del mestiere" rinvenuti,
che mostrano particolare vicinanza con i prototipi ciprioti: si tratta di molle
da fonditore, martelli e cunei-incudini. Anche molti di questi sono stati
oggetti di tesaurizzazione, e rinvenuti quindi all'interno di ripostigli. Di
grande interesse è l'interpretazione che viene proposta per due ripostigli di
manufatti metallici rinvenuti nel sito algherese di Sant'Imbenia da parte di
Claudio Giardino (Giardino, Lo Schiavo 2007). Viene confermata l'idea di uno scambio
di consegne sulle stesse rotte tra ciprioti e genti levantine: si ammette senza
dubbio che le fasi di attività documentate siano da attribuire alla piena età
del ferro per spingersi fino all'epoca orientalizzante, ma ritenendo che il
contenuto delle due anfore ripostiglio debba essere frutto di una tesaurizzazione.
Questo sembra però in contraddizione col tipo di attività documentate per la
stessa età del ferro, come testimoniato dal rinvenimento di tuyères. Inserendo
però questo discorso nel contesto più ampio della diffusione di manufatti
bronzei nel Mediterraneo tra gli ultimi secoli dell'età del bronzo e l'età del
ferro, il quadro si complica e si articola, ma tendenzialmente conferma la
vitalità delle popolazioni nuragiche e più in generale del Mediterraneo
occidentale nella creazione e nella rielaborazione di fogge e stili, e forse
anche nella loro circolazione. Una classe di manufatti molto importante per
abbozzare un quadro di contatti e scambi è quella delle fibule bronzee (Lo
Schiavo 1992, MacNamara 2002): queste sono presenti nella penisola italiana e in
Sicilia già dal XIII a.C., e sembrano conoscere una diffusione, nel tipo
"ad arco", verso Creta e Cipro, quindi secondo una direzione opposta
a quella tratteggiata per la diffusione del rame cipriota in occidente. Una
considerazione simile si può fare per il tipo delle fibule a gomito, che fu
probabilmente elaborato per la prima volta in Sicilia (MacNamara 2002) per poi
conoscere una larga diffusione in oriente e in particolar modo a Cipro. La
diffusione di oggetti in ambra quali elementi di collana e piccoli pettini dà
probabilmente un'indicazione sulla biderezionalità di questi scambi. Ma le
fibule a gomito non raggiunsero solamente il Mediterraneo orientale, sono anzi
abbondantemente attestate nell'Europa atlantica: qui, come succede anche a
Cipro, la foggia assume peculiarità del tutto particolari, probabilmente frutto
di una rielaborazione del modello da parte di genti autoctone, per dar vita al
cosiddetto tipo "Huelva". Questo tipo di rielaborazione, o meglio la
presenza di varianti "regionali" nel tipo della fibula a gomito, è di
interpretazione controversa (MacNamara 2002): si è incerti se attribuire le
varianti ad una rielaborazione locale delle fogge o a cause di natura
cronologica, e il problema è acuito dalla mancanza di datazioni sicure per molti
di questi reperti. Anche in questo caso, un semplice parallelo cronologico
potrebbe essere fuorviante nell'interpretazione dei dati. Le fibule a gomito
non sembrano inoltre essere semplicemente distribuite attorno a un centro di
irradiazione come la Sicilia, ma alcuni tipi, come quello cipriota e quello
"Huelva", li ritroviamo in Sardegna, e quello cipriota in particolare
proviene da un contesto (anche se di dubbia interpretazione), ascrivibile
all'età del ferro (Lo Schiavo 1992). Tra i manufatti bronzei più significativi
rinvenuti in Sardegna vanno annoverati i tripodi e i loro supporti. I fautori
della cronologia alta fanno corrispondere l'arrivo di questi manufatti, e in
una fase di poco successiva, le loro imitazioni, al Tardo Cipriota III; alcuni
frammenti di calderone provengono dal ripostiglio umbro di
Piediluco-Contigliano, associati a una ruota in miniatura e ad un'ansa di
calderone. MacNamara ritiene che si tratti di oggetti di importazione cipriota,
che però giunsero nella penisola dopo essere stati in Sardegna. La datazione
del ripostiglio proposta è intorno al 900 a.C.: ci troveremmo di fronte ad un
altro falso contesto, la cui datazione "bassa" sarebbe giustificabile
per via dei vari passaggi di mano subiti da questi oggetti, che finalmente furono
posti in questo ripostiglio all'alba dell'età del ferro. Similmente, alcuni
tripodi rinvenuti sulla Pnice ad Atene (in una tomba di epoca geometrica) e nel
levante, sarebbero ugualmente sei casi di riutilizzo o se non altro la
testimonianza di un gusto protrattosi nei secoli nell'imitazione delle forme
cipriote. Questo tipo di spiegazione è simile a quella, come si vedrà, proposta
per i contesti funerari etruschi di età orientalizzante con bronzi sardi: a
giustificarne la presenza basta l'ipotesi di un apprezzamento ancora vivo dopo
secoli. Vi è l'impressione infatti che si affermi una cessazione delle
relazioni (o quantomeno una loro forte limitazione) nel corso dell'età del
ferro, laddove non viene a cessare una tradizione di "gusto" ormai
acquisita e fatta propria dalle popolazioni del Mediterraneo occidentale. Per
gli oggetti fabbricati con la tecnica della martellatura come un tripode
proveniente Falerii, e indubbiamente frutto di una produzione caratteristica
del Villanoviano II, si pensa invece ad un modello sempre cipriota, forse da
ricercarsi nella ceramica, lasciando intravedere la possibilità di un
proseguire dell'influenza (almeno da un punto di vista tipologico) nell'età del
ferro, ma sotto altre forme. Riepilogando, tra XII e XI a.C. è collocabile
un'influenza cipriota "primaria", che si mantiene viva nel gusto
delle popolazioni con le quali Cipro venne a contatto per i secoli successivi;
a questa fase dovettero succedere due secoli circa di stasi nelle relazioni tra
oriente e occidente; infine, grazie all'intermediazione dei naviganti greci e
fenici, i manufatti ciprioti poterono ispirare nuovamente alcune produzioni del
Mediterraneo occidentale. Non vi è accordo nemmeno sul come inquadrare le
caratteristiche formali dei supporti di calderone su quattro ruote (noti ad
esempio negli esemplari provenienti da Bisenzio e forse da Roma): la fattura
del contenitori è decisamente ispirata a modelli ciprioti, ma questa volta
sembra del tutto fuori luogo parlare di una decontestualizzazione di questi oggetti.
Si potrebbe dunque pensare che la "moda" cipriota sia durata per
secoli presso diverse civiltà, spingendosi fino all'epoca orientalizzante, e
questa osservazione sembra porsi in contrasto con quanto affermato dalla
MacNamara a livello conclusivo: si parla di continuità in qualche modo formale,
e si esclude categoricamente (salvo naturalmente l'acquisizione di nuovi dati
archeologici) il perdurare dei contatti tra oriente e occidente mediterranei
tra 1000 e 850 a.C. circa. Questo buco nelle relazioni con Cipro è motivato con
la quasi totale assenza di ceramica protogeometrica nella penisola italiana,
laddove quella micenea sembra godere di una più larga diffusione. Volendo
procedere con questo metodo, si può ricordare che anche la ceramica cipriota gode
di attestazioni pressoché inesistenti in Sardegna. L'ultima classe di materiali
passata in rassegna dalla MacNamara è quella delle c.d. fiasche del pellegrino:
l'origine levantina di questi contenitori (siano essi d'importazione o
d'imitazione) è ampiamente dimostrata, e molti concordano sulla data da dare
all'inizio della lro produzione, da collocarsi attorno al 900 a.C. Si tratta di
un momento che si trova nel bel mezzo di quei secoli "oscuri" di
interruzione dei rapporti tra oriente e occidente. L'Autrice propone invece, in
via preliminare, una datazione di uno o due secoli più bassa, per poi proporne
un parallelo le fiaschette miniaturistiche bronzee nuragiche: nel fare questo,
viene data per scontata la cronologia alta proposta dalla Lo Schiavo per i contesti
di rinvenimento delle fiaschette stesse, e ciò comporterebbe un'incoerenza con
quelle che sono le testimonianze di questa classe ceramica in oriente. Non
risulta infatti che ne venissero prodotte fin dall'età del bronzo finale, e in
tempi così antichi da poter giustificare l'ipotesi di un'imitazione di questi
oggetti in tempi precedenti il IX secolo. Le fiaschette hanno d'altra parte una
grande longevità di produzione, che si estende, anche se con differenti
tipologie, fino in età punica (Bartoloni 2005). Se dunque accettassimo di
estendere questa continuità (come si è voluto fare per i materiali ciprioti, a
livello stilistico) fino agli ultimi secoli dell'età del bronzo, ne dovremmo
dedurre che queste furono prodotte nel corso di un arco cronologico minimo di
almeno 5-6 secoli. L'impressione di inconciliabilità tra le due opposte
tendenze di datazione, si fa ancora più grande se si considerano siti come
Sant'Imbenia e Huelva: pur ammettendo le difficoltà interpretative che questi
pongono e la decontestualizzazione dei reperti del secondo, si può parlare
certo di una diversità di protagonisti (qui levantini e forse euboici), ma
sembra sia meno probabile l'esistenza di uno hiatus di quasi due secoli come
quello proposto.
Nell'immagine: un lingotto ox-hide con un evidente simbolo inciso. (Museo Archeologico Cagliari)
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