potuta essere propria di queste nell’età del bronzo. Assistiamo alla nascita di villaggi che si dispongono tra le fortezze e i loro antemurali, nonché all’esterno di questi. Le abitazioni non sono più semplicemente circolari e monocellulari, ma sono caratterizzate da una corte centrale attorno alla quale si dispongono una serie di vani nei quali si sono potute riconoscere le tracce di diverse attività.
lunedì 16 marzo 2015
Archeologia. La Sardegna nell’età del Ferro
La Sardegna nell’età
del Ferro
(tratto dalla tesi di
laurea del Dottor Davide Schirru)
Si offre un quadro generale dell’età del ferro in Sardegna
basato sulle più recenti sintesi offerte sull'argomento, peraltro spesso molto
discusse. La prima facies è individuabile sulla base delle serie ceramiche
rivenute nel villaggio del nuraghe Genna Maria di Villanovaforru, e viene
articolata in due ulteriori sottofasi. Questa è comunemente denominata
Geometrico, in parte per alcuni tratti dei materiali che la caratterizzano, ma
soprattutto per assonanza con la contemporanea produzione vascolare greca che
ha poi dato il nome a varie manifestazioni culturali del Mediterraneo.
L’arco cronologico in considerazione va dal 900-850 a.C. al
725 a.C. La prima fase vede la comparsa di forme quali le tipiche brocchette
askoidi, anfore con anse a gomito rovescio, dolii con anse ad X e fiasche a due
anelli. La decorazione è composta da motivi simbolici a rilievo o a
impressione. La seconda fase è distinguibile per via della decorazione di tipo
geometrico, eseguita a stecca o stampigliata, che tende a invadere tutta la
superficie di forme già attestate nella fase precedente e di forme proprie più
specificamente di questa fase, come l’anfora piriforme a falso beccuccio. Se
almeno nella prima di queste sottofasi descritte il repertorio vascolare lascia
intravedere, seppure nel cambiamento, alcuni punti di contatto con le
produzioni dell’ultima età del bronzo, le testimonianze forniteci dai resti
architettonici evidenziano più marcati motivi di discontinuità. L’elemento più
evidente sembra essere il cambiamento delle scelte insediative e abitative, che
non vede più l’erezione delle c.d. “regge nuragiche” ma prova invece la
defunzionalizzazione da scopi militari o difensivi che sarebbe
potuta essere propria di queste nell’età del bronzo. Assistiamo alla nascita di villaggi che si dispongono tra le fortezze e i loro antemurali, nonché all’esterno di questi. Le abitazioni non sono più semplicemente circolari e monocellulari, ma sono caratterizzate da una corte centrale attorno alla quale si dispongono una serie di vani nei quali si sono potute riconoscere le tracce di diverse attività.
potuta essere propria di queste nell’età del bronzo. Assistiamo alla nascita di villaggi che si dispongono tra le fortezze e i loro antemurali, nonché all’esterno di questi. Le abitazioni non sono più semplicemente circolari e monocellulari, ma sono caratterizzate da una corte centrale attorno alla quale si dispongono una serie di vani nei quali si sono potute riconoscere le tracce di diverse attività.
Nel complesso sembra che la civiltà nuragica viva una fase
pre o protourbana: compaiono pozzi ad uso civile e canalette per lo scolo
dell’acqua, ambienti con vasca e forno adiacente verosimilmente ad uso termale.
Gli edifici che più fanno pensare ad un incipiente processo di urbanizzazione
sono innanzitutto le grandi rotonde per le riunioni, dotate di grande sedile a
giro e nelle quali si sono ritrovati oggetti come i modellini di nuraghe, di
grande valenza simbolica; di più dubbia interpretazione sono invece i già citati
vani ad uso “termale” e le c.d. “palestre”, peraltro così chiamate in
riferimento alle fonti greche di cui si avrà modo di parlare. Gli edifici e le
aree templari si presentano in qualche modo in continuità con l’età del bronzo,
ma i preesistenti edifici vengono spesso ristrutturati oppure circondati da una
serie di altre strutture che vanno a comporre dei veri e propri
villaggi-santuario (Serra Orrios di Dorgali, Su Romanzesu di Bitti), ai quali è
comunemente attribuita una funzione comune alle varie comunità sparse sul
territorio. Più specifici dell’età del Ferro sono i cosiddetti templi a
megaron, in antis o a doppio antis. Gli altari-torre infine, uno dei quali è
stato rinvenuto nel nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca, danno ulteriore prova
del cambiamento di destinazione che questi edifici dovettero subire nel corso
dell’età del Ferro. Sembrano invece un vero e proprio enigma le modalità di
sepoltura che furono adottata nel corso dell’età del ferro. La documentazione a
questo proposito è così esigua da impedire qualsiasi generalizzazione, ma allo
stesso tempo estremamente significativa. I siti interessati sono quelli di
Antas-Fluminimaggiore, Monti Prama-Cabras e Is Aruttas-Cabras. Le sepolture
sono individuali e a fossa: in linea generale, sembra che siano appartenute a
individui di alto rango data la loro composizione in qualche modo monumentale e
talora per il loro corredo. Le sepolture sono infatti generalmente coperte da
una lastra, sopra la quale possono trovare sistemazione cippi-nuraghe o statue
(Monti Prama), cippi litici (Antas) o ancora dei crescenti litici. Uno stacco
così netto rispetto alle sepolture collettive proprie dell’età del bronzo
(tombe dei giganti) e il carattere del tutto abnorme di questi ritrovamenti
pone una serie di interrogativi per i quali si fatica anche solo ad abbozzare
una spiegazione. La toreutica riveste un ruolo centrale nelle diverse correnti
di pensiero quanto alla collocazione cronologica da dare ai suoi prodotti, che
si presentano in numero e in qualità eccezionale. Diciamo per ora che la
tendenza più diffusa è quella di considerare il boom della bronzistica come
proprio dell’età del ferro, con al limite un’origine da collocarsi nella cesura
tra età del ferro ed età del bronzo. Per quanto attiene i bronzi figurati si è
soliti dividerne la produzione in varie categorie stilistiche, che però non
sono da tutti ritenute adatte a stabilirne anche solo approssimativamente una
cronologia. Meno dubbi persistono invece sulla loro funzione, generalmente
vista come quella di ex-voto, dato che questo tipo di manufatti è
prevalentemente rinvenuto in aree santuariali. Un’importante indicazione per
una loro possibile datazione viene dai contesti delle tombe villanoviane,
qualora non si volessero interpretare come oggetti già “antichi” per
quell’epoca. Al centro del dibattito è poi la collocazione da dare ai numerosi
ripostigli di varia natura contenenti lingotti o frammenti di lingotti di rame
e, più raramente, di piombo: questi possono essere principalmente del tipo
oxhide a pelle di bue o a panella. Ancora, potrebbe trattarsi di materiale
tesaurizzato appartenente a epoche più remote?
Questi stessi ripostigli hanno offerto la gran parte degli
attrezzi impiegati nelle attività metallurgica, che denunciano una grande
familiarità col mondo cipriota. Sono presenti inoltre spade di differenti
fogge, funzionali e “da parata”, i tipici pugnali a elsa gammata, varie
tipologie di ascia, nonché calderoni e tripodi anch’essi di chiara ascendenza
cipriota. La seconda fase normalmente individuata è quella Orientalizzante,
all’incirca compresa tra il 730 e il 600 a.C., nella quale si conferma in buona
parte la rete di contatti già avviati nella fase precedente, ma pare in una
posizione sempre più passiva nei confronti dell’Etruria e del mondo fenicio. Il
repertorio vascolare è caratterizzato dal decoro a falsa cordicella e dalla
continuità delle forme, eccetto per la scomparsa del vaso piriforme. Le
navicelle continuano ad essere esportate in Etruria anche in nuove fogge, e
continua altresì un’ipotetica frequentazione dell’emporio di Huelva attestata
già dal geometrico. La ceramica etrusca e quella greco-euboica si diffondono
nell’isola, come si può evincere dagli esempi di Sulky e di
Sant’Imbenia-Alghero. Nella fase media ed evoluta dell’orientalizzante la
documentazione a nostra disposizione si dirada, e le aree adibite ad uso
abitativo indagate sono estremamente scarse e mostrerebbero una tendenziale
regressione delle tecniche costruttive, probabilmente sotto la spinta
all’inurbamento data dal contatto con l’avanzante mondo fenicio. L’ultima fase
dell’età del ferro in Sardegna è stata genericamente definita, sempre per
analogia col restante mondo mediterraneo, periodo Arcaico. Se possibile, la
documentazione si fa ancora più scarsa e le popolazioni locali sembrano essere
in qualche modo travolte dalla novità degli influssi provenienti dalla Ionia e
in un secondo momento dalle spinte egemoniche di Cartagine: l’ultimo segno di
vitalità sembrerebbe il perdurare delle esportazioni di navicelle sull’altra
sponda del Tirreno, nonché nel santuario di Era Lacinia a Crotone.
Per quanto riguarda la cronologia, vi è un notevole
disaccordo tra studiosi sulla datazione e collocazione culturale di molte delle
emergenze monumentali e dei manufatti dei quali si è appena parlato.
Innanzitutto, riveste un ruolo centrale la collocazione cronologica di quel
fondamentale momento di cesura che vede il passaggio dall'edilizia talora
definita come più propriamente nuragica al fiorire dei villaggi, dei grandi
santuari, delle capanne per le riunioni e via dicendo, che, a seconda dello
studioso, trova collocazione nel Bronzo Finale o nella prima età del Ferro. Non
è peraltro secondario sottolineare una certa dose di ambiguità e, ancora,
disaccordo, nel momento in cui si tratta di dare un nome alle varie facies
individuate, e stabilire se questo valga solo con riferimento ai manufatti
oppure definisca, più generalmente, degli ambiti cronologici. La questione che
diventa pressante, nell'indagare le relazioni intercorse tra l'isola e il resto
del mediterraneo, è capire innanzitutto quale sia la cronologia dei materiali
sardi ritrovati nei contesti extra insulari, perchè questa stessa darà
un'immagine diversa del quadro che si vuole tracciare. Secondo un approccio ad
ampio raggio, che tenesse conto di ogni tipo di documentazione a disposizione
dello studioso per l’epoca in questione, si è tentato (Ugas 2009) di correlare
le fonti letterarie antiche, e in particolar modo la testimonianza di Diodoro
Siculo, alle emergenze monumentali sarde: Diodoro ci informa del fatto che i
capi tribali tespiadi (dalla località di Tespi, in Beozia), guidati da Iolao,
diedero vita ad un'architettura che contemplava edifici quali daidaleia,
gymnasia e dikasteria, con una interpretazione di questi in un'ottica
tipicamente greco-romana. Se questi daidaleia possono bene essere identificati
con le tholoi nuragiche e altri monumenti quali le tombe dei giganti del bronzo
medio e recente, dikasteria e gymnasia troverebbero una più stretta relazione
con le capanne per le riunioni o edifici di varia natura (si pensi ad esempio
al bacino di Su Romanzesu Bitti) propri dell'età del Ferro. Ora, se lo stesso
Diodoro non traccia alcuna distinzione tra queste diverse tipologie, tutte
egualmente riferibili all'opera dell'eroe Iolao, Ugas fa diversamente,
modellando questa testimonianza sulla base dei dati archeologici. É appena il
caso di sottolineare come l'enorme lasso cronologico che separa il nostro
autore dai fatti in questione renda problematica, sebbene ancora interessante,
un'interpretazione di questo tipo: il suo fine ultimo parrebbe quello di
differenziare sulla base delle categorie mentali di un autore come Diodoro
(altrove e autorevolmente definito come non facente parte degli storici più
rigorosi a nostra disposizione nelle fonti) due temperie sociali e culturali
sostanzialmente diverse: da una parte il mondo dei capi tribali dell'età del
bronzo, dall'altra un mondo formatosi in seguito al loro esodo nella penisola
italiana e a Cuma, nel quale emergono delle aristocrazie che, in maniera un po’
troppo sospettosamente greca, si dotano di dikasteria e gymnasia per soddisfare
le loro esigenze. É evidente come applicare tout court un modello simile
all'età del Ferro sarda appaia una forzatura, in qualche modo aggravata dalla
parziale contraddizione con lo stesso Diodoro. Proseguendo sulla stessa linea
l'Autore, una volta individuata questa cesura, da a questa stessa una
collocazione cronologica derivata ancora una volta da un evento archeologico
messo in relazione con un evento presente nelle fonti letterarie. Ci si deve
dunque spostare a Lipari, nelle Isole Eolie: per la prima volta si può notare
come la presenza di materiali sardi in contesti extrainsulari sia del tutto
inscindibile dalle problematiche legate alla loro datazione e collocazione in
una determinata temperie culturale. L'evento in questione è la distruzione,
testimoniata dalla presenza di spessi strati riferibili a incendio,
dell'insediamento facente parte della facies dell'Ausonio II nel Castello di
Lipari; associate a questo momento sarebbero delle ceramiche del Bronzo Finale
II, vale dire dell'ultimissima età del Bronzo sarda. I contesti che definiscono
questo momento testimoniato a Lipari sarebbero dunque i seguenti:
1- Barumini, capanna 135 (Lilliu
1982)
2- Teti - S'Urbale (Fadda 1985)
3- Gesturi - Brancu Maduli (Lilliu
1982)
Questo evento di distruzione sarebbe da mettere in relazione
con le fonti letterarie (Bernabò Brea e Cavalier 1979), che lo collocherebbero
intorno all'850 a.C. In tutta questa ricostruzione, ciò che al momento non
appare pienamente convincente è il fatto che, se da una parte è abbastanza
agevole datare i contesti del bronzo finale ad un momento precedente la
distruzione e metterli in relazione di contemporaneità con la facies
dell'Ausonio II, dall'altra vi sono più difficoltà a collegare questo momento
con la cesura culturale e sociale avvenuta tra l'età del bronzo e quella del
ferro (che nel discorso che viene portato avanti sembrano configurarsi
soprattutto come limiti cronologici, piuttosto che come insiemi culturali) in
Sardegna. In altri termini, il filo che connette la testimonianza di Diodoro,
la distruzione avvenuta al Castello di Lipari (che pure è molto vagamente messa
in relazione con l'arrivo dei capi tribali tespiadi in questi luoghi, senza
particolari e solidi argomenti a sostegno) e i mutamenti avvenuti in Sardegna
appare molto debole, segnando uno spartiacque cronologico più che culturale.
Analogamente sembra avvenire per quella che, un po’ sbrigativamente, viene
definita come "ipotesi rialzista": per quest'ultima si tratta infatti
non solo di retrodatare una serie di manifestazioni, ad esempio architettoniche
e metallurgiche, ma anche di porre queste come l'ultimissima espressione della civiltà
nuragica, nell'età del Bronzo finale o al limite nel primissimo Ferro (ancora
una volta, queste espressioni sembrano valere unicamente come dei riferimenti
cronologici). Quest'ipotesi si basa su un'interpretazione diametralmente
opposta sui contatti, che come vedremo non sembrano soffrire nella loro
interpretazione di questa retrodatazione, avvenuti tra la Sardegna e le altre
regioni nel bacino del Mediterraneo. Senza voler entrare nel dettaglio dei
materiali che stanno alla base di questa interpretazione, come invece si farà
in altre parti di questo lavoro, è bene comunque premettere una serie di dati
fatti propri dai sostenitori di questa ipotesi. La prima impressione che si
ricava dalla lettura dei lavori degli Autori che hanno fatto propria tale
impostazione, è che le problematiche in questione non riguardino affatto l'età
del Ferro, se non i suoi esordi (a partire cioè dalla metà del IX secolo a.C.),
bensì esulino completamente dai limiti di questo lavoro. Dal limitato punto di
vista di questo stesso lavoro, non si può che constatare come un simile
disaccordo tra diversi autori costituisca una problematica di fondamentale
importanza nell'ambito della protostoria sarda, suscettibile di portare a
conclusioni diametralmente opposte. Il taglio metodologico di questi autori è
stato in larga parte basato sulla tipologia, ma anche sull'archeometria, e
sull'archeometallurgia in particolare, che hanno permesso di tracciare un
importante collegamento col mondo cipriota che, in quest'ottica, avrebbe
nell'età del Bronzo avuto un ruolo determinante, assieme agli influssi micenei
e siro-levantini. L'argomentazione ruota attorno al ruolo giocato dai prodotti
e dalle suggestioni culturali provenienti da queste aree, che trovano riscontro
nei ripostigli di materiali e manufatti bronzei sparsi sul territorio sardo che
rifletterebbero, da un punto di vista tipologico e archeometrico, una fitta
rette di contatti e scambi propri degli ultimi secoli dell'età del Bronzo.
Fondamentale ‘ stato lo studio tipologico (con tutti i rischi che questo
comporta) dei materiali sardi comparati con quelli ciprioti, con particolare
riferimento agli esempi dei grandi ripostigli e depositi votivi (S. Maria di
Paulis, Su Benatzu-Santadi). Le implicazioni di questo dibattito vanno a
toccare problematiche cruciali per la comprensione della civiltà nuragica.
Viene spontaneo riallacciarsi all'organizzazione sociale di questa stessa che,
sebbene di ricostruzione estremamente difficoltosa per via della natura
esclusivamente archeologica delle nostre fonti, d'altra parte non sembra essere
stata oggetto di uno studio particolare e dedicato, quanto piuttosto affrontata
come nota a margine nelle ampie sintesi che si sono realizzate. Come già
accennato, e tenendo conto di quel cambiamento epocale che la storia degli
studi ha ormai individuato (e non del tutto spiegato, peraltro) tra età del
Bronzo ed età del Ferro, non sembra che questa retrodatazione sortisca
particolari effetti nella spiegazione dei fenomeni di scambio: in effetti, si
starebbe facendo fare all’età del Ferro un passo temporale all’indietro, senza
metterne ulteriormente in discussione le peculiarità più propriamente
culturali, probabilmente perchè in gran parte sfuggenti.
Nell'Immagine: La "cittadella" intorno a Su Nuraxi
di Barumini
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