sabato 31 gennaio 2015
L'espansionismo dei sardi nuragici nel Mare Mediterraneo Occidentale (versione aggiornata)
L'espansionismo
dei sardi nuragici nel Mare Mediterraneo Occidentale (versione aggiornata)
di Massimo Pittau
La peregrina e perfino strana tesi dei nuraghi
interpretati come “castelli” e “fortezze” per mezzo secolo ha impedito che in
Sardegna si intravedesse una sia pure pallida idea di che cosa sia stata
effettivamente la “civiltà nuragica”, sia rispetto alla sua caratteristica interna
o civile e culturale, sia rispetto a una sua eventuale politica esterna
di espansione fuori dell'isola.
Si consideri che, rispetto a queste due prospettive,
interna ed esterna, se si accettava come valida la tesi dei nuraghi intesi come
“castelli” e “fortezze”, si era costretti a concepire la Sardegna come un
immenso “campo trincerato”, guarnito e difeso da circa 7 mila fortilizi, cioè
da una immensa quantità di fortificazioni, che probabilmente il “Vallo
Atlantico” messo su da Hitler nella II guerra mondiale contro il previsto
sbarco degli Anglo-Americani in Europa, non riusciva a equiparare. E dietro il
“Vallo Mediterraneo” messo su dai Sardi Nuragici contro le eventuali invasioni
dei nemici esterni, essi se ne stavano continuamente intanati nei “castelli” e
nelle “fortezze” in attesa del “nemico che viene dal mare”, oppure vivevano in
una perpetua guerra fratricida tra una tribù e l'altra, combattuta nei e dai
rispettivi nuraghi.
Invece in realtà il nuraghe non era altro che l'“edificio
pubblico cerimoniale” per eccellenza di ogni tribù o di ogni piccolo
insediamento umano, edificio entro e attorno al quale si svolgevano tutte le
funzioni principali che scandivano la vita degli abitanti: cerimonie e riti di
nascita, della pubertà, dei matrimoni, di incubazione, di vaticinio e di
oracolo, stipula di contratti e di patti, rimedi contro le calamità naturali,
rimedi contro le malattie degli uomini e delle bestie, riti e cerimonie per la
morte degli abitanti. In effetti il nuraghe corrispondeva insieme e
contemporaneamente alle odierne “casa comunale” e “chiesa parrocchiale” di ogni
centro urbano, edificio entro e attorno al quale si svolgevano - in perfetta
sintonia laico-religiosa, come avveniva dappertutto in quei secoli - tutte le
citate funzioni comunitarie.
Caduta e ormai quasi del tutto abbandonata la tesi
della destinazione militare dei nuraghi, adesso finalmente siamo in grado di
mostrare e dimostrare che invece una loro “politica esterna od estera” i Sardi
Nuragici l'hanno indubbiamente attuata e addirittura nella forma di un
“espansionismo” esplicato a 360 gradi in tutte le terre del Mediterraneo
occidentale che circondavano la Sardegna. Appunto procediamo adesso a mostrare
in quali terre si è svolto questo “espansionismo nuragico” e lo facciamo
secondo le linee di un movimento che risulterà essere circolare o a raggiera.
Premettiamo che d'ora in avanti i Nuragici o Sardi
Nuragici li chiameremo anche Sardiani in virtù della loro origine
dalla Lidia, nell'Asia Minore o Anatolia, dalla cui capitale Sárd(e)is
avevano derivato il loro nome. E li chiameremo anche Tirreni o Tirseni,
che significava «costruttori di torri» (týrrhis, týrsis «torre»)
e tali erano in primo e principale modo per l'appunto i Nuragici, mentre
gli
Etruschi ebbero in seguito pur'essi questa denominazione per effetto della loro
parentela coi Nuragici, dato che gli uni e gli altri provenivano dalla Lidia,
secondo un famoso racconto di Erodoto (I 94), condiviso da 30 autori greci e
latini e respinto dal solo Dionigi di Alicarnasso.
Questo passo di Erodoto narra il trasferimento della
metà della popolazione della Lidia dall'Asia Minore nell'Occidente
mediterraneo, e precisamente in quella regione che finirà per essere denominata
Tuscia od Etruria, posta fra i due fiumi Tevere ed Arno ad
oriente e il Mar Tirreno ad occidente. Ebbene, già l'assai autorevole
archeologo e storico catalano Pedro Bosch Gimpera aveva sostenuto che gli
emigranti Lidi erano arrivati in Etruria soltanto dopo aver soggiornato per
qualche secolo in Sardegna, nelle vesti dei Sardi Nuragici, i quali dopo erano
sbarcati in Etruria richiamati dalla scoperta degli importanti giacimenti di
ferro nell'isola d'Elba in Toscana e nella Tolfa del Lazio, presso Cerveteri (StSN
§ 11).
Inoltre precisiamo che chiameremo protosardo un
lessema appartenente alla odierna lingua sarda, ma che risale a quella parlata
dai Nuragici prima che la Sardegna venisse conquistata dai Romani e da loro
totalmente romanizzata o latinizzata nella lingua.
La Corsica meridionale
Sicuramente la prima terra nella quale si affermò
l'espansionismo dei Sardi Nuragici fu la Corsica meridionale e ciò di certo in
virtù della sua più stretta vicinanza alla Sardegna settentrionale. Tanto più
facile era questa direzione dell'espansione dei Nuragici, in quanto in epoca
preistorica il passaggio da un'isola a un'altra vicina era un fatto
frequentissimo, anzi era il principale modo di muoversi in tutto il bacino del
Mediterraneo.
La Corsica inoltre risultava molto utile ai Nuragici
perché si trovava nella via diretta che, lungo la costa orientale della Corsica
e delle isole dell'Arcipelago Toscano, costituiva per essi la via più facile
per arrivare in Etruria e precisamente alla città etrusca di Populonia
(odierno Piombino).
Le
risultanze degli scavi archeologici effettuati fino al presente nella Corsica
meridionale, confermano la nostra tesi ed hanno i caratteri della piena
evidenza archeologica. In primo luogo sono da citare i menhir o betili
ivi esistenti, i quali sono tuttora in posizione verticale. Ma sono da citare
soprattutto le «torri», le quali erano templi-tombe, esattamente uguali nella
struttura architettonica e anche nella destinazione sacrale e pure funeraria
alle «torri», cioè ai «nuraghi» della Sardegna.
La
«civiltà torreana» della Corsica meridionale, molto opportunamente chiamata in
questo modo per il riferimento alle solite «torri» dei Tirreni o Tirseni,
non si può fare a meno di interpretarla come una propaggine della “civiltà
nuragica”, anzi tirreno-nuragica della Sardegna (StSN § 54). E si
intravede abbastanza facilmente che la presenza dei Sardi Nuragici nella
Corsica meridionale è precedente al
passaggio – molto più tardo - dei Còrsi dalla Corsica nella Sardegna
settentrionale, cioè nella odierna Gallura.
Altre
conferme vengono da alcune significative corrispondenze tra la Corsica e la
Sardegna: alcune linguistiche ed altre etnografiche. Nella Corsica meridionale
esiste una cittadina chiamata Sartena o Sartene, la cui radice toponimica richiama chiaramente quella di Sard-i e Sard-inia e il cui suffisso -èn-
è notoriamente tirrenico ed anatolico; suffisso che del resto si ritrova anche
nei toponimi vicini Altagene, Aullene,
Bisene, Quinzena e Scopamene,
sempre in Corsica.
La presenza dei Sardi Nuragici nella Corsica
meridionale è indiziata anche dal toponimo Sardani (Bonifacio/Porto
Vecchio) e dall'antico cognome còrso Sardena.
Ma
molto più importante è la circostanza che vocaboli dei dialetti còrsi, finora
privi di etimologia, corrispondano a vocaboli protosardi: si tratta, a nostro
avviso, di vocaboli che in epoca molto antica sono stati importati nella
Corsica dai Sardi Nuragici.
Qui,
una volta per tutte, precisiamo che la effettiva dimostrazione della validità
della connessione linguistica tra i vocaboli protosardi che citeremo e
quelli corrispondenti còrsi, iberici, gallici e berberi viene da noi
presentata nelle nostre opere La Lingua
Sardiana o dei Protosardi (LISPR),
I toponimi della Sardegna –
significato e origine (TSSO) e Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico (NVLS).
Protosardo Còrso
bajone «concolina di sughero» baja
«recipiente di legno»
balcu «violacciocca» balcu «violacciocca»
bruncu «grugno del maiale, muso» broncu «specie di morso»
cámula «tignola» cámula «tignola»
carroppu «canalone, crepaccio» caravone «cavo di un albero»
cotha, cotza «zeppa» cozza «zeppa» (Sartena)
cúccuru «cocuzzolo, cima» cúcculu «cima, vetta»
èllera «edera» éddara,
lénnora «edera»
jácaru «cane da guardia» jácaru
«cane»
lúpia «gozzo» lópiu, lóbia «gozzo»
péntuma/u «rupe, dirupo» penta,
pentone «macigno»
pèrc(i)a «fessura, grotta» perchja
«buca, bucaccia»
solla «fiocco di neve» tolla «pallina di neve»
Talavá(i),
Talavè, Talavòe (TSSO) Tàlavu (idronimo)
thulurthis «vipera d'acqua» lurca
«specie di tarantola»
Veragúnnoro (topon. Sarule) varangonu,
vangaronu «burrone,
frana»,
da confrontare – non derivare – col lat. vorago,-inis.
C'è poi da ricordare che fin dall'antichità esiste
nelle isole di Sardegna e di Corsica, il muflone
«specie di pecora selvatica», il
quale ha un nome sicuramente prelatino. Ebbene, sembra che questo animale sia
stato importato in queste due isole dall'area del vicino Oriente, dove risulta
ancora attestato nella zona dell'Asia Minore che confina con la antica Persia
(= odierno Iran), oltre che nell'isola di Cipro e pure nell'odierna Algeria
(vedi).
Il
lat. musmo,-onis (suffisso -on-)
«asino o cavallo di piccola taglia» (tipici della Sardegna e della Corsica
antiche) è da riferire agli asinelli e ai cavallini sardi tuttora esistenti
nell'isola e probabilmente da connettere con l'antroponimo etrusco Nusmuna.
Sul
piano etnografico è notevole l'usanza della covata,
cioè del fatto che il marito si coricasse accanto alla moglie che stava per
partorire, usanza che Diodoro Siculo dice essere stata propria degli antichi
Còrsi e che nella Sardegna centrale e settentrionale si è mantenuta fino a un
settantennio or sono (StSN § 54).
Altro
dato etnografico notevole è che a Sartene c'è l'usanza di confezionare e
mangiare il formaggio coi vermi; cibo che è molto comune ed apprezzato in tutta
la Sardegna interna e montana.
Infine
una certa conferma indiretta della presenza dei Sardi Nuragici nella Corsica
meridionale viene dalla notizia di Varrone, secondo cui Phorco era il re della Corsica e della Sardegna. E sarebbe questo
il nome di un re nuragico tramandatoci dalla storiografia antica o almeno dalla
mitologia (StSN § 54).
Le
Isole Baleari
Circa
l'espansionismo dei Sardi Nuragici nel Mediterrano occidentale interviene una
importante notizia di Stefano di Bisanzio, il quale parlando delle Baleari le
definisce «isole tirreniche» e «isole attorno alla Tirsenia» (perhì tēn Tyrsēnían) (StSN § 55). A questa notizia i moderni
studiosi della civiltà degli Etruschi – come abbiamo visto, chiamati anch'essi Tirreni
o Tirseni in virtù della loro parentela coi Sardi Nuragici o Tirreni/Tirseni
della Sardegna - non hanno attribuito mai alcuna importanza, anzi l'hanno
lasciata cadere del tutto. E ciò è avvenuto evidentemente perché già a prima
vista risulta molto problematico accettare la tesi di una presenza dei Tirreni
dell'Etruria nelle troppo lontane isole Baleari e inoltre queste non
risultavano affatto «attorno all'Etruria».
Quella
notizia di Stefano di Bisanzio invece può e deve essere accettata come fondata,
purché si ritenga che i Tirreni presenti nelle Baleari fossero non gli Etruschi
della lontana Penisola Italiana, bensì i loro consanguinei Tirreni della vicina
Sardegna e inoltre che la «Tirsenia» attorno alla quale si trovavano le Baleari
fosse non l'Etruria, bensì l'isola di Sardegna. Questa nostra interpretazione è
confermata in maniera clamorosa dal fatto che esiste in Sardegna, a stretta
vicinanza della costa sud-orientale, cioè “tirrenica”, dell'isola il villaggio
di Tertenía, il cui nome corrisponde quasi perfettamente alla Tyrsēnía, citata da Stefano (TSSO 926).
Però
anche a questo proposito sono in primo luogo i numerosi e chiari monumenti e
reperti archeologici quelli che spingono a ritenere che la civiltà degli
antichi abitanti delle Baleari fosse anch'essa una propaggine della civiltà
nuragica della Sardegna. Sia sufficiente fissare l'attenzione su queste
strettissime e chiarissime corrispondenze archeologiche: innanzi tutto i
cosiddetti talayots balearici
corrispondono esattamente, nella struttura architettonica e nella destinazione
religiosa e pure funeraria, ai nuraghi
della Sardegna. Considerato poi che nella sola piccola isola balearica di
Minorca ne sono stati contati ben 195, si aveva ben ragione a considerare anche
i Baleari "Tirreni", ossia «costruttori di torri»! (StSN §
55).
In
secondo luogo le tombe baleariche chiamate navetas
(= «navicelle») corrispondono perfettamente alle tombe nuragiche chiamate
“tombe di gigante” o gigantinos, le
quali anch'esse hanno la forma di una barca capovolta e con una poppa tagliata
e appiattita. Solo che in generale i gigantinos
sardi hanno assunto anche un'altra forma architettonica e pure simbolica, dopo
che la originaria sagoma della navicella si è trasformata in quella della sacra
protome taurina, col prolungamento della poppa tagliata della barca nelle due
ali laterali imitanti appunto le corna del toro. Inoltre è certo che sia le navetas baleariche sia i gigantinos sardi a forma di barca in
effetti corrispondono, nel loro valore simbolico e religioso, alle «navicelle
funerarie» nuragiche, che si ricollegano alle «navicelle funerarie» degli
antichi Egizi, con le quali essi ritenevano che i defunti facessero il loro
ultimo viaggio verso l'oltretomba. Però la simbologia funeraria della barca
"capovolta" innanzi tutto rispecchia il tumulo di terra che si determina
sempre su una salma che sia sepolta nel terreno; in secondo luogo è legata
all'altra concezione propria degli Egizi secondo cui quello dei morti sarebbe
il "mondo dei capovolti"; in terzo luogo è legata alla concezione,
comune a molti popoli antichi, secondo cui l'astro della Luna/Proserpina, dea
della notte e del mondo tenebroso dei morti, fosse anch'esso una navicella che
navigava nel cielo (StSN § 55).
Ancora
è da citare il fatto che il culto della bipenne, quello della svastica e quello
del toro, come simboli del dio Sole, sono attestati nelle Baleari proprio come
nella Sardegna nuragica. Poi è ancora da citare il ritrovamento a Maiorca di
spade che hanno l'impugnatura a forma di "antenne", simili a quelle
ritrovate in Sardegna e pure in Etruria.
Infine
sul piano delle usanze funerarie è da ricordare quella degli antichi Baleari di
gettare dei sassi sul cadavere di un individuo morto, fino a crearvi sopra un
grosso cumulo; usanza che è esistita anche nella Sardegna interna fino ai primi
decenni del Novecento (StSN § 55).
Sul
piano linguistico innanzi tutto è da citare la quasi perfetta corrispondenza
del toponimo Baleari (lat. Baleares, greco Baliarheĩs) col
nome di un antico popolo della Sardegna chiamato Balari (Balarhói) da Pausania
(X 17, 9).
In secondo
luogo è
notevole il fatto che dal noto Itinerario
di Antonino di epoca imperiale romana l'isola di Minorca sia chiamata Nura, ossia esattamente come viene
chiamata dal medesimo Itinerario
l'importante città sarda di Nora, nel
golfo di Cagliari, e così pure un antico centro abitato della Sardegna
nord-occidentale, che ha lasciato il suo nome alla zona della Nurra, posta fra Sassari, Porto Torres
ed Alghero. D'altra parte è anche molto probabile che l'appellativo *nura, corrispondente al nome delle tre
citate località sarde e balearica, sia la base del vocabolo nurake/nuraghe, come lascia intendere
anche una antica favola eziologica che presentava la città di Nora come fondata da Norake proveniente da Tartesso nella
Iberia meridionale (Pausania X 17, 5; Solino IV, 1; Sallustio, hist. rel.
II, 5). Questa città era famosa per la ricchezza dei suoi giacimenti di
argento, come è chiaramente indicato pure dal nome del suo più famoso re, Argantonio,
che è connesso appunto col vocabolo argentum. La favola di Norake
come fondatore di Nora va ovviamente respinta, dato che dal punto di
vista linguistico c'è da ritenere che sia Norake ad aver derivato il suo
nome da Nora e non viceversa; esattamente come è stato Romolo ad
aver derivato il suo nome da Roma e non viceversa. Quella notizia però
avrà un qualche fondamento di verità, perché è stata confermata da reperti
archeologici rinvenuti nel territorio della attuale Huelva e cioè proprio nella zona di quel favoloso regno, reperti
che già da tempo sono stati accostati ad altri del tutto simili rinvenuti in
siti nuragici della Sardegna.
Molto
significativo è anche il fatto che non soltanto il tratto di mare situato fra
la Sardegna e le Baleari, ma addirittura l'intero bacino occidentale del
Mediterraneo, posto fra la Sardegna e le Colonne d'Ercole, venisse chiamato Mare Sardo (StSN § 55).
E
pure notevole e significativa è quest'altra corrispondenza lessicale:
protosardo galoppo/u, goloppo/e, coloppo,
paloppo, baroffu, taloppo, toloppo/e, tzoloppe «pizzutello, varietà di uva
bianca pregiata ad acini grandi e allungati, da tavola e per uva passa», che è
da confrontare col catal. calop, palop
«specie d'uva grossa e saporita» (Baleari, Valenza), finora di “origine
sconosciuta” per il Corominas (DECLC).
(Le varianti con la p- saranno
l'effetto di un incrocio col lat. palum,
dato che i pali sono molto usati nella viticoltura; LISPR).
Circa
le strette connessioni esistenti fra le Baleari e la Sardegna in epoca
preistorica molto notevole è questa considerazione di recente espressa
dall’archeologo spagnolo G. Rosselló Bordoy: «Intrusione di un nuovo gruppo
umano attorno al -1300 che si stabilisce nell’isola di Maiorca e soggioga i
precedenti occupanti. Gruppo umano di origine orientale, imparentato più o meno
direttamente con le culture che si stabiliscono in Corsica e Sardegna» (StSN
§ 55).
* * *
La
presenza dei Sardi Nuragici o Tirreni della Sardegna nel bacino occidentale del
Mediterraneo non poteva non scontrarsi col nascente imperialismo, marittimo e
terrestre, di Cartagine. E ciò sarà avvenuto non molto tempo dopo la fondazione
nell'814/813 a. C. di questa città che, da colonia fenicia, finì col diventare
la capitale e l'erede di tutta la potenza marittima, economica e politica dei
Fenici-Punici. I punti di attrito e di scontro fra i Sardi Nuragici e i
Cartaginesi si trovavano innanzi tutto in zone marittime e precisamente nelle
Baleari, nelle quali si erano stanziati i primi e nelle quali i Cartaginesi
avevano nel 654/653 conquistato l'isola di Ebuso
(= Ibiza), strappandola molto
probabilmente proprio ai Nuragici (StSN § 72).
In
secondo luogo c'è un'altra importante e addirittura stupefacente notizia che
lascia intravedere che i Tirreni della Sardegna non solamente navigavano oltre
le Colonne d'Ercole, fino al favoloso regno di Tartesso, ma addirittura
affrontavano anche l'aperto Oceano Atlantico. Narra infatti Diodoro Siculo (V
20, 4) che i Tirreni avrebbero avuto l'intenzione di mandare una loro colonia
in un'isola dell'Atlantico - probabilmente Madera - ma che furono contrastati
in questo loro progetto dai Cartaginesi, molto verosimilmente poco prima o poco
dopo lo stesso anno 654/653. Anche questa notizia è stata completamente trascurata
dagli storici della civiltà etrusca, evidentemente perché, essendo stata fino
al presente riferita ai Tirreni dell'Etruria, essa è stata ritenuta del tutto
inverosimile. Questa notizia invece cessa di essere inverosimile se venga
riferita non ai troppo lontani Tirreni dell'Etruria, bensì a quelli molto più
vicini della Sardegna, cioè ai Sardi Nuragici, i quali potevano partire alla
volta dell'isola dell'Atlantico partendo dalle loro basi della Sardegna oppure
senz'altro da quelle più vicine delle Baleari (StSN § 72).
La Penisola Iberica
L'espansionismo
dei Sardi Nuragici o Tirreni della Sardegna non si è fermato nelle isole
Baleari, ma quasi certamente si è imposto anche nella costa nord-orientale
della penisola iberica, proprio dirimpetto alla Sardegna.
Innanzi
tutto sono già molto significativi due accenni del poeta latino Ausonio, il
quale da una parte afferma che il fiume Ebro (Hiberus) getta le sue acque nel mare che egli chiama «Tirreno»,
dall'altra presenta la città di Tarraco,-onis
(odierna Tarragona) come «tirrenica».
La
prima notizia - l'estendersi del Mare Tirreno sino alle coste orientali della
Iberia - è confermata da altri tre autori latini, sia pure piuttosto tardi,
Giulio Onorio, Paulino di Nola, Pseudo Aethicus e inoltre da una lunga
iscrizione latina del I-II d. C. (StSN § 56). Questa notizia, a nostro
giudizio, va spiegata nella stessa maniera in cui si spiegano la denominazione
e l'estensione del Mare Sardo. Questo
era l'intero mare che circondava la Sardegna, ad occidente ma anche ad oriente
(è del tutto ovvio ritenere che la famosa «Battaglia del Mare Sardo»,
combattuta da Caere (= Cerveteri) e Cartagine contro i Greci di Alalia si sia
svolta ad oriente della Sardegna). In maniera perfettamente analoga il Mare Tirreno era l'intero mare che
circondava la Sardegna, ad oriente ma anche ad occidente, e propriamente
significava mare che circonda l'"isola delle torri", cioè
l'"isola dei nuraghi". Pertanto dire Mare Sardo e dire Mar Tirreno
era la stessa identica cosa. E con ciò viene confermato chiaramente e
fortemente che la «Tirsenia» attorno alla quale – per testimonianza di Stefano
di Bisanzio - si trovavano le isole Baleari era la Sardegna e non affatto
l'Etruria.
L'altra
notizia di Ausonio che presenta la città di Tarraco,-onis
come “tirrenica” è anch'essa del tutto accettabile se si considera che il
toponimo può essere facilmente riportato a Tarχunus «Tarconte»,
mitico personaggio della "religione rivelata" degli Etruschi e dio
eponimo di Tarquinia (suff. -on-/ -un-), dall'altro richiama
i toponimi protosardi Tarácculi
(Galtellì) e Taraculu (Tonara) (corrige TSSO 273). Oltre a
ciò, nella stessa regione della Tarraconese antica erano ricordate due città, Celsa e Lesa, le quali trovavano esatto riscontro nell'etnico Kelsitanói e nella città di Lesa della Sardegna antica (StSN
§ 56).
Ovviamente
anche qui s'impone il problema se i Tirreni che, secondo l'accenno di Ausonio,
si erano stanziati nella costa iberica e precisamente a Tarragona, fossero i Tirreni della Sardegna oppure i Tirreni dell'Etruria. Ed anche in questo
caso non crediamo che possano sorgere dubbi consistenti: erano i Tirreni della
Sardegna: lo dimostrano in primo luogo la vicinanza maggiore che c'è fra la
Sardegna e l'Iberia che non fra questa e l'Etruria, in secondo luogo un buon
numero di stringenti corrispondenze linguistiche, toponimiche e lessicali.
Innanzi
tutto è da richiamare il nome della regione della Spagna nord-orientale
chiamata Cerdanya, il quale finora
risultava privo di etimologia: a nostro avviso lo si può riportare all'antico
nome Sardanía con cui i Greci chiamavano la Sardegna, ma pronunziato Sardánia
alla latina. Notevole inoltre è il fatto che nella medesima zona della Cerdanya esistano anche i seguenti
toponimi, che sono anch'essi molto significativi per la tesi che stiamo
sostenendo di una effettiva e consistente presenza di Sardi nella zona: Cerdà, El Cerdanyès, Coll de Cerdans,
Cerdeja, Cerdanyola, Serra de Cerdanyola.
Oltre
a ciò è da citare il ballo popolare della Catalogna chiamato sardana, il quale è stato già avvicinato
al «ballo tondo» dei Sardi in termini di affinità coreografica e anche di
derivazione etimologica. E noi aggiungiamo che è soprattutto la corrispondenza
linguistica a legare quel vocabolo catalano - pur'esso fino ad ora privo di
etimologia - al nome degli antichi Sardiani
o Sardani della Sardegna (StSN
§ 56).
* * *
In generale, a proposito dei rapporti che sono
intercorsi fra la Sardegna da un lato e la Iberia dall'altro, è molto
importante fare la seguente considerazione e precisazione: tutti i
linguisti, con in testa il grande Max Leopold Wagner, fino ad ora si sono
inconsciamente fatti condizionare dai rapporti che sono intercorsi fra le due
terre in epoca piuttosto recente, quando abbiamo visto la Iberia prevalere ed
espandersi nella Sardegna, coi Catalani prima e gli Spagnoli dopo. Senonché
questa situazione si determinò realmente proprio in epoca storica, mentre in
epoca preistorica i rapporti sono stati del tutto opposti: è stata la Sardegna
ad espandersi in Iberia e non il contrario. E ciò è accaduto in virtù del fatto
che gli antichi Sardi Nuragici erano più forti nelle armi e nei mezzi e più
avanzati nel progresso tecnico e pure civile rispetto alle varie e piccole
popolazioni che abitavano la penisola iberica. Anche in fatto di incontri di
culture e di civiltà ovviamente vale la norma che "il più spiega il meno e
non viceversa".
In questo modo e per questa ragione trova una adeguata
spiegazione una quarantina di corrispondenze lessicali fra la lingua dei Sardi
Nuragici e quelle dell'antica Iberia, compresa la lingua basca, corrispondenze
che sono state già osservate e studiate con particolare cura dai linguisti Max
Leopold Wagner e Johannes Hubschmid: a nostro avviso si tratta di appellativi e
di toponimi protosardi entrati nell'Iberia per effetto della espansione dei
Sardi Nuragici in quella penisola. Eccone l'elenco, probabilmente non completo:
Protosardo Iberico
Aritzu
(villaggio; TSSO) Aritzu
(Navarra)
árrana
«tarma, tignola» arna «tarma» catal.
Asuni (villaggio) Asun (Huesca)
Atzara (villaggio; TSSO) Azara (Huesca)
áurri, aúrri «càrpino» aurri basco, navarrese
Buggerru (villaggio) Bigerra (città antica)
cáncala
«zecca gonfia» cáncano
«pidocchio» spagn.
carba,
carva «ramo d'albero»
carba «sterpeto» asturiano karbasta «palo con rami» basco
cárcara «voragine»
(NVLS) Carcar (Navarra)
catranza,
cadranza «sudiciume»
carda/ina «sudiciume» port.
chighirista «cresta di gallo» kikirista
«cresta g.» basco
cocorosta
«cresta di gallo» kukurusta «cresta g.» basco
colóstri,
(g)olóstri «agrifoglio» colostia, korosti basco, nav.
cósti(ke),
cóstighe «acero» gastigarr
«acero» basco
cragaddu
«tartaro, crosta» carrall «tartaro» catal.
cúccuru
«sommità del cranio» kukurr
«cresta» basco, cucuruta «cima» asturiano
gáddara,
gráddula «gall(ozz)a»
gállara «gall(ozz)a» spagn.
Gallura, mediev. Gallul(a) Gallur (Teruel)
gangorra
«strolaga minore» ganga uccello palustre spagn.
ghiddostre
«erica arborea» gíllar, ilhar «erica» basco
giágaru,
jácaru «cane da guardia»
ciakurr, tzakurr basco, cachorro «cane» spagn.
Goni (villaggio) Goni (Navarra)
Ísili (villaggio; TSSO) Isil (Lleida)
Lácara/i/u (fonti) Lacar (Navarra)
Orbái (5
topon.) Orba
(Alicante)
Oscái, Oschéi (3 topon.) Osca (ant. Huesca)
Othan (ant. Ottana, villaggio) Osan (Huesca)
saccaju
«ovino di 1 anno» segall
«ovino II anno» catal.
saccaju
«ovino di 1 anno» segaila
«capra 1 anno» basco
silurthis
«vipera d'acqua», Elurci
(Ilbono) Ilurcis (Celtiberia)
Surri (idronimo) Surri (Lleida)
thurru,
tzurru «getto d'acqua»
txurru, chorro «getto d'acqua»
basco, spagn.
troccu
«dirupo, burrone» troka «canalone» basco
túrgalu «canalone» Turgalium (= Trujillo)
Spagna
Úccari (topon.) Ucar (Navarra)
Úsini, ant. Usune (villaggio) Usun (Navarra)
tzingorra
«ceca/olina, anguillina» txingurri
«formica» basco
Sardasái
(topon. Esterzili) Sardassa (topon. Navarra)
Talavá(i),
Talavè, Talavòe (TSSO) Talavan, Talavus,-ia (LS 279)
Uri
(Comune di U., SS). Questo toponimo trova riscontro in almeno altri sette Uri
esistenti in Sardegna nei territori di Nulvi, Oschiri, Osilo, San Vito, Sarule,
Sennori, Simaxis. Secondo tre linguisti, Johannes Hubschmid (Mediterrane
Substrate, Bern 1960, 75-76), Giovanni Alessio (RIL, LXXIV, 732) Max
Leopold Wagner, La Lingua Sarda², pag. 260) questo toponimo protosardo Uri
potrebbe corrispondere al basco ur «acqua». A favore di questa ipotesi
etimologica noi aggiungiamo che la radice ur(r)- da una parte si trova
in numerosi idronimi sardi, dall'altra è diffusa in tutta l'Isola, per cui è
abbastanza probabile che effettivamente significasse «acqua» e anche «fonte,
fontana» e pure «abbeveratoio». C'è infatti da considerare che in una terra
perennemente sitibonda, come è stata ed è la Sardegna, il conoscere le fonti,
anche col loro nome, era una questione veramente importante e perfino
essenziale per la vita degli uomini e dei loro bestiami. Presentiamo qui di
seguito l'elenco - certamente non completo - di questi toponimi e idronimi,
tutti di evidente matrice protosarda come dimostrano i vari suffissi e
suffissoidi da cui sono caratterizzati: Uralái (Irgoli), Uralla
(Albagiara, fontana e rivo), Urasa (Solarussa, rivo), Urasala
(Sorradile), Urassala (Scano M.), Urau (Cuglieri, fontana), piskina
d'Urea (CV XIII 7), Uredda (Siamanna), Uréi (Laconi,
canale), Urele (Baunei), Flumini Uri (San Vito), Úrighe
(Birori), Urulu (Orgosolo, sorgente), Roja Urossolo (Ortueri,
canale), Urotzo (Sorradile, sorgente), Uruspa (Sorso); Uraressi,
Urei, Ures(s)a, Uri, Urieke, Urule (CSPS); Urasanna, Uria,
Urosolo, Urri, Urrolo, Urru (CSMB), Ures (CSLB), Urri
(Orani), Úrighe (Birori), Úrigu (Aidomaggiore). Infine è
significativo pure il fatto che una città etrusca Uri esistesse anche in
Campania.
Un'altra importante considerazione finale: la
presenza di lessemi (appellativi e toponimi) protosardi nella
Penisola Iberica si inquadra alla perfezione nella situazione che si è verificata
in epoca preistorica e protostorica nelle terre del bacino del Mediterraneo:
essa costituisce un nuovo e chiaro esempio del fatto che la “civiltà” si è
espansa dall'Oriente all'Occidente, dalla zona della Mezzaluna fertile verso
l'Asia Minore e le isole del Mar Egeo, verso la Penisola Ellenica, la Sicilia,
la Penisola Italiana, la Sardegna, le Baleari e la Penisola Iberica. Ex
Oriente lux!
La
Gallia Narbonese e l'Aquitania
Oltre
a tutto ciò è molto probabile che la presenza dei Sardi Nuragici fosse attestata
pure nella zona della Gallia Narbonese
e di quella pirenaica o Aquitania, confinante con la Cerdanya, cioè
nell'odierno Midi francese.
Lo
fanno intravedere queste significative e perfino stupefacenti corrispondenze
linguistiche:
Protosardo
Gallico
ajucca
«ononide» (arbusto) ayaugo «ononide» guascone
Bortigale/i (villaggio; TSSO) Burdigala (odierna Bordeaux)
Gábaru (rivo Sassari) Gabarus (odierno idr. Gave)
Goronna (topon. Paulilatino) Garunna
(odierno idr. Garonne)
Látara (Alghero)
Latara (Gallia Narbonese)
narbone «debbio, terra
debbiata» Narbo,-onis (odierna Narbonne)
orga «sorgente» Orgas (fons
Galliae Narbon.)
Óschiri (villaggio) Oscara (idronimo Gallia)
Sardena (cognome, pure còrso) Sardenus
(ant. Aquitania)
Sardónioi
(=
Sardiani) Sardones (Aquitania; StSN 233)
Tolosa (Tìana) Tolosa (odierna Toulouse)
tanda «papavero» ander «papavero» (Midi franc.)
Circa
la verosimile presenza dei Sardi Nuragici nell'antica Gallia Narbonese, sia
sufficiente ricordare che connessioni culturali fra questa area geografica e la
Sardegna sono state già trovate e indicate sia per l'epoca prenuragica sia per
quella propriamente nuragica, ad esempio fra le allées couvertes francesi e le tombe
di gigante sarde; e questa presenza sarà da attribuirsi anche al grande
interesse che i Sardi Nuragici avranno avuto per la seconda rotta dello stagno e
dell'ambra, quella che dai paesi del Mare del Nord e del Baltico arrivava nel
Mediterraneo passando attraverso i fiumi Senna e Rodano. D'altra
parte è opportuno precisare, sul piano geografico, che la Sardegna risulta più
vicina a Marsiglia che non a Genova.
A
questo punto si impone una domanda e un'obiezione: perché non risulta segnalata
la presenza di nuraghi nell'Iberia e nel Midi francese? Noi riteniamo che è
molto probabile che i nuraghi esistessero anche in quelle terra, ma siano
andati distrutti per la continua e massiccia presenza di insediamenti umani in
un'area che è fra le più popolate dell'Europa. Sarà dunque avvenuto quello che
è successo nella parte meridionale della Sardegna, quella più abitata, e in
particolare nella pianura del Campidano, dove i nuraghi non esistono più, dato
che purtroppo i privati hanno molto spesso trattato i nuraghi come “cave di
pietra”, adoperata per la costruzione delle case personali.
La Numidia nell'Africa settentrionale
È verosimile che i Sardi Nuragici abbiano effettuato
sbarchi in forze e stanziamenti permanenti anche nella costa dell'Africa
settentrionale, cioè l'antica Lybia, e precisamente nella Numidia,
la quale corrisponde alla odierna Algeria ed era abitata dai Berberi.
Sempre sul piano geografico si deve considerare che la Sardegna risulta più
vicina all'Africa settentrionale che a qualsiasi altra terra continentale
circostante, la Penisola Italiana compresa. Dalla cima della torre di san
Pancrazio del Castello di Cagliari si intravedono le cime della catena montuosa
dell'Atlante, che va dalla Tunisia al Marocco.
Ebbene, proprio in questa prospettiva c'è da ricordare
che in Algeria sono state segnalate costruzioni fatte con soli massi di pietra,
senza alcun cemento, chiamate «bazina» oppure «coucha», le quali sono del tutto
simili ai nuraghi sardi e le quali raggiungono la considerevole somma di un
migliaio (E. Pais, Prer. pagg. 299-300; Tav.7 num. 1, 2, 3).
Inoltre lo scrittore greco Diodoro Siculo (III 49, 3)
riferisce che «i capi (dei Numidi) posseggono non città, ma “torri” (pýrgoi)
poste nelle vicinanze delle sorgenti, nelle quali depongono il sovrappiù del
bottino di guerra». Ed è evidente che essi procedevano in questo modo perché le
“torri” erano considerate e adoperate come “templi”, alle cui divinità appunto
venivano fatte quelle offerte.
Il geografo greco-alessandrino Claudio Tolomeo (IV 3,
3) poi segnala nell'Africa provincia romana, questi toponimi Noúrholi,
Noúrhon, i quali sono chiaramente corradicali col vocabolo protosardo nuraghe
e coi toponimi sardi Nurò (Orune), Nurule (Galtellì), Nurvoli
(Nùoro) (TSSO); poi segnala il toponimo Narhággarha, che sembra
corradicale col protosardo muragadda, mugoradda «pietraia, mucchio di pietrame accatastato per spietrare
il terreno», «muriccia, muro di contenimento» (Orgosolo), «rudere di muratura»
(gallur. e centr.) (NVLS).
Qualche
corrispondenza linguistica è stata riscontrata pure tra la Sardegna e la
Numidia antiche, cioè tra lessemi protosardi e lessemi berberi. Eccone,
anche qui, l'elenco probabilmente non completo:
áurri,
aúrri «càrpino bianco e nero», «carpinella» (Carpinus betulus, Ostrya carpinifolia Scop.);
toponimi Aurracci (Ussassai), Aurreddus (Gergei, diminutivo plur.):
relitto protosardo da confrontare col berbero auri “pianta la cui scorza
viene usata per fare corde, cinture, ecc.” (LS
255). Vedi Iberia (basco, navarrese).
buda,
(b)uda, guda, vuda «biodo, sala palustre, tifa» (Typha angustifolia e T. latifolia L., usate per fare stuoie) deriva dal lat. buda, che per M. L. Wagner (LS 263) sarebbe di origine africana,
corrispondendo al berbero (t)abuda,
tibudda. Questo fitonimo berbero è molto importante e significativo, per il
fatto che risulta preceduto dal prefisso-articolo ta-, te-, ti-, tu-; tha-, the-, thi-, thu-; tza-, tze-, tzi-, tzu-, il
quale tanti riscontri ha fra i lessemi protosardi (NVLS).
gangorra
«strolaga minore» corrisponde a ganga
piccolo gallinaceo dell'Africa (vedi anche Iberia).
narvu,
navru (Irgoli), narvone, nalvone, narbone/i «debbio o bruciatura degli sterpi o delle stoppie»,
«novale o terreno bruciato e pulito da pietre e sterpi pronto per l'aratura»;
(suffisso -on-); narvonare,
narbonai «debbiare», «dissodare il terreno»: relitto protosardo da
confrontare coi topononimi Monte Narbone,
Narboni, Narboneddu (Sicilia), Narbonne
(ant. Narbo,-onis; Gallia), Narbo (Africa settentrionale) (OPSE 155, 156; LISPR 161; NVLS).
sèssiri, sèssini, sèssene
«cìpero» (specie di giunco usato per fare legacci, stuoie e oggetti
artigianali) ed «erba rossa» (Cyperus
longus, C. rotundus): probabilmente
relitto protosardo, da confrontare con quelli berberi thiizzi «alfa secca», sezzerth «stelo d'alfa» (DES II
412; LS 263).
síntziri, sintzurru «equiseto
palustre» e «correggiola» (Equisetum
palustre L. e Polygonum aviculare L.)
(camp.): da confrontare – non derivare - col lat. zenzur, sensur, zunzur, sunsur «Polygonum aviculare L.», il quale probabilmente è di origine
berbera (NPRA 279).
tramatzu,
tramatza «tamerice» (Tamarix
Gallica L., Tamarix Africana Poir.);
toponimi Tramatza, Gonnostramatza
(Comuni, OR), Tramatzunele (Fonni), Tramasuri (Samugheo), Tamarithái (Oliena): probabilmente
relitti protosardi (suffissi e suffissoide) da confrontare – non derivare - col
lat. tamarice/a/um/scus «tamerice,
tamarisco» e inoltre col berbero tabarkat (NPRA 254). Per motivi
fonetici è meno probabile che il fitonimo protosardo e soprattutto i toponimi
citati derivino da quello latino; invece le varianti tamariche, tamariscu possono senz'altro derivarne come doppioni. È probabile
dunque che il fitonimo esistesse già in Sardegna, nella lingua protosarda,
prima che ve lo importassero i Romani (NVLS).
tzonni,
tzònnia, sònnia,
t(h)innía, thinniga, tinniga, tzinni(g)a,
sinniga «alfa, sparto, giunco marino», «carice» [Lygeum spartum, Iuncus acutus, I. articulatus, I. bufonius, I.
maritimus; Carex distachia, C. diversicolor, C. divisa; Holoschoenus romanus (L.) Fritsch]
(tutte piante usate per fare stuoie, materassi, ceste, corde); toponimi Tinnura (Comune di T., noto per la confezioni
di cestini, fatti pure con la tinnía, la
quale è abbondante in una località chiamata appunto Tinnía); Tinnurái (Arzana), Tinnuras (Bonorva), Tunnuri (Lanusei), Zinnuri (Barumini, Bauladu, Tramatza), Zinnuredda (Barumini, Bauladu) (accento e suffissoidi):
probabilmente tutti relitti protosardi da confrontare col berbero tsennît «sparto, alfa».
Pure il muflone «specie
di pecora selvatica», esistente fin dall'antichità in Sardegna e in Corsica,
risulta ampiamente attestato anche nella odierna Algeria.
Sul piano etnologico è molto curiosa e significativa
la seguente congruenza fra la Sardegna e i Berberi notata e segnalata da M. L.
Wagner: «La via lattea porta in tutta la Sardegna [....] il nome di (b)ia dessa bádza (dessa bàlla), dunque "via della paglia". In tutta la
Romània non esiste una denominazione simile [....] In Sardegna vi sono leggende
di un Orunese che, avendo rubato della paglia al compare di Nuoro, la vide, per
la strada, uscire a poco a poco dai sacchi e andare a formare la via lattea»
[....] Ora è notevole che la stessa denominazione è la più usuale fra i Berberi
veri e propri e i Berberi arabizzati dell'Africa settentrionale (StSN §
39).
Precisiamo che nella cartina che mostra le linee
dell'espansionismo dei Sardi Nuragici nel Mediterraneo occidentale non è per
nulla indicata la direzione meridionale dell'Africa settentrionale, e ciò è
avvenuto per la ragione che questa prospettiva storica, culturale e
linguistica, è una nostra acquisizione molto recente.++++
* * *
Giunti a questo punto c'è da fare una importante
considerazione generale a proposito di questo nostro studio. In effetti noi
abbiamo visto numerose congruenze linguistiche, archeologiche, etnografiche e
storiche fra la Sardegna e quasi tutte le terre che le stanno attorno: Corsica,
Baleari, Iberia, Aquitania, Gallia Narbonese, Africa settentrionale. Queste
congruenze linguistiche e culturali in effetti si sviluppano a forma di
raggiera, la quale ha come suo centro principale la Sardegna. Orbene, dal punto
di vista strettamente metodologico è immensamente più verosimile che quelle
congruenze linguistiche e culturali siano partite dal “centro” verso le
“periferie” che non il contrario: da una periferia al centro o addirittura da
una “periferia” all'altra opposta. È immensamente più verosimile che il lessema
narbone «debbio» sia andato dall'antica Sardegna verso il nord e verso il
sud dando luogo rispettivamente a Narbo,-onis nella Gallia, e Narbo
nell'Africa settentrionale, che non il processo inverso: dalla Gallia
all'Africa o da questa a quella.
Oltre a ciò, anche a proposito dell'Africa
settentrionale siamo di fronte a momenti ed episodi di espansione dei Sardi
Nuragici pure nella Numidia. In generale, a proposito dei rapporti
che sono intercorsi fra la Sardegna da un lato e l'Africa settentrionale dall'altro,
è molto importante fare una considerazione e precisazione, del tutto analoga a
quella che abbiamo fatto a proposito dei rapporti intercorsi fra la Sardegna
Nuragica da un lato e la Penisola Iberica dall'altro: tutti gli studiosi,
storici e linguisti, con in testa Raffaele Pettazzoni, Ettore Pais, il grande
Max Leopold Wagner, fino ad ora si sono inconsciamente fatti condizionare dai
rapporti che sono intercorsi fra le due terre in epoca piuttosto recente,
quando abbiamo visto l'Africa settentrionale
prevalere ed espandersi nella Sardegna, prima coi Cartaginesi e più tardi coi
Vandali. Senonché questa situazione si determinò realmente solo in epoca
storica, quando Cartagine appunto si impadronì di quasi tutta la Sardegna e pure
i Vandali per un sessantennio, mentre in epoca preistorica i rapporti sono
stati del tutto opposti: è stata la Sardegna ad espandersi nell'Africa
settentrionale e non il contrario. E ciò è accaduto in virtù
del fatto che gli antichi Sardi Nuragici erano più forti nelle armi e nei mezzi
e più avanzati nel progresso tecnico e pure civile rispetto alle varie e
piccole popolazioni che abitavano l'Africa settentrionale.
Abbiamo già detto ed insistiamo nel dire che in fatto di incontri di culture e
di civiltà vale la norma che "il più spiega il meno e non viceversa".
È un fatto assolutamente strano, però succede
realmente: tutti gli studiosi riconoscono e dicono che “la civiltà nuragica è
stata la prima e la più importante civiltà dell'antico Mediterraneo
occidentale”, precedente anche alla brillante civiltà etrusca di circa tre
secoli. Ma se questo riconoscono pacificamente tutti e d'accordo, perché non
riconoscono ai Sardi Nuragici anche le capacità di animo, di intelligenza, di
forze e di organizzazione necessarie e sufficienti per perseguire una politica
di espansione verso tutte le terre che stavano attorno, spinti e grandemente
favoriti anche dal comune modo di muoversi degli uomini in quei secoli, la
navigazione sul mare?
E anche a questo proposito si deve fare un'altra
importante precisazione: si sente affermare spesso che in effetti la Sardegna è
una “isola isolata”, un'isola cioè tagliata fuori dalle grandi linee della
navigazione internazionale che si svolge nel bacino del Mediterraneo. Ed è,
questa, una considerazione senz'altro vera ed esatta. Ma questo isolamento
marittimo della Sardegna è un fatto molto recente, che è iniziato soltanto da
quando le navi hanno acquistato una grande autonomia di movimento, effetto
dell'applicazione dei motori ad elica, prima a carbone e dopo a gasolio. Invece
nei numerosi secoli precedenti la situazione era del tutto diversa e senz'altro
opposta: a causa della scarsissima autonomia di cui godevano le antiche navi a
remi e a vela, tutte quelle che navigavano nel bacino centro-occidentale del
Mediterraneo toccavano e dovevano toccare la Sardegna, per motivi di commercio,
per farvi rifornimento di acqua e di cibi, per riparare i guasti delle navi e
delle loro attrezzature, per sfuggire alle tempeste. Dunque, è senz'altro vero
che nel presente la Sardegna è “un'isola isolata”, ma nel passato per lunghi
secoli, dopo che ebbe inizio la pratica della navigazione sul mare, la Sardegna
era “un'isola frequentatissima” e pertanto era una terra capace di ricevere
tutti i risultati positivi del progresso civile e culturale dei popoli circostanti
e insieme di diffondere quelli suoi agli altri.
Circa lo sviluppo civile e culturale raggiunto dai
Sardi Nuragici basta citare tre soli esempi: la grande maestria da loro
raggiunta nella lavorazione del bronzo per la fabbricazione di armi, strumenti
di lavoro e bronzetti; le 31 statue dei Guerrieri del tempio del Sardus
Pater di Monti Prama, che sono coeve alla scultura greca arcaica (secoli
VI-V a. C.); il meraviglioso edificio architettonico che è il pozzo di Santa
Cristina di Paulilatino, col quale si sono costruiti un bell'esempio di
orologio solare e di calendario lunare.
Nuragici ed Etruschi nel Mar
Tirreno
In
base ad antiche testimonianze storiche si possono ricostruire con notevole
sicurezza le tappe dell'itinerario marittimo che i Sardiani della Lidia e
quelli della Sardegna percorrevano nei loro viaggi di andata e di ritorno tra
la madrepatria anatolica e la colonia sarda.
Intanto
è opportuno ritornare alla citata preziosissima testimonianza di Erodoto
relativa alla grande trasmigrazione dei Lidi verso l'Italia e ricordare che
essi acquistarono la denominanzione di «Tirseni» dopo il loro trasferimento nell'Occidente. E noi abbiamo già detto
altre volte che i Lidi acquistarono la denominazione di «Tirseni/Tirreni», cioè
di "costruttori di torri", dopo che si erano resi famosi per le
numerosissime “torri nuragiche” da loro costruite in Sardegna.
Ciò
premesso, si deve dire che abbiamo numerose testimonianze storiche che parlano
di una presenza dei Tirreni lungo l'itinerario marittimo che collegava la
Sardegna colonia alla Lidia sua madrepatria.
Innanzi
tutto è molto importante e molto significativa la denominazione del Mare Tirreno, situato tra la Sardegna,
la Penisola Italiana e la Sicilia. Questa denominazione parla chiaramente della
supremazia marittima o “talassocrazia” che i Tirreni vi esercitarono in lungo e
in largo e per molto tempo. Se poi si considera che l'etnico Tirreni/Tirseni è praticamente sinonimo
di Nuragici, siamo autorizzati ad
affermare che nella sostanza «Mare Tirreno» significava anche «Mare Nuragico».
Questa notazione trova conferma in due diversi riferimenti storici e in uno
archeologico.
In
primo luogo è da considerare che alcune testimonianze storiche antiche
accennano al fatto che, prima dell'ingresso dei Greci nel Mar Tirreno e cioè
prima della fondazione delle loro colonie di Ischia (Pithekoũsai) e di Cuma (rispettivamente negli anni 770 e 750 a. C. circa),
quel mare era infestato dai "pirati" e più precisamente dai
"pirati tirreni". A questo proposito anzi è da ricordare che molti
antichi autori greci hanno presentato i Tirreni come un popolo dedito in
maniera particolare alla "pirateria", con un giudizio che fu
concordemente condiviso dai Greci in generale. Siccome però si tratta di un
giudizio di "parte greca" e quindi di una parte interessata, noi
moderni abbiamo l'obbligo almeno di attenuarlo. E infatti tutti gli storici
moderni sono d'accordo sul fatto che nei tempi antichi il commercio e la pirateria
di un qualsiasi popolo - Tirreni, Liguri, Greci, Fenici, Cartaginesi - andavano
di pari passo, con un continuo scambio di ruoli e strettamente intrecciati e
confusi tra loro (StSN § 42). D'altronde, a distanza di tempo, a noi
moderni riesce del tutto facile comprendere come e perché i Greci fossero
piuttosto corrivi a chiamare e definire "pirati" quei popoli o gruppi
di uomini che si opponevano al loro espansionismo marittimo e commerciale. Nel
caso specifico del Mediterraneo centro-occidentale si intravede facilmente che
quei "pirati" che si opponevano all'ingresso dei Greci nel Tirreno,
erano appunto i Tirreni, sia quelli della Sardegna sia quelli dell'Etruria.
In
secondo luogo un famoso trattato di amicizia fra i Sibariti da una parte e i Serdaioi
o Sardi dall'altra (StSN § 22)
dimostra in maniera chiara e certa che effettivamente i Tirreni, sia quelli
della Sardegna sia quelli dell'Etruria, erano i padroni quasi assoluti del Mar
Tirreno; tanto è vero che si era vista costretta a venire a patti con loro, per
poter commerciare in quel mare, nientemeno Sibari, che all'inizio era la più
ricca e potente colonia greca della Magna Grecia. Infine è pure molto
significativa la circostanza che nell'isola di Lipari, che è nel Tirreno,
proprio di fronte allo stretto di Messina e quasi a suo controllo, siano stati
trovati numerosi vasi o frammenti di vasi di sicura matrice nuragica. Il primo
archeologo che si è interessato di questo vasellame nuragico di Lipari, ha
messo in risalto che esso riguardò un arco di tempo che andava dalla seconda
metà del secolo XII a. C. fino al X e alla prima metà del IX (StSN §
42), cioè – diciamo noi - al periodo della massima potenza dei Sardi Nuragici.
Da
queste due considerazioni a noi sembra che si possa trarre questa assai
verosimile conclusione: che i Sardi
Nuragici si fossero installati a Lipari e nelle isole Eolie, sulla rotta
diretta che portava, attraverso lo stretto di Messina, dalla Sardegna alla
Lidia e viceversa. E queste isole servivano ai Sardi Nuragici sia come
tappa intermedia nella lunga rotta fra la Sardegna e la madrepatria anatolica,
sia per controllare lo stesso stretto di Messina, esercitando nella zona
adiacente anche la pirateria.
Sempre
con molta verosimiglianza si può anche ipotizzare che i Sardi Nuragici delle
Eolie fossero i 500 misteriosi abitanti indigeni di queste isole, della mitica
stirpe di Eolo, quelli che in séguito, attorno agli anni 580/576 a. C. (50ª
Olimpiade), accolsero i coloni greci di stirpe Cnidia e Rodia. «Ebbero una
accoglienza benevola», afferma Diodoro Siculo (V 9), ma c'è da dubitarne
parecchio; ed infatti Pausania (X 11, 3-5) dice invece che i nuovi coloni greci
cacciarono via gli antichi abitanti delle Eolie, probabilmente costringendoli a
ritornare in Sardegna.
In
periodi successivi per i nuovi coloni greci delle Eolie si hanno notizie di
scontri con i Tirreni, senza però che si possa chiarire se questi fossero
Tirreni della Sardegna o Nuragici oppure Tirreni dell'Italia o Etruschi. Assai
probabilmente si trattava sia degli uni che degli altri, a seconda dei siti,
delle circostanze e dei tempi (Diodoro V 9; Strabone VI 2, 10; Pausania X 11,
3-5; 16, 7).
È
importante considerare che, nel periodo che va dalla metà del X secolo a. C.
alla metà dell'VIII, i Tirreni della Sardegna o Nuragici controllavano tutta la
costa occidentale del Mare Tirreno, con l'importante stretto di Bonifacio
compreso, e probabilmente anche le isole Eolie e lo stretto di Messina, e che i
Tirreni dell'Italia od Etruschi erano padroni della parte settentrionale dello
stesso mare, col possesso dell'intera costa della Penisola Italiana fra il
Tevere e l'Arno e inoltre dell'isola d'Elba e di una porzione della costa
orientale della Corsica, ad Alalia o Aleria. Per conseguenza di tutto ciò si
può ben vedere e comprendere come e perché in quel periodo il Tirreno abbia
acquistato la caratteristica di un mare chiuso, sotto il quasi totale
predominio dei Tirreni, sia di quelli della Sardegna sia di quelli
dell'Etruria, e come in quel periodo quel mare abbia per l'appunto preso la sua
molto significativa denominazione di Mar
Tirreno. Non è certamente a caso il fatto che – come abbiamo già visto in
precedenza – esista in Sardegna, a stretta vicinanza della costa sud-orientale
e cioè “tirrenica” dell'isola, il villaggio di Tertenía, il cui nome
corrisponde quasi perfettamente alla Tyrsēnía
= «terra dei Tirseni», citata da Stefano di Bisanzio.
A
maggior ragione vale questa considerazione, quando si consideri che - come
abbiamo pure visto in precedenza - Mare
Tirreno era chiamato anche il mare posto tra la Sardegna e la penisola
iberica (StSN § 56).
Le isole Eolie e lo stretto di Messina dunque erano
due punti obbligati di approdo e di passaggio per i Sardi Nuragici nel tragitto
di andata e di ritorno alla e dalla loro madrepatria anatolica, la Lidia.*
Annotazioni
*Sento il dovere e pure il piacere di ringraziare il
collega ed amico Mauro Maxia, professore associato di “Linguistica e filologia
italiana”, perché ha accettato di revisionare, con piena competenza, questo mio
studio e perché mi ha fatto conoscere un suo studio, che prima non conoscevo: “Toponimi
ricorrenti nel Mediterraneo occidentale”, pubblicato negli Atti del
convegno “La toponomàstica de les illes del Mediterrani occidental”,
L'Algher, maig del 2008. Questo importante studio mi ha consentito di
arricchire il mio materiale toponomastico.
Bibliogafia
e Sigle
DECLC Corominas J., Diccionari Etimòlogic i Complementari de la
LLengua Catalana, Barcelona, V ediz., 1988.
DES Wagner M. L., Dizionario
Etimologico Sardo, I-III, Heidelberg 1960-1964.
LISPR Pittau M., La
Lingua Sardiana o dei Protosardi, Cagliari 2001 (Libreria Koinè Sassari).
LS Wagner M. L., La Lingua
Sarda - storia spirito e forma, Berna 1951, II ediz. Nùoro 1997.
NPRA André J., Les nomes de plantes dans la Rome antique, Paris 1985.
NVLS Pittau M., Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico,
Domus de Janas edit. Selargius 2014.
OPSE Pittau, M., Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi - saggio
storico-linguistico, Sassari 1996.
Prer. Pais E., Sardegna prima del dominio romano, in «Atti della R. Accademia dei
Lincei», VII, 1880-1881.
StSN Pittau M., Storia dei Sardi Nuragici, Selargius (CA) 2007, Domus de Janas edit.
TSSO Pittau M., I toponimi della Sardegna – Significato e
origine, 2 Sardegna centrale, Sassari, 2011, EDES (Editrice Democratica
Sarda).
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Senza sminuire l'autorevolezza del Pedro Bosch Gimpera (1891-1974), alla luce delle sucessive scoperte in campo archeologico e delle piú sofisticate tecniche di ricerca scentifica, il prof. Victor Manuel Guerrero Ayuso, attuale studioso, il quale ha fatto numerose pubblicazioni in merito alla cultura talayotica e nuragica, fá delle considerazioni molto diverse. Suggerirei la lettura di "La marineria de la Cerdeña nuragica". Ma anche di tante altre sue pubblicazioni.
RispondiEliminaQuindi, Prof. Pittau, anche il toponimo "Cabo Sardão" (che lei comunque non menziona), nella costa atlantica portoghese, sarebbe un'altra impronta di quell'espansionismo "sardiano" di cui parla nel suo saggio?
RispondiEliminaE quei fonemi a suono nasale tipici della parlata del campidano di Oristano, cosi apparentemente simili a quelli della parlata Portoghese, potrebbero avere origine comune?