Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

giovedì 8 gennaio 2015

L'espansionismo dei sardi nuragici nel Mediterraneo Occidentale, di Massimo Pittau

L'espansionismo dei sardi nuragici nel Mediterraneo Occidentale
di Massimo Pittau




La peregrina e perfino ridicola tesi dei nuraghi intesi come “castelli” e “fortezze” per mezzo secolo ha impedito che in Sardegna si intravedesse una sia pure pallida idea di che cosa sia stata effettivamente la “civiltà nuragica”, sia rispetto alla sua caratteristica interna o civile e culturale, sia rispetto a una sua eventuale politica esterna di espansione fuori dell'isola.


12 commenti:

  1. La Lidia emerge alla storia dopo la disintegrazione dell'impero ittita, in conseguenza delle invasioni dei popoli del mare del 1200 a.c. La cittá di sardi risulta fondata in seguito a questi eventi. La civiltá nuragica in quel periodo ha giá un'identitá ben definita di parecchi parecchi secoli. Identitá che mostra i caratteri "genetici" culturali strettamente legati ai popoli discendenti dall'antica cultura megalitica dell'europa occidentale. Ovviamente rielaborati e ripensati in chiave sarda.
    Le "allées couvertes", sa bene il Prof. Pittau, sono l'evoluzione dei dolmen, i quali sono documentati nella nostra isola, e se ne puó ricostruire l'evoluzione archittetonica fino alle cosidette "tombe di giganti".
    A proposito di Baleari, talayot e navetas, suggerirei di osservarne una in particolare, ubicata a Menorca: "Sa Naveta des Tudons" (la si potrebbe chiamare in sardo "Sa Naveta de is Tudaus" -la nave dei sepolti- e non mancano toponomi come: "pula", "sa berrina", "sa cova", ecc.. ..). Inoltre sarebbe opportuno specificare che il periodo detto "talayotico" é piú recente rispetto a quello nuragico (secondo le datazioni al carb. inizierebbe intorno al 1200 - 1100 ac), e le caratteristiche archittettoniche differiscono da i nuraghi in quanto i talayot non hanno la volta a tolos, ma chiudono a "piattabanda" poggiando su un pilastro centrale. Mentre i "prototalayot" sono coevi e simili, dal punto di vista archittettonico, ai "protonuraghi" del periodo "bonnannaro".
    L'elenco di termini citati, in comune con gli altri idiomi dell'area occidentale, ne confermano l'antico legame culturale. Legame che si perde nel neolitico. Secondo il mio punto di vista.

    p.s. Dalle mie parti "Sa Gangorra" é lo svasso maggiore.

    RispondiElimina
  2. Le prime costruzioni a tholos sembrano però provenire dalla penisola iberica ( Los Millares e Zambujal) ma sono, a quanto sia noto, casi isolati. Sono queste comunità che, navigando, entrano in contatto con i sardi di allora e fanno decollare la civiltà nuragica, insegnando agli isolani le tecniche? Sono loro o gli stessi sardi che le insegneranno ai micenei? I micenei ... Un bel mistero pure loro con quel nome datogli qualche millennio dopo. I tanaja o danai che dir si voglia. Comunque gente che sembra arrivare dall'occidente del mare nostrum e non da oriente.
    Lieto di ricevere commenti e critiche
    Donato Pulacchini

    RispondiElimina
  3. Infatti, nel villaggio fortificato di "Los Millares", almeno un millennio prima, questo stile archittettonico viene usato nei circoli sepolcrali, precursori di quelli micenei ed etruschi.
    Tuttavia nelle tolos di "Los Millares" l'equilibrio statico é sostenuto dal grande cumulo di terra che gli viene "addossato" per controbanciare la spinta orizzontale del paramento murario.
    Chissa se in modo indipendente, o mutuato, questa tecnica viene rivista e rielaborata dai costruttori di protonuraghi e in maniera geniale realizzano tolos una sopra l'altra, fuori terra, controbilanciando la spinta orizzontale del paramento murario interno, con un controparamento murario aggettante, costruito intorno e riempiendo l'interspazio tra i due paramenti.

    RispondiElimina
  4. Per "controbanciare" intendevo controbilanciare.

    RispondiElimina
  5. Ancora nella penisola iberica, nel territorio conosciuto come "La Mancha", piú o meno nello stesso periodo in cui si sviluppava la cultura proto-nuragica in sardegna, cioé fine del calcolitico - inizio bronzo, si sviluppava la cultura cosidetta delle "Motillas" che presenta parecchie analogie con quella nuragica, occupando il territorio con costruzioni simili ai nuraghi dal punto di vista costruttivo e strutturale, ma prive di "tolos".
    Davvero sorprendente quella detta "Motilla de Azuer".

    RispondiElimina
  6. Massimo Pittau scrive:
    Egregio Direttore Montalbano,
    Glielo avevo già detto un'altra volta: io sono contrario a rispondere alle obiezioni che mi muove qualche interlocutore “anonimo”, che cioè non si firma. Io ho il diritto di sapere se quelle obiezioni siano il frutto di studi seri ed appropriati oppure siano il frutto di una cultura raffazzonata qua e là in siti internet di bassa lega. In ogni modo intendo oggi fare uno strappo alla mia decisione, perché mi si presenta la buona occasione di fare una precisazione su una importante questione: le datazioni della “civiltà nuragica”.
    Qualche tempo fa il valido studioso francese Michèle Gras, Trafics tyrrhéniens archaȉques, Roma 1885, pgg. 37-42, scriveva che “una incertezza fondamentale rimane: la data di apparizione dei nuraghi”. E in effetti, anche dopo la sensata lamentela del Gras, gli archeologi sardi hanno continuato a presentare “datazioni ballerine”, differenti le une dalle altre perfino di 500 anni in alto o in basso! Ed io ho aggiunto che, se il ricorso al metodo di datazione del carbonio radioattivo è senz'altro utile per epoche molto antiche, come possono essere il paleolitico e il neolitico, esso invece è pressoché inutile per l'epoca nuragica, per la quale, essendo relativamente vicina a noi, non è accettabile una differenza, prospettata da quel metodo, di 250 anni in più o in meno, ossia con una oscillazione cronologica di 500 anni. Sono i casi dei nuraghi Madugui di Gesturi e Albucciu di Arzachena, per i quali sono state, con tutta serietà, prospettate datazioni che oscillano fra il 2070 e il 1570 e fra il 1506 e il 1006 avanti Cristo!
    Legata allo stesso problema della datazione è anche quello dei cosiddetti “protonuraghi”, che dovrebbero significare “primi nuraghi, nuraghi primitivi”. Questi sarebbero i nuraghi che non hanno una camera ampia ed a cupola, ma hanno un semplice corridoio (molto meglio chiamati appunto “nuraghi a corridoio”) coperto con semplice lastre orizzontali.
    Senonché a mio giudizio non è affatto detto e tanto meno dimostrato che un nuraghe a corridoio” sia per ciò stesso “primo o primitivo”: esso potrebbe essere anche molto recente, costruito da una tribù che da una parte non aveva un grande numero di abitanti maschi per farli partecipare alla costruzione di un nuraghe come manovalanza, dall'altra non aveva sufficienti mezzi economici per ingaggiare maestranze forestiere specializzate. Un nuraghe a corridoio pertanto potrebbe anche essere di recente e recentissima costruzione. La datazione di un “nuraghe a corridoio” deve pertanto essere tentata in altri modi, ad esempio col confronto di altri nuraghi vicini. Ad esempio, un “nuraghe a corridoio” rinvenuto nella zona dell'altipiano di Abbasanta e del Marghine sarebbe quasi certamente da ritenere primitivo rispetto agli altri numerosi più recenti, che risultano costruiti con grande maestria e con grande dispendio di mezzi.
    E se tutto questo è vero, se ne deve dedurre la denominazione di “protonuraghi” è notevolmente errata: li si deve chiamare “nuraghi a corridoio”.


    RispondiElimina
  7. Caro professore Pittau, essendo da tempo convinto che i nuraghi avessero funzioni variabili nel tempo e dipendenti dalle necessità che si presentavano volta per volta alle comunità, sono d'accordo con Lei sulla corretta terminologia "nuraghi a corridoio", infatti la utilizzo fin dalla mia prima pubblicazione nel 2007. Per quanto riguarda la cronologia devo riferirmi esclusivamente agli edifici a corridoio da me studiati, ossia quelli della Giara di Siddi, della Giara di Gesturi e pochissimi altri. Tutti questi hanno la funzione primaria di presidiare i sentieri che scendono a valle. Sono l'interfaccia fra le popolazioni delle fertili vallate sottostanti le giare e, appunto, le genti che si dedicavano all'allevamento sui promontori. Questi sentieri furono "scalas", ossia percorsi nei quali si incalanava l'acqua espulsa dal territorio basaltico che, come sappiamo, non assorbe per le sue caratteristiche materiali. Queste "scalas", nella stagione asciutta divenivano sentieri, e i nuragici le adattarono predisponendo bacini di raccolta dell'acqua per abbeverare le bestie. Nei secoli queste scalas/sentieri sono diventate strade asfaltate, e alla sommità di esse troviamo proprio i nuraghi a corridoio delle giare, in egual numero, uno per ogni strada, con evidente funzione di presidio, non necessariamente militarizzato. Quelle genti erano orientate alla pace e agli scambi, organizzati secondo strategie che limitavano per quanto possibile gli atti guerreschi, o meglio, le bardane di qualche piccolo gruppo di nuragici a caccia di donne altrui o risorse di ogni genere. Non è un caso se i nuraghi a corridoio si trovano sempre lungo il perimetro degli altopiani e non al loro interno. I nuraghi a torre, invece, presentano differenti caratteristiche, legate sempre alla specifica funzione che dovevano svolgere. I dati in mia possesso mi convincono a ritenere i nuraghi a corridoio precedenti a quelli a sviluppo verticale.

    RispondiElimina
  8. Massimo Pittau scrive:
    Egregio Dott. Montalbano,
    avevo già notato – con piacere – che Lei evita la denominazione erratissima di “protonuraghi” e adopera invece quella esatta di “nuraghi a corridoio”. Su questo importante punto siamo in pieno accordo dunque. Invece non condivido la Sua tesi che i nuraghi posti nei promontori delle Giare ci stessero per motivi di “difesa”. In termini di “difesa” la norma razionale e militare è quella di “vedere senza esser visti”. I bunker costruiti sulle nostre coste di mare nella II guerra mondiale non erano in bella vista, bensì erano “mimetizzati” fra le rocce e i cespugli, in maniera che i difensori “vedessero senza esser visti”. Questa tecnica difensiva la applicavano anche i nostri pastori quando ancora sorvegliavano le loro greggi mentre pascolavano: se ne stavano in disparte per non esser visti e per sorprendere quindi eventuali abigeatari nei loro tentativi di furto. I supposti sorveglianti delle scalas delle Giare chiusi dentro i nuraghi avrebbero di certo attirato l'attenzione dei maleintenzionati, i quali avrebbero deviato la loro avanzata per evitare appunto i nuraghi e i loro supposti difensori.
    Al sig. Donato Pulacchini rispondo brevemente dicendo che ho l'impressione che mi abbia letto con poca attenzione. Circa i rapporti fra la Sardegna e le Baleari abbia la cortesia di rileggere ciò che ha scritto in proposito il valente archeologo spagnolo G. Rosselló Bordoy.
    E con poca attenzione mi sembra che mi abbiano letto anche gli altri interlocutori. Però li ringrazio tutti per l'attenzione che hanno dimostrato per il mio scritto.

    RispondiElimina
  9. Ringrazio il Prof. Pittau per i chiarimenti e per la segnalazione. Ho provato ad approfondire le teorie del Rossellò Bordoy alla luce di ricerche più recenti ma non emerge un quadro univoco di datazione delle costruzioni antiche per l'area delle isole Baleari e nemmeno per quelle delle coste iberiche. A quanto pare il dibattito delle origini di queste costruzioni affligge tutto il mediterraeo occidentale.
    Sarei grato al Prof. Pittau e agli altri che volessero intervenire su quanto riportato in questo link
    http://forum.gsgonnesa.it/viewtopic.php?f=46&t=6457
    ed in particolare in merito alla frase seguente
    "Il vaso campaniforme, che dà il nome alla cultura, fece la sua prima apparizione nei contensti calcolitici del Portogallo centrale presso i siti di Zambujal e di Vila nova de Sao Pedro, agli inizi del III millennio a.C. (2900 a.C. circa). I dati in possesso degli archeologi sembrerebbero indicare che una prima espansione del vaso campaniforme partì dalla costa atlantica portoghese verso il nord raggiungendo il delta del Reno e l'Europa centrale, da qui successivamente il campaniforme si fuse con la cultura dell'ascia da combattimento (che si estendeva a gran parte della Scandinavia e dell'Europa centrale e orientale fino alla Russia) e ripartì in un movimento migratorio detto di "riflusso" (Ruckstorm in tedesco) verso il nord-ovest (Isole britanniche) e verso il sud-ovest raggiungendo nuovamente la penisola iberica dalla quale, in questa seconda ondata, si diffuse anche in Sardegna

    Cordialmente Donato Pulacchini

    RispondiElimina
  10. Anche con una firma, il mio status di "anonimo" rimarrebbe tale. Non intendo tediare oltre lo stimato Prof. Tacerò in futuro su eventuali sue ulteriori pubblicazioni.

    Tuttavia: le culture raffazzonate qua e là in siti internet e di bassa lega, si formano e si arrichiscono anche delle pubblicazioni, in internet, di autorevoli studiosi come il Prof. Pittau. I "profani", apassionati del tema, non fanno pubblicazioni scientifiche. Leggono, anonimi o firmatari che essi siano, quelle che fanno gli studiosi, titolati o meno che siano, autorevoli o meno, noti e sconosciuti, connazionali e stranieri. I lettori, pubblicano solo i loro miseri commenti, le loro osservazioni ed obiezioni. Il ruolo di chi fa le pubblicazioni è fondamentalmente diverso da chi le legge. Certo ci sono anche i lettori arroganti e maleducati e, seppure "anonimo", spero di non essere tra questi.
    Tuttavia non gli si può negare la prerogativa di valutare, comparare e paragonare, nel merito, la fondatezza e la sostenibilità delle pubblicazioni, teorie, congetture, ecc., proposte. L'autorevolezza non la si può pretendere. Ai lettori, anonimi o firmatari che siano, non serve.

    Adiosu

    RispondiElimina
  11. Massimo Pittau scrive:

    Egregio Dott. Pulacchini, Le chiedo scusa, ma io non intendo accettare il Suo implicito invito a discutere di questioni di pertinenza propria ed esclusiva della archeologia. Io sono un linguista, che per 25 anni ha insegnato Linguistica Sarda e, per incarico, anche Glottologia nell'Università di Sassari. Mi dichiaro “linguista o glottologo attento alle prospettive storiche delle lingue” e tale sono sempre stato, per la ragione che sono convinto che “le parole e gli eventi storici si spiegano a vicenda”. In effetti il mio saggio sull'“Espansionismo dei Nuragici” è appunto un saggio storico e linguistico insieme. Per i fatti e gli eventi che riguardano prevalentemente la archeologia, io mi limito a leggere, ma non entro mai nella loro discussione, ad es. sulla “cultura campaniforme” e sulla “cultura dell'ascia” non oso mai dire o scrivere alcunché. Io sono solito intervenire soltanto per fatti archeologici che abbiano almeno un certo rapporto coi fatti linguistici e con quelli storici. Ad es. io sono intervenuto per segnalare le assurdità di alcuni archeologi che per i nuraghi Madugui di Gesturi e Albucciu di Arzachena hanno prospettato datazioni che oscillano fra il 2070 e il 1570 e fra il 1506 e il 1006 avanti Cristo, con una oscillazione dunque di 500 anni! E non posso non segnalare come uno scandalo il fatto che nessuno, dico nessun archeologo ha mai detto o ricordato che Diodoro Siculo (V 15, 2), parlando dei nuraghi della Sardegna li ha definiti “templi degli dèi” (theón naoùs). Più in generale segnalo e depreco che gli archeologi, intanati anch'essi nel “campo trincerato dei nuraghi-fortezze” che, secondo loro, era la Sardegna, non hanno mai tentato di uscire dall'isola alla ricerca e allo studio delle fonti greche. L'unico autore che aveva fatto questa operazione era stato lo storico Ettore Pais, in un suo scritto che risale al 1880, cioè a 135 anni fa! Il suo esempio è stato seguito solamente dal sottoscritto nell'opera Storia dei Sardi Nuragici (Selargius 2007, Domus de Janas edit.). In questa ho segnalato e analizzato una quindicina di testimonianza greche relative alla Sardegna che nessuno finora conosceva. Qualche decennio fa l'eminente semitologo Sabatino Moscati ebbe modo di scrivere: «L'ultimo strumento che deve adoperare l'archeologo nel suo lavoro è il piccone». Orbene, se noi prendiamo in esame ciò che gli archeologi hanno fatto e scritto in questi ultimi 60 anni sulla civiltà nuragica, siamo costretti ad affermare che essi non hanno mai aperto i libri degli storici, soprattutto di quelli greci, ma hanno adoperato come strumento del loro lavoro esclusivamente il piccone!

    Con un altro interlocutore, che chiude il suo intervento col bellissimo saluto delle parti della mia Nùgoro Adiosu, mi spiego meglio: io dichiaro che non intenderò più rispondere a interlocutori anonimi che mi muovano obiezioni. Invece continuerò a rispondere anche volentieri a interlocutori anonimi che mi pongano domande.
    Gràssias medas e mannas e adiosu

    RispondiElimina
  12. Gent.mo Prof. Pittau,
    la ringrazio per la risposta. Appena ne avrò il tempo tornerò sull'argomento riprendendo gli spunti che mi ha offerto ed in particolare sul l'esigenza di ragionare in modo più interdisciplinare. Io modestamente cerco di farlo partendo proprio dalla mia incompetenza e cercando quella di chi come lei è disposto a condividerla anche con chi, a dirla come Frau, sapiente non e,
    A nos bidere se posso permettermi
    Donato Pulacchini

    RispondiElimina