lunedì 25 novembre 2013
La trapanazione del cranio nel Neolitico
Trapanazione del cranio
di Pierluigi Montalbano
Al Museo Sanna di Sassari è esposto uno dei numerosi crani che mostrano fori nella calotta e che sono riferiti a migliaia di anni fa. In Sardegna il ricorso a trapanazioni craniche effettuate su persone vive risale a studi su resti umani della tomba di Scaba ‘e Sarriu di Siddi, datata a cavallo fra Neolitico ed Età del Rame. Precedentemente quest'operazione si riferiva alla cultura Bonnannaro e poteva essere semplice o multipla con l'asportazione di rondelle ossee. In un caso un cranio mostra che l'individuo ha subìto in vita quattro interventi con la sopravvivenza dopo i primi tre. La formazione del relativo callo osseo dimostra che questa operazione di chirurgia era svolta con particolare perizia e gli individui sopravvivevano alla fuoriuscita del materiale cerebrale.
In qualche caso si nota anche che li reinnesto riuscito della rondella precedentemente asportata. Non si conoscono le motivazioni di questa pratica, ma si suppone che sia legata a rituali magico religiosi giustificati da manifestazione patologiche. È possibile che l'individuazione di malati di epilessia portasse la comunità a ritenere l'individuo posseduto dagli spiriti maligni con la conseguente necessità di liberarlo. È dunque possibile testimoniare l'esistenza di medici stregoni in possesso di notevoli conoscenze di anatomia. La pratica mostra continuità di vita fino alle soglie della civiltà nuragica, ossia intorno al 1800 a.C. come dimostra la donna sepolta nella grotta di Dorgali denominata di Sisàia, dove l'esame osseo ha dimostrato una trapanazione cranica in vita con il reimpianto della rondella ossea.
Immagine in bianco e nero di www.fantasy.gamberi.org
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