mercoledì 27 novembre 2013
Il vino in archeologia: Menta, cedro, cannella, ecco il vino primordiale.
Menta, cedro, cannella, ecco il vino primordiale
Che gusto ha un vino di 3.700 anni fa? Sa di menta, cedro, miele, resina e cannella. Sono questi gli ingredienti che conteneva. Un cocktail oggi impensabile. Ma per i vignaioli antichi era una necessità. La scoperta che il vino del passato era sofisticato e non puro non è nuova, ma ora arriva una conferma importante. Nel nord di Israele, a Nahariya, sono state trovate quaranta anfore all’interno della cantina di un palazzo. Era la scorta di vino della famiglia, il vino migliore, da bere nei momenti importanti, durante i banchetti.
“Non è certo il vino che una persona vorrebbe bere per rilassarsi dopo una giornata di lavoro” spiega Andrew Koh della Brandeis University, uno degli archeologi che hanno presentato due giorni fa i risultati del ritrovamento e delle analisi chimiche sui resti nelle anfore. Assieme a lui c’erano Eric Cline della George Washington University e Assaf Yasur-Landau della Haifa University in Israele.
Mettere a fermentare assieme frutta diversa e uva era utile sia per rendere più dolce possibile il vino, sia perchè alcuni ingredienti avevano una funzione antibatterica. Così veniva preparato il vino della tradizione biblica e quello che venne fatto servire da Gesù alle nozze di Caana.
“Un paragone con un vino attuale? Il più vicino può essere il Moscato di Pantelleria – ipotizza il professor Attilio Scienza, docente di Viticoltura a Milano, l’Indiana Jones del vino, che gira il mondo per trovare le tracce genetiche delle piante antiche -. Il vino un tempo era solo dolce, anche i Romani aggiungevano la mirra. Il Moscato di Pantelleria è il vino che ancora oggi viene fatto con la stessa tecnica consigliata da Esiodo, viene aggiunta uva passa al vino base”.
Secondo lo storico della viticoltura Patrick McGovern, dell’università della Pennsylvania, la scoperta fatta nel Nord di Israele “getta una nuova luce sui percorsi del vino che da lì si diffuse in tutto il Mediterraneo”. I più antichi residui di vino sono stati trovati in Iraq, all’interno di una sola anfora, qualche anno fa, da una spedizione americana: risale a 6.000 anni fa. Anche in quel caso non era un liquido ricavato da sola uva.
Il vino puro, ricorda Scienza, è un sogno moderno, degli ultimi tre secoli. Prima lo si sofisticava anche con spezie e frutti usati come conservanti e aromatizzanti o come antisettici per evitare il proliferare dei batteri. Gli assiro-babilonesi aggiungevano miele e mosto cotto, serviva per bloccare la fermentazione in un epoca senza solforosa e con poca igiene.
“Era essenziale – dice il professore – dare gradevolezza al vino. A quell’epoca non era un alimento ma un liquido per i rituali, per l’estasi dionisiaca, una droga sociale, insomma”.
E quindi, nelle anfore israeliane simili a quelle antiche che sono state trovate anche in Georgia, si metteva un po’ di tutto. Le susine appena erano mature, poi arrivavano albicocche, pere, mele e alla fine l’uva, tutte assieme. Secondo Scienza “i Greci usavano invece solo uva, ma perché il clima secco non faceva crescere molte altre piante da frutto”. Il vino dell’antichità era sempre rosso, il bianco arriva dopo il grande freddo del 1300, quando vitigni allora rossi mutarono, come accadde con lo Chardonnay.
La scoperta e le analisi del gruppo israeliano e statunitense, indicano anche che già 3.700 anni fa si cercava di far riconoscere il proprio vino, producendolo con la stessa ricetta. Curtis Runnels, archeologo di Boston, dice che le analisi chimiche hanno chiarito che il contenuto di ogni anfora è molto simile a quello delle altre, “dimostrando coerenza e controllo produttivo che ci si aspetta da ogni cantina”.
Fonte: http://divini.corriere.it
Che gusto ha un vino di 3.700 anni fa? Sa di menta, cedro, miele, resina e cannella. Sono questi gli ingredienti che conteneva. Un cocktail oggi impensabile. Ma per i vignaioli antichi era una necessità. La scoperta che il vino del passato era sofisticato e non puro non è nuova, ma ora arriva una conferma importante. Nel nord di Israele, a Nahariya, sono state trovate quaranta anfore all’interno della cantina di un palazzo. Era la scorta di vino della famiglia, il vino migliore, da bere nei momenti importanti, durante i banchetti.
“Non è certo il vino che una persona vorrebbe bere per rilassarsi dopo una giornata di lavoro” spiega Andrew Koh della Brandeis University, uno degli archeologi che hanno presentato due giorni fa i risultati del ritrovamento e delle analisi chimiche sui resti nelle anfore. Assieme a lui c’erano Eric Cline della George Washington University e Assaf Yasur-Landau della Haifa University in Israele.
Mettere a fermentare assieme frutta diversa e uva era utile sia per rendere più dolce possibile il vino, sia perchè alcuni ingredienti avevano una funzione antibatterica. Così veniva preparato il vino della tradizione biblica e quello che venne fatto servire da Gesù alle nozze di Caana.
“Un paragone con un vino attuale? Il più vicino può essere il Moscato di Pantelleria – ipotizza il professor Attilio Scienza, docente di Viticoltura a Milano, l’Indiana Jones del vino, che gira il mondo per trovare le tracce genetiche delle piante antiche -. Il vino un tempo era solo dolce, anche i Romani aggiungevano la mirra. Il Moscato di Pantelleria è il vino che ancora oggi viene fatto con la stessa tecnica consigliata da Esiodo, viene aggiunta uva passa al vino base”.
Secondo lo storico della viticoltura Patrick McGovern, dell’università della Pennsylvania, la scoperta fatta nel Nord di Israele “getta una nuova luce sui percorsi del vino che da lì si diffuse in tutto il Mediterraneo”. I più antichi residui di vino sono stati trovati in Iraq, all’interno di una sola anfora, qualche anno fa, da una spedizione americana: risale a 6.000 anni fa. Anche in quel caso non era un liquido ricavato da sola uva.
Il vino puro, ricorda Scienza, è un sogno moderno, degli ultimi tre secoli. Prima lo si sofisticava anche con spezie e frutti usati come conservanti e aromatizzanti o come antisettici per evitare il proliferare dei batteri. Gli assiro-babilonesi aggiungevano miele e mosto cotto, serviva per bloccare la fermentazione in un epoca senza solforosa e con poca igiene.
“Era essenziale – dice il professore – dare gradevolezza al vino. A quell’epoca non era un alimento ma un liquido per i rituali, per l’estasi dionisiaca, una droga sociale, insomma”.
E quindi, nelle anfore israeliane simili a quelle antiche che sono state trovate anche in Georgia, si metteva un po’ di tutto. Le susine appena erano mature, poi arrivavano albicocche, pere, mele e alla fine l’uva, tutte assieme. Secondo Scienza “i Greci usavano invece solo uva, ma perché il clima secco non faceva crescere molte altre piante da frutto”. Il vino dell’antichità era sempre rosso, il bianco arriva dopo il grande freddo del 1300, quando vitigni allora rossi mutarono, come accadde con lo Chardonnay.
La scoperta e le analisi del gruppo israeliano e statunitense, indicano anche che già 3.700 anni fa si cercava di far riconoscere il proprio vino, producendolo con la stessa ricetta. Curtis Runnels, archeologo di Boston, dice che le analisi chimiche hanno chiarito che il contenuto di ogni anfora è molto simile a quello delle altre, “dimostrando coerenza e controllo produttivo che ci si aspetta da ogni cantina”.
Fonte: http://divini.corriere.it
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