mercoledì 23 gennaio 2013
Le colonie fenicie dell’Africa atlantica: il periplo di Annone
Le colonie fenicie dell’Africa Atlantica
di Stefano Todisco
Annone il Navigatore, all’inizio del V secolo a.C., intraprese una spedizione navale lungo le coste atlantiche dell’Africa; il suo resoconto sul viaggio è stato scritto in lingua punica e dedicato, al suo ritorno, al tempio di Baal a Cartagine. La spedizione sembra che abbia assunto una connotazione quasi coloniale dei territori atlantici ancora inesplorati dai naviganti cartaginesi.
Le fonti classiche
La traduzione greca del rapporto ci riferisce:
“I cartaginesi deliberarono che Annone dovesse navigare fuori delle Colonne d’Ercole
ed edificare delle città Libofenicie. Egli navigò con 60 navi dette pentecontere,
conducendo con sé una grande moltitudine di uomini e di donne,
in numero di trentamila, con vettovaglie e con ogni altro apparecchio.”
Testo del Periplo di Annone:
“Giunti alle Colonne d’Ercole, le oltrepassammo e, avendo navigato per due giornate, edificammo la prima città chiamandola Thymiatérion, intorno alla quale vi era una estesa pianura. Dopo, volgendoci verso ponente, raggiungemmo un promontorio della Libia detto Soloente, ricoperto di boschi; e, avendo qui eretto un tempio a Poseidone, nuovamente navigammo mezza giornata verso levante, finché arrivammo ad una palude che giace non molto distante dal mare, ripiena di canneti: c’erano dentro elefanti e molti altri animali. In seguito attraversammo la palude per il navigar d’una giornata, popolammo di coloni alcune città costiere, chiamate Karikon Teichos (Muro), Gytta, Akra, Melitta e Arambe. Ed essendo partiti di là venimmo al gran fiume Lixos, che discende dalla Libia, nei pressi del quale stanno a pascere i loro animali alcuni pastori, chiamati lixìti, coi quali dimorammo finché presero confidenza con noi.
Nella terra sovrastante abitavano gli etiopi, che non vogliono aver alcun commercio, ed il loro paese è molto selvatico e pieno di fiere ed è circondato da monti altissimi dai quali si dice scenda il fiume Lixo. E intorno ai monti si narra abitino i trogloditi, uomini di forma strana e diversa; nel correre sono più veloci dei cavalli, dicono i lixìti. Avendo prelevato alcuni interpreti dai lixìti, navigammo presso una costa desertica, verso mezzogiorno, per due giornate. E di là poi volgemmo una giornata verso levante, dove nella parte più interna di un golfo trovammo un’isola piccola, che di circuito era di cinque stadi. Essa la popolammo di coloni nominandola Kerne. E per lo spazio della navigazione fatta giudicammo che l’isola fosse opposta a Cartagine: perciocché mi pareva simile la navigazione fatta da Cartagine infino alle Colonne e la navigazione dalle Colonne fino a Kerne. Da questo luogo ripartimmo, e navigando per un gran fiume chiamato Chrete, arrivammo ad una palude che aveva tre isole, maggiori di Kerne. Dalle quali avendo navigato per un giorno, arrivammo nell’ultima zona della palude, di sopra alla quale si vedevano montagne altissime, che la sovrastavano: vi erano uomini selvatici, vestiti di pelli di fiere, i quali tirando delle pietre ci scacciavano, vietandoci di attraccare. Da poi navigando via di là venimmo in un altro fiume grande e largo, pieno di coccodrilli e di cavalli marini, cioè ippopotami. Di qui, volgendoci di muovo indietro, ritornammo a Kerne. Navigammo poi per di là per dodici giornate verso mezzogiorno, non allontanandoci troppo dalla costa, la quale tutta era abitata dagli etiopi, i quali alla nostra vista fuggivano. E parlavano in maniera che neanche i lixìti che erano con noi li intendevano. L’ultimo giorno arrivammo ad alcuni monti grandissimi e pieni di alberi, i legni dei quali erano odoriferi e di vari colori. Avendo dunque noi navigato due giorni attorno a questi monti, ci trovammo in una profondissima foce nel mare: dall’uno e dall’altro lato, verso terra, vi era una pianura dove la notte vedemmo fuochi accesi d’ogni intorno, a distanza irregolare l’un dall’altro. Qui, rifornitici d’ acqua, navigammo presso terra ancora cinque giornate, tanto che giungemmo in un gran golfo il quale gli interpreti ci dissero che si chiamava il Corno di Espero. In questo vi era una grande isola, e nell’isola una palude che pareva un mare ed in questa vi era un’altra isola. Qui, avendo posato i piedi a terra, non vedevamo di giorno altro che boschi; ma di notte molti fuochi accesi, ed udivamo voci di pifferi e strepiti e suoni di cembali e di timpani, ed oltre a ciò molte grida. Ne fummo intimoriti e i nostri indovini ci comandarono di abbandonare l’isola. Onde navigando velocemente passammo presso una costa infuocata e coperta di fumo dalla quale alcuni torrenti infuocati sboccavano in mare, e sulla terra, per l’elevato calore, non si poteva camminare. Perciò, spaventati facemmo subito vela. E in alto mare trascorso lo spazio di quattro giornate vedevamo di notte la terra piena di fiamme, e nel mezzo un fuoco altissimo, maggiore di tutti gli altri, che pareva toccare le stelle. Ma questo poi di giorno si vedeva che era un monte altissimo chiamato Teonòchema, cioè Carro degli Dei. Ma avendo poi per tre giornate navigato presso quei corsi infuocati, giungemmo in un golfo che si chiama Nòtukéras, cioè Corno di Noto; nella parte più interna del quale vi era una isola simile alla prima, che aveva una palude, ed in essa vi era un’altra isola abitata da uomini selvatici, e le donne erano in maggioranza: questi avevano corpi pelosi, e dagli interpreti nostri erano chiamati “gorilla”. Noi, avendo inseguito alcuni degli uomini, non ne potemmo prender nessuno perché tutti fuggirono via su alcuni precipizi, e con le pietre facevano difesa. Ma delle femmine ne catturammo tre, le quali, mordendo e graffiando, si opponevano alla cattura. Poi, avendole ammazzate, le scorticammo, e ne portammo le pelli a Cartagine; non navigammo oltre per mancanza di vettovaglie.” (1)
Il testo del racconto offre alcune informazioni geografiche ed etniche. Per meglio comprendere se il contesto sia verosimile è doveroso confrontare il passo in cui Erodoto scrive che vi è una località abitata della Libia (allora intesa come Africa) oltre le colonne d’Ercole. Al loro arrivo, i cartaginesi scaricano le merci sulla spiaggia e attendono, sulle navi, il corrispettivo in oro degli indigeni. Una volta lasciato l’oro, le popolazioni locali si ritirano nell’entroterra e i mercanti di Cartagine valutano l’offerta prima di ripartire.
Erodoto inoltre tramanda i nomi delle quattro stirpi che abitavano, ai suoi tempi, l’Africa: gli autoctoni libi verso Borea (vento del nord) e gli etiopi verso Noto (vento del sud); i fenici e i greci invece vi si sono stabiliti come immigrati. (2)
I tratti comuni al Periplo di Annone sembrano essere ancora pochi: la collocazione oltre lo stretto di Gibilterra, i riferimenti al popolo etiope e al luogo dove sorge il vento del sud (Noto).
Bisogna attendere qualche secolo per ritrovare notizie degli insediamenti atlantici costieri, grazie a Diodoro Siculo: lo storico parla di un epoca in cui le amazzoni invasero il territorio di Atlantide e conquistarono una città chiamata Kerne (come nel Periplo di Annone) uccidendone i ragazzi e gli uomini e imprigionando donne e bambini prima di radere al suolo l’insediamento. (3)
La narrazione prosegue con la sottomissione degli atlantidei alla regina delle amazzoni, Myrina, la quale fece ricostruire Kerne con lo stesso nome popolandola con abitanti del luogo. (4) È molto importante il rimando ad un sito di nome Kerne che purtroppo è avulso dal contesto geografico.
Plinio il Vecchio raccoglie solo una breve notizia su Annone e il suo tragitto: “…al tempo della fioritura di Cartagine, compì il periplo da Cadice fino alle frontiere dell’Arabia rese noto il suo diario di viaggio”. (5)
La fama del Periplo cartaginese non si perse nemmeno al tempo di Arriano (II secolo d.C.) il quale scrisse:
“il libico Annone, partito da Cartagine, oltrepassò le colonne d’Ercole,
navigò verso il mare esterno tenendo la Libia a sinistra e procedette verso oriente per 35 giorni in tutto;
ma, quando si volse verso sud, incontrò molte difficoltà a causa della mancanza d’acqua,
del calore ardente e dei torrenti che si gettavano in mare.” (6)
Ipotesi di identificazione dei luoghi
Tenendo conto delle informazioni riportate dal resoconto della spedizione cartaginese, è opinione diffusa ma non ancora dimostrata che i luoghi descritti corrispondano ai seguenti elencati:
• Thymiatérion (letteralmente: incensiere, altare per l’incenso) sarebbe l’odierna Mehdya, alla foce del Sebou, in Marocco.
• il promontorio Soloente è associato al promontorio di Ras (Capo) Cantin ma nella descrizione delle tappe esso viene dopo la prima città (Thymiatérion) e potrebbe quindi esser uno dei due promontori presso Mohammedia o Casablanca.
• le altre città nominate sono state ipotizzate nei pressi degli abitati di Azemmour (Karikon Teichos), El-Jadida (Gytta), Ras Cantin (Akra), Oualidia (Melitta) e Mogador-Essaouira (Arambe), tutti in Marocco.
Il toponimo greco Akra infatti farebbe riferimento ad un promontorio; Arambe sarebbe la trascrizione greca del fenicio Har Anbin (monte dell’uva).
• il gran fiume Lixo sarebbe quindi da intendersi come il corso d’acqua che oggi è chiamato oued Draa.
• il fiume Chrete non trova una identificazione e potrebbe essersi prosciugato o aver cambiato corso.
• sull’isola di Kerne invece si dibatte: c’è chi pensa che sia Herne, ben protetta nello stretto golfo roccioso del Rio de Oro, nel Sahara Occidentale, e le cui modeste dimensioni farebbero pensare ai 5 stadi di circuito di cui parla Annone e chi invece ritiene possa essere una delle isole nella baia di Arguin, in Mauritania. Proprio le “tre isole, maggiori di Kerne”, intercettate dai cartaginesi in una zona paludosa, fanno pensare alle isolette della baia in questione, tutte più grandi di Herne. Forse la costa frastagliata e angusta era stata allora interpretata come una palude o un ramo fluviale.
• l’altro fiume “grande e largo, pieno di coccodrilli e di ippopotami”, potrebbe essere il Senegal.
• Il golfo detto Corno di Espero forse è l’estuario del Rio Grande mentre la grande isola con una palude e all’interno un’altra isola non è stata identificata.
• il “Carro degli Dei” viene visto come uno dei monti della catena del Fouta Djallon, in Guinea
• il Corno di Noto potrebbe essere forse l’estuario della Sierra Leone, il fiume Moa.
L’interesse per le esplorazioni di Annone ritornò a stuzzicare l’interesse degli eruditi e degli esploratori fin dall’Umanesimo.
Infatti Giovan Battista Ramusio (XV-XVI secolo) provò per primo ad identificare Kerne con Herne, leggendo il testo greco del Periplo, pubblicato a Basilea nel 1533. (7)
Il grande studioso del mondo punico, Sabatino Moscati, rese nota la scoperta di un betilo (pietra sacra eretta alle divinità, dal semitico Beith-El cioè casa di Dio) di circa 1,5 metri di altezza, ritrovato negli strati più antichi degli scavi di Mogador-Essaouira (8). I betili erano molto diffusi nel mondo semitico presso i popoli ebraico e fenicio.
L’area archeologica di Mogador-Essaouira è concentrata sull’isolotto dirimpetto alla costa, nel settore sud-est.
El-Jadida e Azemmour sono luoghi di rinvenimenti necropolari nella roccia, ricche di materiale di importazione greca e italica (gioielli e amuleti). Graffiti e iscrizioni semitiche sono state ritrovate su cocci nella zona archeologica di Mogador. (9)
L’autore inoltre ritenne plausibile che la spedizione di Annone fosse giunta fino al golfo di Guinea. (10)
Note
• (1) Periplo di Annone tradotto in greco nel Codice 398 di Heidelberg.
• (2) ERODOTO, Storie, IV, 196-197.
• (3) DIODORO SICULO, Biblioteca storica, III, 54, 4.
• (4) Ibidem, III, 54, 5.
• (5) PLINIO IL VECCHIO, Naturalis historia, II, 169.
• (6) ARRIANO, Indica, XLIII, 11-12.
• (7) G. B. RAMUSIO, Navigazioni e viaggi, volume primo.
• (8) A. PARROT, M. H. CHEHAB, S. MOSCATI, I Fenici. L’espansione fenicia: Cartagine, p. 156.
• (9) (direzione scientificati di S. MOSCATI), I Fenici, p. 180.
• (10) S. MOSCATI, L’Italia punica, p. 16.
Fonte: www.antika.it
di Stefano Todisco
Annone il Navigatore, all’inizio del V secolo a.C., intraprese una spedizione navale lungo le coste atlantiche dell’Africa; il suo resoconto sul viaggio è stato scritto in lingua punica e dedicato, al suo ritorno, al tempio di Baal a Cartagine. La spedizione sembra che abbia assunto una connotazione quasi coloniale dei territori atlantici ancora inesplorati dai naviganti cartaginesi.
Le fonti classiche
La traduzione greca del rapporto ci riferisce:
“I cartaginesi deliberarono che Annone dovesse navigare fuori delle Colonne d’Ercole
ed edificare delle città Libofenicie. Egli navigò con 60 navi dette pentecontere,
conducendo con sé una grande moltitudine di uomini e di donne,
in numero di trentamila, con vettovaglie e con ogni altro apparecchio.”
Testo del Periplo di Annone:
“Giunti alle Colonne d’Ercole, le oltrepassammo e, avendo navigato per due giornate, edificammo la prima città chiamandola Thymiatérion, intorno alla quale vi era una estesa pianura. Dopo, volgendoci verso ponente, raggiungemmo un promontorio della Libia detto Soloente, ricoperto di boschi; e, avendo qui eretto un tempio a Poseidone, nuovamente navigammo mezza giornata verso levante, finché arrivammo ad una palude che giace non molto distante dal mare, ripiena di canneti: c’erano dentro elefanti e molti altri animali. In seguito attraversammo la palude per il navigar d’una giornata, popolammo di coloni alcune città costiere, chiamate Karikon Teichos (Muro), Gytta, Akra, Melitta e Arambe. Ed essendo partiti di là venimmo al gran fiume Lixos, che discende dalla Libia, nei pressi del quale stanno a pascere i loro animali alcuni pastori, chiamati lixìti, coi quali dimorammo finché presero confidenza con noi.
Nella terra sovrastante abitavano gli etiopi, che non vogliono aver alcun commercio, ed il loro paese è molto selvatico e pieno di fiere ed è circondato da monti altissimi dai quali si dice scenda il fiume Lixo. E intorno ai monti si narra abitino i trogloditi, uomini di forma strana e diversa; nel correre sono più veloci dei cavalli, dicono i lixìti. Avendo prelevato alcuni interpreti dai lixìti, navigammo presso una costa desertica, verso mezzogiorno, per due giornate. E di là poi volgemmo una giornata verso levante, dove nella parte più interna di un golfo trovammo un’isola piccola, che di circuito era di cinque stadi. Essa la popolammo di coloni nominandola Kerne. E per lo spazio della navigazione fatta giudicammo che l’isola fosse opposta a Cartagine: perciocché mi pareva simile la navigazione fatta da Cartagine infino alle Colonne e la navigazione dalle Colonne fino a Kerne. Da questo luogo ripartimmo, e navigando per un gran fiume chiamato Chrete, arrivammo ad una palude che aveva tre isole, maggiori di Kerne. Dalle quali avendo navigato per un giorno, arrivammo nell’ultima zona della palude, di sopra alla quale si vedevano montagne altissime, che la sovrastavano: vi erano uomini selvatici, vestiti di pelli di fiere, i quali tirando delle pietre ci scacciavano, vietandoci di attraccare. Da poi navigando via di là venimmo in un altro fiume grande e largo, pieno di coccodrilli e di cavalli marini, cioè ippopotami. Di qui, volgendoci di muovo indietro, ritornammo a Kerne. Navigammo poi per di là per dodici giornate verso mezzogiorno, non allontanandoci troppo dalla costa, la quale tutta era abitata dagli etiopi, i quali alla nostra vista fuggivano. E parlavano in maniera che neanche i lixìti che erano con noi li intendevano. L’ultimo giorno arrivammo ad alcuni monti grandissimi e pieni di alberi, i legni dei quali erano odoriferi e di vari colori. Avendo dunque noi navigato due giorni attorno a questi monti, ci trovammo in una profondissima foce nel mare: dall’uno e dall’altro lato, verso terra, vi era una pianura dove la notte vedemmo fuochi accesi d’ogni intorno, a distanza irregolare l’un dall’altro. Qui, rifornitici d’ acqua, navigammo presso terra ancora cinque giornate, tanto che giungemmo in un gran golfo il quale gli interpreti ci dissero che si chiamava il Corno di Espero. In questo vi era una grande isola, e nell’isola una palude che pareva un mare ed in questa vi era un’altra isola. Qui, avendo posato i piedi a terra, non vedevamo di giorno altro che boschi; ma di notte molti fuochi accesi, ed udivamo voci di pifferi e strepiti e suoni di cembali e di timpani, ed oltre a ciò molte grida. Ne fummo intimoriti e i nostri indovini ci comandarono di abbandonare l’isola. Onde navigando velocemente passammo presso una costa infuocata e coperta di fumo dalla quale alcuni torrenti infuocati sboccavano in mare, e sulla terra, per l’elevato calore, non si poteva camminare. Perciò, spaventati facemmo subito vela. E in alto mare trascorso lo spazio di quattro giornate vedevamo di notte la terra piena di fiamme, e nel mezzo un fuoco altissimo, maggiore di tutti gli altri, che pareva toccare le stelle. Ma questo poi di giorno si vedeva che era un monte altissimo chiamato Teonòchema, cioè Carro degli Dei. Ma avendo poi per tre giornate navigato presso quei corsi infuocati, giungemmo in un golfo che si chiama Nòtukéras, cioè Corno di Noto; nella parte più interna del quale vi era una isola simile alla prima, che aveva una palude, ed in essa vi era un’altra isola abitata da uomini selvatici, e le donne erano in maggioranza: questi avevano corpi pelosi, e dagli interpreti nostri erano chiamati “gorilla”. Noi, avendo inseguito alcuni degli uomini, non ne potemmo prender nessuno perché tutti fuggirono via su alcuni precipizi, e con le pietre facevano difesa. Ma delle femmine ne catturammo tre, le quali, mordendo e graffiando, si opponevano alla cattura. Poi, avendole ammazzate, le scorticammo, e ne portammo le pelli a Cartagine; non navigammo oltre per mancanza di vettovaglie.” (1)
Il testo del racconto offre alcune informazioni geografiche ed etniche. Per meglio comprendere se il contesto sia verosimile è doveroso confrontare il passo in cui Erodoto scrive che vi è una località abitata della Libia (allora intesa come Africa) oltre le colonne d’Ercole. Al loro arrivo, i cartaginesi scaricano le merci sulla spiaggia e attendono, sulle navi, il corrispettivo in oro degli indigeni. Una volta lasciato l’oro, le popolazioni locali si ritirano nell’entroterra e i mercanti di Cartagine valutano l’offerta prima di ripartire.
Erodoto inoltre tramanda i nomi delle quattro stirpi che abitavano, ai suoi tempi, l’Africa: gli autoctoni libi verso Borea (vento del nord) e gli etiopi verso Noto (vento del sud); i fenici e i greci invece vi si sono stabiliti come immigrati. (2)
I tratti comuni al Periplo di Annone sembrano essere ancora pochi: la collocazione oltre lo stretto di Gibilterra, i riferimenti al popolo etiope e al luogo dove sorge il vento del sud (Noto).
Bisogna attendere qualche secolo per ritrovare notizie degli insediamenti atlantici costieri, grazie a Diodoro Siculo: lo storico parla di un epoca in cui le amazzoni invasero il territorio di Atlantide e conquistarono una città chiamata Kerne (come nel Periplo di Annone) uccidendone i ragazzi e gli uomini e imprigionando donne e bambini prima di radere al suolo l’insediamento. (3)
La narrazione prosegue con la sottomissione degli atlantidei alla regina delle amazzoni, Myrina, la quale fece ricostruire Kerne con lo stesso nome popolandola con abitanti del luogo. (4) È molto importante il rimando ad un sito di nome Kerne che purtroppo è avulso dal contesto geografico.
Plinio il Vecchio raccoglie solo una breve notizia su Annone e il suo tragitto: “…al tempo della fioritura di Cartagine, compì il periplo da Cadice fino alle frontiere dell’Arabia rese noto il suo diario di viaggio”. (5)
La fama del Periplo cartaginese non si perse nemmeno al tempo di Arriano (II secolo d.C.) il quale scrisse:
“il libico Annone, partito da Cartagine, oltrepassò le colonne d’Ercole,
navigò verso il mare esterno tenendo la Libia a sinistra e procedette verso oriente per 35 giorni in tutto;
ma, quando si volse verso sud, incontrò molte difficoltà a causa della mancanza d’acqua,
del calore ardente e dei torrenti che si gettavano in mare.” (6)
Ipotesi di identificazione dei luoghi
Tenendo conto delle informazioni riportate dal resoconto della spedizione cartaginese, è opinione diffusa ma non ancora dimostrata che i luoghi descritti corrispondano ai seguenti elencati:
• Thymiatérion (letteralmente: incensiere, altare per l’incenso) sarebbe l’odierna Mehdya, alla foce del Sebou, in Marocco.
• il promontorio Soloente è associato al promontorio di Ras (Capo) Cantin ma nella descrizione delle tappe esso viene dopo la prima città (Thymiatérion) e potrebbe quindi esser uno dei due promontori presso Mohammedia o Casablanca.
• le altre città nominate sono state ipotizzate nei pressi degli abitati di Azemmour (Karikon Teichos), El-Jadida (Gytta), Ras Cantin (Akra), Oualidia (Melitta) e Mogador-Essaouira (Arambe), tutti in Marocco.
Il toponimo greco Akra infatti farebbe riferimento ad un promontorio; Arambe sarebbe la trascrizione greca del fenicio Har Anbin (monte dell’uva).
• il gran fiume Lixo sarebbe quindi da intendersi come il corso d’acqua che oggi è chiamato oued Draa.
• il fiume Chrete non trova una identificazione e potrebbe essersi prosciugato o aver cambiato corso.
• sull’isola di Kerne invece si dibatte: c’è chi pensa che sia Herne, ben protetta nello stretto golfo roccioso del Rio de Oro, nel Sahara Occidentale, e le cui modeste dimensioni farebbero pensare ai 5 stadi di circuito di cui parla Annone e chi invece ritiene possa essere una delle isole nella baia di Arguin, in Mauritania. Proprio le “tre isole, maggiori di Kerne”, intercettate dai cartaginesi in una zona paludosa, fanno pensare alle isolette della baia in questione, tutte più grandi di Herne. Forse la costa frastagliata e angusta era stata allora interpretata come una palude o un ramo fluviale.
• l’altro fiume “grande e largo, pieno di coccodrilli e di ippopotami”, potrebbe essere il Senegal.
• Il golfo detto Corno di Espero forse è l’estuario del Rio Grande mentre la grande isola con una palude e all’interno un’altra isola non è stata identificata.
• il “Carro degli Dei” viene visto come uno dei monti della catena del Fouta Djallon, in Guinea
• il Corno di Noto potrebbe essere forse l’estuario della Sierra Leone, il fiume Moa.
L’interesse per le esplorazioni di Annone ritornò a stuzzicare l’interesse degli eruditi e degli esploratori fin dall’Umanesimo.
Infatti Giovan Battista Ramusio (XV-XVI secolo) provò per primo ad identificare Kerne con Herne, leggendo il testo greco del Periplo, pubblicato a Basilea nel 1533. (7)
Il grande studioso del mondo punico, Sabatino Moscati, rese nota la scoperta di un betilo (pietra sacra eretta alle divinità, dal semitico Beith-El cioè casa di Dio) di circa 1,5 metri di altezza, ritrovato negli strati più antichi degli scavi di Mogador-Essaouira (8). I betili erano molto diffusi nel mondo semitico presso i popoli ebraico e fenicio.
L’area archeologica di Mogador-Essaouira è concentrata sull’isolotto dirimpetto alla costa, nel settore sud-est.
El-Jadida e Azemmour sono luoghi di rinvenimenti necropolari nella roccia, ricche di materiale di importazione greca e italica (gioielli e amuleti). Graffiti e iscrizioni semitiche sono state ritrovate su cocci nella zona archeologica di Mogador. (9)
L’autore inoltre ritenne plausibile che la spedizione di Annone fosse giunta fino al golfo di Guinea. (10)
Note
• (1) Periplo di Annone tradotto in greco nel Codice 398 di Heidelberg.
• (2) ERODOTO, Storie, IV, 196-197.
• (3) DIODORO SICULO, Biblioteca storica, III, 54, 4.
• (4) Ibidem, III, 54, 5.
• (5) PLINIO IL VECCHIO, Naturalis historia, II, 169.
• (6) ARRIANO, Indica, XLIII, 11-12.
• (7) G. B. RAMUSIO, Navigazioni e viaggi, volume primo.
• (8) A. PARROT, M. H. CHEHAB, S. MOSCATI, I Fenici. L’espansione fenicia: Cartagine, p. 156.
• (9) (direzione scientificati di S. MOSCATI), I Fenici, p. 180.
• (10) S. MOSCATI, L’Italia punica, p. 16.
Fonte: www.antika.it
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento