sabato 12 gennaio 2013
La marineria antica in Sardegna.
L'Antica Marineria della Sardegna
di Pierluigi Montalbano
Sarei felice di poter raccontare della navigazione di qualche marinaio nuragico, ma le fonti storiche, avarissime di dati per questo periodo, non me lo consentono. In ogni caso, vista la tecnologia navale del tempo e tenendo conto del carattere notoriamente invariato del mare, sono ragionevolmente certo che qualche tempesta e vari naufragi abbiano accompagnato la storia di questi antichi naviganti. Certamente si andava per mare solo nella buona stagione ma, nonostante queste gravi difficoltà, i mari erano solcati da navi ed equipaggi coraggiosi, consentendo alle genti di conoscersi, di attivare traffici e scambi, ma anche di organizzare atti di pirateria. Noi sardi abbiamo un forte debito di riconoscenza nei confronti di questi marinai perché ci aiutano a superare un preconcetto al quale qualcuno è affezionato: la repulsione verso i viaggi in mare. Noi sardi, il mio cognome tradisce origini sicule ma sono nato a Cagliari, abitiamo (non stagionalmente) l’isola da almeno 80 secoli e alcuni studiosi sostengono, a mio avviso erroneamente, che ci siamo tenuti rigorosamente lontani dal mare: tutti sul Gennargentu insomma…con qualche sofferta eccezione per il Limbara. Un record planetario ineguagliabile, peccato che non sia vero. Per me, studioso e appassionato di paleostoria, affascinato dalle incantevoli navicelle bronzee nuragiche, nucleo della mia tesi di laurea, molti dubbi sull’ipotesi “sardi impauriti dal mare” sono leciti, a meno che non mi convincano che i modellini riproducano efficaci mezzi di trasporto per andare da Su Nuraxi di Barumini al Nuraghe Losa. Qualche studioso ha tentato di convincermi che le barche nuragiche in bronzo sono mezzi per raggiungere l’aldilà, quindi i nostri antenati progettavano le crociere solo dopo la morte. Per gli studiosi che non vedono di buon occhio una civiltà sarda proiettata verso il Mediterraneo, tutte le proposte sono buone, ma devono convincermi che le navicelle non riproducano modelli navali realistici. Va detto, comunque, che finora nessuno ha ipotizzato che fossero giocattoli per i giovani nuragici o portacenere. Resta poi da domandarsi come siano arrivati i primi abitanti. Esclusa la germinazione spontanea si intuisce un affannoso bruciare di barche, zattere e remi e vele. “Dae su mare su male” mi è capitato di sentire con toni di compiaciuto pessimismo.
Alcuni documenti egizi, tra i quali il papiro di Wilbour citato da Lilliu a proposito del periodo degli attacchi dei popoli del mare a Qadesh e nel Delta del Nilo, nel pieno sviluppo della Civiltà Nuragica, riferiscono di Sherden dal cuore ribelle, invincibili guerrieri che giungono dal mare. Non si ha la certezza assoluta che si tratti dei nuragici, ma tutti gli indizi portano a questa deduzione. Inoltre, i rilievi di Medinet Abu, Abu Simbel e Karnak, che riferiscono di questi popoli, mostrano (rappresentati sui templi) personaggi molto simili ai guerrieri dei bronzetti nuragici, soprattutto nel vestiario e nelle armi. Le piccole sculture che fanno la fortuna dei musei di tutto il mondo, mostrano uno spiegamento di armi e armati eccessivo se il compito di questi ben equipaggiati guerrieri si limitava a regolare faide tribali interne all’isola. Inoltre ci sono le navicelle. Le coste italiche non sono lontane: risalendo le coste sarde e quelle della Corsica, e dirigendosi verso l’isola d’Elba, si può navigare a vista fino all’arcipelago toscano. Vi erano tutte le condizioni favorevoli per uno scambio commerciale fra le due sponde, e l’archeologia conferma questa proposta: a cavallo fra Bronzo e Ferro, nell’isola,si trovano asce, spade, fibule, anfore e brocche per il vino, e sono frequenti i bronzi sardi in tombe e ripostigli dell’Etruria. Nelle città di Tarquinia, Vulci, Populonia, Vetulonia troviamo un repertorio archeologico molto vicino al mondo nuragico. Inoltre sono provati scambi col mondo miceneo, e ceramiche nuragiche sono presenti a Lipari.
Ora descriverò come si muovevano i sardi di due millenni fa. Diona Cassio e Strabone raccontano che alla fine del I Millennio a.C. alcune popolazioni dell’isola si ribellarono al controllo di Roma e dilagarono nelle pianure sarde. Nel 6° a.C. disturbarono con atti di pirateria i traffici marittimi dell’alto Tirreno, arrivando a sbarcare nella Lunigiana. Le 4 tribù montanare sarde (i Diaghesbei, prima chiamati Iolei) aggredirono le zone fertili della Sardegna. Gli autori li chiamano Parati, Sossinati, Balari e Aconiti e riferiscono che l’imperatore Cesare Ottaviano Augusto valutò la serietà del pericolo e decise di controllare l’isola personalmente, preferendo non cederla al Senato. In quegli anni si schierava a Karalis (Carales) il primo distaccamento navale della marina militare. Pochi decenni dopo i romani cominciarono a reclutare numerosi soldati e marinai nell’isola. La Coorte degli Aquitani fu trasferita in Germania mentre quella dei Lusitani fu spedita in Numidia. Nell’isola rimasero le coorti dei Corsi e dei Liguri, affiancati dalla Cohors I Sardorum. In altre parole i contingenti militari incaricati di controllare le coste del Mediterraneo Occidentale erano sardi, grazie al fatto che nell’isola non si verificavano più tensioni e i nuovi gruppi sociali romanizzati convinsero Nerone a restituire, nel 67 d.C., il controllo della Sardegna al Senato. Due anni dopo, la Tavola di Esterzili ci conferma che la situazione è cambiata positivamente anche in termini culturali. Il contenuto del testo racconta che i Gallilenses occuparono i territori delle pianure posseduti dai Patulcenses, ma non vi fu un conflitto armato. I tempi erano cambiati e sorprendentemente i Patulcenses, davanti a quel sopruso, non si armarono per vendicarsi, decidendo di rivolgersi al proconsole. Anche i Gallilenses non si prepararono a difendere con le armi i territori occupati e, come i nemici, andarono per vie legali utilizzando tutti i cavilli giuridici per giustificare l’occupazione delle terre. La romanizzazione della Sardegna, a mio avviso, diviene completa in questo periodo. Una decina di anni dopo si conclude l’epoca dei Flavi, gli imperatori che per tutta la seconda parte del I secolo d.C. crearono le condizioni di stabilità ed equilibrio che nel seguente II secolo continueranno con la dinastia degli Antonini. La Sardegna conosce un periodo di prosperità. Alcuni documenti riferiscono di soldati sardi inquadrati anche nelle legioni pretorie, e alcuni di essi ebbero gradi molto elevati. Se diamo uno sguardo alla distribuzione delle truppe in Sardegna, rileviamo che nel I d.C. si ha una concentrazione di truppe nel nord, mentre altre truppe erano dislocate a vigilanza delle montagne barbaricine. Nel II secolo la concentrazione militare si sposta a Carales, con compiti di guardia d’onore e polizia, mentre la marina mantiene compiti di prevenzione della pirateria e di collegamento con Roma. Un secondo gruppo di forze si dispone nell’Iglesiente, a protezione delle miniere, considerate d’importanza strategica. La situazione di pace ed equilibrio è confermata per tutto il III secolo d.C.
Si può far risalire la nascita della marina romana al 261 a.C., quando a Roma si comprese che Cartagine con le sue pentère e la sua flotta possedeva il dominio sul mare. Se la città capitolina non avesse ribaltato la situazione a nulla sarebbe valso conquistare il predominio terrestre. Sulla base di queste considerazioni, già nello stesso anno i romani costruirono venti trière e cento pentère, utilizzando una nave cartaginese fortunatamente recuperata. Così, nel 260 a.C., il console Caio Duilio sconfisse i punici a Milazzo, catturando parte della flotta. Attilio Regolo, un eroe con modesto discernimento politico, valutò definitivo il successo e incautamente si recò a Cartagine a imporre durissime condizioni di ultimatum. I punici, che non sempre si comportavano elegantemente, si ricordarono di una vecchia botte con le punte di ferro all’interno e vi fecero accomodare dentro l’incauto romano precipitandolo giù da una rupe. Nel 241 a.C. Lutazio Catulo battè i cartaginesi al largo delle isole Egadi. Tre anni dopo la Sardegna divenne romana, non senza qualche problema successivo, visto che i sardi resistettero a più riprese ai tentativi di romanizzazione attuati dal senato tramite l’invio di legioni e comandanti in cerca di gloria. Nel 212 a.C. gli annuari (registri dell’epoca) riferiscono di 70.000 marinai in servizio nelle navi romane. Con l’avvio del II secolo a.C. il Mediterraneo fu progressivamente smilitarizzato poiché era di fatto sotto il controllo di Roma Purtroppo tale lodevole disarmo favorì un aumento della pirateria e l’insicurezza delle rotte suggerì una corsa ai ripari. Fu Pompeo che risolse il problema. Grazie alla legge Gabinia del 67 a.C. ebbe ragione di questa piaga che creava lutti e danneggiava le economie dei popoli del Mediterraneo. Pompeo non si limitò a bloccare per mare i pirati, ma fu autorizzato dal Senato a penetrare in profondità nei loro territori per distruggerne le basi. Nel 71 d.C. era imperatore Vespasiano, che concludeva la riforma della marina creando due squadre navali pretorie. Una prima flotta, la Ravennate, controllava il Mediterraneo nord-orientale. Aveva basi in Epiro, Macedonia, Acaia (Peloponneso), Propontide (Mar di Marmara), Ponto (Mar Nero), Creta e Cipro. La seconda flotta, più grande, aveva il suo comando a Capo Miseno (Napoli) e controllava l’intero Mediterraneo Occidentale, comprese le coste africane. Aveva basi in Gallia, Spagna, Baleari, Mauretania, Egitto, Sicilia e Sardegna, dove contava sui porti di Olbia, Turris Lybisonis, Sulky e Carales. Tharros e il Golfo di Oristano erano approdi minori, non graditi ai romani. I sardi imbarcati nella flotta romana erano numerosi. Lo statunitense Starr osserva che la Sardegna fu tra le province occidentali quella che fornì il maggior numero di navi e uomini alla flotta di Miseno. Non male per un popolo che alcuni propongono privo di esperienze marinare, a meno che non paia credibile l’ipotesi che i romani volessero autodistruggere la flotta dandola in mano a equipaggi incompetenti. Il Pais ricorda che i ritrovamenti epigrafici che ricordano i classiari sardi sono pari, in termini quantitativi, a quelli che ricordano classiari di tutte le altre regini mediterranee messi insieme. Solo la Siria, prosegue il Pais, poteva vantare contingenti di pari livello a quelli sardi, e l'autore conclude affermando che solo i traci erano più numerosi.
Nelle immagini, dall'alto:
Navicella con doppio giogo di buoi sul ponte
Il porto di Cartagine
La ricostruzione di una nave cucita realizzata dall'Associazione Archistoria di Sinnai
di Pierluigi Montalbano
Sarei felice di poter raccontare della navigazione di qualche marinaio nuragico, ma le fonti storiche, avarissime di dati per questo periodo, non me lo consentono. In ogni caso, vista la tecnologia navale del tempo e tenendo conto del carattere notoriamente invariato del mare, sono ragionevolmente certo che qualche tempesta e vari naufragi abbiano accompagnato la storia di questi antichi naviganti. Certamente si andava per mare solo nella buona stagione ma, nonostante queste gravi difficoltà, i mari erano solcati da navi ed equipaggi coraggiosi, consentendo alle genti di conoscersi, di attivare traffici e scambi, ma anche di organizzare atti di pirateria. Noi sardi abbiamo un forte debito di riconoscenza nei confronti di questi marinai perché ci aiutano a superare un preconcetto al quale qualcuno è affezionato: la repulsione verso i viaggi in mare. Noi sardi, il mio cognome tradisce origini sicule ma sono nato a Cagliari, abitiamo (non stagionalmente) l’isola da almeno 80 secoli e alcuni studiosi sostengono, a mio avviso erroneamente, che ci siamo tenuti rigorosamente lontani dal mare: tutti sul Gennargentu insomma…con qualche sofferta eccezione per il Limbara. Un record planetario ineguagliabile, peccato che non sia vero. Per me, studioso e appassionato di paleostoria, affascinato dalle incantevoli navicelle bronzee nuragiche, nucleo della mia tesi di laurea, molti dubbi sull’ipotesi “sardi impauriti dal mare” sono leciti, a meno che non mi convincano che i modellini riproducano efficaci mezzi di trasporto per andare da Su Nuraxi di Barumini al Nuraghe Losa. Qualche studioso ha tentato di convincermi che le barche nuragiche in bronzo sono mezzi per raggiungere l’aldilà, quindi i nostri antenati progettavano le crociere solo dopo la morte. Per gli studiosi che non vedono di buon occhio una civiltà sarda proiettata verso il Mediterraneo, tutte le proposte sono buone, ma devono convincermi che le navicelle non riproducano modelli navali realistici. Va detto, comunque, che finora nessuno ha ipotizzato che fossero giocattoli per i giovani nuragici o portacenere. Resta poi da domandarsi come siano arrivati i primi abitanti. Esclusa la germinazione spontanea si intuisce un affannoso bruciare di barche, zattere e remi e vele. “Dae su mare su male” mi è capitato di sentire con toni di compiaciuto pessimismo.
Alcuni documenti egizi, tra i quali il papiro di Wilbour citato da Lilliu a proposito del periodo degli attacchi dei popoli del mare a Qadesh e nel Delta del Nilo, nel pieno sviluppo della Civiltà Nuragica, riferiscono di Sherden dal cuore ribelle, invincibili guerrieri che giungono dal mare. Non si ha la certezza assoluta che si tratti dei nuragici, ma tutti gli indizi portano a questa deduzione. Inoltre, i rilievi di Medinet Abu, Abu Simbel e Karnak, che riferiscono di questi popoli, mostrano (rappresentati sui templi) personaggi molto simili ai guerrieri dei bronzetti nuragici, soprattutto nel vestiario e nelle armi. Le piccole sculture che fanno la fortuna dei musei di tutto il mondo, mostrano uno spiegamento di armi e armati eccessivo se il compito di questi ben equipaggiati guerrieri si limitava a regolare faide tribali interne all’isola. Inoltre ci sono le navicelle. Le coste italiche non sono lontane: risalendo le coste sarde e quelle della Corsica, e dirigendosi verso l’isola d’Elba, si può navigare a vista fino all’arcipelago toscano. Vi erano tutte le condizioni favorevoli per uno scambio commerciale fra le due sponde, e l’archeologia conferma questa proposta: a cavallo fra Bronzo e Ferro, nell’isola,si trovano asce, spade, fibule, anfore e brocche per il vino, e sono frequenti i bronzi sardi in tombe e ripostigli dell’Etruria. Nelle città di Tarquinia, Vulci, Populonia, Vetulonia troviamo un repertorio archeologico molto vicino al mondo nuragico. Inoltre sono provati scambi col mondo miceneo, e ceramiche nuragiche sono presenti a Lipari.
Ora descriverò come si muovevano i sardi di due millenni fa. Diona Cassio e Strabone raccontano che alla fine del I Millennio a.C. alcune popolazioni dell’isola si ribellarono al controllo di Roma e dilagarono nelle pianure sarde. Nel 6° a.C. disturbarono con atti di pirateria i traffici marittimi dell’alto Tirreno, arrivando a sbarcare nella Lunigiana. Le 4 tribù montanare sarde (i Diaghesbei, prima chiamati Iolei) aggredirono le zone fertili della Sardegna. Gli autori li chiamano Parati, Sossinati, Balari e Aconiti e riferiscono che l’imperatore Cesare Ottaviano Augusto valutò la serietà del pericolo e decise di controllare l’isola personalmente, preferendo non cederla al Senato. In quegli anni si schierava a Karalis (Carales) il primo distaccamento navale della marina militare. Pochi decenni dopo i romani cominciarono a reclutare numerosi soldati e marinai nell’isola. La Coorte degli Aquitani fu trasferita in Germania mentre quella dei Lusitani fu spedita in Numidia. Nell’isola rimasero le coorti dei Corsi e dei Liguri, affiancati dalla Cohors I Sardorum. In altre parole i contingenti militari incaricati di controllare le coste del Mediterraneo Occidentale erano sardi, grazie al fatto che nell’isola non si verificavano più tensioni e i nuovi gruppi sociali romanizzati convinsero Nerone a restituire, nel 67 d.C., il controllo della Sardegna al Senato. Due anni dopo, la Tavola di Esterzili ci conferma che la situazione è cambiata positivamente anche in termini culturali. Il contenuto del testo racconta che i Gallilenses occuparono i territori delle pianure posseduti dai Patulcenses, ma non vi fu un conflitto armato. I tempi erano cambiati e sorprendentemente i Patulcenses, davanti a quel sopruso, non si armarono per vendicarsi, decidendo di rivolgersi al proconsole. Anche i Gallilenses non si prepararono a difendere con le armi i territori occupati e, come i nemici, andarono per vie legali utilizzando tutti i cavilli giuridici per giustificare l’occupazione delle terre. La romanizzazione della Sardegna, a mio avviso, diviene completa in questo periodo. Una decina di anni dopo si conclude l’epoca dei Flavi, gli imperatori che per tutta la seconda parte del I secolo d.C. crearono le condizioni di stabilità ed equilibrio che nel seguente II secolo continueranno con la dinastia degli Antonini. La Sardegna conosce un periodo di prosperità. Alcuni documenti riferiscono di soldati sardi inquadrati anche nelle legioni pretorie, e alcuni di essi ebbero gradi molto elevati. Se diamo uno sguardo alla distribuzione delle truppe in Sardegna, rileviamo che nel I d.C. si ha una concentrazione di truppe nel nord, mentre altre truppe erano dislocate a vigilanza delle montagne barbaricine. Nel II secolo la concentrazione militare si sposta a Carales, con compiti di guardia d’onore e polizia, mentre la marina mantiene compiti di prevenzione della pirateria e di collegamento con Roma. Un secondo gruppo di forze si dispone nell’Iglesiente, a protezione delle miniere, considerate d’importanza strategica. La situazione di pace ed equilibrio è confermata per tutto il III secolo d.C.
Si può far risalire la nascita della marina romana al 261 a.C., quando a Roma si comprese che Cartagine con le sue pentère e la sua flotta possedeva il dominio sul mare. Se la città capitolina non avesse ribaltato la situazione a nulla sarebbe valso conquistare il predominio terrestre. Sulla base di queste considerazioni, già nello stesso anno i romani costruirono venti trière e cento pentère, utilizzando una nave cartaginese fortunatamente recuperata. Così, nel 260 a.C., il console Caio Duilio sconfisse i punici a Milazzo, catturando parte della flotta. Attilio Regolo, un eroe con modesto discernimento politico, valutò definitivo il successo e incautamente si recò a Cartagine a imporre durissime condizioni di ultimatum. I punici, che non sempre si comportavano elegantemente, si ricordarono di una vecchia botte con le punte di ferro all’interno e vi fecero accomodare dentro l’incauto romano precipitandolo giù da una rupe. Nel 241 a.C. Lutazio Catulo battè i cartaginesi al largo delle isole Egadi. Tre anni dopo la Sardegna divenne romana, non senza qualche problema successivo, visto che i sardi resistettero a più riprese ai tentativi di romanizzazione attuati dal senato tramite l’invio di legioni e comandanti in cerca di gloria. Nel 212 a.C. gli annuari (registri dell’epoca) riferiscono di 70.000 marinai in servizio nelle navi romane. Con l’avvio del II secolo a.C. il Mediterraneo fu progressivamente smilitarizzato poiché era di fatto sotto il controllo di Roma Purtroppo tale lodevole disarmo favorì un aumento della pirateria e l’insicurezza delle rotte suggerì una corsa ai ripari. Fu Pompeo che risolse il problema. Grazie alla legge Gabinia del 67 a.C. ebbe ragione di questa piaga che creava lutti e danneggiava le economie dei popoli del Mediterraneo. Pompeo non si limitò a bloccare per mare i pirati, ma fu autorizzato dal Senato a penetrare in profondità nei loro territori per distruggerne le basi. Nel 71 d.C. era imperatore Vespasiano, che concludeva la riforma della marina creando due squadre navali pretorie. Una prima flotta, la Ravennate, controllava il Mediterraneo nord-orientale. Aveva basi in Epiro, Macedonia, Acaia (Peloponneso), Propontide (Mar di Marmara), Ponto (Mar Nero), Creta e Cipro. La seconda flotta, più grande, aveva il suo comando a Capo Miseno (Napoli) e controllava l’intero Mediterraneo Occidentale, comprese le coste africane. Aveva basi in Gallia, Spagna, Baleari, Mauretania, Egitto, Sicilia e Sardegna, dove contava sui porti di Olbia, Turris Lybisonis, Sulky e Carales. Tharros e il Golfo di Oristano erano approdi minori, non graditi ai romani. I sardi imbarcati nella flotta romana erano numerosi. Lo statunitense Starr osserva che la Sardegna fu tra le province occidentali quella che fornì il maggior numero di navi e uomini alla flotta di Miseno. Non male per un popolo che alcuni propongono privo di esperienze marinare, a meno che non paia credibile l’ipotesi che i romani volessero autodistruggere la flotta dandola in mano a equipaggi incompetenti. Il Pais ricorda che i ritrovamenti epigrafici che ricordano i classiari sardi sono pari, in termini quantitativi, a quelli che ricordano classiari di tutte le altre regini mediterranee messi insieme. Solo la Siria, prosegue il Pais, poteva vantare contingenti di pari livello a quelli sardi, e l'autore conclude affermando che solo i traci erano più numerosi.
Nelle immagini, dall'alto:
Navicella con doppio giogo di buoi sul ponte
Il porto di Cartagine
La ricostruzione di una nave cucita realizzata dall'Associazione Archistoria di Sinnai
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
«Infatti i Feaci non hanno pilota,
RispondiEliminale navi non hanno i timoni che hanno le altre,
ma sanno da sole i pensieri e la mente degli uomini,le città e i grassi campi di tutti conoscono,e traversano veloci l'abisso del mare
avvolte nella foschia e in una nube: esse non temono mai di soffrire alcun danno o d'andare in rovina».
C'è da rifletterci sopra; nelle navicelle nuragiche ci sono timoni e vele ?
I Feaci non erano i Sardi, come alcuni pensano. La Terra dei Feaci era, appunto, una terra e non un'isola. Omero non la chiama mai "neson"(cioè isola)ma sempre "gaies"(cioè terra). Il nostro pianeta si chiama, infatti, Gaia e non Neson.
EliminaAntonio
Scrive Rolando Berretta.
RispondiEliminaPierluigi questa parte l'ho tolta dal tuo pezzo:
Tre anni dopo la Sardegna divenne romana, non senza qualche problema successivo, visto che i sardi resistettero a più riprese ai tentativi di romanizzazione attuati dal Senato tramite l’invio di legioni e comandanti in cerca di gloria.
Te la senti di dimostrare, anno dopo anno, la movimentazione di dette Legioni ?
Io leggo in Livio che il Senato stabiliva quante legioni dovessero operare in Sardegna.
Il discorso è particolarmente serio.
E' serio e le fonti le abbiamo. Ma l'epoca romana non fa parte dei miei approfondimenti e se dovessi dedicarmi a questo argomento non riuscirei a svolgere gli altri impegni che ho preso.
RispondiEliminaSignor Antonio, se non sbaglio da Assemini,
RispondiEliminaVeramente io volevo attirare l’attenzione dei Lettori sulle navi dei Feaci.
Omero conoscerà poco la geografia, visto che, per seguire Ulisse, non basta conoscere il calzolaio che ha cucito l’otre, con i venti, dato da Eolo….
(Specialisti di maggiore spessore si sono cimentati sulla questione.)
Vedasi anche il nostro Massimo Pittau: l’Odissea, la Sardegna nuragica ed Olbia.
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=feaci%20navi%20senza%20timone&source=web&cd=8&cad=rja&sqi=2&ved=0CFcQFjAH&url=http%3A%2F%2Fwww.pittau.it%2FSardo%2Fodissea.html&ei=kePxUOypN4rjtQbh6IGgDg&usg=AFQjCNH9x1IJsZyYF_VIQlegw5ddlnxAOA
Sicuramente, però, Omero conosceva le navi del suo periodo. Le navi dei Feaci erano strane. Ma che navi erano? Si è letta bene la descrizione su come navigavano?
Sempre Rolando da Cagliari
Signor Berretta, primo non sono di Assemini e non capisco perché dovrei esserlo. Secondo: per lei l'Odissea è avvenuta veramente o è solo un racconto? Terzo: lei ha mai visto un sardo antico navigare per poter dire se ho letto bene la descrizione di come i Feaci navigassero (questo vale anche per Pittau e gli altri specialisti di massimo spessore)? E'stata mai ritrovata una nave sarda antica o le bastano i bronzetti. Di tutte le civiltà sono state ritrovate navi o ci sono documenti che lo dimostrano, mentre dei sardi niente. E io, se permette, mi attengo a ciò che c'è e non a quello che non c'è e traggo le mie conclusioni.
EliminaAntonio e non di Assemini
Signor Antonio, i resti delle poche navi antiche ritrovate (si contano nelle dita di una mano) comprendevano manufatti appartenenti a tutte le genti che partecipavano agli scambi. Mi sono fatto un'idea precisa su quelle navi: erano internazionali, ossia composte da genti che facevano dei commerci navali la loro fonte di sussistenza. Marinai e merci erano sbarcati e imbarcati in tutti gli approdi ed è impossibile stabilire dove fossero ubicati i cantieri nautici che realizzavano gli scafi. Le stesse travi che componevano il fasciame erano certamente di provenienza sconosciuta. I documenti sardi che attestano una Sardegna che partecipava a quei commerci sono manufatti e non scritti, prevalentemente oggetti e lingotti metallici.
EliminaIl problema (non mi sto riferendo a lei signor Montalbano) sta nel fatto che dei punti di vista se ne fa una cosa assodata. Per questo io mi baso su ciò che ho a portata di mano e non a cose, neppure, presunte ma solo perché è bello pensarle. Vede che anche lei dice che sono state ritrovati resti di navi ma non ha detto che sono sarde; altri, invece, avrebbero detto che dato che in Sardegna sono stati ritrovati resti di navi, automaticamente quelli erano resti di navi sarde antiche.
EliminaAntonio
Le navicelle bronzee sono comunque oggetti artistici, simbolici, legati alla navigazione ma dedicati alle divinità. L'assenza di timoni, vele e altri elementi utili alla navigazione non inficia la possibilità che siano la rappresentazione di navi reali. Per quanto riguarda i remi, vorrei aggiungere che in alcuni manufatti troviamo traccia degli scalmi, e ciò suggerisce che forse in alcune barchette i remi c'erano ma non si sono conservati.
RispondiEliminaCiao.
RispondiEliminaSono qui solo per ricordarti che sull'ultimo numero - se lo ricevete a Cagliari - dovrebbe essere già in edicola il primo di tre articoli dedicati alla navigazione antica, sulla rivista 'Sardegna Antica'...
Chissà che non ci sia qualche cosa che ti può interessare...
Grazie per la segnalazione Maurizio.
RispondiEliminaMi ripeto per il signor Antonio: si parla, nell’articolo, della navigazione dei Nuragici; mi sono ricordato di come navigassero le navi dei Feaci secondo la descrizione di Omero:
RispondiElimina-Le navi non hanno i TIMONI che hanno le altre, ma sanno da sole i pensieri e la mente degli uomini, le città e i grassi campi di tutti conoscono, e traversano veloci l'abisso del mare
AVVOLTE NELLA FOSCHIA E IN UNA NUBE: esse non temono mai di soffrire alcun danno o d'andare in rovina.- Sembrerebbe fantascienza. Forse c’è stata un’epoca antica che vedeva il mare solcato da imbarcazioni spinte da altra propulsione?. E’ innegabile che le navicelle nuragiche sono riprodotte senza remi, senza vele e senza TIMONI. Tutto qui. Manca, solo, la nube.
Il signor Antonio ha voluto precisare che la terra dei Feaci non è la Sardegna per la mancanza del termine Neson; la terra dei Feaci non è un’isola. (Massimo Pittau, che di lingue ha una certa pratica, la pensa in maniera contraria.) Restiamo a Neson; che con l’articolo di Pierluigi ha poca attinenza. Mi è capitato di leggere Polibio e Diodoro. Quando si parla di Sicilia, o di Sardegna, il termine Neson non compare. Compare, invece, quando si parla delle isole della Sardegna e della Sicilia. Quando i Cartaginesi conquistarono l’isola della Sardegna… se si legge con attenzione si nota che si sta parlando di un’isola della Sardegna, cioè sant’Antioco e non di tutta la Sardegna.
(Prima i Cartaginesi conquistarono l’isola della Sardegna, poi, entrarono in conflitto con i Sardi.)
Torniamo alla questione omerica. Felice Vinci, ultimamente, ha localizzato nel mar Baltico tutta la vicenda. Secondo Lui i Popoli, quando emigrano, si portano dietro anche i loro miti. Qualche autore, del 1800, si è trovato in difficoltà per via delle costellazioni descritte da Omero. Nausica ci ricorda "Abitiamo in disparte nel mare ondoso, / ai confini del mondo, nessun altro mortale arriva tra noi". Detto ciò… le navicelle nuragiche, quelle in bronzo, restano strane. Sono senza remi, senza vela e senza TIMONE. Molti anni fa misi insieme le navicelle in bronzo, le navicelle solari e vari graffiti vecchi di migliaia di anni. Mi uscì fuori una strana imbarcazione con tanto di girante eolica. Vorrei terminare con una piccola nota. Per Esiodo, contemporaneo di Omero, qui c’erano i popoli Illustri della Tirrenia. Qui c’erano le isole sacre. Quando Dionisio era giovinetto fu rapito dai pirati Tirreni. Si parla di miti vecchi di migliaia di anni. Per ora abbiamo solo questo su cui riflettere. Aspettiamo che gli archeologi facciano il loro lavoro.
rolando
Polibio non dice isola quando parla della Sardegna ma non dice neppure Terra di Sardegna. Questo perché è scontato che "tutti" sapevano che era un'isola. Pittau, anche se è uno pratico di lingue, non può tradurre Gaies in Neson perché non è entrato nella testa di Omero. La frase "Abitiamo in disparte nel mare ondoso, / ai confini del mondo, nessun altro mortale arriva tra noi", non significa che abitano in un'isola ma che sono lontano dagli uomini (" che mangiano pane").
EliminaAntonio
Gentile signor antonio anonimo non di assemini
RispondiElimina1° come per i relitti nuragici, non esistono ad oggi relitti certi di navi minoiche o micenee e non capisco perchè a noi li deve cercare per poter parlare di navigazione.
2° diversamente dalla civiltà minoica e micenea che ci tramandano qualche "canoa" fittile, la civiltà nuragica ci tramanda più di 150 bronzi raffiguranti autentiche e soffisticate navi a guscio portante ove vi si possono riconoscere persino le tecniche di assemblaggio.
3°se i minoici e i micenei hanno il vantaggio di essere stati citati dalle fonti antiche con i loro nomi immutati non si deve per questo togliere dalla storia della navigazione un popolo che ci è stato.
4° si vada a cercare le testimonianze d ceramica nuragica che prima buttavano perchè non conosciuta e ora classificano dal portogallo all'anatolia.
Le ricordo signor anonimo senza nome che i minoici o cretesi erano i migliori navigatori dell'antichità. I micenei non mi interessano perché non erano una civiltà (erano solamente gli abitanti di una città:Micene e quindi circoscritti ad essa). Come ha detto il signor Montalbano sono state trovate bronzetti di navi con scalmi. Non capisco poi il termine sofisticate. La ceramica nuragica certifica per caso la navigazione da parte dei sardi? Su quali basi?
EliminaGuardi che non sto dicendo che i sardi sicuramente non navigassero, ma voglio almeno indizi seri.
Antonio
Signor Antonio torno a ripetermi.
RispondiEliminaLa descrizione delle navi dei Feaci mi ha suggerito l’accostamento con quelle riprodotte dai bronzetti. Stessa cosa per le navicelle solari –graffite- in diverse parti del Mondo. Sembrerebbe che, anticamente, qualcuno sapesse navigare senza vela e senza timone. Curiosamente TUTTE hanno la protome bovide. Fantascienza o religione? Questo era il mio appunto!
Se, poi, chi abita in disparte nel mare ondoso, si trovi su di un isola o su di una montagna, sono problemi suoi. Se i Sardi, ai tempi di Minosse e di Talo, arrivarono a Creta camminando sulle acque sono sempre problemi suoi. Io ho parlato solo di una tipologia di imbarcazioni senza vela e timone.
Rolando Berretta
al signor antonio anonimo non di assemini
RispondiEliminaforse non mi ha capito, volevo farle notare che i famosi minoici e micenei che fuor di dubbio hanno navigato, non hanno ancora un relitto. e lei come pretende di cercarlo agli antichi sardi per poter parlare di navigazione?
il termine sofisticate fà intendere accorgimenti tecnici riscontrabili nei bronzi attraverso la conoscenza degli studi sulle imbarcazioni arcaiche a guscio portante.
la ceramica nuragica di cui si parla d'appertutto è di tipo domestico, non di scambio, perciò ritenuta dagli archeologi prova di frequentazione da parte di sardi navigatori.
non sò dirle altro.
a lei ....
Di prove della navigazione nuragica ne esistono eccome, oltre le 157 imbarcazioni di bronzo nuragiche e le precedenti mille di terra cotta, le ceramiche nuragiche di tipo "domestico" si trovano ovunque nel mediterraneo sin dall'età del bronzo, in luoghi come: CIpro, Creta, Lipari, Iberia, Etruria e chi più ne ha più ne metta. Non sei soddisfatto ancora? allora ti dico che sono state ritrovati molte ancore nuragiche di età del bronzo lungo le coste sarde che sicuramente erano utilizzate per imbarcazioni di grandezza considerevole. Non sei soddisfatto ancora? una recente scoperta mostra come i nuragici fossero la prima civiltà dell'Europa ad avere importato e coltivato il meno già dal 1310 a.c, secondo te ci è arrivato volando il melone? fummo anche i primi a fare uso del vino in Europa e molto probabilmente anche quell'arte l'abbiamo presa da molto lontano. Insomma le prove si sprecano, poi chi non vuol vedere non vuol vedere, allora tappati gli occhi, visto che le prove evidenti non le vuoi vedere, se dopo tale caterva di prove ancora credi che i nuragici non conoscessero la navigazione, certo non ti verrà difficile credere che i minoici fuggissero dal mare è che i micenei non abbiano mai visto una nave.
RispondiElimina*importato e coltivato il melone.
RispondiElimina*e che i micenei non abbiano mai visto il mare
RispondiElimina