lunedì 6 settembre 2010
Tartesso - parte 3° di 3
Tartesso 3° parte,
di Mario Cabriolu.
Esiste un'altra iscrizione, molto simile a quella di Nora, però su un frammento ceramico: il coccio di Orani. Anche in esso si legge b-TRShSh, stavolta però il reperto è stato ritrovato nel centro-nord Sardegna.
Dobbiamo ad un'altro ricercatore l'interpretazione e la divulgazione di queste iscrizioni che, oltre a testimoniare ciò che viene negato quasi da tutto il mondo accademico, ossia la presenza della scrittura in ambiente nuragico, contribuiscono a chiarire alcune zone d'ombra della storia e della geografia antica dell'Occidente.
Il professor Sanna reinterpreta l'iscrizione di Nora anche grazie al coccio di Orani e vi legge non solo il nome (Tarsos) dell'antica Tharros, ma anche quello (Gorra) della città di Cornus, centro della rivolta antiromana ai tempi della II guerra punica. Sono due fra le città più importanti della Sardegna occidentale nell'antichità e, ripeto, occidentale, con di fronte tanto mare e al di là l'ignoto.
Un'ulteriore prova sembra fissare definitivamente nell'ambito del golfo di Oristano, e quindi verso Tharros, la mitica Tartesso. Abbiamo detto della non persistenza del toponimo in area Andalusa: non solo non esiste Tartesso, ma nessun altro toponimo sembra ricordare quello della mitica località. Lo stesso invece non può dirsi per la Sardegna, dove invece esiste ancora oggi una fondamentale testimonianza, il nome del fiume più importante dell'isola, il Tirso.
Tutte le fonti più antiche parlano di uno stretto legame fra Tartesso e i metalli pregiati. La seconda isola del Mediterraneo è ed era famosa per le sue ricche vene d'argento. La Spagna può però vantare giacimenti di stagno e d'oro, praticamente assenti nell'isola. La corretta definizione di quel fiume Tartesso degli antichi, che trasportava ora l'uno ora l'altro metallo fin dentro le mura delle città, risolverà a favore della Sardegna, e in particolare di Tharros, anche questa questione.
Se la Tharshish biblica era la Tartesso dei greci, in quel luogo l'archeologia deve documentare l'esistenza di una civiltà particolarmente evoluta a partire dal II millennio a.C. (il libro della Genesi, dove già si parla di Tarshish, è stato composto presumibilmente a metà del II millennio a.C.) fino alla metà del I millennio a.C. (l'ultima citazione biblica di Tarshish è presente nel libro di Giona, datato tradizionalmente al V a.C.).
È superfluo far notare che l'unica grande civiltà dell'occidente che si è sviluppata ininterrottamente in quell'arco di tempo è quella nuragica. In quel luogo l'archeologia deve anche testimoniare i legami tra fenici e il regno del re Argantonio, a partire da epoche sufficientemente remote.
Questo avviene nell'estremo occidente sicuramente per la Sardegna, dove l'archeologia ufficiale cerca di postdatare i ritrovamenti, forse al fine di evitare di dichiarare l'esistenza di colonie fenicie in terra sarda anteriori l'VIII a.C.
L'esatto contrario avviene nella penisola iberica dove gli sforzi sono tutti rivolti a retrodatare i ritrovamenti fenici proprio per arrivare a quell'VIII a.C., appena sufficiente per considerare in qualche modo attendibili i riferimenti a quelle terre nei racconti degli antichi.
Le visite alla città da parte di navigatori greci e le relative notizie cessano intorno al 500 a.C. Questo fatto è stato giustificato per diversi decenni, da parte dei sostenitori di una Tartesso spagnola, come dovuto alla chiusura dello stretto di Gibilterra operata da Cartagine, che avrebbe impedito, proprio in quegli anni, la navigazione oltre lo stretto a tutti i mercanti non punici.
Venuta a cadere tale teoria, automaticamente si è riproposto il problema Tartesso e del perché della sua decadenza e conseguente scomparsa. La Tartesso sarda, e non fenicia, a cavallo del 500 a.C. ha dovuto sicuramente affrontare una delle sue più dure battaglie o forse ha deciso per la sottomissione senza spargimento di sangue in cambio di una vita dignitosa. Intorno al 500 a.C. le cronache di viaggio non parlano più di Tartesso che da quel momento in poi entra nella sfera del mito. Sempre intorno al 500 a.C. Cartagine dichiara di avere il controllo sull'isola di Sardegna, più verosimilmente limitato ad una parte delle aree costiere. Non si hanno prove documentali e neppure archeologiche, ma possiamo presumere che negli scontri fra Sardi e Punici le città dell'isola non si siano schierate tutte dalla stessa parte.
È probabile che alcune abbiano deciso, non tanto di schierarsi con Cartagine, quanto di accettare pacificamente l'ingerenza punica nei propri affari, in cambio della protezione nei confronti di altre città sarde avversarie sia in campo politico che commerciale.
Si vuole qui affermare l'esistenza in Sardegna, nel VI a.C. (con origini già diversi secoli prima), di più Regni aventi ciascuno a capo una o più città guida. La "fondazione" di Nora nel IX a.C. da parte di Tharros, in un territorio esterno a quello d'influenza politica della città, sarebbe allora la risposta all'azione ostruzionistica nei confronti dei traffici navali Tartessi verso e dal sud della Sardegna operata dai Sulcitani.
La fondazione della colonia indica anche un vuoto di potere in quell'area del meridione dell'isola, che doveva essere parte del regno che gravitava intorno al Golfo di Cagliari.
I Sulcitani erano un popolo nuragico che aveva rapporti ancora non del tutto chiariti con gli Etruschi: è infatti attestato in Etruria il gentilizio Silketenas che ricorda troppo da vicino quello dei Sulcitani tanto che Pittau ne propone una possibile corrispondenza.
I Sulcitani potrebbero quindi aver deciso di mantenersi neutrali, almeno nello scontro decisivo fra Punici e Sardi delle città. Tharros potrebbe invece essere stata costretta alla resa, che comportò la perdita di una serie di privilegi fra i quali l'autonomia politica.
La ricerca archeologia nell'area della città (collina di su Muru Mannu) ha constatato l'assenza di distruzioni in periodo fenicio-punico.
Cartagine, pur essendo figlia di Tiro, non era né un alleato commerciale né assunse un atteggiamento di riguardo nei confronti di una terra che aveva forse contribuito alla fondazione della stessa Tiro, sicuramente ai suoi progressi nel campo della nautica. Cartagine doveva conquistare la Sardegna o almeno il controllo dei suoi mari e portare così a termine il progetto di dominio di una parte del Mediterraneo occidentale, che consentì alla città fenicia di rendere inaccessibili ampi tratti di costa nordafricana e le principali isole di questo specchio di mare. Insieme a ciò Cartagine promosse una campagna di disinformazione, durata oltre due secoli, volta a condizionare gli avversari politici e commerciali.
I punici nascosero ad arte non solo le rotte verso alcune ricche terre, ma anche l'esistenza stessa di alcune di esse; oppure fecero circolare informazioni fuorvianti relative a viaggi fantastici, tanto che non solo i romani si sono inventati una Lixus nelle coste atlantiche marocchine, ma ancora oggi stiamo vanamente ricercando la mitica Cerne là dove non è mai esistita.
La Sardegna, che mai era apparsa esplicitamente nelle carte geografiche prima di allora, ma che veniva indicata in vario modo dato l'alone mitico che avvolgeva le sue città e i suoi abitanti, divenne l'isola Sarda e nulla più per oltre 2 secoli.
Se oggi non ci bastano gli innumerevoli resti che l'archeologia ufficiale ha difficoltà anche a censire, le tante meraviglie architettoniche che tali erano anche per i maestri ellenici (è questo un caso unico nel Mediterraneo occidentale), le iscrizioni nuragiche…
Cerchiamo di rileggere con attenzione i pochi testi degli antichi che sono arrivati fino a noi e che contengono importanti riferimenti alla nostra isola ancora non del tutto decifrati.
Uno fra tutti è la famosa Geografia Tolemaica dove, oltre a moltissimi nomi di località che sembrano confermare, come proposto da Sanna, la coesistenza nell'isola di due etnìe principali, una Indoeuropea, l'altra Cananea, preesistenti la presunta età delle colonie fenicie, sono riportati i nomi dei popoli principali presenti allora in Sardegna che dobbiamo leggere con maggior attenzione e rispetto della fonte.
Fra gli altri, vogliamo qui ricordare due nomi, nella forma riportata nei codici ritenuti più antichi, più vicini all'originale Tolemaico: Kunusitani e Keltini (o Kelsitani).
I primi, e lo dice Pais, ricordano i Cineti (o Cinesi) di Erodoto; noi con minor timore di alterare un dogma per gli accademici, diciamo che i due nomi coincidono. Erodoto li chiama Kyneti o Kynesi (con la y che si pronunzia come l'u francese o lombardo) e la differenza fra i due nomi è rappresentata dal suffisso etnico -itani presente nel codice Tolemaico. Tale popolo è secondo Erodoto quello che abita le regioni più occidentali conosciute dell'Europa. Vedete allora quanto erano così vicine alla Sardegna quelle estreme regioni Europee a metà del I millennio a.C.?
Il secondo nome è altrettanto sorprendente perché, a meno del solito suffisso etnico -itani, di cui è in parte depurata la prima versione, si tratta inequivocabilmente di Celti, il popolo che in Erodoto è appena più ad est rispetto ai Cineti. Proprio così, come ha intuito Frau, come riferisce Ecateo, come conferma l'archeologia, un popolo conosciuto come dei Celti, forse i discendenti di coloro che lasciarono quel nome più a settentrione nel continente europeo (dove i locali lo adottarono come loro secondo nome) abitava in Sardegna, distinto dagli altri del luogo, ancora i primi secoli d.C. In tanti diranno: i Celti della Sardegna sono arrivati come deportati in età romana. Ed è qui che si manifesta tutta l'importanza dell'informazione Tolemaica: nessun popolo del continente europeo era conosciuto col nome di Celti già da diversi secoli (pare che ad es. i Galli usassero chiamarsi Celti fra loro, ma non è chiaro allora il significato da loro attribuito al nome). Possiamo andare oltre e affermare che questo è l'unico documento che lega un popolo di definita appartenenza geografica al nome Celti.
Le conseguenze e implicazioni di questo fatto sono tutte da capire e da studiare. Torniamo un attimo ai Cunusitani (i Cineti di Erodoto) e ricordiamo quanto già proposto in altro luogo e cioè la corrispondenza del nome Ichnusa dato dai greci all'isola di Sardegna e il nome di questo popolo: come era loro abitudine, i greci ellenizzarono un nome che non capivano, usando un termine greco foneticamente vicino a quello indigeno:
Ichnusa (orma del piede) in luogo di Cunusi (o Cnusi o qualcosa del genere).
Quel popolo che Erodoto riferisce due volte nelle sue Storie, che non colloca nella penisola Iberica perché non ne conosce l'esistenza, che doveva rivestire una qualche importanza anche per il solo fatto di essere citato, che al solito scompare più tardi nella penisola Iberica, per il semplice motivo di non esserci mai stato, aveva indotto altri greci a denominare una porzione dell'isola sarda col loro nome.
Per capire di quale parte si trattasse dovremmo tradurre meglio quella parte della geografia tolemaica e interpretare meglio i dati archeologici sulle presenze greche nell'isola appena prima delle guerre sardo-puniche. Tutti i dati presentati, per quanto incompleti, portano a concludere che la Sardegna prepunica era, nelle cronache di viaggio degli esploratori greci e fenici, molto più dell'isola a forma di orma di piede, della terra di conquista per lo spagnolo Norace, per il libico Sardo, per i Lidi dell'Anatolia, per i greci al seguito di Iolao, Dedalo, Aristeo, per i fuggiaschi Iliesi dalla disfatta di Troia…
La Sardegna era quella terra dell'occidente dove si realizzò, più che in ogni altro luogo dell'antichità, con la sola eccezione di un'altra grande isola del Mediterraneo, Creta, il punto d'incontro fra occidente e oriente, fra civiltà del levante, cultura ellenica, cultura celtica e la trascurata cultura dell'africa nord-occidentale.
L'archeologia racconta bene quest'incontro registrando il ritrovamento sia di elementi tipici delle diverse culture, nello stesso contesto, sia prodotti di sintesi che nella loro originalità raccontano non l'isolamento e l'arretratezza delle genti isolane, né un atteggiamento di puro assoggettamento alle novità culturali portate dai nuovi venuti.
La Sardegna fu la terra dove si confrontarono e forse si fusero lingue, religioni, costumi il cui risultato fu una cultura dai caratteri propri che a sua volta fu in qualche modo capace anche di condizionare le stesse culture dominanti che ebbero a che fare con essa. L’isola fu protagonista in quell'estremo occidente conosciuto e una delle sue regioni era abitata da antichi dominatori dei mari e di un vasto regno, dai vicini di casa dei Cineti e dei Celti: Tartesso era la Tharros Sarda
fonte: http://www.sardolog.com/perso/tartesso/fiume.htm
Nell'immagine il complesso del nuraghe Palmavera, lungo la costa di Alghero.
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Fosse così semplice fare la Storia. Tre o quattro illazioni., dieci ipotesi strampalate, cinque o sei fraintendimenti e quattro invenzioni e il gioco è fatto. Spero che nessuno dei lettori pensi anche solo lontanamente che le notizie riportate siano vere.
RispondiElimina
EliminaHa perfettamente ragione, poi io questi testi lunghissimi, a me mettono solo paura, non mi intrattengono proprio, sono negativi e mettono in cattiva luce la bellissima civilta’ Nuragica.
Secondo me e’ anche bello avere dei misteri su queste genti Nuragiche, che vissero tanto tempo fa e che costruivano dei Nuraghi bellissimi.
Certo anche a me farebbe piacere sapere se usavano una scrittura o qualcosa di simile come molte altre culture di quei tempi, ma forse le prove materiali si sono perse nei tempi, oppure sono in mano alla gente sbagliata, trafugate, rubate dalla terra da gente senza scupoli e vendute per dei valori insensati, o forse sono ancora nascoste, aspettando di venire alla luce.
Prima di scrivere e lo dico all’autore del blog, leggete quello che scrivete, non una ma piu di una volta, e assicuratevi che quello che dite lo sapete verameente, perche’ a volte certa gente crede tutto quello che c’e’ scritto.
Ma non tutti per fortuna.
Ci racconti...sono tutt'orecchi.
RispondiEliminaTenga conto che questo scritto è una proposta, siamo ancora lontani dalla verità.
Sono il primo a sperare che qualche studioso si faccia avanti e spieghi cosa è sbagliato in questa analisi, ma affermare che si tratta di invenzioni, illazioni e fraintendimenti senza dare altre informazioni è quantomeno semplicistico.
Ho letto che in Andalusia non è stato trovato nulla nonostante i finanziamenti corposi e i numerosi scavi. E se Cabriolu avesse visto giusto?
RispondiElimina"Ha letto" che in Andalucia non si è trovato nulla???
RispondiEliminaMa nulla di cosa? muri, ceramiche, tartessi o cosa? Nulla neanche terra e acqua?
Credo si riferisca a "nulla che faccia pensare a Tartesso", ma se non è così potrebbe intervenire per informarci se ha qualche notizia interessante.
RispondiEliminaIn effetti speravo che questo argomento suscitasse qualche commento, positivo o negativo, sul perché Tartesso debba essere obbligatoriamente cercata in Spagna. Personalmente sono favorevole ad un'ipotesi che veda la costa occidentale sarda interessata al corposo flusso di merci che transitava nel Mare Sardo. Considerato che le potenzialità espresse dai nuragici sono rilevanti sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo, e che Tharros costituiva un centro di fondamentale importanza nel Mediterraneo dell'epoca, e se aggiungiamo Sant'Antioco, Neapolis, Othoca, Bosa, Alghero e altri possibili approdi...la questione si fa intrigante.