sabato 31 luglio 2010
Uccelli: la bussola del passato.
Gli uccelli: strumenti di navigazione nel mondo antico.
E' molto probabile, secondo l'opinione degli specialisti dei sistemi occasionali di navigazione nel mondo antico, che i comandanti delle navi minoiche e micenee portassero a bordo, nei lunghi viaggi per mare, qualche uccello che servisse al preciso scopo di fornire un aiuto durante la navigazione. Una reminescenza sicura di questa pratica la possiamo trovare ritrovare nel mito di Giasone. Il viaggio degli Argonauti segnava un itinerario che rendeva percorribile la rotta verso la Colchide e, nel contempo, fondava misticamente la possibilità di seguire una via marittima mai tracciata prima di allora.
Tutto il complesso del mito di Giasone parrebbe confermare l'ipotesi relativa all'uso degli uccelli come elemento per favorire la navigazione. Significativo, a questo proposito, è l'episodio delle rocce Simplegadi. Gli Argonauti avevano superato quell'ostacolo lasciando volare un non precisato uccello davanti alla nave, vogando poi a gran forza riuscirono a passare tra le rocce, nello stretto indicato dal volatile.
E' difficile pensare che tale stratagemma costituisca soltanto un espediente narrativo. Trattando del tema relativo all'uso degli uccelli come sistema occasionale di navigazione, lo studioso R. W. Hutchinson - pur ammettendo che " sarebbe interessante sapere se i comandanti dei mercantili minoici si valessero di un simile mezzo, poco necessario quando navigavano verso le Cicladi, ma non disprezzabile nel caso di viaggi più lunghi, senza terre in vista, dato che le stelle non erano sempre visibili neppure nelle acque del Mediterraneo" - ritiene che "nei poemi omerici non se ne trova traccia". Ma le cose non stanno in questo modo, si possono ritrovare inequivocabili elementi di questa pratica nei testi omerici ed esiste in proposito una lunghissima tradizione che arriva fino alla letteratura cristiana medioevale.
L'uso degli uccelli come aiuto alla navigazione è già in qualche modo adombrato nel mito di Utnapishtim (il Noè dei sumeri), contenuto nell'epopea dell'eroe sumerico Gilgamesh. In quest'importante racconto troviamo la ben nota narrazione dalla quale venne in seguito tratto l'episodio biblico del diluvio universale. La famosa vicenda lascia pochi dubbi sull'uso effettivo che nel mondo antico si faceva della pratica in argomento.
Per approfondimenti sul poema: http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/sintesi.htm
Utnapishitim aveva fatto costruire un'arca, "aveva navigato per sette giorni e sette notti, mentre le acque salivano e al settimo giorno l'arca aveva fatto approdo su una montagna "agli estremi limiti della terra", ed egli aveva aperto una finestra dell'arca, e ne aveva fatto uscire una colomba per vedere se il livello delle acque fosse sceso ma la colomba era tornata perché non aveva trovato un luogo dove posarsi poi aveva fatto uscire un corvo, e il corvo non aveva fatto ritorno. Il particolare del corvo che non ritorna al luogo della sua partenza indica chiaramente che il volatile ricopre la funzione di segnare una direzione, precisamente quella nella quale si sarebbe potuta trovare una terra emersa.
Nel mito di Utnapishtim, così come nell'espediente di Noè nel racconto biblico, l'uso di mandare in volo degli uccelli è la derivazione di una precisa consuetudine: quella di utilizzare dei volatili come "animale guida" con il preciso compito di "aprire nuove e più sicure vie". E' facile supporre che una tale abitudine "marinaresca" non sia stata inventata dai sumeri ma che venisse praticata già da epoche precedenti.
L'immagine in bianco/nero della navicella bronzea è tratta da Lilliu, 1966.
Le immagini a colori delle navicelle nuragichesono di Montalbano, SRDN, Signori del mare e del metallo.
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