venerdì 16 luglio 2010
Phoenike - Fenici in Sardegna - Cagliari
Cagliari
Gli scavi dal dopoguerra a oggi hanno modificato radicalmente la visione della città di Cagliari. L’insediamento arcaico si posiziona nell’area della città-mercato di Sant’Avendrace e S. Gilla e della vicina centrale elettrica, nella piana compresa fra lo stagno e la zona di Tuvixeddu. Ai bordi di questo piccolo promontorio si situava il porto, oggi completamente coperto dai fanghi derivanti dal disinquinamento di S. Gilla. Il porto era lagunare, quello attuale è romano. Un primo insediamento mediterraneo era ubicato a Sa Illetta, nella collinetta attualmente occupata da Tiscali, ma non sono mai stati pubblicati scavi. È probabile che qui fosse presente un villaggio nuragico, come farebbe pensare qualche frammento ceramico del Ferro. Quindi anche per Cagliari, come abbiamo riscontrato in altri luoghi, il primo insediamento arcaico, fine VIII a.C. avviene, in un ambito nuragico.
Non sappiamo ancora quando si passa alla vera e propria struttura urbana, ma l’ampiezza e la qualità della necropoli di Tuvixeddu-Tuvumannu, fanno pensare che già alla fine del VI a.C., l’insediamento abbia acquisito lo status urbano. Anche se è molto probabile che si debba risalire ancora nel tempo. Purtroppo la città moderna occulta molto.
Il promontorio della città mercato-centrale elettrica doveva ospitare il tempio di Melqart, attestato da un’iscrizione e da una statua di Bes, oggi al Museo; Bes è normalmente associato a Melqart. L’abitato è stato rinvenuto nelle vie contigue, Brenta, Po, Simeto ecc. I limiti erano dati dal tophet, nell’area delle ferrovie e dal tempio di Eshmun rinvenuto (ed è visibile) sotto l’agenzia viaggi Orofino davanti alla chiesa dell’Annunziata.
In un qualche momento tra VI e IV sec. a.C. una seconda necropoli con tombe a camera è localizzata nella collina di Bonaria, collegata, probabilmente, con un secondo centro, periferico, o meglio, satellite, legato a uno scalo portuale, da collocarsi a San Bartolomeo e connesso con lo sfruttamento delle saline. Oggi il tutto è stato colmato e al di sopra hanno costruito il quartiere e lo stadio di Sant’Elia.
A partire almeno dalla fine del IV sec. a.C. si forma un quartiere satellite testimoniato da una terza necropoli, nella via Regina Margherita e collegata, secondo me, alla necessità di spostare il porto dall’area di S. Gilla ormai irrimediabilmente impaludata all’attuale collocazione in mare aperto. Non a caso questa necropoli proseguirà in piena età romana come attestano gli straordinari recenti scavi nella Scala di Ferro, e la stranota necropoli dei marinai della flotta di Miseno. La singolarità di Cagliari rispetto alle altre città sarde è proprio questo spostamento. Infatti la vecchia sede urbana di Santa Gilla resta in vita sino agli inizi del II sec. a.C., in età romano-repubblicana. In questo momento la città si sposta definitivamente nell’attuale centro, con fulcro in quello che sarà il foro, Piazza Carmine, sotto la protezione di un nuovo tempio, quello di via Malta, dietro le poste, dedicato a Venere e Adone, e realizzato da quella che ora è la comunità mista punico-romana. Tant’è che il tempio è effigiato in una moneta romana emessa dai due suffeti della città, Aristo e Mutumbal.
Altre tracce puniche si trovano in Castello, nei pressi della Cittadella dei Musei, dove era edificata l’acropoli, ma le tracce si limitano ad una cisterna a bagnarola e qualche muretto. La stratigrafia è difficile da studiare perché Cagliari è fortemente urbanizzata molti metri sopra i resti del passato. A Capo Sant’Elia è stato identificato un tempio, riferito ad età tardo punica e, grazie ad un’iscrizione, è stato assegnato ad Astarte. La necropoli si trova alle spalle dell’abitato, come a Cartagine, sulla collina di Tuvixeddu. Da questo momento la città si estende nei quartieri di Stampace e Marina.
Castello in realtà non restituisce resti di acropoli come riteneva Barreca, ma, sinora situazioni o civili o, forse di culto; non è escluso che potesse esserci un tempio. Ma siamo già decisamente fuori della città. L’anfiteatro doveva segnarne i limiti.
Nell'immagine le tombe di Tuvixeddu
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