venerdì 2 luglio 2010
Phoenike - Fenici nelle Baleari - Ibiza
L’isola di Ibiza
È ubicata nell’arcipelago delle attuali isole Baleari, di fronte alla Catalogna. Le isole sono 4: Maiorca, Minorca, Ibiza e Formentera ma in antico avevano un nome diverso. Le Baleares erano Maiorca e Minorca, mentre Ibiza e Formentera si chiamavano Pityuse.
Le Baleares sono interessate solo episodicamente dalla presenza punica nel senso che la presenza indigena era forte. Il controllo del territorio era in mano ai Talayotici e i rapporti erano quasi esclusivamente commerciali.
Ad Ibiza invece si nota la presenza della civiltà mediterranea. Provengono da Occidente, in particolare da Cadice e dall’area Andalusa e il loro arrivo si data intorno al 630 a.C. perché le rotte da oriente verso occidente, a causa dei venti e delle correnti, non incrociano le isole dell’arcipelago.
Ci si chiede perché la presenza mediterranea ad Ibiza sia così tarda e l’ipotesi più attendibile è che la colonia sia servita come base d’appoggio per uno sviluppo del commercio verso la costa Catalana. Gli insediamenti più antichi dell’isola sono due: Sa Caleta, sulla costa meridionale, e la città di Ibiza. Vi sono anche altri insediamenti ma sono decisamente più piccoli.
Nell’isola c’è il bilinguismo: la toponomastica è in casigliano ma la lingua parlata è il catalano. Il centro Sa Caleta è ubicato su un piccolo promontorio ed è caratterizzato dalla presenza di case semplici monocellulari non organizzate che nella prima fase erano costituite da un unico ambiente che presentava uno zoccolo in pietre non squadrate alla base, pavimenti in terra battuta e alzato in mattoni crudi. In una seconda fase, alla fine del VII a.C., le strutture vengono ampliate e suddivise all’interno con l’aggiunta di altri ambienti.
Nei testi non moderni l’insediamento di Sa Caleta pareva essere stato abbandonato a favore di Ibiza, oggi si propende per la contemporaneità. Il sito è databile 630-580 a.C. e le ultime analisi hanno mostrato una provenienza di materiali dall’andalusia mediterranea, che si spingeva verso occidente per il commercio verso le zone catalane. Fu scavato da Juàn Ramòn che individuò varie fasi. Probabilmente c’era un’attività metallurgica, perché sono state trovate scorie di fusione, ma intorno al 580 a.C. l’insediamento venne abbandonato perché la zona non presentava possibilità di ampliamento urbanistico. Nello stesso periodo la città di Ibiza era già fondata e parte degli abitanti di Sa Caleta si spostarono nel centro aumentandone la prosperità. Ancora oggi è la città principale dell’isola e l’urbanizzazione rende difficile ricostruire i fatti.
Ibiza città
L’abitato di Ibiza si trova nella parte alta della città attuale, quella occupata dal quartiere medievale. Solo pochi cocci arcaici sono stati ritrovati e non abbiamo strutture riferite alla città vera e propria. L’area che ha restituito il maggior numero di materiali è quella della necropoli, all’esterno delle mura del quartiere medievale. Si chiama Puig d’es Molins e la zona più interessante è denominata Can Partìt, caratterizzata da tombe arcaiche ad incinerazione con deposizione primaria e secondaria, che dimostrano che l’abitato fu fondato intorno al 630 a.C. Le più antiche sono proprio quelle a incinerazione secondaria, con i corpi che venivano bruciati in un ustrinum e poi raccolti e deposti nell’urna all’interno di una fossa.
Le tombe di Can Partìt possono essere cavità nella roccia, cavità naturali o fosse artificiali. La forma è ovale o circolare e il defunto era deposto all’interno di urne (di incinerazione secondaria) o direttamente nella fossa (incinerazione primaria). In quest’ultimo caso sono un po’ più grandi e presentano tracce di bruciatura. Sono piccole e semplici e per accedere all’interno possono avere un canale longitudinale o delle riseghe ai lati in caso di tombe a pozzo, cioè verticali, per la copertura.
A Puig d’es Molins troviamo una delle più grandi necropoli puniche del Mediterraneo Occidentale, conteneva 7000 tombe ed è stata salvata e musealizzata. A differenza dell’area Andalusa, nella quale i centri sono praticamente scomparsi improvvisamente nel VI a.C., ad Ibiza abbiamo una fase punica molto sviluppata. La città di Ibiza è nota nelle fonti per una notizia riportata da Diodoro Siculo (rivelatasi infondata): nel 654 a.C. Cartagine fondò Ibiza, ma in quel periodo non abbiamo tracce di presenza mediterranea o punica. Le prime fondazioni sono di provenienza occidentale, come è dimostrato dalle analisi archeometriche sulle ceramiche dove si è stabilita una provenienza dalla zona di Malaka, anche se Cartagine sicuramente ebbe una certa influenza. Dal 500 a.C. invece il territorio di Ibiza è fortemente controllato da Cartagine e le manifestazioni più evidenti sono nella necropoli. Purtroppo gli scavi, clandestini e non, sono stati eseguiti nella prima metà del 1900 con tecniche e mezzi che hanno determinato la perdita dei contesti di rinvenimento delle migliaia di reperti contenuti nelle tombe. La necropoli è visibile in superficie ed è simile alla situazione di Cagliari e Tharros, con una serie di tombe affiancate con imboccatura rettangolare scavate nella roccia tenera, arenaria o calcare, che poi si sviluppano in profondità. Il vano d’accesso poteva avere una rampa obliqua o un pozzetto verticale, in questo caso sono denominate tombe a pozzo. A volte hanno il vano d’accesso a scalini, le cosiddette tombe a dromos. La camera delle tombe puniche ha generalmente un livello più basso rispetto al vano di accesso per avere migliore protezione da eventuali scavi. Nelle tombe a pozzo ci sono le pedarole, ossia incavi ovali posti sui lati lunghi per consentire ai fossaroli di scendere fino alla camera di sepoltura.
I defunti potevano essere deposti sul piano della tomba o all’interno di bare lignee che non si sono conservate, tuttavia sono stati trovati chiodi in ferro o in bronzo ai lati del defunto, o all’interno di sarcofagi monolitici coperti da lastre litiche. La sepoltura di piena età punica (V e IV a.C.) prevedeva sempre l’inumazione del defunto in posizione supina con le braccia distese lungo i fianchi o poste sul petto. Vicino ai resti c’era il corredo con gioielli, oggetti personali, amuleti e qualche piccolo vaso per unguenti e sostanze balsamiche. Il rito di incinerazione viene reintrodotto solo in età ellenistica.
Nei siti scavati nei banconi rocciosi (Ibiza, Cagliari, Sulci, Nora, Tharros, Cartagine, Lilibeo, Solunto, Palermo) troviamo sempre tombe parallelepipede.
Un altro sito interessante si trova a Isla Plana, di fronte alla città di Ibiza. Agli inizi del 1900 è stato trovato un botros (una favissa), cioè un pozzetto all’interno del quale si trovavano terrecotte votive riconducibili ad un santuario che risale al VII a.C., e sono state ritrovate sparse vicine alla favissa.
La maggior parte delle ceramiche è realizzata al tornio con forme diverse del corpo (sono simili a quelle di Bithia in Sardegna) e si datano su base stilistica perché i ritrovamenti sono sempre in favisse: a campana con le braccia ripiegate al petto (VI a.C.), a campana con lucerna in testa (V a.C.) e ovoide (IV a.C.); attorno sono state trovate delle ceramiche realizzate a stampo, più antiche, databili intorno al 620-580 a.C. di chiara matrice orientale o cipriota.
I manufatti votivi raramente si trovano in strato perché venivano periodicamente ritirati dai sacerdoti, per fare spazio alle nuove offerte, ed erano seppelliti vicino al tempio. Quindi nella stessa favissa venivano a trovarsi statuette di diversa fattura tecnica e noi, per la datazione, conosciamo solo il momento dell’ultima deposizione che poteva essere anche di diversi secoli successiva.
Ci sono tre tecniche per realizzare le terrecotte.
La prima prevede la lavorazione a mano da parte dell’artigiano che modella direttamente sull’argilla la forma dell’oggetto che vuole realizzare. Costituisce la più semplice fra le lavorazioni e gli oggetti prodotti sono pezzi unici, tutti diversi fra loro. L’artigiano può esprimere liberamente la propria creatività.
La seconda tecnica utilizza il tornio veloce ed è la più utilizzata. Si producono manufatti in serie con la possibilità per l’artigiano di eseguire delle piccole modifiche durante la lavorazione. Nella realizzazione delle statuette viene fatto prima il corpo a forma di campana e poi vengono aggiunti a mano tutti i particolari: venivano prodotte delle pastigliette di argilla (pastillàge) e poi applicate al corpo di terracotta per realizzare braccia, gambe o testa. Occhi e bocca sono incisi.
La terza tecnica è quella a matrice. Su un primo esemplare eseguito a mano con molta cura, il prototipo, venivano costruiti due stampi in negativo per la parte anteriore e per quella posteriore. I negativi venivano cotti e il prodotto finale consentiva di realizzare tutti gli altri manufatti. Nella parte interna dei due negativi della matrice si applicava una placca in argilla e si attaccavano i due pezzi con un po’ di argilla semiliquida. Quando il manufatto si essiccava veniva estratto dalla matrice ed era pronto. Con questa tecnica si potevano realizzare un gran numero di oggetti tutti uguali, fino a quando la matrice era integra.
A Isla Plana abbiamo l’attestazione di tutte le tre tecniche. Le più antiche sono quelle del terzo tipo, a matrice, datate alla fine del VII a.C. Si tratta di statuette femminili nude che rimandano alla tradizione cipriota e di statuette di stile egittizzante, incedenti. Un’altra categoria è la produzione di personaggi che stanno a letto, forse a rappresentare un culto salutifero, una dedica di persone ammalate che chiedono di guarire o ringraziano per essere guariti.
Cueva d’es Cuyeram
Un altro contesto importante dell’isola di Ibiza è il santuario rupestre denominato Cueva d’es Cuyeram, ubicato sulla costa orientale. Si tratta di un raro esempio di culto in grotta nel mondo punico e si riferisce ad una divinità femminile. La grotta è piccola, misura 8 metri di lunghezza, ed è composta da tre ambienti successivi, uno dei quali è costruito anteriormente, nell’ingresso. Presenta una cisterna con molti materiali votivi in terracotta dedicati alla divinità. La grotta, datata fra il IV e il II a.C., è stata individuata nel 1907 ed è dedicata a Tanìt perché sono state trovate 600 terrecotte con busto femminile che presenta un mantello caratteristico che evoca le ali ripiegate sul busto. Le ali sono il simbolo di una divinità femminile egiziana, Iside, e abbiamo già visto che le divinità mediterranee orientali assumono spesso i caratteri iconografici delle divinità egiziane. Sono state individuate anche divinità femminili in trono e altre con caratteri tipici di una divinità greca, Demetra, con la torcia o il maialino o la colomba o la melagrana. Quindi una Tanìt rappresentata con caratteri egizi e greci. Una tipica terracotta punica è il Kernophoros, costituita da un busto femminile con caratteristiche greche e in testa il kern, una sorta di cesto o vaschetta. È un vaso rituale utilizzato come bruciaprofumi, molto diffuso in età ellenistica e legato al culto di Demetra.
Sono state recuperate inoltre due placchette metalliche con iscrizioni dedicatorie. Una del II a.C. con Tanìt, l’altra è del IV a.C. ed è dedicata a Reshef-Melqart, quindi una doppia denominazione, la prima orientale salutifera, la seconda proveniente da Tiro e legata alla regalità.
Ibiza dunque assume in epoca punica una grande importanza, mentre in età arcaica la prevalenza della civiltà mediterranea era nella Spagna Atlantica. Il legame artigianale, architettonico e culturale di Ibiza con Cartagine era forte ma non abbiamo fonti che citano una conquista da parte della città africana.
È ubicata nell’arcipelago delle attuali isole Baleari, di fronte alla Catalogna. Le isole sono 4: Maiorca, Minorca, Ibiza e Formentera ma in antico avevano un nome diverso. Le Baleares erano Maiorca e Minorca, mentre Ibiza e Formentera si chiamavano Pityuse.
Le Baleares sono interessate solo episodicamente dalla presenza punica nel senso che la presenza indigena era forte. Il controllo del territorio era in mano ai Talayotici e i rapporti erano quasi esclusivamente commerciali.
Ad Ibiza invece si nota la presenza della civiltà mediterranea. Provengono da Occidente, in particolare da Cadice e dall’area Andalusa e il loro arrivo si data intorno al 630 a.C. perché le rotte da oriente verso occidente, a causa dei venti e delle correnti, non incrociano le isole dell’arcipelago.
Ci si chiede perché la presenza mediterranea ad Ibiza sia così tarda e l’ipotesi più attendibile è che la colonia sia servita come base d’appoggio per uno sviluppo del commercio verso la costa Catalana. Gli insediamenti più antichi dell’isola sono due: Sa Caleta, sulla costa meridionale, e la città di Ibiza. Vi sono anche altri insediamenti ma sono decisamente più piccoli.
Nell’isola c’è il bilinguismo: la toponomastica è in casigliano ma la lingua parlata è il catalano. Il centro Sa Caleta è ubicato su un piccolo promontorio ed è caratterizzato dalla presenza di case semplici monocellulari non organizzate che nella prima fase erano costituite da un unico ambiente che presentava uno zoccolo in pietre non squadrate alla base, pavimenti in terra battuta e alzato in mattoni crudi. In una seconda fase, alla fine del VII a.C., le strutture vengono ampliate e suddivise all’interno con l’aggiunta di altri ambienti.
Nei testi non moderni l’insediamento di Sa Caleta pareva essere stato abbandonato a favore di Ibiza, oggi si propende per la contemporaneità. Il sito è databile 630-580 a.C. e le ultime analisi hanno mostrato una provenienza di materiali dall’andalusia mediterranea, che si spingeva verso occidente per il commercio verso le zone catalane. Fu scavato da Juàn Ramòn che individuò varie fasi. Probabilmente c’era un’attività metallurgica, perché sono state trovate scorie di fusione, ma intorno al 580 a.C. l’insediamento venne abbandonato perché la zona non presentava possibilità di ampliamento urbanistico. Nello stesso periodo la città di Ibiza era già fondata e parte degli abitanti di Sa Caleta si spostarono nel centro aumentandone la prosperità. Ancora oggi è la città principale dell’isola e l’urbanizzazione rende difficile ricostruire i fatti.
Ibiza città
L’abitato di Ibiza si trova nella parte alta della città attuale, quella occupata dal quartiere medievale. Solo pochi cocci arcaici sono stati ritrovati e non abbiamo strutture riferite alla città vera e propria. L’area che ha restituito il maggior numero di materiali è quella della necropoli, all’esterno delle mura del quartiere medievale. Si chiama Puig d’es Molins e la zona più interessante è denominata Can Partìt, caratterizzata da tombe arcaiche ad incinerazione con deposizione primaria e secondaria, che dimostrano che l’abitato fu fondato intorno al 630 a.C. Le più antiche sono proprio quelle a incinerazione secondaria, con i corpi che venivano bruciati in un ustrinum e poi raccolti e deposti nell’urna all’interno di una fossa.
Le tombe di Can Partìt possono essere cavità nella roccia, cavità naturali o fosse artificiali. La forma è ovale o circolare e il defunto era deposto all’interno di urne (di incinerazione secondaria) o direttamente nella fossa (incinerazione primaria). In quest’ultimo caso sono un po’ più grandi e presentano tracce di bruciatura. Sono piccole e semplici e per accedere all’interno possono avere un canale longitudinale o delle riseghe ai lati in caso di tombe a pozzo, cioè verticali, per la copertura.
A Puig d’es Molins troviamo una delle più grandi necropoli puniche del Mediterraneo Occidentale, conteneva 7000 tombe ed è stata salvata e musealizzata. A differenza dell’area Andalusa, nella quale i centri sono praticamente scomparsi improvvisamente nel VI a.C., ad Ibiza abbiamo una fase punica molto sviluppata. La città di Ibiza è nota nelle fonti per una notizia riportata da Diodoro Siculo (rivelatasi infondata): nel 654 a.C. Cartagine fondò Ibiza, ma in quel periodo non abbiamo tracce di presenza mediterranea o punica. Le prime fondazioni sono di provenienza occidentale, come è dimostrato dalle analisi archeometriche sulle ceramiche dove si è stabilita una provenienza dalla zona di Malaka, anche se Cartagine sicuramente ebbe una certa influenza. Dal 500 a.C. invece il territorio di Ibiza è fortemente controllato da Cartagine e le manifestazioni più evidenti sono nella necropoli. Purtroppo gli scavi, clandestini e non, sono stati eseguiti nella prima metà del 1900 con tecniche e mezzi che hanno determinato la perdita dei contesti di rinvenimento delle migliaia di reperti contenuti nelle tombe. La necropoli è visibile in superficie ed è simile alla situazione di Cagliari e Tharros, con una serie di tombe affiancate con imboccatura rettangolare scavate nella roccia tenera, arenaria o calcare, che poi si sviluppano in profondità. Il vano d’accesso poteva avere una rampa obliqua o un pozzetto verticale, in questo caso sono denominate tombe a pozzo. A volte hanno il vano d’accesso a scalini, le cosiddette tombe a dromos. La camera delle tombe puniche ha generalmente un livello più basso rispetto al vano di accesso per avere migliore protezione da eventuali scavi. Nelle tombe a pozzo ci sono le pedarole, ossia incavi ovali posti sui lati lunghi per consentire ai fossaroli di scendere fino alla camera di sepoltura.
I defunti potevano essere deposti sul piano della tomba o all’interno di bare lignee che non si sono conservate, tuttavia sono stati trovati chiodi in ferro o in bronzo ai lati del defunto, o all’interno di sarcofagi monolitici coperti da lastre litiche. La sepoltura di piena età punica (V e IV a.C.) prevedeva sempre l’inumazione del defunto in posizione supina con le braccia distese lungo i fianchi o poste sul petto. Vicino ai resti c’era il corredo con gioielli, oggetti personali, amuleti e qualche piccolo vaso per unguenti e sostanze balsamiche. Il rito di incinerazione viene reintrodotto solo in età ellenistica.
Nei siti scavati nei banconi rocciosi (Ibiza, Cagliari, Sulci, Nora, Tharros, Cartagine, Lilibeo, Solunto, Palermo) troviamo sempre tombe parallelepipede.
Un altro sito interessante si trova a Isla Plana, di fronte alla città di Ibiza. Agli inizi del 1900 è stato trovato un botros (una favissa), cioè un pozzetto all’interno del quale si trovavano terrecotte votive riconducibili ad un santuario che risale al VII a.C., e sono state ritrovate sparse vicine alla favissa.
La maggior parte delle ceramiche è realizzata al tornio con forme diverse del corpo (sono simili a quelle di Bithia in Sardegna) e si datano su base stilistica perché i ritrovamenti sono sempre in favisse: a campana con le braccia ripiegate al petto (VI a.C.), a campana con lucerna in testa (V a.C.) e ovoide (IV a.C.); attorno sono state trovate delle ceramiche realizzate a stampo, più antiche, databili intorno al 620-580 a.C. di chiara matrice orientale o cipriota.
I manufatti votivi raramente si trovano in strato perché venivano periodicamente ritirati dai sacerdoti, per fare spazio alle nuove offerte, ed erano seppelliti vicino al tempio. Quindi nella stessa favissa venivano a trovarsi statuette di diversa fattura tecnica e noi, per la datazione, conosciamo solo il momento dell’ultima deposizione che poteva essere anche di diversi secoli successiva.
Ci sono tre tecniche per realizzare le terrecotte.
La prima prevede la lavorazione a mano da parte dell’artigiano che modella direttamente sull’argilla la forma dell’oggetto che vuole realizzare. Costituisce la più semplice fra le lavorazioni e gli oggetti prodotti sono pezzi unici, tutti diversi fra loro. L’artigiano può esprimere liberamente la propria creatività.
La seconda tecnica utilizza il tornio veloce ed è la più utilizzata. Si producono manufatti in serie con la possibilità per l’artigiano di eseguire delle piccole modifiche durante la lavorazione. Nella realizzazione delle statuette viene fatto prima il corpo a forma di campana e poi vengono aggiunti a mano tutti i particolari: venivano prodotte delle pastigliette di argilla (pastillàge) e poi applicate al corpo di terracotta per realizzare braccia, gambe o testa. Occhi e bocca sono incisi.
La terza tecnica è quella a matrice. Su un primo esemplare eseguito a mano con molta cura, il prototipo, venivano costruiti due stampi in negativo per la parte anteriore e per quella posteriore. I negativi venivano cotti e il prodotto finale consentiva di realizzare tutti gli altri manufatti. Nella parte interna dei due negativi della matrice si applicava una placca in argilla e si attaccavano i due pezzi con un po’ di argilla semiliquida. Quando il manufatto si essiccava veniva estratto dalla matrice ed era pronto. Con questa tecnica si potevano realizzare un gran numero di oggetti tutti uguali, fino a quando la matrice era integra.
A Isla Plana abbiamo l’attestazione di tutte le tre tecniche. Le più antiche sono quelle del terzo tipo, a matrice, datate alla fine del VII a.C. Si tratta di statuette femminili nude che rimandano alla tradizione cipriota e di statuette di stile egittizzante, incedenti. Un’altra categoria è la produzione di personaggi che stanno a letto, forse a rappresentare un culto salutifero, una dedica di persone ammalate che chiedono di guarire o ringraziano per essere guariti.
Cueva d’es Cuyeram
Un altro contesto importante dell’isola di Ibiza è il santuario rupestre denominato Cueva d’es Cuyeram, ubicato sulla costa orientale. Si tratta di un raro esempio di culto in grotta nel mondo punico e si riferisce ad una divinità femminile. La grotta è piccola, misura 8 metri di lunghezza, ed è composta da tre ambienti successivi, uno dei quali è costruito anteriormente, nell’ingresso. Presenta una cisterna con molti materiali votivi in terracotta dedicati alla divinità. La grotta, datata fra il IV e il II a.C., è stata individuata nel 1907 ed è dedicata a Tanìt perché sono state trovate 600 terrecotte con busto femminile che presenta un mantello caratteristico che evoca le ali ripiegate sul busto. Le ali sono il simbolo di una divinità femminile egiziana, Iside, e abbiamo già visto che le divinità mediterranee orientali assumono spesso i caratteri iconografici delle divinità egiziane. Sono state individuate anche divinità femminili in trono e altre con caratteri tipici di una divinità greca, Demetra, con la torcia o il maialino o la colomba o la melagrana. Quindi una Tanìt rappresentata con caratteri egizi e greci. Una tipica terracotta punica è il Kernophoros, costituita da un busto femminile con caratteristiche greche e in testa il kern, una sorta di cesto o vaschetta. È un vaso rituale utilizzato come bruciaprofumi, molto diffuso in età ellenistica e legato al culto di Demetra.
Sono state recuperate inoltre due placchette metalliche con iscrizioni dedicatorie. Una del II a.C. con Tanìt, l’altra è del IV a.C. ed è dedicata a Reshef-Melqart, quindi una doppia denominazione, la prima orientale salutifera, la seconda proveniente da Tiro e legata alla regalità.
Ibiza dunque assume in epoca punica una grande importanza, mentre in età arcaica la prevalenza della civiltà mediterranea era nella Spagna Atlantica. Il legame artigianale, architettonico e culturale di Ibiza con Cartagine era forte ma non abbiamo fonti che citano una conquista da parte della città africana.
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