giovedì 8 luglio 2010
Phoenike - Fenici in Sicilia - Lilibeo - Marsala
Lilibeo - Marsala
I moziesi nel 397 a.C. si trasferirono di fronte, sul Capo Boero e impiantarono una città, denominata Lilibeo, oggi Marsala. C’è una poderosa cinta muraria che circonda la città: resistette all’attacco di Pirro nel 276 a.C. e all’attacco romano successivo. É una città fortificata che non venne mai conquistata. Furono i cartaginesi nel 241 a.C. a cederla ai romani quando la guerra fu persa. Oggi rimangono le fortificazioni, la necropoli e qualche traccia del porto.
Il porto era strutturato in due settori: uno esterno con moli lignei e uno interno, più protetto e dotato di fondale molto basso che solo gli esperti marinai del luogo potevano raggiungere, infatti sul fondo dello stagno era stato scavato un canale che consentiva solo a chi lo conosceva di giungere al porto interno senza arenarsi.
Le fortificazioni erano trapezoidali e correvano in modo rettilineo su tre lati, mentre sul lato a mare seguivano l’andamento della costa. Sono ben visibili: nell’area di porta Trapani ci sono mura possenti a doppio paramento parallelo, spesse 6 metri, costituite da blocchi squadrati messi in opera a secco resistenti sia agli arieti che ai minatori, i guerrieri che realizzavano gallerie sotto le mura per farle crollare dalle fondamenta. Erano mura resistenti e si economizzò sulla manodopera perché solo i paramenti esterni erano lavorati: ciò che non era a vista veniva riempito con pietrame e materiale di risulta. A distanza regolare vi erano torri quadrangolari aggettanti, vicine alle porte e alle postierle. Un fossato d’acqua largo 28 metri e posto a 30 metri di distanza dalle mura costituiva un’ulteriore barriera per gli eventuali invasori. Evitava che i minatori e gli arieti potessero giungere sotto le fortificazioni.
In tempo di pace c’erano ponti mobili, posti su sostegni, e in caso di guerra varie gallerie consentivano ai soldati a cavallo di effettuare attacchi a sorpresa. Anche a Lilibeo c’è la presenza di un merlo a coronatura della cinta. Non abbiamo tracce di abitato della Lilibeo punica, sono state ritrovate solo quelle di età romana e offrono pochissimi dati perché la città antica si trova sotto la Marsala moderna. Sono documentati ambienti che mostrano l’utilizzo di tecniche che caratterizzano l’architettura punica: pavimenti in cocciopisto e muri a telaio, quelli tipici delle unità abitative. Anche i romani accolsero la tecnica del muro a telaio, con pilastri costruiti con blocchi di pietra posti a distanza regolare che sostenevano l’architettura. Fra i pilastri si inserivano paramenti di struttura muraria con pietrame di piccola pezzatura cementata con malta di fango. Si risparmiava sulla manodopera e sul materiale.
Lungo la costa abbiamo tracce di attività artigianale e nel cortile del museo di Lilibeo (Baglio Anselmi) è stato individuato un forno ceramico (visibile grazie ad una tenso-struttura) di età ellenistica, di forma circolare, del tipo nel quale il muretto centrale era sostituito dal pilastro di sostegno.
Le tracce archeologiche maggiori di Lilibeo provengono dalle necropoli a nord-est, fuori dalle mura della città. Sono documentate da scavi, resi possibili per la minore urbanizzazione di quella zona. Sono del IV a.C. ma continuano in epoche successive fino ai romani. Le tombe più caratteristiche sono a camera, come quelle di Tuvixeddu e Cartagine, con pozzo verticale a pianta rettangolare su cui si affacciano una o due camere sui lati brevi. Nelle pareti si notano pedarole per la discesa e riseghe per poggiare la copertura a lastre. Le riseghe sono generalmente due: una posizionata a circa 2 m di profondità, l’altra più in basso, in corrispondenza della camera. Le riseghe di Lilibeo, a differenza del resto del mondo punico mediterraneo, hanno una funzionalità: sono utilizzate per chiudere la tomba. Il pozzo, dopo la deposizione, veniva lasciato vuoto, a differenza di Cagliari e Cartagine dove veniva riempito con terra. La tomba era poi sigillata con un chiusino in pietra. Sono tombe familiari e sono state ritrovate bare lignee, senza sarcofagi. Le più diffuse sono le tombe a fossa: a causa del fatto che le camere sotto erano più di una, si trovano ad una certa distanza fra loro e in mezzo ci sono piccole fosse con deposizioni individuali, spesso con rito di inumazione. Meno frequenti sono le deposizioni a incinerazione in urne. Altro tipo è quello a cassone litico con lastre infilate nel terreno che formano il luogo della deposizione. Molto caratteristica la produzione di età romana con strutture intonacate dipinte che hanno ancora i segni punici con Tanìt e caduceo, con il defunto sdraiato raffigurato nell’edicola.
In una decina di casi abbiamo camere duplicate, opposte, che si aprono sui lati brevi del pozzo. Le più diffuse sono le tombe a fossa parallelepipeda scavata nella roccia che ospitano inumazioni con defunti posti in posizione supina con le mani lungo i fianchi o sul petto. A volte le deposizioni sono entro enchitrismòi, cioè grandi vasi da trasporto tagliati in due in senso verticale o orizzontale. Queste tombe sono più frequenti in età ellenistica (IV-III a.C.) ma ci sono dei casi che arrivano fino all’età bizantina. In queste tombe, generalmente usate per la sepoltura dei bambini, il corredo è quasi sempre assente e la deposizione è ad incinerazione secondaria. Per la copertura si utilizzano lastre, a volte a doppio spiovente. Altre tombe sono quelle ad incinerazione scavate nella roccia in cavità di forma regolare, spesso ovoidale, che ospitano l’urna con i resti incinerati del defunto che era stato bruciato da un’altra parte, in un ustrinum. I resti sono deposti in pentole simili a quelle usate per la cottura dei cibi. É un usanza che troviamo in età ellenistica ma anche in età romana repubblicana. Un altro tipo è quello delle tombe a cassone con la particolarità che i cassoni ospitano spesso incinerati con deposizione primaria, si capisce dalle tracce di bruciato sulle pareti del cassone. L’ultimo tipo è quello della semplice fosse scavata nella terra, che si afferma dal 150 a.C. In queste abbiamo incinerazioni primarie, qualche incinerazione secondaria e molte inumazioni.
A Lilibeo abbiamo anche attestazioni di cippi funerari. Un cippo antropoide rinvenuto all’interno di una tomba a fossa del IV a.C. presenta un corpo rozzo e il volto in cui sono tratteggiati i segni anatomici. Abbiamo anche 15 stele ad edicola di provenienza sconosciuta che mostrano la persistenza di simboli punici pur essendo di età più tarda. Sono cippi di tipo greco riferiti ad età repubblicana e imperiale. Al centro della nicchia vi è la rappresentazione del defunto sdraiato circondato da una serie di oggetti e personaggi legati alla sua vita. Tutto intorno ci sono elementi decorativi simbolici: vegetali, Tanìt, caducei, altari brucia profumo, iscrizioni, melegrane, tutto intonacato e dipinto.
Possiamo ipotizzare un tophet per il ritrovamento di stele nella zona “Timpòne di S.Antonio”. Sono simili a quelle cartaginesi di Tanìt 3, con sommità triangolare e acroteri. Le incisioni riportano una falce lunare, un altare con tre bètili, un sacerdote davanti ad un incensiere (caratteristico orientale a corolle rovesciate), un simbolo di Tanìt con le braccia alzate e la solita dedica a Baal-Ammon “perché ha ascoltato la sua voce e lo benedica”. Il tipo di stele più numeroso è quello a edicola di tipo classico con all’interno personaggi femminili abbigliati alla maniera greca, con le mani rivolte in alto a compiere dei riti davanti all’incensiere. Sono datate IV-III a.C. Altre 6 stele si riferiscono ad un tophet, ma a Lilibeo non è ancora stato trovato e pensiamo possa essere anche a Mozia. Una di esse è piatta, lavorata ad incisione, con sommità a timpano e acroteri laterali, con una cornice suddivisa su due piani: al piano inferiore c’è l’iscrizione e a quello superiore c’è la rappresentazione figurata. L’iscrizione recita: “Al Signore Baal Ammon dedica di…figlio di…figlio di…perché ha ascoltato la sua voce”. Nella parte superiore abbiamo i soliti personaggi con la mano alzata in segno di saluto. Nelle stele con schema greco abbiamo l’edicola, non più egittizzante, con personaggi vestiti alla greca e con in mano oggetti per il rituale davanti a caduceo, brucia profumo e Tanìt.
Nel mare è stato rinvenuto il relitto di una nave lunga 34 m, larga 5 m, con una stazza di 120 tonnellate, impiegata nella II guerra punica all’inizio del III a.C., con una sola fila di rematori. É una nave punica (visibile al Baglio Anselmi a Mozia) in quanto sono impresse nel legname delle lettere puniche che servivano per l’assemblaggio dei vari pezzi che venivano realizzati separatamente. Non conteneva armamenti ma solo resti di alimenti conservati per l’equipaggio (uccelli, bovini, ovini, cavalli, daini, suini e caprini), resti vegetali (mandorle, olive e noci), contenitori di vino e resti di hashish, una sostanza molto diffusa anche a quei tempi.
I moziesi nel 397 a.C. si trasferirono di fronte, sul Capo Boero e impiantarono una città, denominata Lilibeo, oggi Marsala. C’è una poderosa cinta muraria che circonda la città: resistette all’attacco di Pirro nel 276 a.C. e all’attacco romano successivo. É una città fortificata che non venne mai conquistata. Furono i cartaginesi nel 241 a.C. a cederla ai romani quando la guerra fu persa. Oggi rimangono le fortificazioni, la necropoli e qualche traccia del porto.
Il porto era strutturato in due settori: uno esterno con moli lignei e uno interno, più protetto e dotato di fondale molto basso che solo gli esperti marinai del luogo potevano raggiungere, infatti sul fondo dello stagno era stato scavato un canale che consentiva solo a chi lo conosceva di giungere al porto interno senza arenarsi.
Le fortificazioni erano trapezoidali e correvano in modo rettilineo su tre lati, mentre sul lato a mare seguivano l’andamento della costa. Sono ben visibili: nell’area di porta Trapani ci sono mura possenti a doppio paramento parallelo, spesse 6 metri, costituite da blocchi squadrati messi in opera a secco resistenti sia agli arieti che ai minatori, i guerrieri che realizzavano gallerie sotto le mura per farle crollare dalle fondamenta. Erano mura resistenti e si economizzò sulla manodopera perché solo i paramenti esterni erano lavorati: ciò che non era a vista veniva riempito con pietrame e materiale di risulta. A distanza regolare vi erano torri quadrangolari aggettanti, vicine alle porte e alle postierle. Un fossato d’acqua largo 28 metri e posto a 30 metri di distanza dalle mura costituiva un’ulteriore barriera per gli eventuali invasori. Evitava che i minatori e gli arieti potessero giungere sotto le fortificazioni.
In tempo di pace c’erano ponti mobili, posti su sostegni, e in caso di guerra varie gallerie consentivano ai soldati a cavallo di effettuare attacchi a sorpresa. Anche a Lilibeo c’è la presenza di un merlo a coronatura della cinta. Non abbiamo tracce di abitato della Lilibeo punica, sono state ritrovate solo quelle di età romana e offrono pochissimi dati perché la città antica si trova sotto la Marsala moderna. Sono documentati ambienti che mostrano l’utilizzo di tecniche che caratterizzano l’architettura punica: pavimenti in cocciopisto e muri a telaio, quelli tipici delle unità abitative. Anche i romani accolsero la tecnica del muro a telaio, con pilastri costruiti con blocchi di pietra posti a distanza regolare che sostenevano l’architettura. Fra i pilastri si inserivano paramenti di struttura muraria con pietrame di piccola pezzatura cementata con malta di fango. Si risparmiava sulla manodopera e sul materiale.
Lungo la costa abbiamo tracce di attività artigianale e nel cortile del museo di Lilibeo (Baglio Anselmi) è stato individuato un forno ceramico (visibile grazie ad una tenso-struttura) di età ellenistica, di forma circolare, del tipo nel quale il muretto centrale era sostituito dal pilastro di sostegno.
Le tracce archeologiche maggiori di Lilibeo provengono dalle necropoli a nord-est, fuori dalle mura della città. Sono documentate da scavi, resi possibili per la minore urbanizzazione di quella zona. Sono del IV a.C. ma continuano in epoche successive fino ai romani. Le tombe più caratteristiche sono a camera, come quelle di Tuvixeddu e Cartagine, con pozzo verticale a pianta rettangolare su cui si affacciano una o due camere sui lati brevi. Nelle pareti si notano pedarole per la discesa e riseghe per poggiare la copertura a lastre. Le riseghe sono generalmente due: una posizionata a circa 2 m di profondità, l’altra più in basso, in corrispondenza della camera. Le riseghe di Lilibeo, a differenza del resto del mondo punico mediterraneo, hanno una funzionalità: sono utilizzate per chiudere la tomba. Il pozzo, dopo la deposizione, veniva lasciato vuoto, a differenza di Cagliari e Cartagine dove veniva riempito con terra. La tomba era poi sigillata con un chiusino in pietra. Sono tombe familiari e sono state ritrovate bare lignee, senza sarcofagi. Le più diffuse sono le tombe a fossa: a causa del fatto che le camere sotto erano più di una, si trovano ad una certa distanza fra loro e in mezzo ci sono piccole fosse con deposizioni individuali, spesso con rito di inumazione. Meno frequenti sono le deposizioni a incinerazione in urne. Altro tipo è quello a cassone litico con lastre infilate nel terreno che formano il luogo della deposizione. Molto caratteristica la produzione di età romana con strutture intonacate dipinte che hanno ancora i segni punici con Tanìt e caduceo, con il defunto sdraiato raffigurato nell’edicola.
In una decina di casi abbiamo camere duplicate, opposte, che si aprono sui lati brevi del pozzo. Le più diffuse sono le tombe a fossa parallelepipeda scavata nella roccia che ospitano inumazioni con defunti posti in posizione supina con le mani lungo i fianchi o sul petto. A volte le deposizioni sono entro enchitrismòi, cioè grandi vasi da trasporto tagliati in due in senso verticale o orizzontale. Queste tombe sono più frequenti in età ellenistica (IV-III a.C.) ma ci sono dei casi che arrivano fino all’età bizantina. In queste tombe, generalmente usate per la sepoltura dei bambini, il corredo è quasi sempre assente e la deposizione è ad incinerazione secondaria. Per la copertura si utilizzano lastre, a volte a doppio spiovente. Altre tombe sono quelle ad incinerazione scavate nella roccia in cavità di forma regolare, spesso ovoidale, che ospitano l’urna con i resti incinerati del defunto che era stato bruciato da un’altra parte, in un ustrinum. I resti sono deposti in pentole simili a quelle usate per la cottura dei cibi. É un usanza che troviamo in età ellenistica ma anche in età romana repubblicana. Un altro tipo è quello delle tombe a cassone con la particolarità che i cassoni ospitano spesso incinerati con deposizione primaria, si capisce dalle tracce di bruciato sulle pareti del cassone. L’ultimo tipo è quello della semplice fosse scavata nella terra, che si afferma dal 150 a.C. In queste abbiamo incinerazioni primarie, qualche incinerazione secondaria e molte inumazioni.
A Lilibeo abbiamo anche attestazioni di cippi funerari. Un cippo antropoide rinvenuto all’interno di una tomba a fossa del IV a.C. presenta un corpo rozzo e il volto in cui sono tratteggiati i segni anatomici. Abbiamo anche 15 stele ad edicola di provenienza sconosciuta che mostrano la persistenza di simboli punici pur essendo di età più tarda. Sono cippi di tipo greco riferiti ad età repubblicana e imperiale. Al centro della nicchia vi è la rappresentazione del defunto sdraiato circondato da una serie di oggetti e personaggi legati alla sua vita. Tutto intorno ci sono elementi decorativi simbolici: vegetali, Tanìt, caducei, altari brucia profumo, iscrizioni, melegrane, tutto intonacato e dipinto.
Possiamo ipotizzare un tophet per il ritrovamento di stele nella zona “Timpòne di S.Antonio”. Sono simili a quelle cartaginesi di Tanìt 3, con sommità triangolare e acroteri. Le incisioni riportano una falce lunare, un altare con tre bètili, un sacerdote davanti ad un incensiere (caratteristico orientale a corolle rovesciate), un simbolo di Tanìt con le braccia alzate e la solita dedica a Baal-Ammon “perché ha ascoltato la sua voce e lo benedica”. Il tipo di stele più numeroso è quello a edicola di tipo classico con all’interno personaggi femminili abbigliati alla maniera greca, con le mani rivolte in alto a compiere dei riti davanti all’incensiere. Sono datate IV-III a.C. Altre 6 stele si riferiscono ad un tophet, ma a Lilibeo non è ancora stato trovato e pensiamo possa essere anche a Mozia. Una di esse è piatta, lavorata ad incisione, con sommità a timpano e acroteri laterali, con una cornice suddivisa su due piani: al piano inferiore c’è l’iscrizione e a quello superiore c’è la rappresentazione figurata. L’iscrizione recita: “Al Signore Baal Ammon dedica di…figlio di…figlio di…perché ha ascoltato la sua voce”. Nella parte superiore abbiamo i soliti personaggi con la mano alzata in segno di saluto. Nelle stele con schema greco abbiamo l’edicola, non più egittizzante, con personaggi vestiti alla greca e con in mano oggetti per il rituale davanti a caduceo, brucia profumo e Tanìt.
Nel mare è stato rinvenuto il relitto di una nave lunga 34 m, larga 5 m, con una stazza di 120 tonnellate, impiegata nella II guerra punica all’inizio del III a.C., con una sola fila di rematori. É una nave punica (visibile al Baglio Anselmi a Mozia) in quanto sono impresse nel legname delle lettere puniche che servivano per l’assemblaggio dei vari pezzi che venivano realizzati separatamente. Non conteneva armamenti ma solo resti di alimenti conservati per l’equipaggio (uccelli, bovini, ovini, cavalli, daini, suini e caprini), resti vegetali (mandorle, olive e noci), contenitori di vino e resti di hashish, una sostanza molto diffusa anche a quei tempi.
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