martedì 16 maggio 2017
Archeologia. I cosiddetti pugilatori di Monte Prama, guerrieri nuragici. Riflessioni di Pierluigi Montalbano
Archeologia.
I cosiddetti pugilatori di Monte Prama, guerrieri nuragici.
Riflessioni
di Pierluigi Montalbano
(Statua Monte Prama - Bronzetto Dorgali - Daniele Carta)
Nell’età
del Bronzo, i grandi imperi combattevano fra loro con utilizzo di eserciti e
carri. Conosciamo le modalità di guerra grazie ai resoconti trovati nei
palazzi, soprattutto la contabilità riguardante la quantità di risorse
investite e il costo di mantenimento di guerrieri e carri, ma sfugge il ruolo
della fanteria, spesso assoldata in situazioni contingenti d’emergenza e,
quindi, poco addestrata. A volte le guerre non venivano combattute e i sovrani
si limitavano a mostrare i muscoli: l’armata più attrezzata convinceva il
nemico ad arrendersi senza spargimento di sangue. Tuttavia c’è un dato
importante su cui riflettere: quando le guerre si combattevano nella stagione della
semina o del raccolto, il costo da pagare per l’allontanamento dai campi della
forza lavoro che si dedicava all’agricoltura era alto. Nel suo “The end of the
Bronze Age” lo studioso R. Drews assegna alla fanteria alcuni compiti importanti
come l’inseguimento dei nemici su terreni dove i carri non transitavano, la
difesa notturna degli accampamenti e l’assedio. Tuttavia, i più grandi eserciti
dell’epoca, egizi ed ittiti, erano composti quasi totalmente da fanti armati
alla leggera, e questi costituivano il nucleo forte nei campi di battaglia
visto che i carri combattevano solo nelle pianure. Così, ci si rende conto che
pur se la fanteria era un elemento subordinato e, probabilmente, i suoi
componenti erano poco addestrati e sottopagati, il loro
apporto in battaglia
era determinante. Naturalmente, fra i militari c'erano anche fanti addestratissimi che conoscevano le tecniche di combattimento corpo a corpo, e addestratori che mantenevano costantemente in forma i soldati professionisti. Verosimilmente, il primo scontro di una battaglia era quello
fra i guerrieri sul carro, mentre la fanteria avanzava alle loro spalle per
cercar di sfruttare una possibile apertura nei ranghi nemici per dividere lo
schieramento. In una tomba egizia, a Saqqara, risalente al periodo amarniano,
si notano alcune raffigurazioni dell’addestramento dei carristi affiancato da guerrieri
a piedi e armati alla leggera, denominati PHRR, una parola che in egizio
significava “uomini che corrono”. Partecipano alle battaglie con funzione di
protezione dei cavalli, correndo accanto ai carri per contrastare i nemici e
uccidere i feriti rivali nel campo di battaglia.
(Pierluigi Montalbano e Daniele Carta - Foto di Fabio Murru)
Nella
battaglia di Qadesh, questi corridori sono attestati anche fra gli ittiti. Mentre non si
rileva la loro presenza nei testi di Ugarit, nei documenti ritrovati a Nuzi, un
centro del regno di Mitanni del XIV a.C., si parla degli AHU, fanti scelti per
le loro doti di combattenti che affiancano i carri da guerra con funzioni di
attacco e difesa. Per quanto riguarda la Sardegna, ritengo che i personaggi che
Lilliu classifica come pugilatori nel suo libro del 1966 "Sculture della
Sardegna Nuragica", e che i nuragici scolpirono fra le tre tipologie di
guerrieri di Monte Prama (sculture a tutto tondo di eroi, realizzate intorno al IX secolo a.C.), siano in realtà corridori, i guerrieri dei popoli del
mare con funzioni particolari che contribuirono nel 1200 a.C. alla caduta dei
grandi imperi del passato. Il torso è nudo e i lombi cinti da un breve
gonnellino svasato posteriormente a “V” dove si percepiscono i lacci che lo
tenevano legato, raffigurati con cordoncini a bassissimo rilievo. Il capo è
rivestito da una calotta liscia i cui due lembi ricadono ai lati del collo, al
di sotto della quale escono le lunghe trecce. Il braccio destro è rivestito da
una guaina in cuoio che parte dal gomito e il pugno impugna una sorta di maglio
metallico. Il braccio sinistro tiene lo scudo a coprire il capo da oggetti
scagliati dall’alto come avviene in battaglia. Lo scudo è di forma ellissoidale
e doveva essere composto da cuoio o giunco intrecciato. Verosimilmente, nelle
battaglie affiancavano gli arcieri e si lanciavano sul nemico moribondo per
finirlo fracassandogli la testa col maglio metallico impugnato.
L’equipaggiamento leggerissimo, costituito da un semplice perizoma, li
avvantaggiava nei movimenti contro i nemici abbigliati con vestiario pesante o
comunque ingombrante tipico di chi combatte sui carri. Con i loro dettagli
raffinati come mani, pugni e corazze, possiamo affiancare queste statue di
Monte Prama agli incantevoli bronzetti (databili al Primo Ferro, circa il IX a.C.) raffiguranti arcieri, guerrieri e
corridori, realizzati dai sardi con il metodo della cera persa e che misurano
appena 10-15 centimetri. Per scoprire il loro ruolo è necessario capire come si
combatte nel mondo antico. Probabilmente il fulcro di una tipica battaglia del
Bronzo era la carica di due aurighi, uno contro l’altro. Erano centinaia e i
guerrieri sui carri disponevano di armamento pesante. La loro arma principale
era l’arco composito, dunque i combattimenti erano sempre a lungo raggio.
Naturalmente, una volta colpito il bersaglio e fermato il carro nemico,
qualcuno doveva andare ad uccidere l’equipaggio.
È in questa fase che entravano
in gioco i “corridori”, ingaggiati per terminare l’opera nelle battaglie
iniziate dai carri. Tutte le grandi civiltà, dai minoici agli ittiti,
sopravvivono a pestilenze, carestie e terremoti, ma soccombono ad un nemico in
carne e ossa, una misteriosa armata di barbari chiamata “coalizione dei popoli
del mare”. Questi invasori non hanno carri da guerra né armature, ma capiscono
come combattere contro gli eserciti formati da carri. Non servono costosi
contingenti di soldati, basta mettere insieme un numero sufficiente di arcieri
e corridori. L’arma che trasformerà questi fanti in formidabili guerrieri, è un
corto giavellotto con la punta forgiata in metallo. Non erano in grado di
produrre sempre ferite letali, ma quando centravano il bersaglio il carro
diventava inservibile, l’auriga diventava vulnerabile e veniva circondato dai
corridori. L’auriga e il suo arciere indossavano un corpetto a squame
metalliche di peso variabile fra i 15 e i 20 chilogrammi, quindi non potevano
fuggire e non erano in grado di difendersi in un combattimento corpo a corpo.
In situazioni del genere uno sciame di corridori armati con spade corte e scudi
leggeri è in vantaggio in termini numerici e di mobilità. Se si riesce ad
abbattere il cavallo col giavellotto da una distanza di 40/50 metri, si può
accorciare la distanza di combattimento e ingaggiare un corpo a corpo con armi
adatte. I guerrieri inizialmente combattevano solo in guerre locali, ma, visto
che la loro arte era molto richiesta, spesso andavano a prestare servizio
dovunque fossero ben pagati. Non si trattava di armate omogenee: potevano avere
origini diverse, ma formavano un corpo unico e parlavano lo stesso linguaggio
delle armi. I primi eserciti erano composti in gran parte da mercenari, come
avvenne in Sumeria (oggi parte dell’Iraq) nel III millennio a.C. Vennero
formate delle armate, da impiegare nelle guerre che le città Stato della
regione scatenavano continuamente le une contro le altre. Certamente le guerre
hanno sempre favorito lo sviluppo di certe tecnologie accelerando il progresso.
La costruzione dei primi carri da battaglia segnò uno spartiacque nelle guerre
dell'antichità, cambiò radicalmente il modo in cui gli eserciti si
affrontavano. Erano rapidi e si manovravano con facilità, permettevano di
dividere e disorientare le schiere nemiche.
(A sinistra Scultura di Beppe Cardone - A destra Museo di Cagliari)
I carri più veloci erano
inavvicinabili dalla fanteria, e gli arcieri che trovavano posizione su di essi
potevano colpire con precisione mortale. L'arciere poteva colpire i nemici e
tornare velocemente fra le fila del suo esercito. Quando si dispone dei carri
servono meno persone addestrate: un auriga e i lanciatori di frecce e sassi.
Mentre un cavallo portava un solo cavaliere, su un carro trainato da uno o due
cavalli trovano posto fino a quattro persone e quindi c'erano altre possibilità
per creare un vantaggio strategico. Gli antichi egizi utilizzavano una quantità
incredibile di carri che muovevano avanti e indietro per il campo di battaglia,
con il rischio di scontrarsi fra loro, e occorreva la massima disciplina. Si
organizzavano, quindi, in squadroni di 25 carri ognuno e in battaglia potevano
impiegare fino a 1500 carri e attaccare con regolarità in punti diversi dello schieramento
nemico. Gli Hyksos invasero l'Egitto con i loro carri e vi si stabilirono
fondando la città di Avaris. Dalle pianure dell'Iran gli ariani mossero su
carri e cavalli verso la valle dell'Indo e distrussero le grandi civiltà della
regione. Nel II millennio a.C. erano tantissime le civiltà che avevano imparato
a usare il carro da battaglia ed era diventato ormai una presenza costante
nelle guerre del vicino oriente.
Nelle immagini: Daniele Carta interpreta il pugilatore nuragico; Statua di Monte Prama al Museo di Cagliari; Bronzetto di Dorgali;
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