sabato 13 agosto 2016
Archeologia della Sardegna. Il documento epigrafico più importante rinvenuto in Sardegna: la Tavola di Esterzili. E' la sentenza emessa dal proconsole Agrippa sul conflitto tra pastori e contadini della Sardegna all'epoca dell'imperatore romano Nerone, di Attilio Mastino
Archeologia della Sardegna. Il documento epigrafico più importante rinvenuto in Sardegna: la Tavola di Esterzili. E' la sentenza emessa dal proconsole Agrippa sul conflitto tra pastori e contadini della Sardegna all'epoca dell'imperatore romano Nerone
di Attilio Mastino
Il documento epigrafico più importante rinvenuto in Sardegna è la Tavola
di Esterzili. Si tratta della trascrizione di una sentenza con la quale il
proconsole Lucio Elvio Agrippa condannava durante l’età di Otone i pastori
sardi della tribù dei Galillenses. E’ un esempio significativo di
una politica tendente a privilegiare l'economia agricola dei contadini
immigrati dalla penisola italiana in Sardegna. Inciso sicuramente a Carales il
18 marzo 69, esposto al pubblico per iniziativa dei Patulcenses originari
della Campania all'interno di un villaggio agricolo, il documento (scoperto nel
1866, studiato da Giovanni Spano e Theodor Mommsen e conservato al Museo
Nazionale di Sassari) ci informa su una lunga controversia, conclusasi con una
sentenza con la quale il governatore provinciale ripristinava la linea di
confine fissata 170 anni prima dal proconsole Marco Cecilio Metello, dopo una
lunga campagna militare durata per almeno cinque anni e conclusa con la
sconfitta della popolazione locale e con il trionfo del generale vittorioso
celebrato a Roma fino al tempio di
Giove Capitolino.
Il documento (una lastra di
bronzo larga 61 cm, alta 45 cm e pesante circa 20 kg) fornisce informazioni
preziose sul governo provinciale, passato nell’età di Nerone dall’imperatore al
Senato, sul funzionamento degli archivi in provincia e nella capitale e sul
conflitto tra pastori indigeni dediti all’allevamento transumante e contadini
immigrati dalla Campania, sostenuti dall’autorità romana, interessata a
contenere il nomadismo sul quale si alimentava il brigantaggio; ma anche decisa
a valorizzare le attività agricole ed a favorire un’occupazione stabile delle
fertili terre nelle pianure della Trexenta e della Marmilla, soprattutto a
promuovere l’urbanizzazione delle zone interne della Barbaria sarda,
dove si era andata sviluppando una lunga resistenza alla romanizzazione.
Documento tra i più importanti
e significativi dell’età antica in Sardegna, la Tavola di Esterzili propone
agli studiosi una gamma vastissima di problemi del più alto interesse:
geografico-storici, per l’identificazione delle sedi dei Galillenses e
Patulcenses, nonché dei territori tra loro contesi; giuridici, per le forme
dell’intervento romano ed il rapporto tra tabularium principis e tabularia provinciali;
linguistici, per le forme adottate, gli imprestiti, il grado di
alfabetizzazione degli estensori; archeologici, per il rapporto tra il
documento, il luogo di rinvenimento ed il contesto paesaggistico e monumentale,
epigrafici, storici. Si ripete in questo caso a Esterzili, su scala ridotta, quanto
si era verificato già nella penisola, conducendo l’Italia delle piane costiere,
l’Italia tirrenica progressivamente identificatasi in Roma, l’Italia dei
contadini, a scontrarsi con l’Italia appenninica, l’Italia dei pastori unita
sia pur solo superficialmente dal vincolo della transumanza.
Ecco il testo del documento in traduzione italiana:
«Addì 18 marzo, nell’anno del consolato di Otone Cesare Augusto
(69 dopo Cristo).
Estratto conforme, trascritto e controllato dal testo inciso nella
V tavola cerata ed in particolare nei capitoli 8, 9 e 10 del codice originale
contenente i provvedimenti adottati dal proconsole della Sardegna Lucio Elvio
Agrippa e pubblicato da Gneo Egnazio Fusco, cancelliere dell’ufficio del
questore.
Il giorno 13 di marzo il proconsole Lucio Elvio Agrippa, esaminata
ed istruita la causa, pronunziò la seguente sentenza. Dal momento che è
senz’altro di pubblica utilità attenersi alle sentenze precedenti, viste le
pronunzie più volte espresse da Marco Giovenzio Rixa, uomo di provate qualità,
cavaliere e procuratore imperiale (governatore della Sardegna negli anni 65-67
d.C.), circa la causa promossa dai Patulcenses, secondo le quali dovevano
essere rispettati i confini come erano stati anticamente stabiliti da Marco
(Cecilio) Metello (proconsole della Sardegna dal 114 al 111 a.C.) ed
esattamente come erano stati delimitati nella tavola catastale di bronzo
conservata nell’archivio provinciale (a Carales); ritenuto che ultimamente
lo stesso Rixa aveva sentenziato di voler condannare i Galillenses che, non
obbedendo all’ingiunzione da lui emessa, volevano riaprire in continuazione la
lite, ma ha receduto da tale proposito per rispetto alla clemenza del nostro
Principe Ottimo Massimo (Nerone), limitandosi ad invitarli alla calma, ad
ottemperare al giudicato, lasciando liberi i territori dei Patulcenses, senza
turbarne il possesso, entro il primo di ottobre (del 66 d.C. ?), perché in
mancanza, se recidivi, li avrebbe severamente puniti e condannati come
rivoltosi; rilevato che in seguito esaminò la causa il senatore Cecilio
Semplice (proconsole nel 67-68), interpellato dagli stessi Galillenses che
intendevano produrre come prova una tavola catastale depositata a Roma presso
l’archivio imperiale sul Palatino, il quale reputò umano concedere un rinvio
per la produzione delle prove e stabilì un termine di tre mesi, decorsi i
quali, se non avessero depositato quanto annunziato, si sarebbe comunque
servito della copia catastale che si trovava nell’archivio proviciale a
Carales; io pure, interpellato a mia
volta dai Galillenses, che si giustificavano col fatto che non fosse ancora
pervenuta la copia da Roma, ho prorogato il termine fino al primo febbraio
ultimo scorso (69 d.C.), ma, ritenuto altresì che un ulteriore differimento
della lite giova solo proprio ai Galillenses; ordino che essi rilascino ai Patulcenses Campani, entro il
primo aprile (69 d.C.), il territorio che avevano occupato con la violenza. Ed abbiano per certo
che, non obbedendo alla mia ingiunzione, li riterrò colpevoli di ribellione
recidiva ed incorreranno in quella pena già più volte minacciata. Componevano il Consiglio del Governatore 8
consiglieri, senatori e cavalieri: Marco Giulio Romolo, legato propretore; Tito
Atilio Sabino, questore propretore, Marco Stertinio Rufo iunior, Sesto Elio
Modesto, Publio Lucrezio Clemente, Marco Domizio Vitale, Lucio Lusio Fido, Marco
Stertinio Rufo senior». Seguono le autenticazioni degli 11 testimoni: Gneo
Pompeo Feroce, Lucio Aurelio Gallo, Marco Blossio Nepote, Gaio Cordio Felice,
Lucio Vigellio Crispino, Gaio Valerio Fausto, Marco Lutazio Sabino, Lucio
Cocceio Geniale, Lucio Plozio Vero, Decimo Veturio Felice e Lucio Valerio
Peplo.
Fonte:
http://www.focusardegna.com/index.php/focus-sardegna/sardinia-antiqua/1363-la-tavola-di-esterzili-il-documento-epigrafico-piu-importante-rinvenuto-in-sardegna
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Egregio dott.Montalbano
RispondiEliminaho da poco letto l'articolo da lei postato qualche giorno fa e scritto dal dott.Prof. Marco Rendeli circa i rapporti sardi-etruschi.
Non ho potuto fare a meno di notare la enorme querelle nata subito dopo e suscitata da pubblica indignazione.
ricordo che l'articolo è, come lei avrà notato, è del 20000, all'epoca si discuteva appena di Monti prama e le conoscenze erano quelle che erano...non si conosceva o la si conosceva poco e niente la ceramica nuragica disseminata un po in tutto il mediterraneo da occidente ad oriente con tutte le sue stesse implicazioni commerciali, etniche,culturali e politiche.
Oggi siamo nel 2016 e nessuno più dice che i sardi fossero sottomessi agli etrusche ne tantomento ai fenici ed è proprio a tal proposito che vorrei farle alcune domande:
Non capisco l'odio che certi ambienti nutrono nei confronti dei fenici e che male faccia alla cultura nuragica dire che il concetto di città sia stato introdotto proprio da questi ultimi nell'isola
assieme ad altra tecnologia sappiamo benissimo che le civiltà all epoca si acculturavano a vicenda e quella nuragica non era diversa da queste ultime.
se gli insediamenti fenici non sono fenici cosa sono allora ?
sono state fondate nel 4000 a.c ? quindi le datazioni sono sbagliate.
se quelle fenicie non sono colonie come devono essere considerate ?
la presenza punica nell isola a livello archeologico quando la abbiamo?
lo zoroddu dice che i fenici non sono mai esistiti poi dice che i fenici erano una cultura fondata da piu popoli tra i quali i Sardiani ( e gli altri non li ricordo vorrei che me li ricordasse lei scrivendoli ).
quella che è stata scavata non è sulky allora è tutto sbagliato in sardegna ?
spero di avere una risposta
cordiali saluti.
un lettore
Buongiorno Sig. lettore. Per ciò che riguarda i fenici, ho pubblicato un libro a Marzo 2016 nel quale descrivo in maniera articolata la presenza fenicia in tutto il Mediterraneo, quindi sono apertamente schierato con chi afferma che sono esistiti e hanno lasciato montagne di tracce in tutto il nostro mare. Per quanto riguarda la datazione dell'articolo, parliamo di attualità, e non di un lavoro del 2000 come da lei, erroneamente, pensato. Ricambio i saluti.
RispondiEliminaBuongiorno dott. Montalbano
RispondiEliminaIl libro a qui io faccio " erroneamente" riferimento è datato 2001, come lei stesso scrive a piè pagina, a meno che lei faccia errori nel copiare le date ed i nomi degli autori stessi.
Per avere un idea il più possibile aggiornata vada a leggersi il volume edito dalla Carlo Delfino in data 2012 dal titolo I Nuragici I Fenici e gli altri Sardegna e mediterraneo tra Bronzo Finale e Prima Eta del Ferro e la invito a leggersi in particolar modo la pag.201 nella quale è lo stesso Dott.Prof.Marco Rendeli a scrivere - all'interno di quella lunga fase che chiamo di frequentazione del Mediterraneo, comunque precedente alla necessità di strutturazioni stabili e non stagionali o momentanee, ( per le quali noi moderni ci arrampichiamo a inventare le più diverse definizioni colonie, empori, ports of trade, comptoirs ets.etc,......)- nel quale tra l'altro si parla del fondamentale sito di Sant'imbenia, sito indigeno nel quale è possibile ravvisare importanti cambiamenti strutturali,sociali e politici in seno alla comunità nuragica che non risulta in alcun modo sottomessa ne ai greci ne ai fenici ne tanto meno agli etruschi ed anzi svolgere un ruolo non di secondo piano nei confronti dei mercanti stranieri che frequentavano tale fondamentale porto della Sardegna nord occidentale.
Per quanto riguarda la presenza punica nell'isola credo che i dati archeologici debbano prescindere del tutto dalle notizie delle fonti storiche nelle quali sono presenti errori voluti ed in quelle romane propagandistiche) errori dovuti ad ignoranza delle vicende dell isola da parte di alcuni scrittori greci, di proiezioni in un passato lontano e glorioso e (aggiungerei ) nebuloso, di avvenimenti recenziori. detto questo i dati archeologici dicono una cosa le fonti latine e greche un altra e porta fuori strada usare entrambe le fonti di informazione per creare modelli mentali che è qualche volta necessario creare per avere punti di riferimenti, in altre parole la fonte storica costituisce il modello dal quale è qualche volta necessario partire per ricostruire le vicende attraverso l'ausilio dei dati archeologici ai quali non spetta confermare o meno ciò che le fonti stesse dicono perchè entrambe le fonti sono capaci di rispondere solo ad un limitato numero di domande.
per quanto riguarda il trattato roma-cartagine del 509 a.C. concordo pienamente con quanto detto e cioè che è stato confuso da polibio con quello del 348 a.C. o di altra data e che è probabile che ad esso abbiano fatto seguito altri numerosi trattati che polibio in mala fede o buona fede, omette.
A suo parere la presenza cartaginese nell'isola di quanto è da postdatare ?, e a parte il frammento di ceramica punica da monti prama datato al IV-III sec.a.C quanto abbiamo cartagine dai dati finora noti da un punto di vista archeologico ?
E comunque indiscutibile che cartagine comunque distrusse alcune delle città-stato sardo-cananee ? vedasi monte sirai.
Con questo ho concluso.
Sia ben chiaro che tutto ciò non voleva essere un bisticcio.
il lettore
Grazie per il contributo. L'articolo di Marco Rendeli è di pochi giorni fa, pur se si riferisce a studi precedenti. Per quanto riguarda la frequentazione cartaginese in Sardegna temo che non ne verremo a capo fino a quando si proporrà una conquista armata, che mai avvenne. Furono rapporti commerciali, e, come tali, sono orientato ad arretrare le date dei rapporti sardo-cartaginesi perché le due aree sono vicine e facilmente raggiungibili in meno di due giorni di navigazione con buon mare. Grazie per la discussione.
RispondiEliminaTito Livio IV 29 Ai grandi eventi che resero memorabile quell’anno va aggiunto un fatto che allora sembrò del tutto insignificante: i Cartaginesi destinati a diventare il principale nemico di Roma , per la prima volta trasferirono un esercito in Sicilia in seguito alle lotte intestine dei Siculi ; in aiuto di una delle due parti in dissidio. Era il 429.
RispondiEliminaPer Diodoro è il 424 , l’anno della 89 Olimpiade.
Cartagine ha già portato l'esercito in Sicilia, ad Imera, nel 480.
Secondo Lei, signor Anonimo, nel 429 (424) Cartagine porta per la prima volta un esercito a SLC oppure in SCL ???
Per me era a Sulki (Sant'Antioco). A questo punto sono andato a vedere cosa dicono gli Archeologi.
RoBer
diceva Tito Livio (sempre RoBer)
RispondiElimina....LA MIA OPINIONE E’ CHE IL RICORDO STORICO SIA INFICIATO DAGLI ELOGI FUNEBRI E DALLE FALSE ISCRIZIONI SOTTO I BUSTI PERCHE’ TUTTE LE FAMIGLIE CERCANO DI ATTRIBUIRE ALLA LORO STORIA LA FAMA DELLE IMPRESE PIU’ GLORIOSE E DELLE DIVERSE MAGISTRATURE CON MENZOGNE CHE POSSONO INGANNARE CHIUNQUE . VIENE SICURAMENTE DA QUI LA CONFUSIONE CIRCA LE GESTA DEI SINGOLI E LA DOCUMENTAZIONE DEI SINGOLI EVENTI. DEL RESTO NON CONOSCO UN SOLO AUTORE CONTEMPORANEO A QUEGLI EVENTI CHE POSSA ESSERE ASSUNTO COME FONTE UNICA E INDISCUTIBILE.
Aggiungiamoci che nel 390 i Galli incendiarono Roma.
La maggior parte dei documenti scritti pubblici e privati ( unici custodi delle memorie storiche ) andarono persi.
I fatti del passato Romano assumono contorni incerti sia per la loro antichità sia per la scarsità delle fonti.
Dopo questa data le fonti saranno chiare e attendibili (E' sempre Tito Livio che lo afferma all'inizio del VI libro).