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martedì 16 agosto 2016

Archeologia. Shardana e gli altri Popoli del Mare

Archeologia. Shardana e altri popoli del mare

Nel 1200 a.C., il mondo si fermò, e una coltre di nebbia scese su Grecia, Anatolia e intero Levante. Quel mondo che si può rilevare dai documenti di Ugarit, Hattusha e Akhenaten, scompare. All'epoca, mentre l’impero Hittita abbandona la sua capitale e l’Egitto vive una profonda crisi interna, tutte le floride città del levante crollano sotto l’invasione di una coalizione di genti dedite al saccheggio: i cosiddetti popoli del mare. Le cause del crollo degli antichi imperi sono ancora in discussione, e sono molteplici. La menzione più antica di un movimento invasore è l’editto ittita di Madduwattas, del 1440 a.C., in cui il re lamenta il saccheggio e il rapimento di donne di Cipro da
parte degli Ahhiyawa. Già negli annali di Tudhaliya, del XIV a.C., compaiono i Lukka, e anche in epoca amarniana, troviamo traccia di queste genti: il faraone Akhenaten si era lamentato col re di Alaysha dei raid compiuti dai pirati Lukka sulle sue coste, accusandr i ciprioti di proteggerli. Il sovrano di Cipro rispose dicendo di essere di essere stato colpito lui stesso dagli stessi attacchi. In altre lettere, poi, il re di Biblo scrive di come un mercenario Shardana al suo servizio avesse cercato di ucciderlo, e di come uno dei suoi sia stato ucciso. E su alcune tavolette trovate a Ugarit si legge una lettera indirizzata da un re hittita ad Ammurapi, dove si parla di un riscatto che Ugarit pagò per la liberazione di un uomo preso prigioniero dai Sikala che vivono nelle navi. Le fonti egizie indicano i pirati Lukka come alleati degli hittiti durante la battaglia di Qadesh, assieme ai Teresh e gli Ekwesh. Sappiamo poi di raid compiuti da pirati Shardana durante il regno di Ramses II, e nella stele di Tanis di loro si riporta che “nessuno aveva saputo combatterli fin da sempre”. Un testo del faraone Meremptah riporta: “Il misero capo libico Meryw, figlio di Ded, è sceso nel paese di Tehenw con i battaglioni di Shardana, Shekelesh, Ekwesh, Lukka, Teresh, i migliori di ogni guerriero e di ogni corridore nel suo paese”. A Ugarit, all’interno di un forno per tavolette, sono state trovate delle lettere indirizzate all’ultimo re della città, Hammurabi. Sono traduzioni operate dalla cancelleria regale e cotte al forno. Erano spezzate, forse cadute da un piano superiore in cui erano state conservate. Una di queste, traduzione in ugaritico di una lettera diplomatica scritta dal re degli ittiti chiede a un sovrano alleato l'invio di ogni guerriero possibile, ma la risposta fu: “Le navi del nemico vennero qui e bruciarono le mie città, e i nemici fecero cattive cose nel mio paese. Mio padre non sa che tutte le mie truppe e carri sono nel paese degli ittiti, e tutte le mie navi sono nella terra di Lycia? Così, il paese è abbandonato a se stesso. Mio padre lo sa: le sette navi del nemico arrivarono e inflissero molto danno su noi”. Da altre lettere, si deduce che la flotta, inviata a ovest a chiudere il passaggio dall’Egeo al Mediterraneo, fu aggirata, e che l’esercito unito di Ugarit e Hatti fu sconfitto. Di sicuro, si è ritirato, lasciando che il nemico prendesse prima Lawasanda in Cilicia e poi che distruggesse tutto quello che stava dietro ai monti Amanos. In un'altra lettera si legge: "i nemici mi opprimono ma io non abbandonerò la mia famiglia di fronte al nemico”. I nemici, quindi, erano ormai alle porte di Ugarit. La città fu presa, data alle fiamme e non si riprese più. Nello stesso periodo, la città di Hattusa fu abbandonata, rimase solo una guarnigione a vigilare su quella che fu la capitale dell’impero. Contemporaneamente l’insediamento di Mileto in Caria è incendiato, in Cilicia cadono Mersin e Tarso, e anche le città della zona interna della Siria furono danneggiate: risalendo il corso dell’Oronte c’erano Alalakh, Hamath, Qatna e Qadesh, tutte e quattro saccheggiate e date alle fiamme. Anche Sidone fu distrutta, mentre i suoi abitanti fuggivano a Tiro. Nell’elenco delle distruzioni troviamo anche Tell-abu-hawwa, nella costa palestinese.  Dal controllo incrociato delle fonti egiziane, ossia le iscrizioni di Medinet Habu e il papiro Harris, si rilevano i nomi di 9 popoli: Lukka, Denyen, Shardana, Peleset, Tursha, Shekelesh, Meshwesh, Tjeker , Weshesh. I due testi di Ramses III parlano di una vittoria del faraone in difesa del paese contro popolazioni che avevano cospirato in un luogo definito "rww", inteso dagli studiosi come "isole" ma in egizio con quel termine si indica un luogo vicino al mare e non proprio un isola. Si tratta, dunque, di invasori provenienti da qualche luogo costiero. I Lukka sono comunemente identificati con i Lici originari della zona centro-meridionale dell’Anatolia, dalla quale si sarebbero mossi verso stati con una vera organizzazione politica, più a sud e più ad ovest, fino a stabilirsi in quella che, in epoca classica, sarebbe stata definita Licia. I Meshwesh, dovrebbero essere i Tehenu, una popolazione con cui gli egiziani si erano scontrati fin dall’antico regno nel periodo Ramesside, ma altri studiosi, ad esempio Drews, li posizionano nell’area di Tunisi, dove in epoca storica Erodoto posizionava una popolazione berbera chiamandola Maxyes. Gli Ekwesh compaiono per la prima volta al fianco dei libici, presso i quali formano il contingente maggiore. Sono solitamente identificati con gli Ahhiyawa/Achei, e quindi provenienti da Millawanda/Mileto, una colonia achea secondo le fonti ittite. Nell’Odissea (XIV, 246) Ulisse racconta che gli achei avevano fatto una spedizione contro l’Egitto ed erano stati sconfitti. Contrasta, con quest’identificazione con gli achei, il fatto che Merneptah, nelle iscrizioni per la vittoria a Karnak e Athribis, dica di aver ucciso numerosi Ekwesh, e di aver tagliato le mani ai cadaveri per poterle contare. Il fatto che solitamente, ai popoli non circoncisi non erano rimossi gli arti superiori, ma i genitali, ci dice con buona probabilità che gli Ekwesh avessero adottato una pratica del tutto estranea al mondo indeuropeo ma comunissima in ambito semitico ed egiziano. I Teresh sono i Taruisha delle fonti ittite o i Tyrsenoi del mondo greco, dai quali proverrebbero gli Etruschi. Sarebbero, quindi provenienti dalla Lidia, così come gli Shekelesh. I Peleset sono i filistei della bibbia, si stabilirono in Palestina dopo la catastrofe del 1200. È interessante notare come, di loro, non si dica mai che siano popoli del mare, quindi potrebbero provenire dalla Cilicia occidentale, dove, con ogni probabilità, erano già stabiliti dal 1500 a.C. Di sicuro, comunque, erano indeuropei, forse i Pelasgi dell’Egeo. Dalla Cilicia orientale proverrebbero invece i Tjekker, che sarebbero poi i Teucri delle fonti greche. I Denyen sono comunemente ricollegati ai Danai ma alcuni studiosi fanno provenire anch’essi dalla Cilicia, e ciò li avvicinerebbe a Teucri e Filistei. Infine, gli Shardana, che come mercenari sono conosciuti fin dai tempi di Amenothep III, all’inizio del periodo Amarniano. I caratteristici elmi cornuti non sono di ambito egeo e nella documentazione ittita non esistono e, benché un vaso dei guerrieri di Micene mostra dei guerrieri con elmo cornuto, e benché fossero circoncisi come i semiti, dovrebbe trattarsi dei sardi nuragici. Di sicuro la Sardegna era già conosciuta nel Vicino Oriente come produttrice di rame insieme a Cipro, isola con cui la Sardegna, ancora in tempi storici aveva non poche relazioni. La presenza di una somiglianza fra gli Shardana delle immagini Egiziane e vari reperti rinvenuti nell’isola come i bronzetti e le statue di Monte Prama (che tuttavia sono entrambi riferibili al IX a.C.), e il fatto che una stele (sempre del IX secolo) ritrovata a Nora, un porto nuragico in provincia di Cagliari, riporti la scritta SRDN, rinforza l’ipotesi di una connessione fra questo popolo e l’isola in mezzo al Mediterraneo.

Nell'immagine: un bassorilievo che raffigura il faraone che scaglia le sue frecce verso un lingotto ox-hide in rame, simbolo del potere sui metalli. 


1 commento:

  1. Impressionante la propaganda: il faraone divinità, scocca frecce che perforano e vincono il lingotto di bronzo, quasi divinità o stato esso stesso;
    Tranquillo e sereno, Svetonio, deliravo...

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