Archeologia. La preziosa borraccia del viaggiatore,
conosciuta anche come “Fiasca del Pellegrino”.
di Sergio Murli
Riceviamo, e volentieri
pubblichiamo, un intrigante articolo dell’amico Sergio Murli della rivista
Città Mese. (Cliccare sull'immagine per ingrandirla)
Questa volta
siamo nel cuore dell’Etruria meridionale, nel quadrilatero suggestivo dei siti
di Norchia, Blera, S. Giovenale e Luni, tanto per ricordare i più conosciuti,
sulla direttrice che parte, grosso modo dal lago di Vico, fra Vetralla e
Tarquinia. Qui, a metà strada, c’è Monte Romano, realtà minore ma piena di
vitalità e tanta voglia di conoscere e valorizzare il suo passato.
Era tutto
iniziato con qualche sporadico ritrovamento, con dei generosi ed altruistici
doni dei cittadini che hanno via via dato corpo ad un piccolo Antiquarium. Poi
la “scoperta” clamorosa, questa sì, della monumentale tomba, una grande sala,
detta “Grotta delle Statue” in un punto denso di sepolture; ma andiamo con
ordine. Nel 1981 si riunì un gruppo di volontari interessati allo studio delle
origini di
questa Cittadina, talmente al centro di memorie antiche da non
poterne essere priva, almeno tutt’intorno. Fu fondato un Gruppo di Ricerca
operativo con ricognizioni sistematiche del territorio che portarono
all’individuazione di più testimonianze con realtà che andavano dalla
protostoria fino al medioevo di Monte Romano.
Ricerca,
recupero, descrizione: mano a mano che procedevano si presentò l’esigenza di
conservare il materiale salvato e che continuava ad affluire; dunque con
delibera Comunale nell’ottobre del 1982, iniziava ad operare il Deposito
Comunale Archeologico, Antiquarium, che ha funzionato decorosamente e con
ottimi risultati – da non dimenticare lo staff di elevata professionalità che
ha provveduto al restauro e alla presentazione dei reperti – è bene anche
rimarcare che l’Antiquarium ha scongiurato il trasferimento degli oggetti più
importanti e significativi ad altre sedi (Tarquinia, Tuscania, Viterbo). Ora,
almeno il problema della conservazione in loco, è risolto con la costituzione,
è cronaca attuale, del Museo Comunale di Monte Romano. Adesso, torniamo
alla Grotta delle Statue, siamo ai primi del 1984; durante una ricognizione
nella località Rio Secco, proprio davanti alla cd. Grotta, sono stati
individuati e recuperati magnifici frammenti di sarcofagi, ancora con tracce di
colori e, nota allarmante, indumenti e attrezzi di scavo per asportare questo
prezioso materiale che, adeguatamente ricomposto, sarebbe poi finito in qualche
filone del traffico clandestino di reperti.
Il resto è
storia di sempre, con i Carabinieri a recuperare per salvaguardare; i tombaroli
a tentare di completare il… lavoro. A questo punto la allora titolare
dell’Antiquarium, Dottoressa Patrizia Fortini, si attivò presso la
Soprintendenza per ottenere lo sterro del materiale di riempimento che nei
secoli si era accumulato nel complesso, fino ad allora abbandonato a se stesso,
dopo la prima violazione con furto, chissà quando avvenuta, magari nel
medioevo.
Grandi sorprese, intanto la importante camera che si apre dopo il dromos di
accesso è come divisa da due colonne-pilastro, il più centrale dei quali è
magnificamente modellato in bassorilievo con una cariatide nell’atteggiamento,
appunto, di sorreggere il soffitto: questa scultura rappresenta una donna nuda
di eccezionale forza evocativa e che da sola, avrebbe giustificato la proposta
di intervento sulla struttura generale della tomba, sia per la conservazione
che per beneficiare di un complesso, patrimonio da visitare, magari
interessando le scolaresche, gli adulti di domani, con programmi che acuiscano
il loro interesse e il rispetto per le memorie della nostra Terra – purtroppo
ciò non è stato possibile, in particolare per l’ubicazione lontana di Monte Romano,
e, dunque, ben poco difendibile; perciò, raccolto il contenuto, fotografato e
disegnato il complesso, si è passati oltre…
Il
recupero del materiale archeologico della tomba ha portato a collocazione nella
Sede-Deposito-Antiquarium di una infinita messe di pezzi, non solo sarcofagi
con il coperchio antropomorfo e casse con iscrizioni, ma anche frammenti
vascolari di ogni tipo e forma.
Ancora una volta, un pensiero ammirato, verso chi con pazienza e competenza, ha
recuperato il recuperabile – è bene non dimenticare che la causa maggiore delle
rotture dei coperchi è dovuta al criminale atto vandalico di asportare le teste
che raffigurano i defunti: agevolmente poi si sarebbero vendute sul mercato
clandestino.
Magnifiche, di
grande interesse, due maschere fittili, una raffigurante probabilmente un
sileno con la bocca atteggiata, teatrale comica, a quei sorrisi che però in
questo caso, rimandano ad un probabile culto dionisiaco di qualcuno dei
defunti; sono presenti notevoli tracce di vari colori, compreso il bianco dei
denti.
L’altra è una
testa di toro con addobbi alle corna, di colore nocciola, con tracce di rosa
all’interno delle orecchie, e con dei fori sulla testa e sul collo. Questa
seconda maschera, lascia intuire che ci troviamo davanti alla rappresentazione
simbolica di un sacrificio.
È chiaro che nel
tempo i reperti conservati ed esposti nel Museo, saranno sempre più numerosi,
per la paziente integrazione delle parti mancanti, con quello stucco e quelle
sostanze che bene completano, dando sorprendentemente un'idea d’assieme così
consolante.
Ora, come al
solito direte, ma la Chicca qual è?
È una elegante
borraccia da viandante, di bucchero, giunta in questo Museo per il generoso
dono di un Concittadino, sig. Primo Fiorucci, trovata in località Vallicelle,
casualmente, in più frammenti, ricomposta in Museo, restaurata e completata nei
vuoti.
Il bucchero è di spessore medio, esigenza primaria, sia perché era un
contenitore, poi perché doveva possibilmente conservare più a lungo fresco il
liquido.
Questo recipiente da viaggio, del VII-VI secolo, ha seguito l’evoluzione degli
utensili inizialmente di bronzo (vedi archeochicca n.1, ottobre 2013,
sull’oinochoe del Museo C. Mecenate di Arezzo), per poi, in epoca successiva,
trasformarsi in manufatto di terrecotte varie a seconda del popolo che li
usava.
Questa borraccia
o fiasca, oltre al collo, con il labbro svasato, mostra un corpo schiacciato,
così familiare fino ai moderni thermos, e di forma lenticolare; inoltre le due
facce presentano un motivo di cerchi, incisi, piacevoli da vedere, che
probabilmente servivano a rendere il corpo del lucido bucchero, solido alla
presa, mai scivoloso.
Sapete come
siamo giunti a questo reperto? Pensate, nel maggio del 2011 ci è arrivato in
redazione, fonte: Comune di Monte Romano, un bell’articoletto, stringato, che
illustrava i migliori oggetti del locale Antiquarium e subito ci ha colpito
questa “borraccia da viandante”. È passato del tempo da allora, ma quando
abbiamo deciso di dare inizio alla rubrica Archeochicca che avete la bontà di
seguire, la fiasca è tornata prepotentemente di attualità; e questi sono i…
risultati.
La borraccia del
viandante, così affascinante per i viaggi che evoca: quei percorsi sulle strade
etrusche, apparentemente appena tracciate ma così chiare ai viaggiatore con le
sue sponde a muretto di pochi centimetri, solo due file di pietre parallele a
delimitare il percorso che immancabilmente portava alla meta… Proviamo con la
fantasia ad immaginare queste persone, magari dirette a qualche santuario della
zona, ai quei tempi erano tanti, fermarsi all’ombra di un grosso albero vicino
ad una fonte e bere il fresco liquido, dopo aver riempito la loro fiasca…
Questa è la chicca che con la temperatura in rialzo per la bella stagione, si
trasforma in qualcosa di ineffabile come il licore insapore ma tanto “perfetto”
di nome acqua, da portare appresso.
Cari lettori, lungi noi tutti dal pensare che la “nostra” borraccia, la nostra
“chicca”, sia un oggetto raro e quasi introvabile, perché, al contrario,
vi offriremo le immagini di altri due di questi recipienti; sia vicino, come
quello nel Museo Archeologico Comunale di Pienza, che di quello ospitato
nell’allora Staatliche Museen, Antiken – Sammlung, di Berlino Est.
Ecco ora la
parte “tecnica” del nostro contenitore: come detto, VII-VI secolo, superficie
in gran parte corrosa, collo cilindrico con labbro svasato, non sono presenti
manici, il corpo è formato da due facce lenticolari unite da una fascia
incassata; le misure, alt. cm 19,5; diam. del corpo cm 17; diam. della bocca cm
4,4. Per chi volesse saperne di più: G. Camporeale “I commerci di Vetulonia in età orientalizzante”, Firenze 1969, p.17. Si ipotizza un centro di
produzione a Vulci: E. La Rocca “Crateri in argilla figulina del
geometrico recente a Vulci” in MEFRA, 90, 2, 1978,
p. 478, nota 71; A.M. Sgubini Moretti in Prima Italia. L’arte Italica al I
millennio a.C., Roma 1981, p. 56, n. 27.
Per la fiasca di
Berlino si può dire che è di provenienza ignota; il suo numero di inventario è
F. 3968 ed è simile alla “nostra” anche se in origine quella… tedesca
presentava due anse, ora perdute, ai lati del collo ed ha la bocca trilobata;
anch’essa era ornata di cerchi incisi concentrici, seppur in numero minore di
quella laziale. Per un approfondimento A. Fürtwaengler in Beschreibung der
Vasensammlung in Antiquarium, II, Berlin, 1885, p. 1005, n. 3968; Comune di
Monte Romano: “Indagine di un territorio e
materiali dell’Antiquarum”, Paleani Editrice, Roma,
1987, p. 93, p.170, t. XVIII a e t. XVIII b. (Ci piace ricordare che Adolf
Fürtwaengler, insigne archeologo tedesco, è stato il padre di Wilhelm (1886 –
1953), uno dei più grandi direttori d’orchestra del XX secolo, che da ragazzo
lo seguiva nelle sue spedizioni archeologiche; il figlio di Wilhelm, Andreas
(1944) è anch’egli archeologo come il nonno e numismatico, la storia si
ripete…).
Per quella ospitata nel Museo Archeologico di Pienza possiamo inoltre dire che
è anch’essa di bucchero del VI sec. a.C., ed a differenza del “nostro” oggetto,
presenta quattro piccole anse, che servivano come passanti per la cordicella
che “ingabbiava” la fiasca da legare al fianco del viandante. Ecco le misure:
altezza cm 21,5, spessore cm 8,1, larghezza cm 18,4; il suo numero di
inventario è 55 della Collezione Landi Newton di proprietà dell'Opera del Duomo
di Pienza.
Per
approfondire: M. Monaci, “Catalogo del
Museo Archeologico Vescovile di Pienza”, in Studi
Etruschi, XXXIII, 1965, p. 450, n. 261, p. 451, fig. 12d.
Ricordiamo
qui, la Responsabile fiorentina, Dott.ssa Silvia Vilucchi, che,
rammentando il nostro primo incontro per l’oinochoe di Arezzo due anni fa, si è
rapidamente attivata per inviarci le foto del bucchero di Pienza, custodite
nell’Archivio del Museo Archeologico di Firenze; anche se in piccolo, la storia
si ripete.
Il potere di
questo oggetto, come dicevamo, risiede nel fascino che emana, nel profumo della
menta selvatica che si spande mentre il viandante attraversa i prati e i
sentieri; sogni per molti, oramai abituati alle strade asfaltate, ai motori che
con i carburanti portano ovunque, tanto velocemente che qualcosa dobbiamo
lasciare, forse inconsapevoli, lungo la strada del progresso… Mah!
Come sempre diamo ora una traccia su cosa circondava la Località di origine
della nostra borraccia in antico, in epoca etrusca e ciò che è ancora
visitabile a ribadire l’importanza fondamentale dell’intera zona: iniziamo da Norchia(Orcla); era una delle più importanti
zone della Tuscia. Restano case ipogee e colombari, un muro etrusco. Notevoli
sono le necropoli rupestri dell’Acqualta e del Pile, con tombe scavate nel
tufo; le sepolture sono tali e tante che più che
enumerarle è il caso di visitarle…
Comunque, vogliamo ricordare le due con fronte che ricorda un tempio con il
caratteristico timpano triangolare e dove ancora si notano delle figure
scolpite. Visibile anche un tratto dell’antica via Clodia, con tombe
rupestri.
Passiamo ora a Blera, che conserva alcuni tratti
delle mura antiche. All’intorno è disseminata di testimonianze etrusche, in
modo particolare ubicate sul colle che affaccia. Altre sepolture si trovano
verso la parte bassa della città, in particolare verso le tracce dell’abitato
antico. Stiamo parlando di migliaia di tombe, molte riutilizzate parecchi
secoli fa come riparo per il bestiame, comunque tutte in un ambiente suggestivo
per certi versi incontaminato; da non trascurare il sito Pian del Vescovo per
le sculture dei suoi tumuli di epoca arcaica, da visitare quello detto della
Sfinge. Non dimenticate il Ponte Etrusco.
Nelle vicinanze,
il sito di Grotta Porcinacon
ciò che rimane su una collina di un grande tumulo etrusco, tutto intorno, tombe
a camera e, alla base del monte, un grande monumento di difficile
interpretazione, sicuramente molto attivo e vitale in epoca etrusca.
Sempre a
relativa distanza, siamo ora aSan
Giuliano, dove la tradizione storica – della quale non dubitiamo –
individua l’antico centro etrusco di Cortuosa, luogo fortificato a difesa tra i
monti. Poche mura e tracce di opere idrauliche, ma notevoli le necropoli
ubicate ai lati delle valli in corrispondenza dei due fossati principali. E
questa una zona ricca di ogni tipologia tombale di tutte le epoche qui
rappresentate: si va dal VII al VI, per finire con il V e il IV secolo a.C. In
zona è notevole la Tomba Cima, tumulo costellato da numerosi ipogei che ne
fanno un monumento suggestivo.
Ora parleremo di S. Giovenale,
vera zona archeologica per l’esistenza di tracce, sicure, di abitazioni
etrusche del VII sec. e su un lato dell’acropoli di tratti delle mura di cinta.
Tutto intorno
sono le numerose necropoli, con tumuli a camera e quelle con tombe rupestri.
Sul Pian di
Luni, 6 chilometri verso ovest, si estende ciò che resta di un notevole abitato
etrusco risalente al VII-VI sec. a. C. In epoca successiva, V sec., è stato
rinforzato e fortificato e ora viene chiamato Luni sul Mignone. Su tre colli circostanti necropoli con tombe di
tipo rupestre.
Ed ora una
domanda con risposta: perché questi centri dei quali abbiamo parlato e dei
quali spesso si conosce anche il nome antico, oltre che le necropoli, avevano
anche, appunto, le città dei vivi – che dunque spiegavano gli insediamenti –
mentre Monte Romano non ha abitato etrusco? La ragione è semplice: perché
allora non esisteva…
Le sepolture,
disseminate ovunque, anche se importanti, erano il… risultato delle numerose
ville rustiche disseminate nella campagna circostante; e sono ora ottimo spunto
per un Museo del Territorio che, in fondo, è ciò che si sta costituendo pezzo
su pezzo.
Per chi percorre
questa direttrice che va dal Lago di Vico al Mare di Tarquinia, è
raccomandabile visitare anche Monte Romano al centro, come dicevamo sopra, di
una florida zona etrusca, talmente piena di stimoli e sorprese, che sarebbe un
peccato ignorare. Interessante il centro storico con i suoi edifici tardo
medievali che vanno fino al Sei-Settecento e, noticina che non guasta, ci
dicono che qua si mangia bene…
La nostra
chicca, la borraccia da viaggio di bucchero, si trova nel Museo Civico di Monte
Romano (VT), già Antiquarium Comunale, in Via Piave.
Ora, come
sempre, i ringraziamenti, in modo particolare alla Dott.ssa Erina Fiorucci,
Funzionario del Comune di Monte Romano, che ha, sin dall’inizio, accolto con
simpatia le nostre richieste, guidandoci verso le persone che ci hanno aiutato
a capirne di più e mettendoci in condizione di poter approfittare, grazie al
Sindaco Dott. Maurizio Testa, della preziosa pubblicazione comunale: “Monte
Romano. Indagine di un Territorio e Materiali dell’Antiquarium”, a suo tempo
curata dalla Dott.ssa Patrizia Fortini, che salutiamo.
Inoltre,
ringraziamo la Dott.ssa Lorella Maneschi, attuale Responsabile Scientifico del
Museo, per i suoi preziosi suggerimenti e per la sua infinita pazienza.
Ricordiamo ancora la Dott.ssa Silvia Vilucchi del Museo Archeologico
fiorentino, ringraziata poco sopra per la fulminea ed efficiente conclusione
nell’invio richiestole, su suggerimento della Dott.ssa Maria Cristina Guidotti
del Museo pientino.
Le immagini
della borraccia laziale, dei reperti della Grotta delle Statue e della
borraccia berlinese, sono state tratte dalla pubblicazione del Comune di Monte
Romano; quella di Pienza è su concessione della Soprintendenza Archeologica
della Toscana - Firenze (Collezione Landi Newton). Le altre foto sono una
scelta redazionale; il disegno del titolo è di Sergio Murli.
Fonte: http://www.cittamese.it/cultura/908-archeochicca-xx-la-fiasca-di-bucchero
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