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venerdì 26 agosto 2016

Archeologia. La preziosa borraccia del viaggiatore, conosciuta anche come “Fiasca del Pellegrino”. di Sergio Murli

Archeologia. La preziosa borraccia del viaggiatore, conosciuta anche come “Fiasca del Pellegrino”.
di Sergio Murli


Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, un intrigante articolo dell’amico Sergio Murli della rivista Città Mese. (Cliccare sull'immagine per ingrandirla)
Questa volta siamo nel cuore dell’Etruria meridionale, nel quadrilatero suggestivo dei siti di Norchia, Blera, S. Giovenale e Luni, tanto per ricordare i più conosciuti, sulla direttrice che parte, grosso modo dal lago di Vico, fra Vetralla e Tarquinia. Qui, a metà strada, c’è Monte Romano, realtà minore ma piena di vitalità e tanta voglia di conoscere e valorizzare il suo passato.   
Era tutto iniziato con qualche sporadico ritrovamento, con dei generosi ed altruistici doni dei cittadini che hanno via via dato corpo ad un piccolo Antiquarium. Poi la “scoperta” clamorosa, questa sì, della monumentale tomba, una grande sala, detta “Grotta delle Statue” in un punto denso di sepolture; ma andiamo con ordine. Nel 1981 si riunì un gruppo di volontari interessati allo studio delle origini di
questa Cittadina, talmente al centro di memorie antiche da non poterne essere priva, almeno tutt’intorno. Fu fondato un Gruppo di Ricerca operativo con ricognizioni sistematiche del territorio che portarono all’individuazione di più testimonianze con realtà che andavano dalla protostoria fino al medioevo di Monte Romano.
Ricerca, recupero, descrizione: mano a mano che procedevano si presentò l’esigenza di conservare il materiale salvato e che continuava ad affluire; dunque con delibera Comunale nell’ottobre del 1982, iniziava ad operare il Deposito Comunale Archeologico, Antiquarium, che ha funzionato decorosamente e con ottimi risultati – da non dimenticare lo staff di elevata professionalità che ha provveduto al restauro e alla presentazione dei reperti – è bene anche rimarcare che l’Antiquarium ha scongiurato il trasferimento degli oggetti più importanti e significativi ad altre sedi (Tarquinia, Tuscania, Viterbo). Ora, almeno il problema della conservazione in loco, è risolto con la costituzione, è cronaca attuale, del Museo Comunale di Monte Romano.  Adesso, torniamo alla Grotta delle Statue, siamo ai primi del 1984; durante una ricognizione nella località Rio Secco, proprio davanti alla cd. Grotta, sono stati individuati e recuperati magnifici frammenti di sarcofagi, ancora con tracce di colori e, nota allarmante, indumenti e attrezzi di scavo per asportare questo prezioso materiale che, adeguatamente ricomposto, sarebbe poi finito in qualche filone del traffico clandestino di reperti.
Il resto è storia di sempre, con i Carabinieri a recuperare per salvaguardare; i tombaroli a tentare di completare il… lavoro. A questo punto la allora titolare dell’Antiquarium, Dottoressa Patrizia Fortini, si attivò presso la Soprintendenza per ottenere lo sterro del materiale di riempimento che nei secoli si era accumulato nel complesso, fino ad allora abbandonato a se stesso, dopo la prima violazione con furto, chissà quando avvenuta, magari nel medioevo.
Grandi sorprese, intanto la importante camera che si apre dopo il dromos di accesso è come divisa da due colonne-pilastro, il più centrale dei quali è magnificamente modellato in bassorilievo con una cariatide nell’atteggiamento, appunto, di sorreggere il soffitto: questa scultura rappresenta una donna nuda di eccezionale forza evocativa e che da sola, avrebbe giustificato la proposta di intervento sulla struttura generale della tomba, sia per la conservazione che per beneficiare di un complesso, patrimonio da visitare, magari interessando le scolaresche, gli adulti di domani, con programmi che acuiscano il loro interesse e il rispetto per le memorie della nostra Terra – purtroppo ciò non è stato possibile, in particolare per l’ubicazione lontana di Monte Romano, e, dunque, ben poco difendibile; perciò, raccolto il contenuto, fotografato e disegnato il complesso, si è passati oltre…
 Il recupero del materiale archeologico della tomba ha portato a collocazione nella Sede-Deposito-Antiquarium di una infinita messe di pezzi, non solo sarcofagi con il coperchio antropomorfo e casse con iscrizioni, ma anche frammenti vascolari di ogni tipo e forma.
Ancora una volta, un pensiero ammirato, verso chi con pazienza e competenza, ha recuperato il recuperabile – è bene non dimenticare che la causa maggiore delle rotture dei coperchi è dovuta al criminale atto vandalico di asportare le teste che raffigurano i defunti: agevolmente poi si sarebbero vendute sul mercato clandestino.
Magnifiche, di grande interesse, due maschere fittili, una raffigurante probabilmente un sileno con la bocca atteggiata, teatrale comica, a quei sorrisi che però in questo caso, rimandano ad un probabile culto dionisiaco di qualcuno dei defunti; sono presenti notevoli tracce di vari colori, compreso il bianco dei denti.
L’altra è una testa di toro con addobbi alle corna, di colore nocciola, con tracce di rosa all’interno delle orecchie, e con dei fori sulla testa e sul collo. Questa seconda maschera, lascia intuire che ci troviamo davanti alla rappresentazione simbolica di un sacrificio. 
È chiaro che nel tempo i reperti conservati ed esposti nel Museo, saranno sempre più numerosi, per la paziente integrazione delle parti mancanti, con quello stucco e quelle sostanze che bene completano, dando sorprendentemente un'idea d’assieme così consolante.
Ora, come al solito direte, ma la Chicca qual è? 
È una elegante borraccia da viandante, di bucchero, giunta in questo Museo per il generoso dono di un Concittadino, sig. Primo Fiorucci, trovata in località Vallicelle, casualmente, in più frammenti, ricomposta in Museo, restaurata e completata nei vuoti.
Il bucchero è di spessore medio, esigenza primaria, sia perché era un contenitore, poi perché doveva possibilmente conservare più a lungo fresco il liquido.
Questo recipiente da viaggio, del VII-VI secolo, ha seguito l’evoluzione degli utensili inizialmente di bronzo (vedi archeochicca n.1, ottobre 2013, sull’oinochoe del Museo C. Mecenate di Arezzo), per poi, in epoca successiva, trasformarsi in manufatto di terrecotte varie a seconda del popolo che li usava.
Questa borraccia o fiasca, oltre al collo, con il labbro svasato, mostra un corpo schiacciato, così familiare fino ai moderni thermos, e di forma lenticolare; inoltre le due facce presentano un motivo di cerchi, incisi, piacevoli da vedere, che probabilmente servivano a rendere il corpo del lucido bucchero, solido alla presa, mai scivoloso.
Sapete come siamo giunti a questo reperto? Pensate, nel maggio del 2011 ci è arrivato in redazione, fonte: Comune di Monte Romano, un bell’articoletto, stringato, che illustrava i migliori oggetti del locale Antiquarium e subito ci ha colpito questa “borraccia da viandante”. È passato del tempo da allora, ma quando abbiamo deciso di dare inizio alla rubrica Archeochicca che avete la bontà di seguire, la fiasca è tornata prepotentemente di attualità; e questi sono i… risultati. 
La borraccia del viandante, così affascinante per i viaggi che evoca: quei percorsi sulle strade etrusche, apparentemente appena tracciate ma così chiare ai viaggiatore con le sue sponde a muretto di pochi centimetri, solo due file di pietre parallele a delimitare il percorso che immancabilmente portava alla meta… Proviamo con la fantasia ad immaginare queste persone, magari dirette a qualche santuario della zona, ai quei tempi erano tanti, fermarsi all’ombra di un grosso albero vicino ad una fonte e bere il fresco liquido, dopo aver riempito la loro fiasca… Questa è la chicca che con la temperatura in rialzo per la bella stagione, si trasforma in qualcosa di ineffabile come il licore insapore ma tanto “perfetto” di nome acqua, da portare appresso.
Cari lettori, lungi noi tutti dal pensare che la “nostra” borraccia, la nostra “chicca”,  sia un oggetto raro e quasi introvabile, perché, al contrario, vi offriremo le immagini di altri due di questi recipienti; sia vicino, come quello nel Museo Archeologico Comunale di Pienza, che di quello ospitato nell’allora Staatliche Museen, Antiken – Sammlung, di Berlino Est. 
Ecco ora la parte “tecnica” del nostro contenitore: come detto, VII-VI secolo, superficie in gran parte corrosa, collo cilindrico con labbro svasato, non sono presenti manici, il corpo è formato da due facce lenticolari unite da una fascia incassata; le misure, alt. cm 19,5; diam. del corpo cm 17; diam. della bocca cm 4,4. Per chi volesse saperne di più: G. Camporeale “I commerci di Vetulonia in età orientalizzante”, Firenze 1969, p.17. Si ipotizza un centro di produzione a Vulci: E. La Rocca “Crateri in argilla figulina del geometrico recente a Vulci” in MEFRA, 90, 2, 1978, p. 478, nota 71; A.M. Sgubini Moretti in Prima Italia. L’arte Italica al I millennio a.C., Roma 1981, p. 56, n. 27.
Per la fiasca di Berlino si può dire che è di provenienza ignota; il suo numero di inventario è F. 3968 ed è simile alla “nostra” anche se in origine quella… tedesca presentava due anse, ora perdute, ai lati del collo ed ha la bocca trilobata; anch’essa era ornata di cerchi incisi concentrici, seppur in numero minore di quella laziale. Per un approfondimento A. Fürtwaengler in Beschreibung der Vasensammlung in Antiquarium, II, Berlin, 1885, p. 1005, n. 3968; Comune di Monte Romano: “Indagine di un territorio e materiali dell’Antiquarum”, Paleani Editrice, Roma, 1987, p. 93, p.170, t. XVIII a e t. XVIII b. (Ci piace ricordare che Adolf Fürtwaengler, insigne archeologo tedesco, è stato il padre di Wilhelm (1886 – 1953), uno dei più grandi direttori d’orchestra del XX secolo, che da ragazzo lo seguiva nelle sue spedizioni archeologiche; il figlio di Wilhelm, Andreas (1944) è anch’egli archeologo come il nonno e numismatico, la storia si ripete…).
Per quella ospitata nel Museo Archeologico di Pienza possiamo inoltre dire che è anch’essa di bucchero del VI sec. a.C., ed a differenza del “nostro” oggetto, presenta quattro piccole anse, che servivano come passanti per la cordicella che “ingabbiava” la fiasca da legare al fianco del viandante. Ecco le misure: altezza cm 21,5, spessore cm 8,1, larghezza cm 18,4; il suo numero di inventario è 55 della Collezione Landi Newton di proprietà dell'Opera del Duomo di Pienza.
Per approfondire: M. Monaci, “Catalogo del Museo Archeologico Vescovile di Pienza”, in Studi Etruschi, XXXIII, 1965, p. 450, n. 261, p. 451, fig. 12d.
 Ricordiamo qui, la Responsabile fiorentina, Dott.ssa  Silvia Vilucchi, che, rammentando il nostro primo incontro per l’oinochoe di Arezzo due anni fa, si è rapidamente attivata per inviarci le foto del bucchero di Pienza, custodite nell’Archivio del Museo Archeologico di Firenze; anche se in piccolo, la storia si ripete. 
Il potere di questo oggetto, come dicevamo, risiede nel fascino che emana, nel profumo della menta selvatica che si spande mentre il viandante attraversa i prati e i sentieri; sogni per molti, oramai abituati alle strade asfaltate, ai motori che con i carburanti portano ovunque, tanto velocemente che qualcosa dobbiamo lasciare, forse inconsapevoli, lungo la strada del progresso… Mah!
Come sempre diamo ora una traccia su cosa circondava la Località di origine della nostra borraccia in antico, in epoca etrusca e ciò che è ancora visitabile a ribadire l’importanza fondamentale dell’intera zona: iniziamo da Norchia(Orcla); era una delle più importanti zone della Tuscia. Restano case ipogee e colombari, un muro etrusco. Notevoli sono le necropoli rupestri dell’Acqualta e del Pile, con tombe scavate nel tufo; le sepolture sono tali e tante che più che
enumerarle è il caso di visitarle…
Comunque, vogliamo ricordare le due con fronte che ricorda un tempio con il caratteristico timpano triangolare e dove ancora si notano delle figure scolpite. Visibile anche un tratto dell’antica via Clodia, con tombe rupestri. 
Passiamo ora a Blera, che conserva alcuni tratti delle mura antiche. All’intorno è disseminata di testimonianze etrusche, in modo particolare ubicate sul colle che affaccia. Altre sepolture si trovano verso la parte bassa della città, in particolare verso le tracce dell’abitato antico. Stiamo parlando di migliaia di tombe, molte riutilizzate parecchi secoli fa come riparo per il bestiame, comunque tutte in un ambiente suggestivo per certi versi incontaminato; da non trascurare il sito Pian del Vescovo per le sculture dei suoi tumuli di epoca arcaica, da visitare quello detto della Sfinge. Non dimenticate il Ponte Etrusco.
Nelle vicinanze, il sito di Grotta Porcinacon ciò che rimane su una collina di un grande tumulo etrusco, tutto intorno, tombe a camera e, alla base del monte, un grande monumento di difficile interpretazione, sicuramente molto attivo e vitale in epoca etrusca. 
Sempre a relativa distanza, siamo ora aSan Giuliano, dove la tradizione storica – della quale non dubitiamo – individua l’antico centro etrusco di Cortuosa, luogo fortificato a difesa tra i monti. Poche mura e tracce di opere idrauliche, ma notevoli le necropoli ubicate ai lati delle valli in corrispondenza dei due fossati principali. E questa una zona ricca di ogni tipologia tombale di tutte le epoche qui rappresentate: si va dal VII al VI, per finire con il V e il IV secolo a.C. In zona è notevole la Tomba Cima, tumulo costellato da numerosi ipogei che ne fanno un monumento suggestivo.
Ora parleremo di S. Giovenale, vera zona archeologica per l’esistenza di tracce, sicure, di abitazioni etrusche del VII sec. e su un lato dell’acropoli di tratti delle mura di cinta.
Tutto intorno sono le numerose necropoli, con tumuli a camera e quelle con tombe rupestri.
Sul Pian di Luni, 6 chilometri verso ovest, si estende ciò che resta di un notevole abitato etrusco risalente al VII-VI sec. a. C. In epoca successiva, V sec., è stato rinforzato e fortificato e ora viene chiamato Luni sul Mignone. Su tre colli circostanti necropoli con tombe di tipo rupestre.
Ed ora una domanda con risposta: perché questi centri dei quali abbiamo parlato e dei quali spesso si conosce anche il nome antico, oltre che le necropoli, avevano anche, appunto, le città dei vivi – che dunque spiegavano gli insediamenti – mentre Monte Romano non ha abitato etrusco? La ragione è semplice: perché allora non esisteva…
Le sepolture, disseminate ovunque, anche se importanti, erano il… risultato delle numerose ville rustiche disseminate nella campagna circostante; e sono ora ottimo spunto per un Museo del Territorio che, in fondo, è ciò che si sta costituendo pezzo su pezzo. 
Per chi percorre questa direttrice che va dal Lago di Vico al Mare di Tarquinia, è raccomandabile visitare anche Monte Romano al centro, come dicevamo sopra, di una florida zona etrusca, talmente piena di stimoli e sorprese, che sarebbe un peccato ignorare. Interessante il centro storico con i suoi edifici tardo medievali che vanno fino al Sei-Settecento e, noticina che non guasta, ci dicono che qua si mangia bene…
La nostra chicca, la borraccia da viaggio di bucchero, si trova nel Museo Civico di Monte Romano (VT), già Antiquarium Comunale, in Via Piave.
Ora, come sempre, i ringraziamenti, in modo particolare alla Dott.ssa Erina Fiorucci, Funzionario del Comune di Monte Romano, che ha, sin dall’inizio, accolto con simpatia le nostre richieste, guidandoci verso le persone che ci hanno aiutato a capirne di più e mettendoci in condizione di poter approfittare, grazie al Sindaco Dott. Maurizio Testa, della preziosa pubblicazione comunale: “Monte Romano. Indagine di un Territorio e Materiali dell’Antiquarium”, a suo tempo curata dalla Dott.ssa Patrizia Fortini, che salutiamo. 
Inoltre, ringraziamo la Dott.ssa Lorella Maneschi, attuale Responsabile Scientifico del Museo, per i suoi preziosi suggerimenti e per la sua infinita pazienza. Ricordiamo ancora la Dott.ssa Silvia Vilucchi del Museo Archeologico fiorentino, ringraziata poco sopra per la fulminea ed efficiente conclusione nell’invio richiestole, su suggerimento della Dott.ssa Maria Cristina Guidotti del Museo pientino.
Le immagini della borraccia laziale, dei reperti della Grotta delle Statue e della borraccia berlinese, sono state tratte dalla pubblicazione del Comune di Monte Romano; quella di Pienza è su concessione della Soprintendenza Archeologica della Toscana  - Firenze (Collezione Landi Newton). Le altre foto sono una scelta redazionale; il disegno del titolo è di Sergio Murli.

Fonte: http://www.cittamese.it/cultura/908-archeochicca-xx-la-fiasca-di-bucchero


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