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lunedì 14 marzo 2011

Atlantide e la Sardegna


Atlantide in Sardegna e a Cagliari?
di Giuseppe Mura


Chi affronta il tema su Atlantide affidandosi esclusivamente alle datazioni, alle cifre, alle dimensioni e alle ricchezze proposte da Platone nel Timeo e nel Crizia va incontro, inevitabilmente, a due alternative:
la rinuncia immediata a qualsiasi tentativo di identificazione o, se proprio intende insistere, giustifica il tutto accettando l’esistenza di una qualsiasi forma primordiale di civiltà di alto livello, magari di provenienza extraterrestre.
Come giustificare in altro modo le evidenti esagerazioni contenute nel racconto di Platone su Atlantide? Mi riferisco agli oltre novemila anni di antichità a partire da Solone, il “saggio” che, nel 600 a.C. riceve le informazioni sulla misteriosa isola da un sacerdote egiziano, all’esistenza di un esercito di oltre un milione di uomini, alle dimensioni di un’isola e di una pianura che non hanno
uguali nel pianeta terra, all’esistenza di una città “cerchiata” dalle strutture incredibilmente complesse, all’utilizzo di metalli rari come oro, bronzo, stagno, rame e oricalco per “intonacare” le pareti dei templi e delle mura che racchiudono le cinte.
Una gran moltitudine di studiosi ha affrontato il problema di Atlantide partendo da presupposti diversi e arrivando a molteplici conclusioni, alcune delle quali davvero difficili da accettare. La conoscenza di questa vasta letteratura consente di cogliere gli aspetti positivi e negativi delle singole ipotesi e, perché no?, di formularne una propria capace di spiegare, per quanto possibile, il
mistero che si nasconde dietro quello che è considerato “il mito dei miti” per eccellenza.
A mio parere il tema Atlantide non può essere affrontato senza conoscere il pensiero globale di Platone, desumibile dalla sua vastissima produzione letteraria. In merito al tema in discussione, il grande filosofo considerava i grandi del passato, specie Omero ed Esiodo, veri e propri “Maestri” anche nelle materie storiche e geografiche e riferisce che le loro principali opere contenevano un
alto grado di veridicità, seppure velato da alcuni aspetti mitologici.
Ora, nessuno può negare che i Greci più antichi nutrivano una speciale ammirazione per le bellezze e le ricchezze naturali di un’isola felice collocata nel loro mare Oceano dell’Occidente, ai confini del mondo conosciuto. Omero ed Esiodo, intorno all’VIII secolo a.C., sono i capostipiti di questo genere letterario, e illustrano questo luogo felice nell’Iliade, nell’Odissea, nella Teogonia e nelle
Opere e i Giorni. Tuttavia, i fatti che narrano, vedono come protagonisti le divinità e i grandi eroi del passato, risalente ad almeno cinque secoli prima.
Questo passato, a detta degli specialisti che conoscono l’evoluzione storica degli Elleni, non si spinge al di là della loro “memoria storica”, che al massimo risale egli albori della cultura micenea, quindi all’Età del Bronzo. In questo periodo della preistoria il confine del mondo conosciuto dai Greci era rappresentato dal Mediterraneo occidentale, quindi quello che generalmente chiamano
“mare Oceano” e che fanno visitare dai loro eroi più famosi non era certamente l’Atlantico dei moderni.
È anche noto che il modello di luogo ideale dei due grandi poeti è rappresentato dall’isola di Scheria (residenza dei Feaci), dall’isola di Sirìa, dall’Ade e dal regno di Crono impreziosito dalle Isole dei Beati, luoghi che fanno visitare da Odisseo (Ulisse), da antichissimi Fenici e da Menelao.
Ebbene Platone, praticamente in tutte le sue opere, cita spesso Omero e Esiodo, utilizzando interi passi dei loro poemi per dimostrare i propri assunti e, quando si cimenta a sua volta nella descrizione dell’isola felice dei Greci che chiama Atlantide, ammette candidamente di utilizzare i concetti già espressi dai due predecessori.
Inoltre, nel predisporre la stesura del racconto su Atlantide, il grande filosofo disponeva anche delle informazioni sull’isola felice dell’Occidente provenienti da Stesicoro, da Pindaro, da Erodoto e dalle fonti originali che servirono ad Apollonio Rodio per comporre Le Argonautiche; anche questi autori, a loro volta, avevano descritto l’isola felice assimilandola a Tartesso, al Giardino delle
Esperidi e alla Scheria dei Feaci.
Insomma, anche Platone, nel descrivere la sua Atlantide, si cimenta nella descrizione della tanto agognata isola felice dei Greci. Si tratta di un concetto che risulta radicato nei millenni successivi, come prova compiutamente la documentazione esistente: da quando esiste la cartografia, quella mirata ad identificare e collocare Atlantide, riproduce sistematicamente la misteriosa isola
insieme agli altri luoghi felici dei Greci.
Propongo, come esempio, la mappa di V. Pashos del 1879 dove, insieme ad un’Atlantide posizionata tra le Americhe e l’Africa, figurano il regno di Crono, i Titani, le Esperidi, le Gorgoni, Erizia e così via (Figura 1).
Platone, come è noto, scinde il racconto su Atlantide in due opere diverse: nel Timeo imposta il discorso sulla sua Repubblica ideale narrando la storia della famosa isola e descrivendola negli aspetti di carattere generale, che risultano del tutto normali. Nel Crizia, invece, il grande filosofo descrive le caratteristiche
costruttive, l’organizzazione sociale, l’ambiente, i costumi e le ricchezze di Atlantide, magnificando il tutto con le note ed esasperate esagerazioni.
Lo stesso filosofo chiarisce il perché di quest’atteggiamento particolare: intanto ammette di essersi ispirato ai racconti dei suoi grandi predecessori, quindi, una volta descritta la Repubblica ideale, trasferisce al completo questa idealità alla sua isola felice. Non solo, siccome si era prefisso di superare in bellezza e
magnificenza tutte le descrizioni esistenti “doveva” esagerare: il suo doveva diventare il luogo ideale per eccellenza.

Insomma Platone, e ancora una volta lo ammette candidamente, per raggiungere il suo scopo utilizza a piene mani tutti i suoi concetti filosofici trasferendoli alla sua isola felice: Atlantide. Ad esempio sviluppa il racconto della costruzione della famosa città “cerchiata” copiandone letteralmente la forma dal Cosmo che, ai
suoi tempi, era formato dalla Terra, dal Sole e da cinque pianeti. Quella del Cosmo, per il filosofo, era l’unica forma meritevole di essere riprodotta con fedeltà assoluta, tanto è vero che utilizza, come il Creatore del mondo, il “tornio” per costruire le cinte alternate di terra e di mare che circondano il monte. Infatti, quella che poi diventa la residenza di Atlante, era munita di cinte racchiuse da sette mura circolari che riproducevano le sette orbite (Figura 2).
Insomma, a mio parere il racconto su Atlantide va debitamente “demitizzato”, nel senso che vanno rimossi gli aspetti esasperati legati alla filosofia di Platone. D’altra parte ricordo che la comparsa del racconto, nel IV secolo a.C., suscita poche emozioni e passa pressoché inosservato ai contemporanei e agli immediati successori del grande filosofo. I motivi? L’illustrazione di una magnifica isola dell’Occidente non era certo una novità per i Greci e, molto probabilmente, conoscevano lo scopo che si era prefisso Platone: accompagnare l’illustrazione con i suoi concetti filosofici.
Questo significa che i Greci consideravano il racconto su Atlantide del tutto normale e che sono stati i moderni a “caricarlo” di significati oltremodo misteriosi, fantastici e, spesso, esoterici. È sufficiente dare uno sguardo all’amplissima letteratura esistente per capire la realtà di questo fenomeno; se poi si costruiscono debitamente alcune vicende che hanno accompagnato l’evoluzione della II Guerra Mondiale, come quella che considerava superiore la razza proveniente dagli Atlantidei e dagli Ariani, ci si rende conto di come i moderni abbiano fatto assumere al mito di Atlantide aspetti del tutto disastrosi.
Tornando ai luoghi felici dei Greci, generalmente identificati in un’isola occidentale del mare Oceano, va detto che in molti casi sono descritti in modo dettagliato, frutto evidente di racconti orali tramandati da antichissimi navigatori. Ma in particolare la descrizione del punto di approdo presenta sempre una morfologia comune: attraversato il mare Oceano si presenta un golfo interessato da un promontorio proteso sul mare, oltre il quale uno stretto conduce ad un lago dai bassi fondali. Nel lago o nelle sue vicinanze trovano collocazione un porto, un monte, una o più isole, oltre ad alcuni fiumi che vi sfociano dopo avere attraversato una grande pianura.
In linea con la collocazione geografica in Occidente e nel mare Oceano, Platone descrive l’arrivo alla sua Atlantide rispettando la suddetta morfologia. Non solo, ripropone i singoli elementi ambientali del suddetto paesaggio rispettandone la sequenza: nella misteriosa isola, posta oltre il mare Oceano (definito anche Atlantico perché mare di Atlante), uno stretto (Colonne d’Eracle) conduce ad un piccolo mare interessato da un’isola vicina, da un vicino monte e da fiumi che attraversano una grande pianura. Ma, a tale proposito, ecco le parole esatte del filosofo:
Tutto ciò che si trova all’interno dello stretto di cui stiamo parlando sembra un porto che abbia un’entrata stretta; mentre al di là dello stretto, quello è davvero mare, e la terra che lo circonda la si può chiamare con verità, e nel modo più proprio, continente (Timeo, 24e-25a).
Ebbene, questa conformazione, comune a tutti i luoghi felici e alla stessa Atlantide, corrisponde in modo impressionante ad una regione della Sardegna: quella di Cagliari (Figura 3).


Infatti la regione cagliaritana, per chi arriva dal mare aperto, presenta il golfo col promontorio di Capo S. Elia, oltre il quale uno stretto (oggi canale) conduce alla laguna di S. Gilla dai fondali poco navigabili. Subito dopo lo stretto, sulla destra, sorgeva l’antico porto (spostato dai Romani nella posizione attuale intorno al 200 a.C.) e, leggermente all’interno, il colle di S. Michele. La laguna è
interessata dalla presenza di alcune isolette (la più grande è quella di S. Simone-Sa Iletta) e riceve le acque dei fiumi Cixerri e Mannu, che sfociano sulla stessa dopo aver percorso lunghi tratti della pianura del Campidano.
Perché Atlantide in Sardegna e non altrove? Perché era “l’isola dei miracoli” dei Micenei dell’Età del Bronzo, i quali ne ammiravano le ricchezze naturali, il clima, i metalli e quant’altro, ma in particolare la cultura, unica che raggiunse, nello stesso periodo e nel vero mare Oceano dei Greci, un altissimo livello di civiltà (Figura 4). Ricordo, infatti, che gli stessi Greci del periodo storico,
quando conobbero direttamente la Sardegna e i Sardi, si appropriarono delle leggi, del concetto di libertà, degli aspetti costruttivi e della fertilità della grande pianura, facendo derivare il tutto dai vari Aristeo, Dedalo, Iolao ecc.
Inoltre l’isola dei nuraghi si trova nella rotta che unisce il mare orientale con quello occidentale, quindi era un ottimo punto di approdo per le navi che percorrevano la rotta che congiungeva i due versanti estremi.
A tale proposito ricordo la situazione della ricerca su Tartesso, l’altrettanto misteriosa isola felice che molti studiosi hanno assimilato ad Atlantide. Tra questi Adolf Schulten, il quale, insieme ad una équipe specializzata di studiosi, ha cercato invano la misteriosa località nella foce del Guadalquivir ammettendo, al termine della sua esistenza, di essersi sbagliato. Oggi i ricercatori, spagnoli e
non, cercano ancora Tartesso nella penisola iberica ma, non avendo trovato i resti della città, hanno modificato la strategia: Tartesso non rappresentava un centro ben definito di un’isola, ma una cultura che si estendeva nelle coste meridionali della Spagna.
Ricordo anche le affermazioni di carattere geografico esplicitate da Apollodoro nel racconto dell’undicesima “fatica” di Eracle: la sua Tartesso si trova “dall’altra parte, nel territorio antistante la Libia”, una Libia che, per gli antichi Greci, accorpava una buona parte dell’Africa settentrionale.
Perché Atlantide proprio a Cagliari? La conformazione delle coste della Sardegna meridionale, ricca di monti dirimpetto al mare ad esclusione della parte mediana, invita i naviganti ad addentrarsi nel golfo e verso la pianura centrale, dove ben presto si avvista il formidabile punto di riferimento costituito dalle alte e bianche falesie del Capo S. Elia.
Ho sempre apprezzato le bellezze naturali della regione di Cagliari e mi piace immaginare quale effetto potevano produrre nell’antichissimo visitatore i magnifici paesaggi privi delle tipiche forme edilizie della città moderna: intensa concentrazione di unità abitative, alti palazzi, ponti, viadotti ferroviari e stradali, centrali elettriche e insediamenti industriali.
Cagliari, con il suo hinterland, formava una regione ricchissima per la copiosa pesca offerta dalla laguna, per gli stagni che producevano il prezioso sale, per la flora naturale impreziosita dai frutteti, per la fauna terrestre e volatile dalla varietà insuperabile. Inoltre, la medesima regione, era vicinissima ai giacimenti metalliferi del Sulcis-Iglesiente, i più vasti e ricchi d’Europa, pertanto
appariva, agli occhi del visitatore proveniente dall’esterno, come una sorta di paradiso terrestre.
Non a caso, tutto il territorio della regione in questione, ha restituito i resti archeologici di tutte le culture di alto livello che si sono avvicendate, senza soluzione di continuità, dal Neolitico al periodo storico: una visita al Museo Archeologico di Cagliari e, perché no, al famoso Museo Preistorico Pigorini di Roma, la dice lunga sull’intensità e la qualità di questi insediamenti umani.
Gli elementi ambientali che formano il paesaggio del percorso di avvicinamento al luogo felice descritto dai vari autori greci, compreso Platone, assumono, pur conservandone le caratteristiche, nomi diversi. Li presento, nella stessa sequenza, inserendo volta per volta sia i nomi, sia l’ipotesi di identificazione proposta.
Il Mediterraneo occidentale, quindi anche il golfo di Cagliari, assume sempre il nome Mare Oceano(Figura 5).


Il Capo S. Elia assume i nomi di alto bastione di pietra, Rube Bianca, promontorio di Macride, roccia scoscesa e rocca di Gerione (Figura 6): tutti questi nomi rispettano fedelmente le caratteristiche del promontorio cagliaritano.
Il canale-stretto che conduce alla laguna di S.Gilla assume i nomi di: uscita stretta, stretto tartessico, Porte del Sole, Collo e Colonne d’Eracle. Quindi nel nostro caso lo stretto di Platone, ovvero le famose Colonne d’Eracle, sarebbero da collocare nello stretto cagliaritano (Figura 7).
Una curiosa verosimiglianza è rappresentata dal tramonto che osserva chi si avvicina a Cagliari dal mare dirigendosi al canale di accesso alla laguna: la vista richiama fortemente le Porte del Soledi Esiodo (Figura 8).
Sa Iletta, la maggiore delle isolette della laguna di S.Gilla, assume i nomi di nave pietrificata, Eritheia, Erizia(la rossa), isola Fla, isola nella foce del fiume d’argento, isola cerchiata (Figura 9).

I fiumi Cixerri e Mannu assumono i nomi di fiume di Nausicaa, Piriflegetonte e Cocito, fiume Tritone, fiume Tartesso, fiumi (Figura 10). Ricordo che il Cixerri nasce nel bacino piombo-argentifero più ricco d’Europa e che il fiume Tartesso era famoso per le “radici d’argento”.
La pianura del Campidano assume i nomi di pianura, prato asfodelo, pianura fertile, pianura oblunga. Faccio notare che l’asfodelo è comunissimo in Sardegna e che il Campidano è una pianura fertile e dalla forma oblunga (Figura 11).
La posizione geografica Atlantide corrisponde esattamente alla collocazione della Sardegna nel Mediterraneo. La figura 4 consente di valutare questa corrispondenza, intanto lascio la parola al filosofo Platone mentre completa la frase precedente:
Vi era un’isola davanti allo stretto che voi chiamate Colonne d’Eracle […] e da essa era possibile ai navigatori di allora passare alle altre isole, e da questa all’intero continente che vi si trova di fronte e che circonda quel mare che è il vero mare. Infatti tutto ciò che si trova all’interno dello stretto di cui stiamo parlando sembra un porto che abbia un’entrata stretta, mentre, di là dallo stretto, quello è davvero mare, e la terra che lo circonda la si può chiamare con verità, e nel modo più proprio, continente” (Timeo 24e-25a).
In realtà dalla Sardegna è possibile passare ad altre isole (Corsica, Baleari, e Sicilia) e da queste all’intero continente posto di fronte (coste della Liguria, della Provenza, della Spagna, del nord-Africa e della penisola italiana) che racchiude il vero mare (Mediterraneo occidentale). Quanto allo stretto che separa il grande mare dal piccolo mare, Platone lo equipara ad “un porto dall’entrata stretta”.
Fermo restando l’identificazione dell’isola di Atlantide con la Sardegna, va detto che il filosofo usa il termine “davanti” per definire la posizione dello stretto rispetto alla grande isola, mentre per definire la posizione delle isole che si affacciano sul continente usa il termine “di fronte”. Si tratta di una distinzione importante, in quanto i due termini indicano rispettivamente una stretta vicinanza e una certa distanza. Insomma, anche i dettagli descrittivi confermano che lo stretto in questione, e quindi le Colonne d’Eracle di Platone, sono posizionabili nell’attuale canale cagliaritano, un tempo vero e proprio stretto (Figura 12).

Queste, invece, le caratteristiche territoriali dell’isola e della grande pianura di Atlantide:
In primo luogo tutto quanto il territorio si diceva che fosse alto e a picco sul mare, mentre tutt’intorno alla città vi era una pianura, che abbracciava la città ed era essa stessa circondata da monti che discendevano sino al mare, piana e uniforme, tutta allungata, lunga tremila stadi su due lati e al centro duemila stadi dal mare fin giù. Questa parte dell’intera isola era rivolta a mezzogiorno e al riparo dai
venti del nord (Crizia, 118a-118b).
Il territorio “alto e a picco sul mare” caratterizza anche la Sardegna, in particolare la costa del orientale e quella sud sud-orientale, le prime ad essere avvistate, specie da chi, proveniente dalla Grecia, si dirige
verso la Sardegna. La città in questione, ovvero quella “cerchiata” costruita intorno al monte, sorge nella mezzeria della pianura ed è “circondata da monti sino al mare sin giù, piana, uniforme, tutta allungata, rivolta a mezzogiorno e al riparo dai venti del nord”.
Non penso che si possano descrivere meglio le caratteristiche della Sardegna, della pianura del Campidano e della regione di Cagliari indiziata per ospitare la città “cerchiata”, chiamata anch’essa Atlantide perché diventa la residenza di Atlante. Quanto al monte l’area cagliaritana non presenta certo problemi: presenta ben sette colli, tra i quali quello di S. Michele nei pressi della laguna, mentre la pianura del Campidano corrisponde esattamente alla descrizione del filosofo: è racchiusa dai monti che l’accompagnano dal golfo di Oristano sino a quello di Cagliari, quindi riparata dai venti settentrionali, e forma un quadrilatero allungato con la parte meridionale rivolta a mezzogiorno (Figura 11).
Ma ecco come Platone completa le informazioni riguardanti la posizione del monte trasformato in città “cerchiata”:
Vicino al mare, ma nella parte centrale dell’intera isola, c’era una pianura, che si dice fosse di tutte la più bella e garanzia di prosperità, vicino alla pianura, ma al centro di essa, a una distanza di circa cinquanta stadi, c’era un monte, di modeste dimensioni da ogni lato” (Crizia, 113c).
Quindi il monte sorge vicino al mare e al centro della prosperosa pianura larga cento stadi, in quanto lo stesso monte dista cinquanta stadi “da ogni lato”. Segnalo qui la contraddizione del filosofo: nel brano precedente narra di una pianura larga duemila stadi, mentre ora la descrive larga solo cento stadi (circa 18 Km). Si tratta di un contraddizione quasi certamente dovuta alla necessità di
rappresentare Atlantide grande in tutto e dalle misure che superano tutte le altre esistenti. Ebbene, scartando le prime dimensioni, davvero esagerate, resta il fatto che la pianura del Campidano, in tutta la sua estensione, è larga dai diciotto ai venti chilometri (Figura 11).

La frase che definisce la pianura come “la più bella di tutte e garanzia di prosperità”non è nuova per i Greci: ricordo che, agli scrittori del periodo classico, il Campidano era nota come “pianura Jolea”, nome attribuito all’eroe Jolao, nipote di Eracle. Tuttavia il nome richiama anche gli Iolei, antichissima gente sarda che risulta insediata nella Sardegna meridionale ben prima del presunto
arrivo di Jolao.
Atlantide esprime la sua potenza dominando, oltre l’intera isola, le terre che la circondano:
In quest’isola di Atlantide vi era una grande e meravigliosa dinastia regale che dominava tutta l’isola e molte altre isole e parti del continente: inoltre governavano le regioni della Libia che sono al di qua dello stretto sino all’Egitto, e l’Europa sino alla Tirrenia” (Timeo, 25a-25b).

La descrizione geografica di Platone corrisponde ancora una volta alla situazione della Sardegna nell’Età del Bronzo. L’esistenza di una dinastia regale è in linea con la suddivisione in piccoli “regni” di tutta l’Isola e, allo stesso modo, la cultura nuragica estendeva la sua sfera d’influenza culturale alla parte meridionale della Corsica, alle Baleari e alla parte occidentale della Sicilia, nonché alle coste della Provenza, della Spagna, dell’Africa settentrionale e dell’Etruria (Figura 13), come dimostrano ampiamente i recenti rinvenimenti archeologici di oggetti di chiara matrice nuragica in tutte le suddette aree.
Un altro aspetto molto importante, anzi direi decisivo per la ricostruzione delle vicende preistoriche della Sardegna, riguarda la cosiddetta “guerra lampo” descritta da Platone:
A un certo punto, questa potenza, concentrate tutte le forze, tentò di sottomettere in un sol colpo la vostra terra, la nostra e tutte quelle al di qua dello stretto” (Timeo, 25b).

La terminologia usata dal grande filosofo ricorda l’attacco condotto dai Popoli del Mare all’Egitto nel 1174 a.C. Anche Ramsses III, nelle incisioni templari di Medinet Habu, fa raffigurare una coalizione che invade repentinamente i maggiori paesi orientali del tempo. Anzi, secondo le fonti egiziane l’attacco condotto dalla coalizione di Popoli del Mare inizia proprio dalla Grecia e, coinvolgendo le coste anatoliche, Ugarit, Cipro e le coste del Canaan, termina con l’Egitto. Ebbene, Platone, nel descrivere l’attacco portato da Atlantide, cita gli stessi paesi e le medesima sequenza.
Ricordo che tra i Popoli del Mare, con un ruolo certamente non secondario, erano presenti anche gli Sherden-Nuragici (Figura 14) e che Platone attinge le notizie essenziali per il racconto su Atlantide da Solone, il quale, circa due secoli prima, aveva visitato l’Egitto e quindi anche i monumenti faraonici. Insomma, quasi certamente Platone e il sacerdote egiziano narrano della medesima vicenda.


Fonte: Gianfrancopintore.blogspot.com

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