sabato 5 marzo 2011
Altre considerazioni su Delfi
Ultime considerazioni sul Tesoro
di Giuseppe Sgubbi
Dedalo e Icaro
Il Torelli (1993 pag 63), commentando il racconto che Polemone ha fatto al riguardo del tesoro di Spina a Delfi, ove ricorda la presenza in detto tesoro di due statue di marmo, ipotizza che queste potevano rappresentare Dedalo ed Icaro e mette in evidenza il culto che Dedalo aveva nel Delta Padano.
L’ipotesi non è molto credibile, in quanto Polemone dice che si tratta di due fanciulli.
Molto probabilmente la presenza in queste zone di Dedalo può essere opera tarda degli Etruschi, a ricordo delle bonificazioni idrauliche che questi effettuarono nel Delta del Po, ma il Prayon (1993 pag 103) dice che queste raffigurazioni sono più antiche, infatti si trovano raffigurate in un vaso del VII a.C. trovato a Caput Adria. Ma vi è una testimonianza ancor più antica che attesta la presenza di Dedalo in queste zone; si tratta del noto passo dello Ps Aristotele (81) ove si legge che in una isola Elettride, Dedalo, avrebbe costruito due statue, una per se ed una per il figlio Icaro, ma che poi dovette scappare a causa dell'’arrivo dei Pelasgi. Queste isole Elettridi, che abbiamo già ricordate parecchie volte, sacre ad Artemide, approdo degli Argonauti, e tappa per gli Iperborei, sono pure, ricordate dallo Ps Aristotele (81), Pomponio Mela (II 114), Strabone (V,1) ed Apollonio Rodio (305), si trovavano presso le foci del Po, ed erano il capolinea per il commercio dell’ambra baltica.
I Dioscuri
Abbiamo già accennato al ritrovamento di due statue che rappresentavano presumibilmente i due gemelli Castore e Polluce, avvenuta nelle vicinanze del tesoro IX del santuario delfico, un tesoro che seppur con tutte le riserve del caso può essere il nostro, ebbene, a parte questo, i Dioscuri sono documentati in alto Adriatico da varie fonti antiche, in particolare da Apollonio Rodio (IV,590), infatti i due gemelli facevano parte dei componenti della spedizione Argonautica che come abbiamo visto, è bene ambientata nelle nostre zone. In particolare questi sono ricordati in quanto nel corso della saga Argonautica si sarebbero fermati dalla nostre parti per fare abbeverare i loro cavalli (Marziale epig IV 25 e VIII 48). Il più famoso di questi cavalli è Cillaro,un cavallo più volte ricordato da Stesicoro (Virgilio Georgiche III,90). In Grecia vi era l’usanza di sacrificare ai Dioscuri un cavallo bianco (Stella 1977pag 35); ebbene, un cavallo bianco è presente sia come figura che col nome Cillaro, nello stemma di Bagnacavallo, e un’antica tradizione vuole questa città costruita sopra ad una isola Eletrride. Il culto dei Dioscuri in alto Adriatico è pure ricordato in una iscrizione del VI a.C. (Prosdocimi 1990). Molto probabilmente tale culto è arrivato dalle nostre parti grazie alla leggenda Minia, che come abbiamo detto, descrive il più antico culto Argonautico.
Altri collegamenti
A tutti questi collegamenti se ne possono aggiungere altri: Dionisio, che come è noto nei tre mesi nei quali Apollo si assentava, diventava il titolare di Delfi, era venerato a Spina (Baldoni 1989). Tre fatiche di Ercole (mele delle Esperidi, Mandrie di Gerione e caccia alla cerva Cerinea) ambientate anche in Alto adriatico, questi avrebbe inoltre dato il nome ad una strada che dalle foci del Po andava in Francia ed in Spagna, cioè la così detta via Eraclea, ricordata fra gli altri anche dallo Ps Aristotele (85). Diomede, eponimo di Adria e Spina, ha dato il suo nome alle isole Diomedee ed a vari promontori, vari sono i santuari a lui dedicati, per esempio quello ricordato da Strabone V,214, ed un sacrario pure da lui ricordato (V,1), ove si sacrificava un cavallo bianco. Non sarà per caso quello ricordato da Omero? Dice Licofrone (Alex 626), che Diomede, appena arrivato in Adriatico, avrebbe ucciso il drago che faceva da guardia al Vello d’Oro, ennesima conferma che il viaggio Argonautico è ambientato nel nostro mare. Occorre comunque tener presente che risultano due personaggi qui ambientati con nome Diomede (Terrosi Zanco 1965), perciò spesso si è fatto confusione. Antenore eponimo di Padova, che avrebbe condotto i Veneti dalla Paflagonia. Odisseo, che per lo scoliaste di Esiodo, avrebbe governato con i suoi figli sulle isole Elettridi (Mastrocinque 1993); una sua presenza in Alto Adriatico è documentata anche dalla presenza in loco della Circe (Graves 1995 pag 559), come pure è testimoniata da Nanas, cioè dal re che avrebbe condotto i Pelasgi nelle foci Padane. Per non dire di Enea, testimoniato dalla presenza in loco del suo antenato Dardano, e dalla esistenza in Veneto di una città chiamata Troia. Dice il Musti (1994 pag 99), che cotesto toponimo, in tale area, dovrebbe riferirsi allo sbarco di Enea. Non si può comunque escludere che questa città sia invece stata fondata da Dardano che come è noto, fondò la storica Troia. Dal diario del Ditti Cretese, purtroppo perduto, si apprende anche che Enea avrebbe fondato Corcira Melaina. Dice Licofrone (Alex 1240 ), come abbiamo già ricordato, che il culto dei Cabiri da Samotracia all’Italia, sarebbe opera di Enea. Non è chiaro a quali dei si riferisca il culto dei Cabiri, ma questo culto era diffusissimo in Italia, in particolare era diffuso fra i Reti, che per Livio (V 33), erano Etruschi, dispersi nelle Alpi, al seguito della invasione gallica. Ebbene questi Etruschi erano lo dice Diodoro Siculo (XIV 113), dei Pelasgi. Il collegamento Cabiri e Pelasgi è più volte testimoniato da Erodoto, dice infatti che i Pelasgi, cioè quei Pelasgi che l’oracolo di Dodona indirizzò verso la terra Saturnia dei Siculi Pelasgi erano i depositari dei misteri di Samotracia. Nelle nostre zone è pure documentato il culto di Crono e della sua moglie Rea: dice infatti Apollonio Rodio (IV 325), che l’Adriatico era detto mare di Crono, ed Eschilo (Prom Incat v 836), ci fa sapere che era pure detto mare di Rea. Per una disamina di tutte queste testimonianze omeriche si rimanda a Sgubbi (2000). Non mancano altri indizi: Isole Cassiteridi, cioè le isole dello stagno, ricordate dallo Ps Scimmo (392); le Isole Asbirtidi, dal nome di Asbirto, fratello di Medea, l’eroina della vicenda Argonautica; città come Pola, Aquilea, Asporo, Olcinium ed Orico, sarebbero state fondate dai Colchi. Ma non è affatto detto che questi Colchi debbano per forza essere quelli che inseguirono gli Argonauti lungo il Danubio; potrebbero essere invece popolazioni che abitavano nelle rive orientali del Mar Nero e che come tante altre popolazioni della zona emigrarono in occidente. Fra l’altro Pola vantava la tomba di Cadmo ed Armonia; questa ultima è la sorella di Dardano. La fossa del Po Messanica, che si ricollega alla Messenia Greca; l’Eridano, il mitico fiume ove sarebbe precipitato Fetonte. Per la stragrande maggioranza degli studiosi, questo fiume sarebbe il Po, per qualcuno sarebbe un altro corso d’acqua padano, per altri non sarebbe un fiume italiano. Uno dei passi più controversi che riguarda il Po è quello tramandato da Eschilo (testo 4). Questi dice che l’Eridano scorre in Iberia, cioè in Spagna, ma, dice il Balbo (1846), che per Plutarco, l’Iberia significava in antico l’Italia settentrionale, perciò se la testimonianza fosse esatta significherebbe che anche per Eschilo, l’Eridano sarebbe il Po. Per non parlare dei santuari dedicati a Jupiter cioè Zeuz; quello di Gabicce, quello di Bagnacavallo ed altri esistenti in varie zone. Essendo in tema collegamenti, si può aggiungere, seppur a titolo di curiosità, alcune probabili tracce lasciate dai Pelasgi nelle nostre zone: come è noto questi usavano il sistema dodecimale, ebbene, questo numero era molto usato al riguardo della centuriazione, il duodecimarum (SGUBBI 2001), come pure era usato nelle piantagioni, quelle dette scacchiera in tralice, che Cicerone chiamava quincuncem ordines, come pure era usato in occasione della fondazione delle città, cioè la già ricordata dedecapoli padana. I triangoli che si riscontrano nella piantagione a scacchiera, ove gli angoli dei filari riproducono sempre il V, sono simili a quelli che si riscontrano in molti tratti della centuriazione romagnola (BRIGHI 2000 pag 75). Molto probabilmente la divisione in quattro parti della centuria; che ha creato la tnuda romagnola di 12 ettari (una suddivisione identica come estensione che si riscontra sia a Metaponto, la più antica colonia greca dell’Italia, che in Grecia), è opera loro. Una traccia pelasga sarebbe pure il matriarcato romagnolo. Anche la genetica documenta una persistente presenza pelasga nelle nostre zone, per esempio: si dia uno sguardo alla piantina che lo SFORZA (1993 pag 337), riporta nel suo libro; questi riporta una isola greca, esistente nel ferrarese, ancora contrassegnata in loco dalla diffusa talassemia. Si tratta di una malattia diffusa pure nel Metapontino ed altrettanto in Tessaglia, che come abbiamo visto, è il luogo originario dei Pelasgi-Tessali.
Riassunto
Come già detto all’inizio, se un turista italiano nel corso della visita al Santuario di Delfi, chiedesse notizie al riguardo dei tesori di Spina e di Cerveteri, non riceverebbe nessuna risposta, ebbene al seguito dei risultati emersi da questa ricerca, sarebbe opportuno che nelle piantine allegate alle guide del santuario, iniziasse a trovar posto, seppur con un punto interrogativo, l’indicazione anche dei nostri tesori, anche perché, in dette piantine, vengono segnalate come certe, delle attribuzioni a dei tesori per i quali alla loro effettiva paternità esistono non pochi dubbi. Effettivamente molti resti di tesori del santuario delfico sono tuttora anonimi, e conseguentemente ogni tentativo di attribuzione deve essere fatto con le dovute cautele. Ma è anche vero che, grazie alle caratteristiche che si riscontrano in alcuni tesori, vi sono buone probabilità che i nostri siano da cercare in quella zona del santuario e fra quelli descritti. Perciò non si allontanerebbe molto dal vero se una guida turistica, incaricata di fare da cicerone ad un gruppo di turisti italiani, trovandosi di fronte ai tesori IX,X e XII dicesse: Molto probabilmente questi resti appartengono ai vostri tesori in quanto, ecc, ecc. Ritornando ai possibili collegamenti con popolazioni Greche e medio Orientali; senza alcun dubbio le nostre zone non poterono non essere direttamente interessate dagli sconvolgimenti avvenuti nel corso del XIII e XII a.C, che interessarono tutto il Mediterraneo. In quel periodo avvenne di tutto; invasioni dei così detti Popoli del mare (ricordati nelle iscrizioni egiziane di Medinet Habu; gli avvenimenti biblici, gli avvenimenti Omerici, (caduta di Troia e conseguenti ritorni); crollo di imperi (Ittita e Miceneo).Tutti questi avvenimenti crearono inevitabilmente delle migrazioni che a loro volta crearono delle altre migrazioni, che interessarono tutte le zone Mediterranee e perciò anche queste zone. A ciò va aggiunto che l’alto Adriatico era un punto importante per il commercio dell’ambra Baltica, perciò anche per questa ragione sono arrivate nelle nostre zone popolazioni provenienti da ogni parte del mondo. L’alto Adriatico non può vantare fondazioni coloniali, come invece è accaduto in Magna Grecia, ma può vantare indizi di precolonizzazione, più che altrove. Chiunque si rende conto che gli avvenimenti accaduti in questo periodo, sono dominati da incertezze, ma è anche vero che pur con tutte le cautele, occorre indagare su tali avvenimenti, anche perché è in quel periodo che sono nate tutte le civiltà italiane (Etrusca, Veneta, Umbra, Picena, ecc). In quel periodo sono state piantate le radici delle nostre radici.
Senza alcun dubbio molti di quei racconti sono leggendari e perciò non è facile ricavarne notizie storiche, ma è anche vero che le scoperte archeologiche hanno dimostrato che non sono tutte favole, perciò meriterebbero maggior considerazione. Idealmente occorrerebbe che ogni libro di storia fosse corredato da una appendice, con le tradizioni e le leggende, per evitare che queste vadano perdute. Purtroppo nel secolo scorso, forse a causa della esagerata Etruscomania, fu fatta tabula rasa di questi racconti e conseguentemente molti sono andati irrimediabilmente perduti, con non pochi danni per la conoscenza del nostro passato. Arrivato alla fine devo comunque ammettere che a nessuna delle numerose domande sono riuscito a dare quelle risposte, che invece il tema richiedeva, ma questo era prevedibile, non a caso il titolo è alla ricerca del tesoro degli Spineti, e non alla scoperta.
Termino facendo due inviti agli addetti ai lavori
1) si scavi nell’area preistorica Solarolese di via Ordiere, una area, del cui contenuto non si sa niente, benchè la sua esistenza sia nota da quasi venti anni.
L’importanza di detti scavi non è solamente quello di accertare la possibilità che detta area possa corrispondere alla Spina Pelagica (una ipotesi da non escludere, anche se personalmente non la ritengo possibile), ma in quanto vi sono buone possibilità di trovarsi di fronte ad una altra Frattesina Terme, come recenti reperti; ceramica probabilmente Micenea e globetti di pasta vitrea, trovati in loco, farebbero pensare.
2) come è noto, i Micenei avevano l’usanza di tracciare le strade sulle creste delle montagne, così hanno fatto per il tracciato che attraversa l’Appennino lungo la valle del Senio, ed era pure loro usanza edificare lungo tali tragitti qualche tempio per il culto (i cosiddetti culti delle vette montane), ebbene, lungo il percorso appena accennato, vi è una area che, per i reperti trovati, fa pensare di trovarsi di fronte ad uno di questi edifici, occorrerebbe perciò fare in loco le necessarie verifiche.
di Giuseppe Sgubbi
Dedalo e Icaro
Il Torelli (1993 pag 63), commentando il racconto che Polemone ha fatto al riguardo del tesoro di Spina a Delfi, ove ricorda la presenza in detto tesoro di due statue di marmo, ipotizza che queste potevano rappresentare Dedalo ed Icaro e mette in evidenza il culto che Dedalo aveva nel Delta Padano.
L’ipotesi non è molto credibile, in quanto Polemone dice che si tratta di due fanciulli.
Molto probabilmente la presenza in queste zone di Dedalo può essere opera tarda degli Etruschi, a ricordo delle bonificazioni idrauliche che questi effettuarono nel Delta del Po, ma il Prayon (1993 pag 103) dice che queste raffigurazioni sono più antiche, infatti si trovano raffigurate in un vaso del VII a.C. trovato a Caput Adria. Ma vi è una testimonianza ancor più antica che attesta la presenza di Dedalo in queste zone; si tratta del noto passo dello Ps Aristotele (81) ove si legge che in una isola Elettride, Dedalo, avrebbe costruito due statue, una per se ed una per il figlio Icaro, ma che poi dovette scappare a causa dell'’arrivo dei Pelasgi. Queste isole Elettridi, che abbiamo già ricordate parecchie volte, sacre ad Artemide, approdo degli Argonauti, e tappa per gli Iperborei, sono pure, ricordate dallo Ps Aristotele (81), Pomponio Mela (II 114), Strabone (V,1) ed Apollonio Rodio (305), si trovavano presso le foci del Po, ed erano il capolinea per il commercio dell’ambra baltica.
I Dioscuri
Abbiamo già accennato al ritrovamento di due statue che rappresentavano presumibilmente i due gemelli Castore e Polluce, avvenuta nelle vicinanze del tesoro IX del santuario delfico, un tesoro che seppur con tutte le riserve del caso può essere il nostro, ebbene, a parte questo, i Dioscuri sono documentati in alto Adriatico da varie fonti antiche, in particolare da Apollonio Rodio (IV,590), infatti i due gemelli facevano parte dei componenti della spedizione Argonautica che come abbiamo visto, è bene ambientata nelle nostre zone. In particolare questi sono ricordati in quanto nel corso della saga Argonautica si sarebbero fermati dalla nostre parti per fare abbeverare i loro cavalli (Marziale epig IV 25 e VIII 48). Il più famoso di questi cavalli è Cillaro,un cavallo più volte ricordato da Stesicoro (Virgilio Georgiche III,90). In Grecia vi era l’usanza di sacrificare ai Dioscuri un cavallo bianco (Stella 1977pag 35); ebbene, un cavallo bianco è presente sia come figura che col nome Cillaro, nello stemma di Bagnacavallo, e un’antica tradizione vuole questa città costruita sopra ad una isola Eletrride. Il culto dei Dioscuri in alto Adriatico è pure ricordato in una iscrizione del VI a.C. (Prosdocimi 1990). Molto probabilmente tale culto è arrivato dalle nostre parti grazie alla leggenda Minia, che come abbiamo detto, descrive il più antico culto Argonautico.
Altri collegamenti
A tutti questi collegamenti se ne possono aggiungere altri: Dionisio, che come è noto nei tre mesi nei quali Apollo si assentava, diventava il titolare di Delfi, era venerato a Spina (Baldoni 1989). Tre fatiche di Ercole (mele delle Esperidi, Mandrie di Gerione e caccia alla cerva Cerinea) ambientate anche in Alto adriatico, questi avrebbe inoltre dato il nome ad una strada che dalle foci del Po andava in Francia ed in Spagna, cioè la così detta via Eraclea, ricordata fra gli altri anche dallo Ps Aristotele (85). Diomede, eponimo di Adria e Spina, ha dato il suo nome alle isole Diomedee ed a vari promontori, vari sono i santuari a lui dedicati, per esempio quello ricordato da Strabone V,214, ed un sacrario pure da lui ricordato (V,1), ove si sacrificava un cavallo bianco. Non sarà per caso quello ricordato da Omero? Dice Licofrone (Alex 626), che Diomede, appena arrivato in Adriatico, avrebbe ucciso il drago che faceva da guardia al Vello d’Oro, ennesima conferma che il viaggio Argonautico è ambientato nel nostro mare. Occorre comunque tener presente che risultano due personaggi qui ambientati con nome Diomede (Terrosi Zanco 1965), perciò spesso si è fatto confusione. Antenore eponimo di Padova, che avrebbe condotto i Veneti dalla Paflagonia. Odisseo, che per lo scoliaste di Esiodo, avrebbe governato con i suoi figli sulle isole Elettridi (Mastrocinque 1993); una sua presenza in Alto Adriatico è documentata anche dalla presenza in loco della Circe (Graves 1995 pag 559), come pure è testimoniata da Nanas, cioè dal re che avrebbe condotto i Pelasgi nelle foci Padane. Per non dire di Enea, testimoniato dalla presenza in loco del suo antenato Dardano, e dalla esistenza in Veneto di una città chiamata Troia. Dice il Musti (1994 pag 99), che cotesto toponimo, in tale area, dovrebbe riferirsi allo sbarco di Enea. Non si può comunque escludere che questa città sia invece stata fondata da Dardano che come è noto, fondò la storica Troia. Dal diario del Ditti Cretese, purtroppo perduto, si apprende anche che Enea avrebbe fondato Corcira Melaina. Dice Licofrone (Alex 1240 ), come abbiamo già ricordato, che il culto dei Cabiri da Samotracia all’Italia, sarebbe opera di Enea. Non è chiaro a quali dei si riferisca il culto dei Cabiri, ma questo culto era diffusissimo in Italia, in particolare era diffuso fra i Reti, che per Livio (V 33), erano Etruschi, dispersi nelle Alpi, al seguito della invasione gallica. Ebbene questi Etruschi erano lo dice Diodoro Siculo (XIV 113), dei Pelasgi. Il collegamento Cabiri e Pelasgi è più volte testimoniato da Erodoto, dice infatti che i Pelasgi, cioè quei Pelasgi che l’oracolo di Dodona indirizzò verso la terra Saturnia dei Siculi Pelasgi erano i depositari dei misteri di Samotracia. Nelle nostre zone è pure documentato il culto di Crono e della sua moglie Rea: dice infatti Apollonio Rodio (IV 325), che l’Adriatico era detto mare di Crono, ed Eschilo (Prom Incat v 836), ci fa sapere che era pure detto mare di Rea. Per una disamina di tutte queste testimonianze omeriche si rimanda a Sgubbi (2000). Non mancano altri indizi: Isole Cassiteridi, cioè le isole dello stagno, ricordate dallo Ps Scimmo (392); le Isole Asbirtidi, dal nome di Asbirto, fratello di Medea, l’eroina della vicenda Argonautica; città come Pola, Aquilea, Asporo, Olcinium ed Orico, sarebbero state fondate dai Colchi. Ma non è affatto detto che questi Colchi debbano per forza essere quelli che inseguirono gli Argonauti lungo il Danubio; potrebbero essere invece popolazioni che abitavano nelle rive orientali del Mar Nero e che come tante altre popolazioni della zona emigrarono in occidente. Fra l’altro Pola vantava la tomba di Cadmo ed Armonia; questa ultima è la sorella di Dardano. La fossa del Po Messanica, che si ricollega alla Messenia Greca; l’Eridano, il mitico fiume ove sarebbe precipitato Fetonte. Per la stragrande maggioranza degli studiosi, questo fiume sarebbe il Po, per qualcuno sarebbe un altro corso d’acqua padano, per altri non sarebbe un fiume italiano. Uno dei passi più controversi che riguarda il Po è quello tramandato da Eschilo (testo 4). Questi dice che l’Eridano scorre in Iberia, cioè in Spagna, ma, dice il Balbo (1846), che per Plutarco, l’Iberia significava in antico l’Italia settentrionale, perciò se la testimonianza fosse esatta significherebbe che anche per Eschilo, l’Eridano sarebbe il Po. Per non parlare dei santuari dedicati a Jupiter cioè Zeuz; quello di Gabicce, quello di Bagnacavallo ed altri esistenti in varie zone. Essendo in tema collegamenti, si può aggiungere, seppur a titolo di curiosità, alcune probabili tracce lasciate dai Pelasgi nelle nostre zone: come è noto questi usavano il sistema dodecimale, ebbene, questo numero era molto usato al riguardo della centuriazione, il duodecimarum (SGUBBI 2001), come pure era usato nelle piantagioni, quelle dette scacchiera in tralice, che Cicerone chiamava quincuncem ordines, come pure era usato in occasione della fondazione delle città, cioè la già ricordata dedecapoli padana. I triangoli che si riscontrano nella piantagione a scacchiera, ove gli angoli dei filari riproducono sempre il V, sono simili a quelli che si riscontrano in molti tratti della centuriazione romagnola (BRIGHI 2000 pag 75). Molto probabilmente la divisione in quattro parti della centuria; che ha creato la tnuda romagnola di 12 ettari (una suddivisione identica come estensione che si riscontra sia a Metaponto, la più antica colonia greca dell’Italia, che in Grecia), è opera loro. Una traccia pelasga sarebbe pure il matriarcato romagnolo. Anche la genetica documenta una persistente presenza pelasga nelle nostre zone, per esempio: si dia uno sguardo alla piantina che lo SFORZA (1993 pag 337), riporta nel suo libro; questi riporta una isola greca, esistente nel ferrarese, ancora contrassegnata in loco dalla diffusa talassemia. Si tratta di una malattia diffusa pure nel Metapontino ed altrettanto in Tessaglia, che come abbiamo visto, è il luogo originario dei Pelasgi-Tessali.
Riassunto
Come già detto all’inizio, se un turista italiano nel corso della visita al Santuario di Delfi, chiedesse notizie al riguardo dei tesori di Spina e di Cerveteri, non riceverebbe nessuna risposta, ebbene al seguito dei risultati emersi da questa ricerca, sarebbe opportuno che nelle piantine allegate alle guide del santuario, iniziasse a trovar posto, seppur con un punto interrogativo, l’indicazione anche dei nostri tesori, anche perché, in dette piantine, vengono segnalate come certe, delle attribuzioni a dei tesori per i quali alla loro effettiva paternità esistono non pochi dubbi. Effettivamente molti resti di tesori del santuario delfico sono tuttora anonimi, e conseguentemente ogni tentativo di attribuzione deve essere fatto con le dovute cautele. Ma è anche vero che, grazie alle caratteristiche che si riscontrano in alcuni tesori, vi sono buone probabilità che i nostri siano da cercare in quella zona del santuario e fra quelli descritti. Perciò non si allontanerebbe molto dal vero se una guida turistica, incaricata di fare da cicerone ad un gruppo di turisti italiani, trovandosi di fronte ai tesori IX,X e XII dicesse: Molto probabilmente questi resti appartengono ai vostri tesori in quanto, ecc, ecc. Ritornando ai possibili collegamenti con popolazioni Greche e medio Orientali; senza alcun dubbio le nostre zone non poterono non essere direttamente interessate dagli sconvolgimenti avvenuti nel corso del XIII e XII a.C, che interessarono tutto il Mediterraneo. In quel periodo avvenne di tutto; invasioni dei così detti Popoli del mare (ricordati nelle iscrizioni egiziane di Medinet Habu; gli avvenimenti biblici, gli avvenimenti Omerici, (caduta di Troia e conseguenti ritorni); crollo di imperi (Ittita e Miceneo).Tutti questi avvenimenti crearono inevitabilmente delle migrazioni che a loro volta crearono delle altre migrazioni, che interessarono tutte le zone Mediterranee e perciò anche queste zone. A ciò va aggiunto che l’alto Adriatico era un punto importante per il commercio dell’ambra Baltica, perciò anche per questa ragione sono arrivate nelle nostre zone popolazioni provenienti da ogni parte del mondo. L’alto Adriatico non può vantare fondazioni coloniali, come invece è accaduto in Magna Grecia, ma può vantare indizi di precolonizzazione, più che altrove. Chiunque si rende conto che gli avvenimenti accaduti in questo periodo, sono dominati da incertezze, ma è anche vero che pur con tutte le cautele, occorre indagare su tali avvenimenti, anche perché è in quel periodo che sono nate tutte le civiltà italiane (Etrusca, Veneta, Umbra, Picena, ecc). In quel periodo sono state piantate le radici delle nostre radici.
Senza alcun dubbio molti di quei racconti sono leggendari e perciò non è facile ricavarne notizie storiche, ma è anche vero che le scoperte archeologiche hanno dimostrato che non sono tutte favole, perciò meriterebbero maggior considerazione. Idealmente occorrerebbe che ogni libro di storia fosse corredato da una appendice, con le tradizioni e le leggende, per evitare che queste vadano perdute. Purtroppo nel secolo scorso, forse a causa della esagerata Etruscomania, fu fatta tabula rasa di questi racconti e conseguentemente molti sono andati irrimediabilmente perduti, con non pochi danni per la conoscenza del nostro passato. Arrivato alla fine devo comunque ammettere che a nessuna delle numerose domande sono riuscito a dare quelle risposte, che invece il tema richiedeva, ma questo era prevedibile, non a caso il titolo è alla ricerca del tesoro degli Spineti, e non alla scoperta.
Termino facendo due inviti agli addetti ai lavori
1) si scavi nell’area preistorica Solarolese di via Ordiere, una area, del cui contenuto non si sa niente, benchè la sua esistenza sia nota da quasi venti anni.
L’importanza di detti scavi non è solamente quello di accertare la possibilità che detta area possa corrispondere alla Spina Pelagica (una ipotesi da non escludere, anche se personalmente non la ritengo possibile), ma in quanto vi sono buone possibilità di trovarsi di fronte ad una altra Frattesina Terme, come recenti reperti; ceramica probabilmente Micenea e globetti di pasta vitrea, trovati in loco, farebbero pensare.
2) come è noto, i Micenei avevano l’usanza di tracciare le strade sulle creste delle montagne, così hanno fatto per il tracciato che attraversa l’Appennino lungo la valle del Senio, ed era pure loro usanza edificare lungo tali tragitti qualche tempio per il culto (i cosiddetti culti delle vette montane), ebbene, lungo il percorso appena accennato, vi è una area che, per i reperti trovati, fa pensare di trovarsi di fronte ad uno di questi edifici, occorrerebbe perciò fare in loco le necessarie verifiche.
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