giovedì 17 marzo 2011
Atlantide e i sardi.
Gli Atlantidei e i nuragici sono lo stesso popolo?
di Giuseppe Mura
A dispetto delle esagerazioni costruttive e numeriche, Platone conserva in Atlantide tutte le caratteristiche attribuibili alla Sardegna nuragica. Ne propongo alcuni esempi:
-Per costruire i numerosi templi vantati dalla misteriosa isola, gli atlantidei usano la pietra “bianca, nera e rossa”, esattamente come i nuraghi, costruiti in arenaria, trachite di colori diversi e basalto (Figura 15);
-Gli Atlantidei amano le corse a cavallo e i Sardi altrettanto. La Sardegna dell’Età del Bronzo ha restituito numerosi morsi di cavallo in bronzo e alcuni bronzetti che mostrano in anteprima le acrobazie praticate dagli antichi Sardi sopra gli animali in corsa (figura 16), diffusissime ancora oggi;
-L’esercito di Atlantide, a prescindere dal numero immenso di guerrieri, è munito di armi tipiche dell’Età del Bronzo: scudo piccolo (rotondo), arco, fionda, lanciatori di giavellotto e marinai con relativa flotta. Armi e navi che non mancavano certo ai Nuragici (Figura 17);
-Atlantide disponeva di tutti i metalli “allo stato solido o fuso, che vengono estratti dalle miniere”; gli atlantidei usavano addirittura rame, bronzo, stagno, oro, argento e oricalco per rivestire le pareti dei templi e dei comuni fabbricati. A prescindere dal molto improbabile rivestimento, la Sardegna era famosissima nell’antichità proprio per il possesso di tutti i metalli, compresi quelli elencati da Platone (Figura 18);
-Altre ricchezze di Atlantide: “Molte risorse, grazie al loro predominio, provenivano dall’esterno, ma la maggior parte le offriva l’isola stessa per le necessità della vita”. La frase riflette la situazione interna e commerciale della Sardegna nuragica; inoltre gli autori del periodo ellenico consideravano l’Isola florida e ricca;
-Le risorse naturali dell’Isola Sacra di Atlantide sono le foreste, gli animali domestici e selvaggi, le essenze profumate, frutti coltivati e secchi e il frutto “per fare il pane”. La Sardegna nuragica aveva grandi risorse di flora e fauna, comprese le profumatissime essenze, mentre il frutto per fare il pane dovrebbe essere la ghianda: il pane carbonizzato rinvenuto negli scavi di Villanovaforru conteneva orzo, grano e ghiande;
-L’isola di Atlantide era divisa tra dieci principi: ad Atlante, oltre all’isola cerchiata, compete la “regione Gadirica”, ovvero “il lotto più esteso e migliore, e lo fece re degli altri, gli altri li fece capi e a ciascuno diede il potere su un gran numero di uomini e su un vasto territorio”. Si tratta di una situazione politico-sociale che caratterizza anche la Sardegna nuragica, tutta parcellizzata e suddivisa in entità territoriali guidate dai capi insediati nei maggiori nuraghi complessi (Figura 19). La regione Gadirica (ovvero fortificata) di Atlante, è posta al centro della pianura, vicina al mare ed esposta a mezzogiorno, quindi ricorda in tutto e per tutto la regione di Cagliari, peraltro strettamente controllata da un gran numero di nuraghi posizionati lungo la coste che formano il grande golfo. Uno sguardo alle carte archeologiche che mostrano la diffusione dei nuraghi lungo le due grandi braccia montuose che formano il golfo, è sufficiente per rendersi conto dell’entità di queste fenomeno costruttivo.
-L’isola di Atlantide era intensamente occupata, in quanto “I monti che la circondavano erano rinomati a quel tempo, in numero, grandezza e bellezza superiori ai monti che esistono oggi, per i molti villaggi ricchi di abitanti che vi si trovano e dall’altra parte per i fiumi, i laghi, i prati”.
L’intensa occupazione del territorio, comprese le aree di montagna, caratterizzava anche la Sardegna nuragica, tanto è vero che il fenomeno costruttivo dei nuraghi in pianura, in collina, in montagna e lungo le coste marine, impressiona ancora oggi gli studiosi;
-Gli Atlantidei praticavano un particolare culto: “Alcuni tori venivano lasciati liberi nel santuario di Posidone, e i dieci re, rimasti soli, dopo aver rivolto al dio la preghiera di scegliere la vittima che gli fosse gradita, davano inizio alla caccia, armati non di armi di ferro, ma solo di bastoni e di lacci; il toro che riuscivano a catturare, lo conducevano davanti alla colonna e lì, sulla cima di questa, lo sgozzavano proprio sopra l’iscrizione”. I Nuragici, oltre a praticare il culto al toro, lo sacrificavano allo stesso modo nei banconi di pietra costruiti appositamente per gli animale di grossa mole (S. V. Serri, M. d’Accoddi). Nel centro di Ottana (Figura 20) e in altri numerosi paesi della Sardegna si celebra ancora oggi questo antichissimo rito, raffigurato anche nelle Domus de Janas del Bronzo Medio di Anela.
Quanto all’iscrizione, che a detta di Platone era su una stele, c’è da dire che proprio la scrittura costituisce uno dei capisaldi utilizzati dagli studiosi che negano l’identificazione di Atlantide con la Sardegna, in quanto si dicono certi che i “Nuragici non scrivevano”. Anche questa perentorietà sta franando alla grande, visti i risultati acquisiti in questi ultimi anni da valenti specialisti Sardi e della penisola che hanno dimostrato, sulla base della scoperta e dell’analisi di numerosissimi reperti, tra i quali proprio le stele, che non solo gli antichi Sardi scrivevano, ma che disponevano di una forma di scrittura personalizzata.
La scomparsa di Atlantide, a seguito di “catastrofi naturale e di terremoti”, è così descritta da Platone:
La stessa isola di Atlantide scomparve sommersa dal mare: ecco perché anche adesso questo mare lontano è impraticabile e inesplorabile, giacché lo impedisce assolutamente il fango affiorante che l’isola ha prodotto inabissandosi (Timeo). Mentre adesso, sommersa da terremoti, è una melma insormontabile che impedisce il passo a coloro che navigano da qui per raggiungere il mare aperto, per cui il viaggio non va oltre (Crizia).
Platone illustra chiaramente la situazione in cui si trova una nave che, navigando nel piccolo mare, intende uscirne per raggiungere il “mare aperto”. Questo significa che il filosofo fa scomparire volutamente solo la piccola Atlantide, ovvero la città “cerchiata” sorta intorno al monte e nei pressi del piccolo mare. Insomma, la descrizione di poca navigabilità del piccolo mare è riferibile, ancora una volta, alla situazione della regione di Cagliari e di S. Gilla, interessata dai depositi portati dai vari fiumi che formano, da sempre, depositi fangosi e scarsa navigabilità. Ricordo che l’antichissimo porto, collocato all’interno della laguna, fu trasferito da Roma nell’attuale scalo moderno intorno al 200 a.C.
Tra l’altro, la distruzione parziale praticata da Platone, giustifica pienamente la famosa frase di Aristotele, uno dei famosi allievi dell’Accademia filosofica platonica. Infatti, a proposito della scomparsa dell’Isola, Aristotele commenta caustico:“colui che l’ha creata l’ha anche distrutta”. Quasi inutile precisare che, a detta dello stesso autore del racconto, l’unica Atlantide ad essere “creata” per le esigenze del racconto era solo l’isola “cerchiata”. Evidentemente la sua struttura era talmente anormale che Platone decise di farla sparire per sempre.
Non solo, Platone afferma che le catastrofi naturali e i terremoti distrussero nell’arco di ventiquattro ore l’isola di Atlantide e la stessa Grecia. A prescindere dall’identificazione della misteriosa isola un fatto è certo: i due luoghi, anche per il filosofo, erano lontanissimi tra loro, come è possibile che un evento catastrofico di qualsiasi tipo li avesse distrutti contemporaneamente?
Gli specialisti in materia non segnalano eventi di questo tipo, specie avvenuti contemporaneamente, nei due versanti del Mediterraneo; inoltre la ricerca archeologica della Sardegna mostra, nello stesso periodo, una continuità culturale sorprendente, tale da non ammettere traumi di sorta.
Nessun cataclisma, quindi? Sembra proprio così: lo suggeriscono la narrazione e la ricerca scientifica.
D’altra parte il grande filosofo doveva rispettare fino in fondo quanto avevano detto i suoi predecessori a proposito delle disavventure capitate agli abitanti dell’isola felice: tutti caddero in disgrazia di fronte agli dei per l’arroganza e l’incapacità di gestire le fortune loro affidate, così furono irrimediabilmente puniti. Per gli stessi motivi, oltre a quello di far sparire per sempre un’isola decisamente scomoda perché troppo inverosimile, Platone fa sparire per sempre la piccola Atlantide.
Prima di terminare una considerazione sulle Colonne d’Eracle. A parte il fatto che erano molteplici perché crescevano in numero e si spostavano con l’ampliamento delle conoscenze geografiche dei Greci, vorrei ribadire che quelle di Atlantide sono poste davanti alla grande isola, quindi vicinissime alla stessa, e separano il mare Oceano da un piccolo mare, “talmente piccolo da sembrare un porto”.
Nella cartina geografica che segue il lettore provi a posizionare le Colonne dell’eroe nello Stretto di Gibilterra, nei pressi di Creta, nelle Bocche di Bonifacio, nello Stretto di Messina, nel Canale di Sicilia e nei pressi di Cipro, ovvero nella posizione in cui sono state messe, in ordine strettamente cronologico, da coloro che hanno formulato ipotesi tendenti ad identificare Atlantide in questi ultimi secoli. Ebbene, quale sarebbe, in tutti questi casi, il mare talmente piccolo da sembrare un porto?
Chiudo con un passo di Timeo di Taormina, il grande esperto dei mari d’Occidente, il quale afferma senza mezzi termini: “Quando vedi le Colonne d’Eracle sei arrivato in Sardegna”. Faccio notare che un navigante che salpa dalla Sicilia per raggiungere la Sardegna si inoltra, inevitabilmente, nel golfo di Cagliari.
A tale proposito ricordo una scoperta archeologica che forse è il caso di rivalutare perché dimenticata: risale a quasi un secolo fa e passò pressoché inosservata: riguarda il rinvenimento, nei pressi dell’area che ospitava l’antico porto di S. Gilla, dei resti di un tempio dedicato ad Eracle, di un Bes e di una colonna con l’iscrizione del nome dell’eroe. Purtroppo tutta l’area in questione è stata soggetta, nell’arco dell’ultimo secolo, a continui lavori che ne hanno stravolto addirittura la conformazione originale. Ho partecipato personalmente ad ulteriori movimenti di terra nelle medesime aree diversi anni fa: posso assicurare che il materiale inerte era formato in particolare da ceramiche antiche, ormai talmente sminuzzate da essere ricondotte, appunto, a semplice terra.
Chissà se esiste la documentazione relativa ai lavori di costruzione della prima centrale termoelettrica della Sardegna, sorta esattamente nelle stesse aree nei primi anni del ventesimo secolo, in ogni caso ho dei seri dubbi sulla partecipazione, ai lavori di sbancamento iniziale, di rappresentanti del mondo archeologico.
Infine una precisazione: ho citato molti autori evitando, per brevità, di riportarne le opere e i passi, ma chi intende approfondire i singoli argomenti trattati nell’articolo può farlo nel capitolo VIII del volume “Sardegna l’isola felice di Nausicaa”.
di Giuseppe Mura
A dispetto delle esagerazioni costruttive e numeriche, Platone conserva in Atlantide tutte le caratteristiche attribuibili alla Sardegna nuragica. Ne propongo alcuni esempi:
-Per costruire i numerosi templi vantati dalla misteriosa isola, gli atlantidei usano la pietra “bianca, nera e rossa”, esattamente come i nuraghi, costruiti in arenaria, trachite di colori diversi e basalto (Figura 15);
-Gli Atlantidei amano le corse a cavallo e i Sardi altrettanto. La Sardegna dell’Età del Bronzo ha restituito numerosi morsi di cavallo in bronzo e alcuni bronzetti che mostrano in anteprima le acrobazie praticate dagli antichi Sardi sopra gli animali in corsa (figura 16), diffusissime ancora oggi;
-L’esercito di Atlantide, a prescindere dal numero immenso di guerrieri, è munito di armi tipiche dell’Età del Bronzo: scudo piccolo (rotondo), arco, fionda, lanciatori di giavellotto e marinai con relativa flotta. Armi e navi che non mancavano certo ai Nuragici (Figura 17);
-Atlantide disponeva di tutti i metalli “allo stato solido o fuso, che vengono estratti dalle miniere”; gli atlantidei usavano addirittura rame, bronzo, stagno, oro, argento e oricalco per rivestire le pareti dei templi e dei comuni fabbricati. A prescindere dal molto improbabile rivestimento, la Sardegna era famosissima nell’antichità proprio per il possesso di tutti i metalli, compresi quelli elencati da Platone (Figura 18);
-Altre ricchezze di Atlantide: “Molte risorse, grazie al loro predominio, provenivano dall’esterno, ma la maggior parte le offriva l’isola stessa per le necessità della vita”. La frase riflette la situazione interna e commerciale della Sardegna nuragica; inoltre gli autori del periodo ellenico consideravano l’Isola florida e ricca;
-Le risorse naturali dell’Isola Sacra di Atlantide sono le foreste, gli animali domestici e selvaggi, le essenze profumate, frutti coltivati e secchi e il frutto “per fare il pane”. La Sardegna nuragica aveva grandi risorse di flora e fauna, comprese le profumatissime essenze, mentre il frutto per fare il pane dovrebbe essere la ghianda: il pane carbonizzato rinvenuto negli scavi di Villanovaforru conteneva orzo, grano e ghiande;
-L’isola di Atlantide era divisa tra dieci principi: ad Atlante, oltre all’isola cerchiata, compete la “regione Gadirica”, ovvero “il lotto più esteso e migliore, e lo fece re degli altri, gli altri li fece capi e a ciascuno diede il potere su un gran numero di uomini e su un vasto territorio”. Si tratta di una situazione politico-sociale che caratterizza anche la Sardegna nuragica, tutta parcellizzata e suddivisa in entità territoriali guidate dai capi insediati nei maggiori nuraghi complessi (Figura 19). La regione Gadirica (ovvero fortificata) di Atlante, è posta al centro della pianura, vicina al mare ed esposta a mezzogiorno, quindi ricorda in tutto e per tutto la regione di Cagliari, peraltro strettamente controllata da un gran numero di nuraghi posizionati lungo la coste che formano il grande golfo. Uno sguardo alle carte archeologiche che mostrano la diffusione dei nuraghi lungo le due grandi braccia montuose che formano il golfo, è sufficiente per rendersi conto dell’entità di queste fenomeno costruttivo.
-L’isola di Atlantide era intensamente occupata, in quanto “I monti che la circondavano erano rinomati a quel tempo, in numero, grandezza e bellezza superiori ai monti che esistono oggi, per i molti villaggi ricchi di abitanti che vi si trovano e dall’altra parte per i fiumi, i laghi, i prati”.
L’intensa occupazione del territorio, comprese le aree di montagna, caratterizzava anche la Sardegna nuragica, tanto è vero che il fenomeno costruttivo dei nuraghi in pianura, in collina, in montagna e lungo le coste marine, impressiona ancora oggi gli studiosi;
-Gli Atlantidei praticavano un particolare culto: “Alcuni tori venivano lasciati liberi nel santuario di Posidone, e i dieci re, rimasti soli, dopo aver rivolto al dio la preghiera di scegliere la vittima che gli fosse gradita, davano inizio alla caccia, armati non di armi di ferro, ma solo di bastoni e di lacci; il toro che riuscivano a catturare, lo conducevano davanti alla colonna e lì, sulla cima di questa, lo sgozzavano proprio sopra l’iscrizione”. I Nuragici, oltre a praticare il culto al toro, lo sacrificavano allo stesso modo nei banconi di pietra costruiti appositamente per gli animale di grossa mole (S. V. Serri, M. d’Accoddi). Nel centro di Ottana (Figura 20) e in altri numerosi paesi della Sardegna si celebra ancora oggi questo antichissimo rito, raffigurato anche nelle Domus de Janas del Bronzo Medio di Anela.
Quanto all’iscrizione, che a detta di Platone era su una stele, c’è da dire che proprio la scrittura costituisce uno dei capisaldi utilizzati dagli studiosi che negano l’identificazione di Atlantide con la Sardegna, in quanto si dicono certi che i “Nuragici non scrivevano”. Anche questa perentorietà sta franando alla grande, visti i risultati acquisiti in questi ultimi anni da valenti specialisti Sardi e della penisola che hanno dimostrato, sulla base della scoperta e dell’analisi di numerosissimi reperti, tra i quali proprio le stele, che non solo gli antichi Sardi scrivevano, ma che disponevano di una forma di scrittura personalizzata.
La scomparsa di Atlantide, a seguito di “catastrofi naturale e di terremoti”, è così descritta da Platone:
La stessa isola di Atlantide scomparve sommersa dal mare: ecco perché anche adesso questo mare lontano è impraticabile e inesplorabile, giacché lo impedisce assolutamente il fango affiorante che l’isola ha prodotto inabissandosi (Timeo). Mentre adesso, sommersa da terremoti, è una melma insormontabile che impedisce il passo a coloro che navigano da qui per raggiungere il mare aperto, per cui il viaggio non va oltre (Crizia).
Platone illustra chiaramente la situazione in cui si trova una nave che, navigando nel piccolo mare, intende uscirne per raggiungere il “mare aperto”. Questo significa che il filosofo fa scomparire volutamente solo la piccola Atlantide, ovvero la città “cerchiata” sorta intorno al monte e nei pressi del piccolo mare. Insomma, la descrizione di poca navigabilità del piccolo mare è riferibile, ancora una volta, alla situazione della regione di Cagliari e di S. Gilla, interessata dai depositi portati dai vari fiumi che formano, da sempre, depositi fangosi e scarsa navigabilità. Ricordo che l’antichissimo porto, collocato all’interno della laguna, fu trasferito da Roma nell’attuale scalo moderno intorno al 200 a.C.
Tra l’altro, la distruzione parziale praticata da Platone, giustifica pienamente la famosa frase di Aristotele, uno dei famosi allievi dell’Accademia filosofica platonica. Infatti, a proposito della scomparsa dell’Isola, Aristotele commenta caustico:“colui che l’ha creata l’ha anche distrutta”. Quasi inutile precisare che, a detta dello stesso autore del racconto, l’unica Atlantide ad essere “creata” per le esigenze del racconto era solo l’isola “cerchiata”. Evidentemente la sua struttura era talmente anormale che Platone decise di farla sparire per sempre.
Non solo, Platone afferma che le catastrofi naturali e i terremoti distrussero nell’arco di ventiquattro ore l’isola di Atlantide e la stessa Grecia. A prescindere dall’identificazione della misteriosa isola un fatto è certo: i due luoghi, anche per il filosofo, erano lontanissimi tra loro, come è possibile che un evento catastrofico di qualsiasi tipo li avesse distrutti contemporaneamente?
Gli specialisti in materia non segnalano eventi di questo tipo, specie avvenuti contemporaneamente, nei due versanti del Mediterraneo; inoltre la ricerca archeologica della Sardegna mostra, nello stesso periodo, una continuità culturale sorprendente, tale da non ammettere traumi di sorta.
Nessun cataclisma, quindi? Sembra proprio così: lo suggeriscono la narrazione e la ricerca scientifica.
D’altra parte il grande filosofo doveva rispettare fino in fondo quanto avevano detto i suoi predecessori a proposito delle disavventure capitate agli abitanti dell’isola felice: tutti caddero in disgrazia di fronte agli dei per l’arroganza e l’incapacità di gestire le fortune loro affidate, così furono irrimediabilmente puniti. Per gli stessi motivi, oltre a quello di far sparire per sempre un’isola decisamente scomoda perché troppo inverosimile, Platone fa sparire per sempre la piccola Atlantide.
Prima di terminare una considerazione sulle Colonne d’Eracle. A parte il fatto che erano molteplici perché crescevano in numero e si spostavano con l’ampliamento delle conoscenze geografiche dei Greci, vorrei ribadire che quelle di Atlantide sono poste davanti alla grande isola, quindi vicinissime alla stessa, e separano il mare Oceano da un piccolo mare, “talmente piccolo da sembrare un porto”.
Nella cartina geografica che segue il lettore provi a posizionare le Colonne dell’eroe nello Stretto di Gibilterra, nei pressi di Creta, nelle Bocche di Bonifacio, nello Stretto di Messina, nel Canale di Sicilia e nei pressi di Cipro, ovvero nella posizione in cui sono state messe, in ordine strettamente cronologico, da coloro che hanno formulato ipotesi tendenti ad identificare Atlantide in questi ultimi secoli. Ebbene, quale sarebbe, in tutti questi casi, il mare talmente piccolo da sembrare un porto?
Chiudo con un passo di Timeo di Taormina, il grande esperto dei mari d’Occidente, il quale afferma senza mezzi termini: “Quando vedi le Colonne d’Eracle sei arrivato in Sardegna”. Faccio notare che un navigante che salpa dalla Sicilia per raggiungere la Sardegna si inoltra, inevitabilmente, nel golfo di Cagliari.
A tale proposito ricordo una scoperta archeologica che forse è il caso di rivalutare perché dimenticata: risale a quasi un secolo fa e passò pressoché inosservata: riguarda il rinvenimento, nei pressi dell’area che ospitava l’antico porto di S. Gilla, dei resti di un tempio dedicato ad Eracle, di un Bes e di una colonna con l’iscrizione del nome dell’eroe. Purtroppo tutta l’area in questione è stata soggetta, nell’arco dell’ultimo secolo, a continui lavori che ne hanno stravolto addirittura la conformazione originale. Ho partecipato personalmente ad ulteriori movimenti di terra nelle medesime aree diversi anni fa: posso assicurare che il materiale inerte era formato in particolare da ceramiche antiche, ormai talmente sminuzzate da essere ricondotte, appunto, a semplice terra.
Chissà se esiste la documentazione relativa ai lavori di costruzione della prima centrale termoelettrica della Sardegna, sorta esattamente nelle stesse aree nei primi anni del ventesimo secolo, in ogni caso ho dei seri dubbi sulla partecipazione, ai lavori di sbancamento iniziale, di rappresentanti del mondo archeologico.
Infine una precisazione: ho citato molti autori evitando, per brevità, di riportarne le opere e i passi, ma chi intende approfondire i singoli argomenti trattati nell’articolo può farlo nel capitolo VIII del volume “Sardegna l’isola felice di Nausicaa”.
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Ciao Pierluigi,
RispondiEliminaleggevo che i cavalli furono introdotti in Sardegna dai punici circa nel 5 secolo a.c.
Tu parli di acrobati a cavallo, si sa di piu' sulla datazione dei manufatti rinvenuti?
Insomma, i Sardi andavano o no a cavallo?
Questo e' importanti perche' i cosidetti popoli dei mari avevano cavalli.
Grazie,
Giovanni
L'autore dell'articolo non sono io. Lo scritto è di Giuseppe Mura. Non ho mai approfondito l'argomento "cavallo in Sardegna", quindi non saprei dirti quando fu introdotto. Ritengo, comunque, che il V secolo a.C. sia una data troppo prudente. Visti i contatti dei sardi con il Vicino Oriente sarei più propenso a datarli qualche secolo prima.
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