lunedì 17 gennaio 2011
I Giganti di Monte Prama, di Marco Rendeli, 1° parte di 3
Monte e Prama: 4875 punti interrogativi
di Marco Rendeli
Nonostante il vasto successo che le statue di Monte e Prama hanno riscosso, soprattutto in Sardegna, di esse si sa ben poco. Solamente con l’avvio del restauro voluto da A. Boninu, si è intrapreso un ampio progetto che comprende la pulizia, il restauro e la ricostruzione delle stesse da parte del Centro di Conservazione Archeologica presso il Centro di Restauro Regionale di Li Punti. Tutti i pezzi sono stati portati e assemblati in un unico luogo: si tratta di oltre 4900 frammenti delle dimensioni e delle fogge più varie che restituiscono quello che a oggi è il più grandioso complesso statuario della Sardegna preromana e uno dei più importanti del Mediterraneo.
I frammenti furono recuperati in scavi effettuati in località Monte e Prama, nel Sinis settentrionale (Oristano) nel corso degli anni Settanta. La storia delle ricerche è lacunosa, frammentata e si dipana fra interventi estemporanei (scavi Atzori nel 1974, scavi Pau 1977) e indagini programmate (scavi Bedini 1975, scavi Lilliu, Atzeni, Tore gennaio 1977, scavi Ferrarese Ceruti-Tronchetti 1977-1979). Delle indagini condotte da A. Bedini in un settore limitato del sepolcreto è imminente la pubblicazione di un preliminare: di esse si sa che sono tombe a cista con pareti litiche con una forma successiva di monumentalizzazione, ovvero di copertura formata da lastroni; gli scavi Lilliu, Atzeni, Tore sono confluiti in un importante contributo di G. Lilliu; degli scavi condotti in maniera impeccabile da Tronchetti e dalla Ferrarese Ceruti fra il 1977 e il 1979 si ha un’ampia documentazione (TRONCHETTI 2005 con bibliografia precedente). Il sito si disloca quasi al centro di un distretto ricchissimo di presenze protostoriche (nuraghi, pozzi sacri, luoghi di culto) di civiltà nuragica, la cui vita si scagliona dal Bronzo recente fino alla piena età del Ferro. Dalle relazioni di scavo pubblicate da Tronchetti si rileva che i frammenti furono rinvenuti in un unico contesto coerente che obliterava una serie di tombe a pozzetto con lastre di chiusura litiche disposte a formare un unico “serpentone” recintato da altre lastre di calcare (fig. 3). Queste tombe, in numero di 33, formavano un unico contesto di personaggi maschili e femminili, appartenenti a diverse classi d’età (dai 13 ai 50 anni), rinvenuti in posizione seduta uno per singola tomba. Esse risultano apparentemente prive di corredo: pochi frustuli ceramici nelle tombe 1-2 e dalla 24 alla 34. Fanno eccezione la t. 25, dalla quale proviene uno scaraboide databile alla fine dell’VIII a.C., e alcuni vaghi di pasta vitrea pertinenti a collane dalle tombe 24, 27 e 29: questi sono al momento gli unici materiali che possono rappresentare termini utili per comprendere il momento di formazione della necropoli.
Si è discusso, soprattutto in ambito sardo, se tombe e statue potessero appartenere a un unico contesto e potessero essere parte di un unico programma di monumentalizzazione di un’area funeraria: data la contiguità stratigrafica fra lo strato di obliterazione che le conteneva e le stesse tombe, i cui lastroni di chiusura si trovavano a contatto con lo stesso strato di obliterazione, non sarebbe fantasioso poter ritenere che essere potessero essere parte di un unico complesso funerario.
Un indizio, sia pur labile, sta anche nel fatto che i lastroni delle tombe a cassa, i lastroni del recinto e le statue sono tutti della medesima pietra cavata a poche centinaia di metri dal sito. Di sicuro, dalle analisi effettuate nel corso del restauro, emerge che le statue fossero state distrutte volutamente, rotte e spezzate con la subbia in determinate parti dei corpi dei guerrieri, e che l’area fosse stata interessata da un incendio le cui tracce si riconoscono in molti dei frammenti pervenutici. La distruzione potrebbe essere avvenuta in una fase anteriore, o coincidente, con la metà del IV a.C. in base frammenti ceramici più recenti rinvenuti nello strato di obliterazione che conteneva i frammenti di statue. Ciò acuisce la difficoltà nel ricostruire la genesi del complesso, ovvero se la realizzazione delle statue fosse contestuale a quella delle tombe, oppure se fosse precedente o successiva: ma ciò crea, a mio modo di vedere, un cortocircuito dal quale è difficile uscire. Forse si può affermare che tombe e statue per una certa fase (più o meno lunga) sono state parte di un medesimo complesso; che le statue con i modelli di nuraghe rappresentavano un segno nel territorio e che questo segno forse era connesso a un sepolcreto; che la distruzione avesse comportato l’obliterazione di un complesso visibile e conosciuto in maniera veramente radicale senza peraltro intaccare la sacralità dei defunti. Mi chiedo se chi ha distrutto il complesso monumentale avesse la percezione di trovarsi di fronte alla dualità del monumento sacrario e dell’area funeraria a esso connessa.
Non possiamo essere precisi sui numeri se non nel totale dei frammenti che assommano a poco più di 4900, rispetto ai circa 2000 stimati al momento dello scavo. Un ultimo torso del quale rimane la parte inferiore del corpo non è sicuramente riferibile a un pugilatore, resta il dubbio che possa essere un arciere o un oplita.
La schedatura e l’analisi dei frammenti ha permesso una suddivisione in diverse categorie: statue antropomorfe, modelli di edilizia nuragica e altri tipi di monumento.
Fra quelli pertinenti alla modellistica “miniaturizzata” nuragica sono stati riconosciuti non meno di 7 betili, di 8 modelli di nuraghi complessi (fig. 4), di una ventina di nuraghi monotorri: da questo punto di vista però il computo non appare semplice perché molti degli esemplari monotorre potrebbe essere parte di nuraghi complessi o anche di altro, come si ricava dalla relazione di scavo stilata da Tronchetti.
Al gruppo delle statue antropomorfe fanno riferimento un certo numero di esemplari, a oggi 23: si tratta comunque di un numero minimo effettuato sulla base del calcolo dei busti pervenutici. Tale numero potrebbe lievitare soprattutto se riferito al numero di arti superiori e inferiori presenti: ciò induce a ritenere che il complesso degli oltre 4900 frammenti scoperti e oggi schedati sia ben lungi dall’essere completo e che in aree circostanti potrebbero venire alla luce nuove sacche di obliterazione pertinenti alla distruzione del complesso.
...domani la 2° parte
Fonte: XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008 Session: Testo, immagine, comunicazione: immagine come linguaggio Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale D / D2 / 7 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076
di Marco Rendeli
Nonostante il vasto successo che le statue di Monte e Prama hanno riscosso, soprattutto in Sardegna, di esse si sa ben poco. Solamente con l’avvio del restauro voluto da A. Boninu, si è intrapreso un ampio progetto che comprende la pulizia, il restauro e la ricostruzione delle stesse da parte del Centro di Conservazione Archeologica presso il Centro di Restauro Regionale di Li Punti. Tutti i pezzi sono stati portati e assemblati in un unico luogo: si tratta di oltre 4900 frammenti delle dimensioni e delle fogge più varie che restituiscono quello che a oggi è il più grandioso complesso statuario della Sardegna preromana e uno dei più importanti del Mediterraneo.
I frammenti furono recuperati in scavi effettuati in località Monte e Prama, nel Sinis settentrionale (Oristano) nel corso degli anni Settanta. La storia delle ricerche è lacunosa, frammentata e si dipana fra interventi estemporanei (scavi Atzori nel 1974, scavi Pau 1977) e indagini programmate (scavi Bedini 1975, scavi Lilliu, Atzeni, Tore gennaio 1977, scavi Ferrarese Ceruti-Tronchetti 1977-1979). Delle indagini condotte da A. Bedini in un settore limitato del sepolcreto è imminente la pubblicazione di un preliminare: di esse si sa che sono tombe a cista con pareti litiche con una forma successiva di monumentalizzazione, ovvero di copertura formata da lastroni; gli scavi Lilliu, Atzeni, Tore sono confluiti in un importante contributo di G. Lilliu; degli scavi condotti in maniera impeccabile da Tronchetti e dalla Ferrarese Ceruti fra il 1977 e il 1979 si ha un’ampia documentazione (TRONCHETTI 2005 con bibliografia precedente). Il sito si disloca quasi al centro di un distretto ricchissimo di presenze protostoriche (nuraghi, pozzi sacri, luoghi di culto) di civiltà nuragica, la cui vita si scagliona dal Bronzo recente fino alla piena età del Ferro. Dalle relazioni di scavo pubblicate da Tronchetti si rileva che i frammenti furono rinvenuti in un unico contesto coerente che obliterava una serie di tombe a pozzetto con lastre di chiusura litiche disposte a formare un unico “serpentone” recintato da altre lastre di calcare (fig. 3). Queste tombe, in numero di 33, formavano un unico contesto di personaggi maschili e femminili, appartenenti a diverse classi d’età (dai 13 ai 50 anni), rinvenuti in posizione seduta uno per singola tomba. Esse risultano apparentemente prive di corredo: pochi frustuli ceramici nelle tombe 1-2 e dalla 24 alla 34. Fanno eccezione la t. 25, dalla quale proviene uno scaraboide databile alla fine dell’VIII a.C., e alcuni vaghi di pasta vitrea pertinenti a collane dalle tombe 24, 27 e 29: questi sono al momento gli unici materiali che possono rappresentare termini utili per comprendere il momento di formazione della necropoli.
Si è discusso, soprattutto in ambito sardo, se tombe e statue potessero appartenere a un unico contesto e potessero essere parte di un unico programma di monumentalizzazione di un’area funeraria: data la contiguità stratigrafica fra lo strato di obliterazione che le conteneva e le stesse tombe, i cui lastroni di chiusura si trovavano a contatto con lo stesso strato di obliterazione, non sarebbe fantasioso poter ritenere che essere potessero essere parte di un unico complesso funerario.
Un indizio, sia pur labile, sta anche nel fatto che i lastroni delle tombe a cassa, i lastroni del recinto e le statue sono tutti della medesima pietra cavata a poche centinaia di metri dal sito. Di sicuro, dalle analisi effettuate nel corso del restauro, emerge che le statue fossero state distrutte volutamente, rotte e spezzate con la subbia in determinate parti dei corpi dei guerrieri, e che l’area fosse stata interessata da un incendio le cui tracce si riconoscono in molti dei frammenti pervenutici. La distruzione potrebbe essere avvenuta in una fase anteriore, o coincidente, con la metà del IV a.C. in base frammenti ceramici più recenti rinvenuti nello strato di obliterazione che conteneva i frammenti di statue. Ciò acuisce la difficoltà nel ricostruire la genesi del complesso, ovvero se la realizzazione delle statue fosse contestuale a quella delle tombe, oppure se fosse precedente o successiva: ma ciò crea, a mio modo di vedere, un cortocircuito dal quale è difficile uscire. Forse si può affermare che tombe e statue per una certa fase (più o meno lunga) sono state parte di un medesimo complesso; che le statue con i modelli di nuraghe rappresentavano un segno nel territorio e che questo segno forse era connesso a un sepolcreto; che la distruzione avesse comportato l’obliterazione di un complesso visibile e conosciuto in maniera veramente radicale senza peraltro intaccare la sacralità dei defunti. Mi chiedo se chi ha distrutto il complesso monumentale avesse la percezione di trovarsi di fronte alla dualità del monumento sacrario e dell’area funeraria a esso connessa.
Non possiamo essere precisi sui numeri se non nel totale dei frammenti che assommano a poco più di 4900, rispetto ai circa 2000 stimati al momento dello scavo. Un ultimo torso del quale rimane la parte inferiore del corpo non è sicuramente riferibile a un pugilatore, resta il dubbio che possa essere un arciere o un oplita.
La schedatura e l’analisi dei frammenti ha permesso una suddivisione in diverse categorie: statue antropomorfe, modelli di edilizia nuragica e altri tipi di monumento.
Fra quelli pertinenti alla modellistica “miniaturizzata” nuragica sono stati riconosciuti non meno di 7 betili, di 8 modelli di nuraghi complessi (fig. 4), di una ventina di nuraghi monotorri: da questo punto di vista però il computo non appare semplice perché molti degli esemplari monotorre potrebbe essere parte di nuraghi complessi o anche di altro, come si ricava dalla relazione di scavo stilata da Tronchetti.
Al gruppo delle statue antropomorfe fanno riferimento un certo numero di esemplari, a oggi 23: si tratta comunque di un numero minimo effettuato sulla base del calcolo dei busti pervenutici. Tale numero potrebbe lievitare soprattutto se riferito al numero di arti superiori e inferiori presenti: ciò induce a ritenere che il complesso degli oltre 4900 frammenti scoperti e oggi schedati sia ben lungi dall’essere completo e che in aree circostanti potrebbero venire alla luce nuove sacche di obliterazione pertinenti alla distruzione del complesso.
...domani la 2° parte
Fonte: XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008 Session: Testo, immagine, comunicazione: immagine come linguaggio Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale D / D2 / 7 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076
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