domenica 7 novembre 2010
Nuraghe e territorio, 1° parte di 2
Alimentazione, ambiente ed economia
di Mauro Perra
Sembrerebbero tre temi diversi fra loro, ma in realtà sono in connessione.
L’alimentazione riguarda ciò di cui si nutrivano in quel periodo. Gli archeologi stanno scoprendo gli alimenti consumati dai nuragici grazie alle nuove ricerche archeologiche, che si avvalgono di nuove tecniche di analisi chimica e fisica. Dal VI Millennio in poi, in Sardegna, l’uomo da predatore diventa produttore e, passando ad un’economia di produzione, deve adottare strutture economiche.
La produzione umana dei beni di sussistenza, così come avviene nei nostri tempi, si impatta sull’ambiente. Le attività dell’uomo lasciano tracce, a volte pesanti, sull’ambiente circostante e, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è cominciato a pensare al nuraghe non più come la “cattedrale nel deserto”, procedendo alla descrizione di ogni singola pietra e di ogni ceramica trovata dentro l’edificio, ma si è iniziato a fare una serie di studi che riguardano i tre temi dell’argomento:alimentazione, economia e ambiente.
Si è iniziato a cambiare il paradigma dell’archeologia e si è capito che gli archeologi non erano più quelli che, armati di piccozza, dovevano recuperare i manufatti, ma dovevano raccogliere anche più dati possibile, con nuove tecnologie. Ricordiamo che lo scavo è distruttivo, e una volta distrutto non lo si può recuperare. Bisogna quindi documentarlo nel migliore dei modi, con fotografie, disegni e analisi, altrimenti dopo non rimane più niente. Già dagli anni Settanta, in varie zone d’Europa, venivano applicate nuove tecniche che affiancavano il lavoro degli archeologi, perché si capì la connessione fra ambiente e strutture costruite.
Abbiamo una situazione nella quale l’uomo si alimenta, e per farlo deve produrre. Le sue attività hanno un impatto sull’ambiente circostante e lo trasformano.
L’alimentazione non è un puro fatto gastrico. È un elemento culturale complesso e importante, infatti ancora oggi c’è il pranzo quotidiano che riunisce la famiglia, o il pranzo di rappresentanza dove si mostra qualcosa di sé all’ospite, e il pranzo diventa una sorta di status symbol. Fino a pochi decenni fa c’era il pranzo dei morti: i parenti preparavano il pranzo per tutti i convenuti alla cerimonia funebre e la notte lasciavano qualcosa da mangiare per i defunti.
Se ci spostiamo nell’antichità greca, con il mito dei centauri vediamo che la popolazione civile coltivava grano, coltivava la vite, cuoceva i cibi e beveva il vino con moderazione. I centauri, ossia gli uomini-cavallo, erano dei mostri perché vivevano nei boschi, non producevano ciò che mangiavano, bevevano smodatamente vino e adottavano costumi sessuali che li distinguevano dalla società.
Negli anni Ottanta, sono stati fatti per la prima volta degli scavi nel sito di Borore, nel nuraghe Duos Nuraghes, chiamato così perché composto da due strutture monotorre ben distinte, unite da un tratto murario. Intorno c’è il villaggio che pare più recente delle torri. Lo scavo è stato effettuato dall’americano Gary Webster che ha poi pubblicato alcuni libri e diversi articoli in inglese. Fra le nuove tecniche utilizzate, c’è la flottazione, ossia setacciare la terra con l’ausilio dell’acqua. Con questa tecnica i materiali pesanti si depositano sul fondo dei secchi, mentre sulla superficie rimangono quelli più leggeri. Questi ultimi sono frammentini di carbone o resti carpologici, cioè semini o frutti carbonizzati.
I tecnici, denominati carpologi, analizzando questi resti riescono a determinare la specie vegetale. Al Duos Nuraghes si sono trovati semi di grano tenero e grano duro. Da ciò si deduce che conoscevano la differenza fra i due tipi. In Sardegna il grano selvatico non c’era, pertanto il grano coltivato arrivò dal vicino oriente, dove era conosciuto già dall’VIII Millennio a.C. Nell’isola, già dal Neolitico, abbiamo la coltivazione dei cereali, ossia il farricello e il farro, e ambedue arrivano dal vicino oriente grazie agli scambi commerciali fra popolazioni. Se ne deduce che la Sardegna, nel VI Millennio a.C, non era isolata e una delle prove di frequentazione è proprio l’utilizzo di piante addomesticate. Il grano trovato a Duos Nuraghes è databile all’inizio del XIV a.C. nel periodo di pieno sviluppo della civiltà nuragica.
Sul margine della Giara di Siddi ci sono 16 nuraghe, e al centro troviamo una tomba di giganti maestosa. In questi nuraghe si stanno eseguendo dei sondaggi di piccole aree di circa 20 mq, per recuperare le stratigrafie ed eseguire la flottazione e le analisi dei pollini, per capire come era l’ambiente della giara in quei tempi. I reperti sono stati affidati ad un laboratorio del Texas, lo stesso che effettuò le analisi sui pollini contenuti nella resina di terebinto all’interno delle anfore del relitto dell’Età del Bronzo ritrovato nelle coste della Turchia, ad Ulu Burun. Nello specifico, saranno certamente interessanti i risultati finali ottenuti dall’analisi, che saranno pubblicati il prossimo anno.
Fra i primi risultati ottenuti, si è scoperto che dentro il nuraghe, a due metri di profondità, ossia nella stratigrafia del XIV a.C., nel materiale bruciato intorno ad un focolare, sono stati trovati dei semini di grano tenero. Questi elementi vegetali erano in associazione con ceramiche del XIV a.C., quindi siamo certi della datazione del contesto.
Nel nuraghe Nolza di Meana Sardo, si è utilizzata la tecnica della flottazione, e negli strati del XII a.C. sono stati trovati semi in cattive condizioni, tali da non riuscire a determinare se si tratta di grano tenero o duro.
Nel villaggio attorno al nuraghe Genna Maria di Villanovaforru, sul fondo dei dolii fracassati visibili al museo, cronologicamente attestati nel X a.C., sono stati trovati resti di semini carbonizzati di cereali. Migliaia di semi di grano tenero, duro e orzo. Un solo semino di farro. Nel vano 12 c’erano frammenti di un materiale scambiato per carbone, ma in realtà, ad un esame più attento fatto da un carpologo del Crns francese, esperto di alimentazione nel Mediterraneo dal Neolitico fino al medioevo, si è scoperto che si trattava di pane. Si distinguono la crosta, la mollica e le bollicine del gas, piccole e regolari, della fermentazione dovuta alla cottura. Sembrerebbe pane azzimo, ossia non lievitato. Non sappiamo se il pane di Villanovaforru fosse di grano, d’orzo o di ghiande perché dall’esame al microscopio non si può rilevare.
I cereali sono derrate solide a lunga conservazione, e ciò significa che coltivando il grano e l’orzo l’uomo deve, oltre a produrli, conservarli perché la produzione deve durare tutto l’anno ed è necessario avere semi aggiuntivi da piantare per la successiva stagione produttiva. Ne consegue che occorrono dei luoghi e degli oggetti dove conservare questi materiali. All’epoca l’indice di produttività era 1:6, ossia si ottenevano 6 semi da ogni seme piantato. Questo è un dato statistico, non si può avere la certezza perché nessuno di noi è vissuto a quei tempi per poterlo dimostrare. Oggi la proporzione è enormemente cresciuta e da ogni seme piantato si ottengono centinaia di semi.
Questo scritto è un sunto della relazione presentata dal Dr. Perra nell'incontro di Villanovaforru, in occasione del primo appuntamento con la rassegna "Viaggio nella Storia". Si tratta di una mia elaborazione, eseguita trascrivendo le frasi dell'autore e rendendole fruibili a chi non ha partecipato all'incontro. Mi scuso per eventuali errori, imputabili esclusivamente a mia imperizia nel riportare gli appunti in questo articolo.
...domani la seconda e ultima parte.
Immagini del nuraghe Bighinzones di Borore e del nuraghe Orosai di Birori, sono tratte da viaggioinsardegna.it
di Mauro Perra
Sembrerebbero tre temi diversi fra loro, ma in realtà sono in connessione.
L’alimentazione riguarda ciò di cui si nutrivano in quel periodo. Gli archeologi stanno scoprendo gli alimenti consumati dai nuragici grazie alle nuove ricerche archeologiche, che si avvalgono di nuove tecniche di analisi chimica e fisica. Dal VI Millennio in poi, in Sardegna, l’uomo da predatore diventa produttore e, passando ad un’economia di produzione, deve adottare strutture economiche.
La produzione umana dei beni di sussistenza, così come avviene nei nostri tempi, si impatta sull’ambiente. Le attività dell’uomo lasciano tracce, a volte pesanti, sull’ambiente circostante e, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è cominciato a pensare al nuraghe non più come la “cattedrale nel deserto”, procedendo alla descrizione di ogni singola pietra e di ogni ceramica trovata dentro l’edificio, ma si è iniziato a fare una serie di studi che riguardano i tre temi dell’argomento:alimentazione, economia e ambiente.
Si è iniziato a cambiare il paradigma dell’archeologia e si è capito che gli archeologi non erano più quelli che, armati di piccozza, dovevano recuperare i manufatti, ma dovevano raccogliere anche più dati possibile, con nuove tecnologie. Ricordiamo che lo scavo è distruttivo, e una volta distrutto non lo si può recuperare. Bisogna quindi documentarlo nel migliore dei modi, con fotografie, disegni e analisi, altrimenti dopo non rimane più niente. Già dagli anni Settanta, in varie zone d’Europa, venivano applicate nuove tecniche che affiancavano il lavoro degli archeologi, perché si capì la connessione fra ambiente e strutture costruite.
Abbiamo una situazione nella quale l’uomo si alimenta, e per farlo deve produrre. Le sue attività hanno un impatto sull’ambiente circostante e lo trasformano.
L’alimentazione non è un puro fatto gastrico. È un elemento culturale complesso e importante, infatti ancora oggi c’è il pranzo quotidiano che riunisce la famiglia, o il pranzo di rappresentanza dove si mostra qualcosa di sé all’ospite, e il pranzo diventa una sorta di status symbol. Fino a pochi decenni fa c’era il pranzo dei morti: i parenti preparavano il pranzo per tutti i convenuti alla cerimonia funebre e la notte lasciavano qualcosa da mangiare per i defunti.
Se ci spostiamo nell’antichità greca, con il mito dei centauri vediamo che la popolazione civile coltivava grano, coltivava la vite, cuoceva i cibi e beveva il vino con moderazione. I centauri, ossia gli uomini-cavallo, erano dei mostri perché vivevano nei boschi, non producevano ciò che mangiavano, bevevano smodatamente vino e adottavano costumi sessuali che li distinguevano dalla società.
Negli anni Ottanta, sono stati fatti per la prima volta degli scavi nel sito di Borore, nel nuraghe Duos Nuraghes, chiamato così perché composto da due strutture monotorre ben distinte, unite da un tratto murario. Intorno c’è il villaggio che pare più recente delle torri. Lo scavo è stato effettuato dall’americano Gary Webster che ha poi pubblicato alcuni libri e diversi articoli in inglese. Fra le nuove tecniche utilizzate, c’è la flottazione, ossia setacciare la terra con l’ausilio dell’acqua. Con questa tecnica i materiali pesanti si depositano sul fondo dei secchi, mentre sulla superficie rimangono quelli più leggeri. Questi ultimi sono frammentini di carbone o resti carpologici, cioè semini o frutti carbonizzati.
I tecnici, denominati carpologi, analizzando questi resti riescono a determinare la specie vegetale. Al Duos Nuraghes si sono trovati semi di grano tenero e grano duro. Da ciò si deduce che conoscevano la differenza fra i due tipi. In Sardegna il grano selvatico non c’era, pertanto il grano coltivato arrivò dal vicino oriente, dove era conosciuto già dall’VIII Millennio a.C. Nell’isola, già dal Neolitico, abbiamo la coltivazione dei cereali, ossia il farricello e il farro, e ambedue arrivano dal vicino oriente grazie agli scambi commerciali fra popolazioni. Se ne deduce che la Sardegna, nel VI Millennio a.C, non era isolata e una delle prove di frequentazione è proprio l’utilizzo di piante addomesticate. Il grano trovato a Duos Nuraghes è databile all’inizio del XIV a.C. nel periodo di pieno sviluppo della civiltà nuragica.
Sul margine della Giara di Siddi ci sono 16 nuraghe, e al centro troviamo una tomba di giganti maestosa. In questi nuraghe si stanno eseguendo dei sondaggi di piccole aree di circa 20 mq, per recuperare le stratigrafie ed eseguire la flottazione e le analisi dei pollini, per capire come era l’ambiente della giara in quei tempi. I reperti sono stati affidati ad un laboratorio del Texas, lo stesso che effettuò le analisi sui pollini contenuti nella resina di terebinto all’interno delle anfore del relitto dell’Età del Bronzo ritrovato nelle coste della Turchia, ad Ulu Burun. Nello specifico, saranno certamente interessanti i risultati finali ottenuti dall’analisi, che saranno pubblicati il prossimo anno.
Fra i primi risultati ottenuti, si è scoperto che dentro il nuraghe, a due metri di profondità, ossia nella stratigrafia del XIV a.C., nel materiale bruciato intorno ad un focolare, sono stati trovati dei semini di grano tenero. Questi elementi vegetali erano in associazione con ceramiche del XIV a.C., quindi siamo certi della datazione del contesto.
Nel nuraghe Nolza di Meana Sardo, si è utilizzata la tecnica della flottazione, e negli strati del XII a.C. sono stati trovati semi in cattive condizioni, tali da non riuscire a determinare se si tratta di grano tenero o duro.
Nel villaggio attorno al nuraghe Genna Maria di Villanovaforru, sul fondo dei dolii fracassati visibili al museo, cronologicamente attestati nel X a.C., sono stati trovati resti di semini carbonizzati di cereali. Migliaia di semi di grano tenero, duro e orzo. Un solo semino di farro. Nel vano 12 c’erano frammenti di un materiale scambiato per carbone, ma in realtà, ad un esame più attento fatto da un carpologo del Crns francese, esperto di alimentazione nel Mediterraneo dal Neolitico fino al medioevo, si è scoperto che si trattava di pane. Si distinguono la crosta, la mollica e le bollicine del gas, piccole e regolari, della fermentazione dovuta alla cottura. Sembrerebbe pane azzimo, ossia non lievitato. Non sappiamo se il pane di Villanovaforru fosse di grano, d’orzo o di ghiande perché dall’esame al microscopio non si può rilevare.
I cereali sono derrate solide a lunga conservazione, e ciò significa che coltivando il grano e l’orzo l’uomo deve, oltre a produrli, conservarli perché la produzione deve durare tutto l’anno ed è necessario avere semi aggiuntivi da piantare per la successiva stagione produttiva. Ne consegue che occorrono dei luoghi e degli oggetti dove conservare questi materiali. All’epoca l’indice di produttività era 1:6, ossia si ottenevano 6 semi da ogni seme piantato. Questo è un dato statistico, non si può avere la certezza perché nessuno di noi è vissuto a quei tempi per poterlo dimostrare. Oggi la proporzione è enormemente cresciuta e da ogni seme piantato si ottengono centinaia di semi.
Questo scritto è un sunto della relazione presentata dal Dr. Perra nell'incontro di Villanovaforru, in occasione del primo appuntamento con la rassegna "Viaggio nella Storia". Si tratta di una mia elaborazione, eseguita trascrivendo le frasi dell'autore e rendendole fruibili a chi non ha partecipato all'incontro. Mi scuso per eventuali errori, imputabili esclusivamente a mia imperizia nel riportare gli appunti in questo articolo.
...domani la seconda e ultima parte.
Immagini del nuraghe Bighinzones di Borore e del nuraghe Orosai di Birori, sono tratte da viaggioinsardegna.it
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