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venerdì 6 agosto 2010

Bronze Age - Introduzione alle navicelle bronzee nuragiche - Ancient boat



Nel III Millennio a.C. la metallurgia fu una scoperta tecnologica caratterizzante, tanto da dare il nome a diverse fasi culturali della preistoria e della protostoria: Età del Rame o Calcolitico, Età del Bronzo e del Ferro.
Della metallurgia interessano diversi aspetti: la ricerca dei minerali, i processi di fusione, il commercio delle materie prime e dei manufatti. A seguito della scoperta dei metalli nacquero nuove professioni come quella del fabbro itinerante.
La civiltà nuragica si sviluppò tra l’Età del Bronzo e il I Ferro, e ancora oggi ci sorprendiamo nell’ammirare tanto i resti delle più elaborate costruzioni fortificate, i nuraghi, quanto i manufatti che gli artigiani, in particolare i fonditori seppero creare, a cominciare dalle armi e dalle sculture.
La Sardegna fu tra le protagoniste nei tempi della prima metallurgia, grazie soprattutto alle miniere di rame. Questo minerale, dopo l’ossidiana, ha interessato i commerci in tutto il Mediterraneo. Un’altra isola diede impulso ai commerci dell’epoca, Cipro, che insieme a Creta e, nell’Occidente alla Sardegna, costituiva l’asse portante dei commerci navali nel Mediterraneo.
Tutti i popoli che si affacciavano sul Mediterraneo cercavano di scambiare i propri prodotti con le materie prime ricavate dalle miniere, dato che alcuni minerali erano di difficile reperibilità come, ad esempio, lo stagno. Per ottenere un bronzo di qualità si aggiungeva al rame una percentuale di stagno del 10% circa. Giacimenti interessanti si trovavano in Cornovaglia, Bretagna e Spagna, lontani dalle miniere di rame.
Una delle vie commerciali di tale minerale, la cosiddetta “via dello stagno”, transitava attraverso lo stretto di Gibilterra. Una valida alternativa era offerta via terra partendo dalla Liguria, attraverso i territori di Francia e Spagna. Lungo queste vie sorsero approdi e centri di scambio che incrementarono la ricchezza delle popolazioni produttrici di tali risorse.
Il mare era sostanzialmente un’autostrada commerciale e la Sardegna non poteva essere estranea e tagliata fuori nel II Millennio a.C. quando ospitò oltre 8.000 nuraghi distribuiti a controllare ogni palmo del territorio. I nuraghi sono legati indissolubilmente alla disponibilità di notevoli risorse economiche e alla circolazione di considerevoli quantità di metallo, come peraltro confermano i frequenti ritrovamenti di lingotti in rame. Ma finché furono costruiti i nuraghi tra il XVI e il X a.C, le rappresentazioni di divinità divinità in epifania antropomorfa o zoomorfa sono essenzialmente aniconiche (betili e disegni schematici della testa taurina).
Intorno al X a.C. dopo 600 anni si assiste ad un epocale cambio strutturale nella società sarda. Dopo il crollo delle parti sommitali dei nuraghi, forse per la onerosa manutenzione, e la nascita di nuove generazioni che ponevano i commerci alla base della loro economia, sorgono i governi aristocratici degli anziani. I nuraghi non sono più costruiti e quelli più importanti sono trasformati in luoghi di culto.
Le espressioni figurative cambiano profondamente. Inizia una fase che mi piace chiamare "miniaturizzazione", nella quale compaiono piccole rappresentazioni a tutto tondo antropomorfe e zoomorfe, soprattutto in bronzo, ma anche a grandezza naturale in pietra e terracotta. Colpisce la realizzazione di piccoli nuraghi pieni in pietra, posti su basamenti e posizionati al centro di grandi capanne con sedile periferico interno. La nuova classe dirigente consacra lo status di leaders della comunità attraverso le piccole sculture bronzee che rappresentavano dei ed eroi da cui essi forse discendono e ricevono il potere.
Erano realizzate con il metodo della cera persa, a dimostrazione che i nuragici padroneggiavano la metallurgia già da tempo. Queste opere d’arte mostrano guerrieri, sacerdoti e capi, ma anche animali e oggetti a tutto tondo.
Fra questa produzione, spiccano per bellezza le incantevoli navicelle bronzee. Sul significato di questi manufatti ancora oggi non c’è un’interpretazione univoca da parte degli archeologi. Si è pensato alla funzione votiva, a quella pratica di lucerna o di prezioso oggetto di scambio fra i capi delle società aristocratiche anche al di fuori dell’isola.
Va detto che una funzione non esclude affatto le altre, ma certo il fatto che tali navicelle fossero di bronzo, e non in semplice terracotta, dimostra la loro pertinenza a famiglie o a gruppi che volevano ostentare il proprio status aristocratico e la non comune disponibilità economica.
Attraverso questi preziosi bronzi, l’aristocrazia fa emergere anche la conoscenza del mare e delle tecniche di navigazione, e soprattutto la tessitura di rapporti con altre regioni (Etruria, Magna Grecia) e popoli (Etruschi e Greci) che si affacciavano nel Mediterraneo.
Negli scafi sono raffigurati numerosi animali e altri simboli che marcano il dominio sui prodotti della terra oltre che il legame con le antiche forze della natura che essi rappresentano.
Le navicelle sono certamente riproduzioni di barche dell’epoca e possono essere classificate in base alla forma dello scafo; questo può essere cuoriforme, ellittico come le capienti navi da trasporto o a sezione trapezoidale come le veloci navi da guerra dell’epoca.
Tutte le riproduzioni in bronzo, come le navi nella realtà, mostrano una protome prodiera di un animale che simboleggia l’epifania della divinità che protegge la barca e l’equipaggio. A differenza delle caratteristiche rappresentazioni delle altre navi di età fenicia, che propongono la testa equina, in Sardegna primeggia la testa del bue che, sul piano simbolico, rappresenta l’animale più importante fin dal Neolitico finale, quando fu raffigurato nelle domus de janas.
Gli altri animali più frequentemente rappresentati sono il cervo, il muflone, l’ariete, il caprone. Nella corrispondente produzione in terracotta scoperta nel tempio-nuraghe di Su Mulinu a Villanovafranca dal prof. Ugas, compaiono anche esemplari di navicelle con protome ornitomorfa.
I singoli elementi costruttivi fanno emergere la dimestichezza dei sardi nuragici con il mare: alberi, modanature laterali, coffe di avvistamento, battagliole, barre di rinforzo e scalmi. La presenza di anelli per la sospensione e di alette alla base (stabilizzatori nelle navi reali, ma semplici peducci nelle sculture, pratici per poggiare gli oggetti su un piano), dimostrano l’utilizzo secondario della navicella quale lucerna.
Più incerta è l’interpretazione delle colombelle che si possono ammirare sopra gli alberi. Per alcuni studiosi si tratterebbe della rappresentazione di veri animali imbarcati per individuare la rotta da seguire, vista la loro capacità di dirigersi verso terra se vengono liberati. Altri archeologi ipotizzano la funzione simbolica: quella della Dea femminile della fertilità, protettrice della navigazione.
Le navi dell’epoca possono classificarsi da guerra o da carico. La forma stretta e lunga delle prime serve ad ospitare il maggior numero di rematori possibile e a raggiungere una grande velocità nel caso di attacco; la sagoma larga e corta delle imbarcazioni da carico è idonea per aumentare la capienza.
Le navicelle sono diffuse in tutto il territorio dell’isola. Oggi se ne contano circa 150, oltre gli esemplari rinvenuti in Toscana, nel Lazio e a Crotone, nel tempio di Hera Lacinia.
La cronologia è ancora al vaglio degli studiosi; secondo alcuni (Lo Schiavo) le barchette sarde risalirebbero XI a.C. Personalmente, d'accordo con Lilliu, ritengo, sulla base delle stratigrafie e dei contesti, che non siano anteriori al IX a.C.
La produzione durò almeno fino al VI a.C. e ancora oggi questi preziosi oggetti sono copiati per la loro originalità e bellezza. Diversi esemplari fanno parte di collezioni svizzere, tedesche e statunitensi e ciò dimostra indirettamente la straordinaria rilevanza anche estetica di queste opere, che talora appaiono come veri e propri capolavori.

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