Archeologia della Sardegna. Il “Capovolto”dei menhir? Il simbolo cosmico di Hator.
Articolo di Gustavo Bernardino
Tra i tanti misteri che ancora circondano i reperti archeologici tramandati dai nostri antenati, uno in particolare ha creato una sorta di record delle interpretazioni che i vari studiosi e appassionati hanno collezionato, tentando di capire il significato del simbolo che appare sulla parte alta di diversi menhir definito empiricamente “Capovolto”. Probabilmente tra le cause che rendono difficile capirne il significato, vi è proprio il fatto che il simbolo non va visto come capovolto ma deve essere interpretato nel suo insieme e nel verso in cui si trova esposto. Altro possibile motivo di errore di decodificazione può essere stato il rifiuto da parte degli esperti di accettare l'ipotesi che i nostri antenati possano aver costruito e realizzato i manufatti che raccontano la storia più antica della nostra terra con un evidente e razionale collegamento alla astrologia e al grande potere che ne derivava per gli addetti ai
lavori sia in termini sociali che religiosi. Da un punto di vista strettamente cronologico, appare credibile ritenere che la realizzazione e l'uso cerimoniale dei menhir, ascrivibili al periodo compreso tra il neolitico superiore ed eneolitico iniziale, anche alla luce delle recenti scoperte archeologiche di Göbekli Tepe in Turchia e più precisamente nel sito di Karahan, questo lasso di tempo possa retrodatarsi.Presupponendo che la conoscenza e la
pratica cultuale dei menhir, provenissero dall' area geografica
medio-orientale, dovremmo riconoscere a studiosi come Massimo Pittau, Raffaele
Sardella, Salvatore Dedola, che attraverso lo studio della lingua, certificano la connessione tra la Sardegna e
l'antico oriente, la validità delle loro tesi. Coincidenti, peraltro, con
presupposti differenti, a quanto sostenuto da Leonardo Melis, nei suoi
libri.
Approfondendo la lettura dei testi religiosi
egizi (Testi delle Piramidi, libro dei morti) veniamo a conoscenza delle pratiche
usate dai sacerdoti egiziani nel prendersi cura della sorte dei loro faraoni
dopo la loro morte. Questo percorso di conoscenza consente di capire quanto
fosse perentorio per i responsabili del ceto religioso, coniugare le pratiche
cultuali in chiave astrologica. Sotto questo aspetto è illuminante la lettura
di un articolo apparso sulla rivista “Nature” in cui è riportato l'intervento
fatto dallo studioso O. Neugebauer dal
titolo “The Egyptian Picture of the Sky” nel novembre del 1939 alla Brown University.
Fin da allora quindi, nell'ambiente scientifico internazionale, era accreditata
la tesi secondo la quale vi era uno stretto collegamento tra religione e
astrologia. Lo stesso tema è stato trattato in una tesi di laurea del 2012 dal
titolo “L'Aldilà Celeste dai Testi delle Piramidi” di Letizia Cozzuol
dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Tesi che ha avuto come correlatore il
Prof. Lucio Milano orientalista di grande spessore discepolo dell'insuperabile
Mario Liverani. In tale lavoro l'autrice sostiene che “...Alla fine del III
millennio a. C. si ha l'introduzione di formule magico-religiose e rituali
all'interno delle piramidi, dove infatti troviamo iscrizioni non solo sui muri
dei corridoi, ma anche all'interno delle camere. Questi incantesimi costituiscono
la raccolta scritta di formule magico-religiose più antica dell'Antico Egitto
ed hanno al loro interno molteplici elementi derivanti da diversi periodi: sono
infatti presenti anche credenze della fase predinastica derivanti da tradizione
orale....” nella tesi si dice anche che “...Le costellazioni della
fascia circumpolare furono il principale soggetto di osservazioni da parte dei
sacerdoti astronomi, in quanto facevano parte di quegli ammassi di stelle che
non tramontavano mai. Quest'area, come si evince dai Testi delle Piramidi, era
considerata il luogo nel quale si trovavano le divinità.”. Nella
costellazione del bucranio gli egizi individuavano la divinità Hathor come
raffigurato nella tavoletta di Gerzeh
(un reperto archeologico del periodo Naqada II).
Non si può non rilevare la
somiglianza delle due immagini con quella della figura scolpita nel menhir.
Ma chi era Hathor e cosa sappiamo di
questa dea?
Le informazioni le acquisiamo da
Mario Tosi nel suo “Dizionario delle divinità dell'Antico Egitto” Kemet
edizioni 2017:
Nelle pagg. 53, 54 e 55 del volume
troviamo la descrizione di Hathor. Qui sono riportati alcuni passaggi che ritengo significanti “...Divinità
universale, cosmica, dall'epoca della IV dinastia essa è raffigurata come una
giovane donna che porta sul capo due lunghe corna ed il disco solare. Hathor
diventa uno dei personaggi più popolari del pantheon egizio”, …”.signora
dei venti del nord”,....”.la risplendente”.. “Venerata in tutto il
paese.....conquistò progressivamente il Sinai, alcune regioni della Palestina e
la costa fenicia”..”identificata più tardi con Astarte”.” Molti erano gli
oggetti simbolici e gli strumenti liturgici sacri alla dea, che le venivano
offerti durante le cerimonie più importanti, secondo quanto risulta dalle
testimonianze nel tempio di Dendera. Alcuni di questi oggetti, come il sistro
sesheshet o la collana menat, personificavano Hathor stessa, essendo il
supporto materiale della dea...”A Eracleopoli era detta madre di Ra” ma anche
“..Madre delle madri”.
A proposito del sistro sesheshet,
in un articolo pubblicato da NURNET di Giorgio Valdes, l'autore ipotizza che
dal sistro egizio sia disceso lo sciranchizzi sardo. Io credo che
abbia ragione.
Tornando al tema, anche studiosi
sardi come il citato Salvatore Dedola e Bartolomeo Porcheddu, hanno trovato e
documentato le connessioni tra la Sardegna e l'Egitto. Il primo, che ha approfondito
la conoscenza delle origini della lingua parlata dai nostri antenati
tramandandola ai posteri con il suo “Nou Faeddarzu dessa Limba Sarda” due tomi
di oltre 1.400 pagine editi da Grafica del Parteolla 2018 ed ha composto un'
altra opera ciclopica “Enciclopedia della Civiltà Shardana” sempre con lo
stesso editore, ha trattato l'argomento relativo alla divinità egizia in esame,
nel volume II dell'enciclopedia che esamina i seguenti temi: Religione, Feste,
Edifici sacri, Carnevali. Nel capitolo 10.3 che tratta delle “Corna”, Dedola
dopo aver parlato della Bibbia di Mosè di Giacobbe di Yahweh del Nuovo
Testamento, seguendo un ragionamento lessicale sul vocabolo (Corna) e la sua
genesi, arriva alla dea Hathor e ci dice che:”.. il suo nome significa casa
di Horus ossia casa del “Dio Sole”. Dea dell'amore e della gioia, generò il Dio
Sole e poi ne divenne sposa.” inoltre che “..in Sardegna è nota in vari
modi, visto che l'elemento egizio in terra sarda fu notevole e, suppongo
numeroso. Un modo per conoscerla è dato pure dalla sopravvivenza del cognome
Atzori. Elizer Ben David lo dà <ebr. Hatzor (o Chatsor,
Gios 11,1 etc), ch'era un territorio ad est del Giordano dove Giosuè, avanzando
verso Canaan, dovette subire e sconfiggere una coalizione di regni. Non è azzardato
accettare questo coronimo, che sparì presto dalla geografia antica, essendo
insignificante l'entità e il valore di quel territorio; pare comunque
verosimile che il toponimo si riferisse proprio alla dea Hathor. Normalmente,
salvo eccezioni, gli attuali cognomi sardi sono antichi nomi personali, ripresi
a loro volta dai nomi personali più famosi della storia locale. Tenuto conto
della quota niente affatto trascurabile di cognomi sardi di origine egizia,
Atzori fu un nome muliebre che ripete il nome della dea Hator.” Dedola
continua la narrazione affermando che “Le testimonianze egizie in Sardegna
sono di rilevanza eccezionale. Basterebbe l'immensa quantità degli scarabei di
Tharros . Ma c'è l'altra testimonianza, quella di Tacito, che narra del trasferimento
coatto di egizi ed ebrei nel 19 e.v.”. Bartolomeo Porcheddu invece nel suo
libro “Roma colonia sarda” aprile 2020 auto pubblicato, sostiene che i “Nove
Archi”, storici nemici dei faraoni egizi, nient'altro erano che una lega di
popoli sardi ma ecco cosa scrive Porcheddu:” I “Nove Archi” erano la trasposizione dal cielo alla
terra delle nove stelle che componevano la figura di Ori[s]one. Le nove stelle
chiamate “l'arciere” disegnavano un perimetro geometrico simile ad una
clessidra che riprendeva i contorni della terra sarda. I “Nove Archi” erano
perciò le nove stelle dell'arciere sardo Ori[s]one.
Queste stelle che tracciavano la
figura di Orione sulla volta celeste diedero vita sulla terra di Sardegna alla
“Confederazione dei nove archi”, i nove popoli sardi uniti in una “lega”, quasi
come la fusione del rame con lo stagno che produceva il bronzo. Le bandiere
erano tante e differenti, ma il Pan o il
Pannu era unico.
Nella stele di Thutmose III (1457 a.
C.) a Gebel Barkal è scritto:”Ho legato in fasci i Nove Archi, le isole che
sono in mezzo al mare, i popoli stranieri ribelli. Come in cielo governano 9
dei [stelle], così in terra dominano i Nove Popoli. Il mio bastone (tirso) ha
colpito i Nove Archi”.
Nelle pagine successive Bèrtulu Porcheddu spiega con dovizia di particolari
quali sono i nomi che compongono la
“lega” e devo riconoscere che le sue riflessioni sono molto
affascinanti.
Se assumiamo come valida la tesi che
la figura scolpita nei menhir rappresenta la dea Hathor, allora è possibile
osservare l'evoluzione iconografica e sincretistica della divinità che,
probabilmente, giunge in terra sarda con coloro che, provenienti da oriente
(cacciatori, raccoglitori, cercatori di minerali?), si stabilirono nella parte
nord-occidentale dell'isola, dando inizio alla realizzazione di quei fantastici
monumenti che ancora arricchiscono quel territorio. Sono probabilmente questi
“Signori d'Oriente” padroni dell'arte scultorea, della conoscenza della pietra
e della sua lavorazione che danno vita alle
necropoli e inizio all'architettura ipogeica con le spettacolari
costruzioni di Mesu 'e Montes, S'Adde 'e Asile, S'Isterridolzu, Noeddale, Su
Littu. Solo per citare quelle che ricadono nel territorio di Ossi, in
provincia di Sassari, all'interno della quale è presente anche un monumento (la
ziqqurat di Monte d'Accoddi) la cui fattispecie ha le caratteristiche tipiche
dei monumenti cultuali mesopotamici ed è l'unico esemplare, fuori dal contesto
della Mezzaluna fertile, conosciuto in tutta l'area mediterranea; sono loro
gli autori delle poderose mura di Monte Baranta? E ancora, sono sempre questi
“Signori d'Oriente” che nelle case dei morti rappresentano la dea con le corna
taurine e suo figlio Ra il Sole con il disco raggiato? Io credo
di si.
Dall' immagine della dea Hathor
scolpita nei menhir si passa per sincretismo alla figura del Toro che caratterizza tutto il periodo del bronzo,
per arrivare a Neith il cui santuario e centro cultuale lo si può individuare
nella grotta di Su Benatzu a Santadi (vedi articolo in questa rivista del
6/05/2019 dal titolo “Neith di Sais illuminata dall'Accademia”)la dea nilotica
diventa la fenicia Tanit che a sua volta assume le sembianze di Astarte (con
questa immagine si potrebbe sostenere che il cerchio si chiude in quanto
Astarte proviene dalla Mesopotamia in cui era conosciuta come Inanna/Ishtar).
Mi sembra di aver portato sufficienti
elementi che consentono di valutare l'attendibilità della tesi esposta. Per cui
non resta altro che attendere il giudizio dei lettori.
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