Alla lega di rame e stagno poteva aggiungersi piombo o zinco, come sappiamo dai bronzi a elevato tenore di piombo, tipici in Italia Meridionale all’inizio dell’Età del Ferro, nei primi secoli del I Millennio a.C. di cui sono fatti i dischi da getto usati nelle comunità agricole e pastorali.
L’evoluzione tecnologica della fusione dei metalli raggiunse la sua fase più complessa nel processo estrattivo e di lavorazione del ferro. Già dall’età del Bronzo, si nota un utilizzo sporadico del ferro per realizzare piccoli strumenti ed era legato allo sfruttamento di ferri meteorici, ossia le meteoriti a composizione metallica che si rinvengono ancora oggi nelle zone desertiche libiche. Verso la fine dell’età del Bronzo, intorno all’XI secolo a.C., ci si rese conto di come da minerali più comuni di quelli di rame, si poteva ottenere ferro per fusione in ambiente riduttivo. Si sviluppò l'artigianato dei fabbri, che con il nuovo materiale realizzava tanti tipi di utensili e strumenti da lavoro. Il ferro è geologicamente più reperibile del rame e dello stagno, e si trova in grandi quantità, così iniziò l’estrazione mineraria che fece soppiantare i precedenti materiali. L’unico problema era la corrosione, cui si rimediava facilmente sostituendo lo strumento. La filiera del ferro comprendeva tutte le fasi già viste per gli altri metalli: individuazione, estrazione, trasporto, lavorazione e vendita. Poco a poco si aggiunsero nelle conoscenze dell'uomo altri minerali e relativi metalli, ad esempio l’antimonio e il nichel. D'altro genere è la storia della cobaltite, nota in Cina e usata per colorare in azzurro i celebri vasi Ming. Furono i minatori dei Monti Harz, nell'Europa Centrale, a scoprire la tecnologia di quel minerale quando tentarono di ricavarne il rame riscaldandolo ad altissime temperature. Si accorsero che da esso si sprigionavano velenosi e fumi di zolfo e arsenico, e gli attribuirono un potere malefico, quasi che uscissero dalle tenebrose profondità dell'inferno. Più tardi si scoprì anche in Europa che, liberato dallo zolfo e dall'arsenico e mescolato con sabbia, dava una specie di vetro azzurro. Ancora più tardi il chimico G. Brandt spiegò che quel colore azzurro era dovuto a un metallo, cui fu dato il nome di cobalto, usato oggi nell'industria delle vernici e per acciai speciali e catalizzatori. Oggi siamo nell'età dell'alluminio, il metallo più abbondante nella crosta terrestre, scoperto soltanto nel secolo scorso e sfruttato industrialmente dagli anni Cinquanta, a causa della difficoltà e onerosità per estrarlo dai minerali (bauxite). Tuttora la sua lavorazione consiste in un metodo elettrolitico che consuma grandi quantità di energia, quindi si ricorre spesso al riciclo. Merita qualche parola anche l’archeometria, una scienza nata alla fine del secolo scorso, che unendo le competenze di geologi, chimici, fisici e archeologi, e analisi sofisticate come i raggi x, la fluorescenza, la spettrofotometria e la tac, è in grado di determinare la provenienza dei minerali grezzi, di leghe metalliche e di oggetti ceramici o in pietra e le relative tecniche usate nel passato. Oggi si possono anche individuare le falsificazioni, ad esempio la differenza tra Malachite naturale e le patine di verderame applicate per ottenere artificialmente l’effetto di anticamento.
Per quanto riguarda l’approvvigionamento, l’area dei paesi prospicienti il Mediterraneo, è stata fin dall’antichità, estremamente importante come sorgente di tutta una serie di materie prime oggetto di coltivazione mineraria, che sono state una delle basi di sviluppo delle civiltà. La storia delle miniere coincide con la storia delle civiltà umane, non solo nell’area dei paesi che si affacciano direttamente sul Mediterraneo, ma anche di quelli che con questi commerciavano, consentendone lo sviluppo sia economico sia politico e culturale. La disponibilità delle risorse minerarie è stata una delle prime motivazioni dei commerci e delle migrazioni dei popoli, in particolare da quando iniziò l’età dei metalli, la cui utilizzazione è stata il motore dell’incremento delle tecnologie e delle conoscenze sui materiali. È per questa ragione che i cosiddetti studi sulle provenienze rappresentano una delle più diffuse applicazioni delle scienze all’archeologia.
Per quello che riguarda i metalli, tali studi non sono semplici, dal momento che mineralizzazioni fonti di materie prime, anche geograficamente lontane tra di loro, possono presentarsi non solo di aspetto simile, ma esserlo anche dal punto di vista mineralogico e geochimico. Inoltre, al fatto che alcune delle loro caratteristiche possono cambiare durante il processo di fabbricazione, cioè nel passaggio da materie prime a manufatti, si deve aggiungere anche il problema di dover miscelare metalli non solo di diversa natura per la composizione delle leghe, (come rame e stagno per produrre il bronzo), ma anche dello stesso tipo per riciclare ad altro uso degli oggetti non più utilizzabili.
Esempi frequenti sono stati osservati nella fabbricazione di gioielli da metalli nobili e per la realizzazione oggetti di uso quotidiano, come nel caso delle tubature dell’acquedotto di Pompei, in cui è stato rinvenuto piombo dalle provenienze più disparate, probabilmente rifuso da altri oggetti reperiti in loco.
Nell’intraprendere la descrizione delle risorse minerarie del bacino del Mediterraneo, è importante comunque effettuare una prima distinzione, e cioè tra risorse minerarie come vengono considerate oggi, e risorse minerarie che potevano essere considerate e sfruttate dagli antichi. Questa distinzione è assolutamente cruciale per qualsiasi si studio sulle provenienze, poiché non deve essere considerato solo il metallo in sé stesso, ma il suo modo di presentarsi, la sua reperibilità e la facilità di coltivazione ed estrazione.
Un esempio banale della differenza tra le risorse minerarie dell’antichità e quelle della civiltà moderna, è dato dai depositi a bauxite, che venivano coltivati nei calcari Cretacici in Italia, Francia Grecia e Ungheria. Tali depositi sono costituiti da concentrazioni di idrossidi di alluminio, associati ad ossidi e idrossidi di ferro, di origine lateritica ma deposti in cavità carsiche. Tali mineralizzazioni, essendo basate su di un metallo, quale l’alluminio, che era sconosciuto agli antichi, fino agli inizi del Novecento non avevano alcun valore, se non dove la loro percentuale in ferro era estremamente alta. In tal caso venivano coltivati per quest’ultimo metallo. Un altro esempio, ma che richiede una discussione ben più articolata, è quello dell’oro. I paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo non sono stati mai considerati grandi produttori di oro, tranne l’Egitto, la Spagna e limitate aree dei Balcani. In effetti, con rare eccezioni dovute alla localizzazione di vene aurifere a bassa profondità, l’oro coltivato dagli antichi era costituito soprattutto da concentrazioni in placers eluviali o alluvionali recenti, (fiumi a valle delle mineralizzazioni filoniane Alpine), o fossili, (Asturie). Negli ultimi trentanni, invece, sono state rinvenute in varie zone dell’Europa meridionale, quali la Romania o la Sardegna, una serie di nuove mineralizzazioni aurifere, nella maggior parte delle quali il metallo si presenta in forma disseminata nella roccia incassante, e quindi di difficile reperibilità, sfruttamento e lavorazione da parte degli antichi prospettori e metallurgisti.
Per quello che riguarda il rame, uno dei metalli di maggiore utilizzazione nell’antichità, una parte dei problemi di reperimento, coltivazione ed estrazione del metallo, sono simili a quelli dell’oro. Come è noto, le maggiori concentrazioni economiche di rame nell’antichità erano presenti soprattutto nelle zone di Cipro, ma anche associate a mineralizzazioni idrotermali dell’Italia peninsulare e della Sardegna.
Un problema a parte, ancora oggi dibattuto e non completamente risolto dagli archeologi e dai giacimentologi, è l’eventuale presenza di quantità economiche, nelle aree prospicienti il Mediterraneo, di minerali di stagno, che rappresenta l’altra componente necessaria alla fabbricazione del bronzo. Stagno è comunque presente nell’intorno di Spagna e Portogallo, oltre che nei già ben noti distretti della Bretagna e della Cornovaglia. La presenza di stagno in Toscana, (mineralizzazioni di Monte Valerio) e in Sardegna è comunque estremamente limitata per consentire estrazioni continuate nel tempo e finalizzate alla produzione di grandi quantità di bronzo. Per ciò che riguarda l’argento, e il suo sottoprodotto, il piombo, non ci sono particolari differenze, se non nelle quantità e nei tenori, tra le mineralizzazioni di entrambi i metalli sfruttate nell’antichità ed in tempi recenti. I tipi più noti di mineralizzazioni sono i giacimenti rinvenuti in Sardegna, Toscana, Alpi orientali, Penisola Iberica, Francia e Anatolia. Una gran parte delle risorse di detti metalli, sfruttate almeno dal 1000 a.C., si rinveniva anche in diverse aree della Grecia: sia nell’arcipelago Egeo sia nelle miniere del Laurium, in prossimità della città di Atene. Nella maggior parte dei casi si tratta di concentrazioni di galena argentifera a basso tenore.
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