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mercoledì 12 settembre 2018

Archeologia, le materie prime dell'antichità. I metalli e le leghe, elementi naturali e artificiali che spinsero l'uomo ad incrementare le conoscenze tecnologiche: miniere, metallurgia e complessi processi di fusione, attivarono un'evoluzione sociale, culturale e organizzativa per attivare intrecci commerciali su tutto il pianeta. Riflessioni di Pierluigi Montalbano


Archeologia, le materie prime dell'antichità. 

I metalli e le leghe, elementi naturali e artificiali che spinsero l'uomo ad incrementare le conoscenze tecnologiche:  miniere, metallurgia e complessi processi di fusione, attivarono un'evoluzione  sociale, culturale e organizzativa per attivare intrecci commerciali su tutto il pianeta. 
Riflessioni di Pierluigi Montalbano


La metallurgia comprende 3 processi produttivi che consentono di ricavare metalli dai loro minerali e renderli idonei alla trasformazione in oggetti: concentrazione del minerale; ottenimento del metallo; purificazione e raffinazione. Le tracce più antiche di utilizzo dei metalli risalgono al Neolitico quando oro, argento e rame nativi, per le loro caratteristiche di malleabilità e duttilità, venivano lavorati, a freddo e a caldo, per martellatura e stiramento, e poi impiegati per realizzare oggetti ornamentali e simboli di prestigio. Il primo materiale fu probabilmente il rame, la cui utilizzazione è favorita dalla visibilità dei giacimenti e dai vivaci colori dei prodotti ottenuti con il trattamento, ad esempio il verde della malachite, l'azzurro dell’azzurrite e il rosso del rame nativo. Sotto la crosta superficiale, i principali minerali di rame sono solfuri, il più diffuso dei quali è la calcopirite. L'uomo raccoglieva i
minerali metallici quando li vedeva affiorare in superficie in seguito all'azione dei torrenti, ma anche le acque colorate nelle sorgenti indicavano la loro presenza. I primi esempi di lavorazione del rame li abbiamo alla metà del V Millennio a.C. a Vara, in Bulgaria. Naturalmente essendo i metalli teneri e malleabili, Tecnologicamente il rame, essendo un metallo tenero e malleabile, non sono adatti a molti utilizzi e non potevano competere con la selce, l'ossidiana e la pietra levigata, ma avevano un valore come segni di prestigio e di status sociale elevato. Nel III Millennio a.C. si scoprì che le migliori caratteristiche di durevolezza erano date dalla lega ottenuta fondendo insieme 9 parti di rame e una di stagno, ottenendo il bronzo. Rapidamente il rame superficiale iniziò a scarseggiare, e s’iniziò a scavare delle gallerie per raccoglierlo in profondità. Similmente, lo stagno fu ottenuto, come minerale cassiterite, prevalentemente nelle regioni dell’Europa nord occidentale. Furono proprio i primi metallurgici del rame a scoprire che fondendo minerali metallici diversi si potevano ottenere leghe più dure del rame e più funzionali per realizzare strumenti di lavoro e armi, più efficaci nel taglio e nella durata. C’è da osservare che geologicamente rame e stagno è molto raro trovare rame e stagno concentrati insieme, quindi produrre leghe da questi materiali significava fondere insieme metalli di provenienza geografica assai diversa. Ciò suggerisce l’esistenza di una organizzazione articolata  per mettere a frutto una tecnologia capace di produrre un composto artificiale, non ottenuto per semplice trasformazione di materiali naturali ma per un intervento di miscelazione, fusione e forgiatura. Furono intrecciati contatti anche a largo raggio, con una fitta rete di vie di trasporto terrestri e marittime, che collegavano le miniere ai centri specializzati nella fusione delle leghe. Questi contatti, favorirono il perfezionamento delle tecnologie e lo scambio di elementi culturali che contribuirono a formare classi sociali ricche, con possibilità di monopolio e di controllo economico. Alla fine del III Millennio a.C., lo sviluppo della tecnologia del bronzo produsse un nuovo genere di armi, le spade, pensate per le guerre e non come strumento di caccia, com’erano, invece, i pugnali, le frecce e le lance. Insieme alle spade fu inventato lo scudo, anch’esso simbolo della casta dei guerrieri, come testimoniano i corredi funerari. Naturalmente, fin dall'inizio della metallurgia, i manufatti di rame e bronzo logorati, venivano fusi e riutilizzati in nuove forme.

Alla lega di rame e stagno poteva aggiungersi piombo o zinco, come sappiamo dai bronzi a elevato tenore di piombo, tipici in Italia Meridionale all’inizio dell’Età del Ferro, nei primi secoli del I Millennio a.C. di cui sono fatti i dischi da getto usati nelle comunità agricole e pastorali.
L’evoluzione tecnologica della fusione dei metalli raggiunse la sua fase più complessa nel processo estrattivo e di lavorazione del ferro. Già dall’età del Bronzo, si nota un utilizzo sporadico del ferro per realizzare piccoli strumenti ed era legato allo sfruttamento di ferri meteorici, ossia le meteoriti a composizione metallica che si rinvengono ancora oggi nelle zone desertiche libiche. Verso la fine dell’età del Bronzo, intorno all’XI secolo a.C., ci si rese conto di come da minerali più comuni di quelli di rame, si poteva ottenere ferro per fusione in ambiente riduttivo. Si sviluppò l'artigianato dei fabbri, che con il nuovo materiale realizzava tanti tipi di utensili e strumenti da lavoro. Il ferro è geologicamente più reperibile del rame e dello stagno, e si trova in grandi quantità, così iniziò l’estrazione mineraria che fece soppiantare i precedenti materiali. L’unico problema era la corrosione, cui si rimediava facilmente sostituendo lo strumento. La filiera del ferro comprendeva tutte le fasi già viste per gli altri metalli: individuazione, estrazione, trasporto, lavorazione e vendita. Poco a poco si aggiunsero nelle conoscenze dell'uomo altri minerali e relativi metalli, ad esempio l’antimonio e il nichel. D'altro genere è la storia della cobaltite, nota in Cina e usata per colorare in azzurro i celebri vasi Ming. Furono i minatori dei Monti Harz, nell'Europa Centrale, a scoprire la tecnologia di quel minerale quando tentarono di ricavarne il rame riscaldandolo ad altissime temperature. Si accorsero che da esso si sprigionavano velenosi e fumi di zolfo e arsenico, e gli attribuirono un potere malefico, quasi che uscissero dalle tenebrose profondità dell'inferno. Più tardi si scoprì anche in Europa che, liberato dallo zolfo e dall'arsenico e mescolato con sabbia, dava una specie di vetro azzurro. Ancora più tardi il chimico G. Brandt spiegò che quel colore azzurro era dovuto a un metallo, cui fu dato il nome di cobalto, usato oggi nell'industria delle vernici e per acciai speciali e catalizzatori. Oggi siamo nell'età dell'alluminio, il metallo più abbondante nella crosta terrestre, scoperto soltanto nel secolo scorso e sfruttato industrialmente dagli anni Cinquanta, a causa della difficoltà e onerosità per estrarlo dai minerali (bauxite). Tuttora la sua lavorazione consiste in un metodo elettrolitico che consuma grandi quantità di energia, quindi si ricorre spesso al riciclo. Merita qualche parola anche l’archeometria, una scienza nata alla fine del secolo scorso, che unendo le competenze di geologi, chimici, fisici e archeologi, e analisi sofisticate come i raggi x, la fluorescenza, la spettrofotometria e la tac, è in grado di determinare la provenienza dei minerali grezzi, di leghe metalliche e di oggetti ceramici o in pietra e le relative tecniche usate nel passato. Oggi si possono anche individuare le falsificazioni, ad esempio la differenza tra Malachite naturale e le patine di verderame applicate per ottenere artificialmente l’effetto di anticamento.

Per quanto riguarda l’approvvigionamento, l’area dei paesi prospicienti il Mediterraneo, è stata fin dall’antichità, estremamente importante come sorgente di tutta una serie di materie prime oggetto di coltivazione mineraria, che sono state una delle basi di sviluppo delle civiltà. La storia delle miniere coincide con la storia delle civiltà umane, non solo nell’area dei paesi che si affacciano direttamente sul Mediterraneo, ma anche di quelli che con questi commerciavano, consentendone lo sviluppo sia economico sia politico e culturale. La disponibilità delle risorse minerarie è stata una delle prime motivazioni dei commerci e delle migrazioni dei popoli, in particolare da quando iniziò l’età dei metalli, la cui utilizzazione è stata il motore dell’incremento delle tecnologie e delle conoscenze sui materiali. È per questa ragione che i cosiddetti studi sulle provenienze rappresentano una delle più diffuse applicazioni delle scienze all’archeologia.
Per quello che riguarda i metalli, tali studi non sono semplici, dal momento che mineralizzazioni fonti di materie prime, anche geograficamente lontane tra di loro, possono presentarsi non solo di aspetto simile, ma esserlo anche dal punto di vista mineralogico e geochimico. Inoltre, al fatto che alcune delle loro caratteristiche possono cambiare durante il processo di fabbricazione, cioè nel passaggio da materie prime a manufatti, si deve aggiungere anche il problema di dover miscelare metalli non solo di diversa natura per la composizione delle leghe, (come rame e stagno per produrre il bronzo), ma anche dello stesso tipo per riciclare ad altro uso degli oggetti non più utilizzabili.
Esempi frequenti sono stati osservati nella fabbricazione di gioielli da metalli nobili e per la realizzazione oggetti di uso quotidiano, come nel caso delle tubature dell’acquedotto di Pompei, in cui è stato rinvenuto piombo dalle provenienze più disparate, probabilmente rifuso da altri oggetti reperiti in loco.
Nell’intraprendere la descrizione delle risorse minerarie del bacino del Mediterraneo, è importante comunque effettuare una prima distinzione, e cioè tra risorse minerarie come vengono considerate oggi, e risorse minerarie che potevano essere considerate e sfruttate dagli antichi. Questa distinzione è assolutamente cruciale per qualsiasi si studio sulle provenienze, poiché non deve essere considerato solo il metallo in sé stesso, ma il suo modo di presentarsi, la sua reperibilità e la facilità di coltivazione ed estrazione.
Un esempio banale della differenza tra le risorse minerarie dell’antichità e quelle della civiltà moderna, è dato dai depositi a bauxite, che venivano coltivati nei calcari Cretacici in Italia, Francia Grecia e Ungheria. Tali depositi sono costituiti da concentrazioni di idrossidi di alluminio, associati ad ossidi e idrossidi di ferro, di origine lateritica ma deposti in cavità carsiche. Tali mineralizzazioni, essendo basate su di un metallo, quale l’alluminio, che era sconosciuto agli antichi, fino agli inizi del Novecento non avevano alcun valore, se non dove la loro percentuale in ferro era estremamente alta. In tal caso venivano coltivati per quest’ultimo metallo. Un altro esempio, ma che richiede una discussione ben più articolata, è quello dell’oro. I paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo non sono stati mai considerati grandi produttori di oro, tranne l’Egitto, la Spagna e limitate aree dei Balcani. In effetti, con rare eccezioni dovute alla localizzazione di vene aurifere a bassa profondità, l’oro coltivato dagli antichi era costituito soprattutto da concentrazioni in placers eluviali o alluvionali recenti, (fiumi a valle delle mineralizzazioni filoniane Alpine), o fossili, (Asturie). Negli ultimi trentanni, invece, sono state rinvenute in varie zone dell’Europa meridionale, quali la Romania o la Sardegna, una serie di nuove mineralizzazioni aurifere, nella maggior parte delle quali il metallo si presenta in forma disseminata nella roccia incassante, e quindi di difficile reperibilità, sfruttamento e lavorazione da parte degli antichi prospettori e metallurgisti.
Per quello che riguarda il rame, uno dei metalli di maggiore utilizzazione nell’antichità, una parte dei problemi di reperimento, coltivazione ed estrazione del metallo, sono simili a quelli dell’oro. Come è noto, le maggiori concentrazioni economiche di rame nell’antichità erano presenti soprattutto nelle zone di Cipro, ma anche associate a mineralizzazioni idrotermali dell’Italia peninsulare e della Sardegna.
Un problema a parte, ancora oggi dibattuto e non completamente risolto dagli archeologi e dai giacimentologi, è l’eventuale presenza di quantità economiche, nelle aree prospicienti il Mediterraneo, di minerali di stagno, che rappresenta l’altra componente necessaria alla fabbricazione del bronzo. Stagno è comunque presente nell’intorno di Spagna e Portogallo, oltre che nei già ben noti distretti della Bretagna e della Cornovaglia. La presenza di stagno in Toscana, (mineralizzazioni di Monte Valerio) e in Sardegna è comunque estremamente limitata per consentire estrazioni continuate nel tempo e finalizzate alla produzione di grandi quantità di bronzo. Per ciò che riguarda l’argento, e il suo sottoprodotto, il piombo, non ci sono particolari differenze, se non nelle quantità e nei tenori, tra le mineralizzazioni di entrambi i metalli sfruttate nell’antichità ed in tempi recenti. I tipi più noti di mineralizzazioni sono i giacimenti rinvenuti in Sardegna, Toscana, Alpi orientali, Penisola Iberica, Francia e Anatolia. Una gran parte delle risorse di detti metalli, sfruttate almeno dal 1000 a.C., si rinveniva anche in diverse aree della Grecia: sia nell’arcipelago Egeo sia nelle miniere del Laurium, in prossimità della città di Atene. Nella maggior parte dei casi si tratta di concentrazioni di galena argentifera a basso tenore.


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